IN CALABRIA LAVORANO POCHE DONNE
SVIMEZ: INTERVENIRE SU OCCUPABILITÀ

di FRANCESCO CANGEMI – Non è una regione per donne. Anche dal punto di vista lavorativo. La Calabria, e tutto il Sud in generale, fanno registrare dati non felici per quanto riguarda l’occupazione femminile nonostante un piccolo incremento rispetto al passato.

L’occupazione femminile in Italia cresce anche al Sud, infatti, ma il Mezzogiorno resta in fondo alla classifica europea sul lavoro delle donne con le ultime quattro posizioni per Sicilia, Campania, Calabria e Puglia. È quanto emerge dalle tabelle Eurostat sull’occupazione nel 2022. Nell’anno solo il 30,5% delle donne tra i 15 e i 64 anni in Sicilia lavorava, in aumento rispetto al 29,1% del 2021 ma comunque distante di oltre 34 punti dal 64,8% medio dell’area euro.

In Campania nel 2022 lavorava solo il 30,6% delle donne contro il 29,1% del 2021 mentre in Calabria lavorava il 31,8% delle donne contro il 30,5% del 2021. La Puglia è quart’ultima per l’occupazione femminile con il 35,4% delle donne occupate (33,8% nel 2021).

Non solo l’Eurostat fotografa una situazione sfavorevole alle donne, anche la Svimez parla di dati non felici in un apposito studio.

La carenza di servizi al Sud penalizza il lavoro delle donne con figli e contribuisce all’inverno demografico: appena il 35% delle madri con figli in età prescolare lavora rispetto al 64% del Centro-Nord. La conciliazione famiglia-lavoro è ancora, soprattutto, una “questione meridionale”.

A conferma di un mercato del lavoro “poco amico dei giovani”, nelle famiglie italiane si registrano tassi di occupazione sensibilmente più elevati per i genitori che per i figli (67,8% contro il 56,1%). E sono i genitori maschi, soprattutto, a determinare quest’esito: il tasso di occupazione dei padri italiani è pari all’83,2% a fronte del 55,1% delle madri. Con l’aggravante di tassi di occupazione strutturalmente più contenuti, nel Mezzogiorno il divario genitori-figli è di 11 punti percentuali (53,7 contro 42,8%) contro i 9 del Centro-Nord. Anche lo squilibrio di genere tra genitori è più marcato ne Mezzogiorno: 74,4 e 36,7% il tasso di occupazione rispettivamente per padri e madri meridionali (88 contro il 65,4% nel Centro-Nord).

Il tasso di occupazione delle donne italiane con figli in età prescolare è particolarmente contenuto (53,9% contro il 60,5% delle madri con figli da 6 a 17 anni). Nel Mezzogiorno il dato crolla al 35,3% per le madri con i figli in età prescolare (40,8% per le mamme meridionali con figli in età scolare).

A determinare questa problematica condizione delle donne nell’approcciare il mercato del lavoro contribuiscono la carenza di posti disponibili negli asili nido, gli elevati costi di accesso al servizio, la scarsa diffusione del tempo pieno nelle scuole dell’infanzia. Prima ancora che le opportunità di lavoro, queste carenze frenano la partecipazione al mercato del lavoro delle donne. Una questione italiana in Europa che è determinata soprattutto dai divari tra Mezzogiorno e Centro-Nord: il divario sfavorevole al Sud nei tassi di attività si attesta tra i 25 e i 30 punti percentuali per tutte le tipologie familiari. In particolare, il divario italiano nel tasso di partecipazione femminile rispetto alla media UE è di circa 13 punti percentuali, media dalla quale il Centro-Nord è distante circa 5 punti, il Mezzogiorno ben 28 punti.

La scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro è un freno per le prospettive di crescita dell’economia italiana, soprattutto alla luce di tendenze demografiche particolarmente negative, che già si stanno riflettendo in un calo della popolazione in età da lavoro.

«Risulta dunque evidente – scrive lo Svimez nel suo rapporto – l’importanza di interventi rivolti a incentivare l’occupabilità delle donne, soprattutto nel Mezzogiorno, rafforzando i servizi per l’infanzia e le infrastrutture scolastiche, favorendo una distribuzione più equilibrata tra generi delle attività di cura della famiglia e facilitando la conciliazione dei tempi di vita e lavoro». (fc)

LAVORO, NON C’È POSTO PER I NEOLAUREATI
IN CALABRIA LO TROVA SOLAMENTE IL 37,2%

Non c’è spazio per i neolaureati in Calabria. È quanto ha rilevato l‘Eurostat, che ha riportato dei dati desolanti per la nostra regione, in cui solo il 37,2% dei laureati ha trovato lavoro, a tre anni dal conseguimento del titolo.

Un numero esiguo, se si confronta con la media italiana, che si attesta al 59,5% e con quella europea, che è dell’81,5%. Ma, se per i neolaureati è difficile trovare lavoro, lo è ancora di più per le donne: Calabria (32,3%) e Sicilia (33,5%) hanno circa una laureata su tre al lavoro dopo tre anni dal titolo, contro il dato italiano che è del 57,1%. Un dato medio inferiore anche alla Grecia e lontano dalla media Ue (80,5%) di oltre 20 punti.

Un problema che, tuttavia, si estende anche ai diplomati calabresi: appena il 32,1% dei ragazzi che hanno completato l’istruzione superiore con un’occupazione tra uno e tre anni dal titolo. A presentare lo stesso problema, la Sterea Ellada in Grecia (32,2%) e la Sicilia (33,3%). La Campania è la quarta regione per difficoltà dei neo diplomati e neo laureati con appena il 37,6% con un impiego tra uno e tre anni dal titolo. E la difficoltà a trovare lavoro persiste nel Paese nonostante sia ancora molto bassa la percentuale delle persone in età lavorativa con un livello di istruzione universitario (il 20,1% in Italia a fronte del 32,8% medio nell’Ue a 27).

Di fronte a questi dati, che posiziona la Calabria ultima in Europa, come si può pretendere che i nostri giovani rimangano quando è un numero così esiguo a trovare lavoro? A che serve inaugurare nuovi corsi di Laurea, avere Università con master prestigiosi o qualsiasi altra cosa, se poi la prospettiva è quella di essere un disoccupato? A nulla, perché in Calabria non c’è spazio per i giovani laureati, per chi investe sulla propria formazione, sulla propria cultura e scommette su una terra che vuole riscattarsi, alzare la testa e far vedere all’Italia e all’Europa il proprio valore.

Come evidenziato dall’editore Florindo Rubbettino, in una intervista rilasciata a Il Mattino, «chi ha un livello elevato di formazione da spendere sul mercato, ha di fronte a sé due opzioni al Sud: o se ne va in cerca di dove valorizzare al meglio queste competenze, o resta ma, per farlo, deve cambiare le condizioni di contesto».

«In altre parole – ha proseguito – deve sottoporsi a un duplice sforzo: non solo laurearsi bene, ma anche cercare di modificare, insieme ad altre persone possibilmente le regole del gioco perché i suoi studi siano spendibili in loco. Purtroppo, la maggior parte delle persone di qualità sceglie la prima opzione».

Sul tema è intervenuto anche il consigliere regionale del Partito Democratico, Nicola Irto, che ha evidenziato come i numeri rilevati dall’Eurostat potrebbero mettere in crisi il sistema universitario regionale e fare aumentare ancora il numero dei giovani calabresi che lascerà il territorio non solo per lavorare fuori Regione, ma anche per avviare il proprio percorso di studi. 

«Se il dato sull’occupazione a breve termine sull’occupazione dei laureati calabresi – ha spiegato Irto – si incrocia con quello del calo delle iscrizioni nelle Università della nostra Regione, ci si trova davanti ad uno scenario per nulla confortante. Il rischio è che oltre al grande numero di giovani che lascia la Calabria per trovare lavoro dopo la laurea, ci si trovi a una nuova emigrazione di massa di chi, sapendo di non potere trovare sbocchi, decide già di avviare il percorso universitario in altri Atenei italiani o europei».

«Si tratta di una tendenza che deve essere subito invertita – ha spiegato ancora –. Il Consiglio regionale appena eletto e il nuovo governo regionale dovranno subito mettersi al lavoro per una seria riforma del rapporto tra Università e Regione e mettere in campo tutti gli strumenti necessari per avvicinare il mondo degli Atenei calabresi con quello del lavoro, coinvolgendo imprese e Pubbliche Amministrazioni.»

«Non possiamo permetterci – ha proseguito – di vedere ancora impoverito il nostro tessuto sociale e dobbiamo fare in modo che l’offerta formativa delle nostre Università, spesso anche di altissimo livello, offra sbocchi concreti e immediati agli studenti meritevoli che completano il percorso di laurea sul nostro territorio».

«E, a tal proposito – ha evidenziato – va espresso un ringraziamento sentito agli Atenei calabresi, ai professori e a tutti i dipendenti che vi operano, per lo sforzo profuso durante gli ultimi anni. Uno sforzo che ha consentito di elevare sia l’offerta formativa, che l’attività di ricerca».

«Serve adesso che le nostre Università – ha concluso – possano trovare un’adeguata risposta e un pari impegno da parte delle Istituzioni e della politica in modo da avviare un circolo virtuoso che ci metta in grado di affrontare le sfide del futuro». (rrm)

La Calabria ultima in Europa per l’occupazione a tre anni dalla laurea

Maglia nera per la Calabria anche sul tema dell’occupazione per i giovani laureati: a tre anni dal titolo nel 2020, solo il 37,2% ha trovato lavoro, a fronte della media italiana che è del 59,5% e di quella europea, che è dell’81,5%. È il desolante quadro emerso dall’analisi dell’Eurostat, che ha pubblicato il libro sulle Regione, in cui si affronta, anche, il tema dell’istruzione e del lavoro e riportato dall’Ansa.

Nonostante l’Italia abbia registrato una riduzione di « 2,2 punti a fronte di una flessione di 1,7 punti nella media dell’Ue a 27» per quanto riguarda il dato sull’occupazione dei giovani laureati a tre anni dal titolo, la «Calabria – riporta l’Ansa — resta la regione con le difficoltà maggiori e appena il 32,1% dei ragazzi che hanno completato l’istruzione superiore con un’occupazione tra uno e tre anni dal titolo. È seguita dalla Sterea Ellada in Grecia (32,2%) e dalla Sicilia (33,3%)».

«La Campania – viene riportato ancora – è la quarta regione per difficoltà dei neo diplomati e neo laureati con appena il 37,6% con un impiego tra uno e tre anni dal titolo. E la difficoltà a trovare lavoro persiste nel Paese nonostante sia ancora molto bassa la percentuale delle persone in età lavorativa con un livello di istruzione universitario (il 20,1% in Italia a fronte del 32,8% medio nell’Ue a 27)». (rrm)

 

Lucia Anita Nucera: Dati Eurostat su disoccupazione mortificanti per la Calabria

Lucia Anita Nucera, presidente Commissione Pari Opportunità del Comune di Reggio Calabria, ha dichiarato che «la situazione che l’Eurostat ha fotografato sullo stato di disoccupazione e su come esso emerga nelle singole regioni italiane, è davvero avvilente e mortificante per la Calabria».

«I dati emersi – ha spiegato – indicano che una persona su cinque era senza lavoro nel 2020 in Calabria che, insieme ai territori del Mezzogiorno, si trova negli ultimi 15 posti della classifica europea. Sicuramente, la pandemia ha aumentato il gap e le difficoltà nel nostro territorio, ma questo non può giustificare una situazione atavica di ritardi e di inefficienze nelle politiche del lavoro che non ha saputo creare opportunità in Calabria anche e soprattutto attingendo ai fondi europei, risorsa importantissima, che come ho già dichiarato non è stata impegnata  per come doveva e poteva essere fatto».
«Una situazione desolante – ha proseguito – che spinge, ormai, i giovani ma anche famiglie ad abbandonare la  nostra terra in cerca di una maggiore sicurezza economia. A questo, si aggiunge il calo delle nascite, come indicato dai dati Istat, che vede il nostro Paese fanalino di coda insieme a Spagna, Francia e Belgio. La crisi economica e l’incertezza d futuro sono tra le cause che hanno pesato sulla decisione di mettere al mondo dei figli. Dai dati emerge soprattutto che la difficoltà per le famiglie è legata alla mancanza di  lavoro o, comunque, di uno stabile. È necessario, quindi, incentivare e sostenere le famiglia con politiche e interventi mirati, ma soprattutto creare occupazione, affinché questa condizione legata alla pandemia non abbia un’inversione di rotta».
«Non si può continuare – ha detto ancora – a navigare a vista, serve una  programmazione delle risorse, soprattutto dei fondi europei, una progettualità che ne consenta l’uso e non la dispersione ma, soprattutto, servono competenza,  preparazione e onestà da parte di chi amministra la cosa pubblica e  non improvvisazione e pochezza culturale, perché altrimenti si rischia sempre di rimanere allo stesso punto, e questo è ancora più importante quando si devono rappresentare i bisogni e le istanze del territorio a cui è necessario dare risposte e non vane illusioni».
«È necessaria una presa di coscienza collettiva – ha concluso Nucera – per un reale cambiamento rispetto a una tendenza che vede, spesso, l’immagine, la superficialità,  l’impreparazione come modus operandi della politica e questo deve partire da tutta la comunità calabrese che deve indignarsi e pretendere che chi rappresenta i loro diritti e bisogni lo faccia appieno. Una comunità che ha il diritto di rimanere nella propria terra e di vedere riconosciuti meriti e competenze». (rrc)