EXPORT E INNOVAZIONE, IL FUTURO È QUI
LA CALABRIA NON PERDA QUEST’OCCASIONE

di FABRIZIA ARCURI – L’internazionalizzazione è una delle sfide più significative per il sistema produttivo italiano, in particolare per le piccole e medie imprese che intendono affacciarsi ai mercati esteri. Per rispondere a questa esigenza nasce il Mediterranean Export Innovation Hub (Meih), un’Associazione che si propone come punto di riferimento per le aziende desiderose di espandere la propria presenza a livello internazionale.

Attraverso strategie mirate, formazione specialistica e un network di contatti consolidato, il Meih offre strumenti concreti per accompagnare le imprese nel loro percorso di crescita oltre i confini nazionali.

L’iniziativa è guidata da Alessandro Crocco, imprenditore italo-americano con una solida esperienza nell’export e nei processi di internazionalizzazione. Attivo tra New York e l’Italia, ha sviluppato una profonda conoscenza dei mercati esteri e delle strategie per la crescita delle Pmi, con l’obiettivo di creare connessioni efficaci tra le eccellenze italiane e il contesto globale.

Il Meih nasce proprio da questa visione, configurandosi come un catalizzatore di crescita per le imprese, trasformando le ricchezze produttive del territorio in una leva di sviluppo concreto. Un progetto che assume un valore strategico soprattutto per il Sud Italia e per la Calabria, una terra dal grande patrimonio culturale e produttivo, che necessita di strumenti adeguati per affermarsi sui mercati internazionali. L’Associazione si pone come risposta a questa esigenza, promuovendo la competitività delle imprese locali e favorendone l’integrazione nel commercio globale.

A sancire l’avvio ufficiale delle attività, il Meih sigla il suo primo Protocollo d’Intesa con Confapi Calabria, una collaborazione strategica che consolida il legame tra il mondo imprenditoriale e le strategie di internazionalizzazione. L’accordo rappresenta il primo passo concreto di un percorso che punta a rafforzare la competitività delle imprese locali, favorendo sinergie tra innovazione, formazione e accesso ai mercati esteri.

L’evento di presentazione, in programma lunedì 24 febbraio alle 10.30 presso Villa Rendano a Cosenza, si aprirà con i saluti istituzionali di coloro che, sin dall’inizio, hanno sostenuto la filosofia e la mission del Meih. Importanti appuntamenti istituzionali, dal Senato della Repubblica al Consiglio Regionale della Calabria, fino agli incontri sui territori, hanno contribuito a dare impulso all’iniziativa, consolidandone la visione e il percorso di crescita. A portare i saluti istituzionali saranno la senatrice Tilde Minasi, la Presidente di Brutium, Gemma Gesualdi, Walter Pellegrini, Presidente della Fondazione Giuliani e Antonello Grosso La Valle, il Presidente di Unpli Cosenza e Consigliere Nazionale.

A presentare il progetto e il Protocollo d’Intesa saranno Alessandro Crocco, Presidente del Meih, Francesco Napoli, Presidente di Confapi Calabria, la sottoscritta, vicepresidente Meih, e Rossana Battaglia, presidente Accademia degli Imprenditori. A moderare l’incontro sarà Francesca Preite, Responsabile comunicazione e Vicepresidente Filiera UNIGEC – Confapi Calabria.

«Il progetto Mediterranean Export Innovation Hub incarna la visione di un’Italia che sa guardare oltre i propri confini, forte della sua cultura, della sua qualità e della sua capacità di innovare – afferma Alessandro Crocco –. Ma, soprattutto, vuole dare risposte concrete alla Calabria e al Sud Italia, territori che, troppo spesso, restano esclusi dalle grandi opportunità dell’export e dell’innovazione».

«Con questa iniziativa – continua – vogliamo creare un ecosistema in cui le imprese locali possano apprendere, collaborare e crescere, facendo della qualità e dell’identità territoriale il loro punto di forza per conquistare i mercati internazionali».

«La firma – sottolinea – di questo Protocollo d’Intesa con Confapi Calabria è solo l’inizio di un percorso che metterà a disposizione delle Pmi strumenti concreti per affermarsi e competere su scala globale, con un’attenzione particolare per le realtà produttive calabresi, che meritano di essere valorizzate a livello internazionale».

Entusiasta della collaborazione, Francesco Napoli, Presidente di Confapi Calabria, sottolinea il valore strategico dell’accordo: «Siamo orgogliosi di presentare l’Export Innovation Hub e il Mediterranean Export Innovation Hub, iniziative che rappresentano un’opportunità concreta per il futuro dell’export, non solo per la Calabria, ma per l’intero Sud Italia».

«Questi progetti – enfatizza – segnano un passaggio fondamentale verso la modernizzazione e il rafforzamento del nostro tessuto produttivo, grazie alla sinergia tra innovazione, competenze e mercato internazionale. È un’occasione imperdibile per le aziende calabresi, che hanno sempre dimostrato un potenziale straordinario ma che spesso incontrano ostacoli nell’accedere ai mercati globali».

«Con il Meih – conclude – vogliamo colmare questo divario e creare un ponte tra le imprese locali e le opportunità internazionali. Un ringraziamento particolare va ad Alessandro Crocco per il suo impegno e la sua visione, che hanno reso possibile questo importante progetto».

Mi preme sottolineare l’importanza della comunicazione e del marketing nell’internazionalizzazione, in quanto non basta un prodotto eccellente per conquistare i mercati esteri, è necessario saperlo raccontare, creare un’identità forte, trasmettere la storia e i valori che lo rendono unico.

Questo è ancora più vero per la Calabria, una terra che vanta eccellenze straordinarie, dall’agroalimentare all’artigianato, dal turismo alla tecnologia, ma che fatica ancora a imporsi sul panorama internazionale.

La nostra missione è accompagnare le imprese in questo percorso, fornendo strumenti di promozione, formazione mirata e strategie di branding efficaci. Dobbiamo fare in modo che il Made in Calabria non sia solo riconosciuto, ma desiderato, perché porta con sé autenticità, qualità e una storia che merita di essere raccontata al mondo intero.

«L’unione fa la forza. Solo lavorando – ribadisce nella chiusa il presidente Crocco – in sinergia possiamo raggiungere obiettivi ambiziosi e rendere l’Italia e quindi la nostra terra di Calabria, protagonista nello scenario globale. Il Mediterranean Export Innovation Hub è aperto a tutti coloro che condividono questa visione e vogliono contribuire a renderla realtà». (fa)

[Fabrizia Arcuri è vicepresidente Meih]

I DAZI AMERICANI DANNEGGIANO IL SUD
A RISCHIO L’EXPORT E L’OCCUPAZIONE

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Quanto peseranno i dazi americani sull’export del Mezzogiorno? A questo interrogativo risponde la Svimez con uno studio in cui ipotizza due scenari su cosa potrebbe succedere qualora venissero estese le restrizioni doganali anche all’Europa.

Secondo le stime della Svimez, nell’ipotesi in cui venissero applicati dazi ai prodotti importati dall’Italia (e dagli altri Paesi) al 10%, il Pil italiano subirebbe una contrazione di 1,9 mld (0,1 % del Pil): -1,6 mld al Centro-Nord e -257 mln al Mezzogiorno.

In termini occupazionali, «l’effetto misurato in unità di lavoro a tempo pieno sarebbe di circa 27mila posti di lavoro in meno, principalmente concentrati nelle regioni del Centro e del Nord (-23mila)».

«Il Sud, dunque, subirebbe un impatto maggiore in termini di contrazione dell’export verso gli Usa, ma più contenuto sul Pil e occupazione, per effetto del minor contributo delle esportazioni al valore aggiunto dell’area».

«Per il Mezzogiorno – si legge – il mercato statunitense è particolarmente rilevante: complessivamente la quota Sud dell’export italiano destinato agli Usa si attesta al 12,4%, superiore di circa 2 punti percentuali alla quota verso il mondo. In alcuni settori specifici, come Automotive ed Elettronica&Informatica, il contributo del Mezzogiorno alle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti raggiunge percentuali del 28,4%».

«Nell’Agrifood, il dato si attesta al 22,6% e per le esportazioni della Farmaceutica il contributo del Sud è pari all’11,2%. Sugli Energetici, oltre il 64% delle esportazioni italiane verso il mercato statunitense registra come provenienza una regione del Mezzogiorno», ha rilevato la Svimez.

Gli scenari considerati dall’Associazione sono due: 1) dazi per tutti i Paesi al 10% e 2) dazi per tutti i Paesi al 20%. Il risultato è stato disaggregato sia per settore che per circoscrizione. A livello settoriale, l’intensità dell’impatto varia a seconda della minore o maggiore elasticità della domanda rispetto all’aumento del prezzo dei vari prodotti.

Per i beni indifferenziati, per i quali una piccola variazione di prezzo può determinare una significativa variazione nella domanda in ragione di una maggiore sostituibilità con altri prodotti, gli effetti sulla contrazione delle esportazioni sono più evidenti: è questo il caso dei beni agroalimentari, farmaceutici e chimici dove, nello scenario 2, la contrazione percentuale delle esportazioni è compresa tra -13,5% e -16,4%.

Per i beni meno sostituibili, nel cui commercio e produzione l’Italia si colloca su segmenti di mercato a maggiore valore aggiunto come nel caso del Made in Italy (Moda e Mobilio), si registra la minore variazione percentuale (-2,6% nello scenario 2).

Per questi casi, le preferenze dei consumatori risultano meno suscettibili alle variazioni di prezzo, con conseguenze meno evidenti anche sui flussi commerciali. In una posizione intermedia si collocano le variazioni percentuali di settori tipicamente manifatturieri – meccanica e mezzi di traporto – che potrebbero subire contrazioni in termini di export intorno al -10%.

In base alle stime Svimez, «l’export italiano verso gli Usa si ridurrebbe del 4,3% nel caso di dazi orizzontali al 10%, con una contrazione in valore di 2,9 mld di export, cifra che salirebbe a 5,8 mld di euro (-8,6%) nel caso di un dazio generalizzato al 20%. Gli effetti differenziati a livello settoriale – in ragione di una differente elasticità della domanda al prezzo dei beni – determinano impatti territoriali differenti in base alla specializzazione produttiva delle esportazioni».

«Come richiamato in precedenza – si legge nello studio – la composizione settoriale dell’export del Mezzogiorno verso gli Usa si concentra su Agroalimentare e Automotive, particolarmente esposti agli effetti dell’introduzione dei dazi.

Per questi motivi, il Mezzogiorno potrebbe essere l’area del Paese più esposta alla minaccia Trump: la contrazione complessiva dell’export verso gli Usa appare infatti più accentuata al Sud sia nello scenario 1 (-4,2% Centro-Nord; -4,7 Mezzogiorno) che nello scenario 2 (-8,5% Centro-Nord; -9,3% Mezzogiorno).

Questo potenziale shock negativo di domanda – la contrazione delle esportazioni verso gli Usa – determinerebbe a cascata effetti misurabili anche su Pil e occupazione, sottraendo produzione e lavoro all’economia nazionale.

Per la Svimez «l’impatto Trump sull’economia italiana si accentua nello scenario 2. In questo caso, la perdita di Pil raggiungerebbe i 3,8 mld: 3,2 mld al Centro-Nord e oltre -0,5 mld al Sud e i posti di lavori a rischio supererebbero i 54mila: -46mila nelle regioni centro-settentrionali e -7mila nel Mezzogiorno».

Nell’ipotesi in cui la strategia commerciale di Trump dovesse orientarsi verso misure protezionistiche estreme, introducendo dazi al 100% per l’Automotive importato, «le conseguenze per il Paese, e per il Mezzogiorno in particolare, sarebbero molto più gravi di quanto emerso negli scenari 1 e 2», ha evidenziato la Svimez, introducendo un terzo scenario, che considera un dazio al 100% per le auto, mantenendo al 20% i dazi per i restanti beni, la contrazione delle esportazioni passerebbe a livello nazionale a -8 mld (-12%), con un crollo dell’export di auto di -2,9 mld, riduzione concentrata per oltre un terzo nelle regioni meridionali».

«Sotto queste ipotesi – si legge – l’impatto negativo salirebbe a 0,3 punti di Pil (-5,4 mld): -4,4 mld al Centro-Nord e -1 mld al Sud. Il crollo dell’export metterebbe a rischio circa 76mila, di cui circa 14 mila occupati in una regione del Sud».

«In conclusione – si legge – se alle dichiarazioni di Trump dovessero seguire i fatti, questi metterebbero a rischio gli equilibri commerciali internazionali, con effetti non trascurabili anche sull’economia italiana e dei suoi territori».

«La partnership commerciale Italia-Usa è un nodo centrale nelle relazioni internazionali del nostro Paese e una deriva protezionistica oltreoceano può seriamente compromettere la tenuta dei settori più esposti, con potenziali ricadute occupazionali negative», scrive ancora la Svimez, evidenziando come «le stime presentate rilevano almeno tre criticità nella strategia di internazionalizzazione del Paese.

Da un lato, l’Italia presenta relazioni internazionali poco diversificate, commerciando con un numero di Paesi relativamente ristretto: situazione che non consente di diversificare il rischio derivante da misure protezionistiche nell’eventualità in cui uno di questi decida di introdurle o inasprirle. In secondo luogo, emerge un tema di specializzazione settoriale che inevitabilmente incrocia la dimensione territoriale del sistema produttivo italiano.

Concentrando il commercio estero su beni ad alta sostituibilità – alta elasticità alle variazioni di prezzo – si espone in misura maggiore la tenuta dell’export italiano, con effetti di spiazzamento più dirompenti su produzione e lavoro. Lo studio evidenzia, inoltre, come beni a maggior valore aggiunto (es. Made in Italy) siano meno esposti alle oscillazioni di domanda indotte dalle misure protezionistiche.

E che quindi investire per rafforzare questi settori rappresenta un’azione concreta per preservare la tenuta complessiva dell’economia. Infine, la concentrazione territoriale dei settori più vulnerabili all’introduzione e all’inasprimento dei dazi determina effetti particolarmente rilevanti per il tessuto industriale meridionale.

In uno scenario caratterizzato dal rischio di crescenti tensioni commerciali a livello globale appare, dunque, sempre più necessario definire strategie di politica industriale che sostengano la diversificazione della composizione settoriale del tessuto produttivo e il rafforzamento e la diffusione dei processi di internazionalizzazione delle imprese, soprattutto nelle aree a maggior potenzialità di crescita del Mezzogiorno. (rrm)

CON L’AUTONOMIA IN CALABRIA SI RISCHIA
STOP ALL’EXPORT: È UN SETTORE CRUCIALE

di MASSIMO CLAUSI – La frenata decisiva all’applicazione dell’autonomia differenziata, Antonio Tajani l’ha impressa quando si è reso conto che fra le materie che potevano essere trasferite subito alle Regioni c’era il commercio estero, di sua stretta competenza. È stato allora che il segretario nazionale di Forza Italia, nonché ministro degli Esteri e vicepremier, ha intimato l’altolà.

«Bisogna vigilare affinché l’Autonomia differenziata venga ben applicata – ha detto –. Anche oggi se ne parlerà in Consiglio dei ministri, io ribadirò che, per quanto riguarda il commercio estero, c’è una competenza unitaria nazionale: non si può pensare che le Regioni sostituiscano lo Stato».

Non sappiamo bene cosa vuol dire “vigilare” visto che la legge è chiarissima. Il commercio estero è fra le materie non soggette all’individuazione dei Lep, quindi le regioni potrebbero chiedere immediatamente il trasferimento di funzioni e al massimo il ministro degli Esteri potrebbe fare solo melina per ritardare il trasferimento. Di più non potrebbe fare a norma di legge.

La questione non è di poco conto perché l’export rappresenta per l’Italia, come ha detto lo stesso Tajani, il 40% del nostro Pil. Il problema è che Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto sono le regioni che, quantomeno in valore assoluto, contribuiscono maggiormente all’export nazionale. Cumulativamente le tre regioni sopra citate nel 2022 hanno realizzato il 53,5 per cento delle esportazioni italiane per un volume d’affari prossimo ai 329 miliardi di euro. Se queste regioni dovessero gestire in autonomia l’export e i suoi proventi, facendo un po’ i conti della serva, il Pil del Paese potrebbe avere una contrazione del 20% circa.

Ma cosa succederebbe alla Calabria? Certamente una brusca frenata all’impennata che sta conoscendo in questi anni nell’export. Il dato assoluto è tutto fuorché positivo. Siamo la regione che pesa di meno sull’export del Paese. In valore assoluto rappresentiamo uno scarso 1%. C’è da dire però che negli ultimi anni le nostre esportazioni stanno crescendo. Il valore totale è passato infatti, secondo i calcoli della Sace, da 411,42 milioni del 2020 agli 879,38 del 2023.Quindi un raddoppio in pochi anni.

Come prevedibile la parte del leone la fanno i prodotti agroalimentari che rappresentano il 33% delle merci esportate per un controvalore nel 2023 pari ad oltre 220 milioni. Seguono i prodotti chimici (26%), tessile e abbigliamento (9%); meccanica strumentale (9%) e a seguire il resto. I principali Paesi verso cui esportiamo sono, per quanto riguarda l’Europa, Germania, Francia e Repubblica Ceca. Extra Ue invece esportiamo soprattutto in Usa, Inghilterra e, a sorpresa, in Iraq (4%). La provincia più dinamica in questo settore è quella di Reggio Calabria che rappresenta il 48% delle nostre esportazioni, seguono Catanzaro (21%); Cosenza (17%); Crotone (8%) e Vibo (6%). Abbiamo messo in fila questi numeri per dire che la Calabria in questi anni ha dimostrato una sua vitalità sull’export. Una spinta che ha, o dovrebbe avere, il suo centro propulsivo in una infrastruttura strategica come il porto di Gioia Tauro. Il problema è che questa vitalità rischia una brusca frenata con l’autonomia differenziata.

I principali fattori di crescita dell’export non risiedono tanto nella qualità dei prodotti, che comunque è importante, ma in due fattori che sonole strutture e il capitale relazionale. Se ogni regione dovesse fare da sé verrebbero meno strutture importanti come ad esempio l’Ice (Istituto per il commercio estero) che aiuta le imprese ad entrare nei mercati come quello statunitense che ha regole sui prodotti agroalimentari molto particolari e molto rigide. Ma anche le varie Camere di commercio estere non si capisce bene che fine faranno. E per assurdo anche la Farnesina verrebbe in parte svuotata del suo ruolo. Come farebbe la Calabria con i pochi mezzi economici che gli derivano dall’export ad arrivare sui mercati esteri? È illusorio pensare che basti partecipare a qualche fiera internazionale.

Infine c’è quello che abbiamo definito il capitale relazionale ovvero i contatti con i buyer interessati al Made in Italy. Su questo ci sono strutture e persone specializzate che favoriscono la domanda e l’offerta. Persone che ovviamente in caso di autonomia differenziata si orienterebbero sulle regioni più forti e con margini di guadagno maggiori. Insomma Tajani se n’è accorto un po’ tardi ma l’autonomia differenziata sarebbe nociva per le regioni più deboli e per tutto il Paese. (mc)

[Courtesy LaCNews24]

Aceto (Coldiretti): Nel 2023 tassi di crescita a due cifre per Calabria

Nel 2023 si sono registrati tassi di crescita delle esportazioni a due cifre per la Calabria, per il buon andamento della filiera agroalimentare. È quanto emerso da una proiezione Coldiretti su dati Istat relativi al periodo gennaio-maggio diffusa in occasione del G7 del Commercio, in corso in Calabria e confermate anche dall’Ice.

«Salutiamo con vero piacere ed enorme soddisfazione – ha dichiarato Franco Aceto, presidente di Coldiretti Calabria – tutti i partecipanti al G7 del Commercio in corso in Calabria un’occasione importante che proietta a livello planetario la nostra regione che è centrale nel mediterraneo».

« Se il trend di crescita dei primi cinque mesi dell’anno verrà mantenuto – ha detto – le esportazioni agroalimentari Made in Italy potrebbero sfiorare nel 2024 la quota record di 70 miliardi in valore, mai registrata prima, con un traino importante sull’intero export tricolore del quale proprio il cibo è il primo ambasciatore nel mondo».

I prodotti agroalimentari fanno registrare una crescita complessiva del 9% nei primi cinque mesi, in controtendenza rispetto al dato generale che vede le vendite all’estero stagnanti (-0,1%). Tra i principali Paesi acquirenti, la crescita più consistente è quella sul mercato statunitense, il primo sbocco extra Ue, con un aumento del 19% – ha rilevato Coldiretti –, ma il dato è positivo anche in Gran Bretagna (+9%), Germania (con un +5%) e Francia (+3%). Tra gli altri mercati, da segnalare la crescita del 15% in Cina e del 23% in Russia.

Nel mondo il campione dell’export tricolore si conferma il vino con una crescita del 7% nei primi 4 mesi del 2024 mentre al secondo posto si piazza l’ortofrutta trasformata (+11%) e al terzo i formaggi (+8%), seguiti dalla pasta e gli altri derivati dai cereali (+6%), frutta e verdura fresche (+6%), olio d’oliva, che registra un aumento in valore del 70%, e i salumi (+18%).

«Per sostenere il trend di crescita dell’enogastronomia nazionale serve abbattere gli ostacoli commerciali a cominciare dal fenomeno dell’agropirateria – ha sottolineato Coldiretti – con il valore del falso Made in Italy agroalimentare nel mondo che è salito ad oltre 120 miliardi, 2 miliardi circa solo per la Calabria, sottraendo risorse e opportunità di lavoro all’Italia. Un problema che riguarda tutti i continenti e colpisce in misura diversa tutti i prodotti, con il paradosso peraltro che i principali taroccatori delle specialità tricolori sono i paesi ricchi».

«Ma è importante, anche – ha rilanciato – colmare i ritardi infrastrutturali dell’Italia che costano al Paese oltre 93 miliardi di euro di mancate esportazioni, di cui ben 9 miliardi riguardano il solo agroalimentare, secondo l’analisi del Centro Studi Divulga. Un gap inaccettabile che va superato migliorando i collegamenti all’interno del Paese e quelli con il resto del mondo con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo per affiancare al trasporto su gomma quello per via marittima e ferroviaria in alta velocità».

«L’obiettivo – ha concluso Coldiretti – è continuare questo trend di crescita portando il valore annuale dell’export agroalimentare a 100 miliardi nel 2030 e di questo si avvantaggerà anche la Calabria».

MOBILITÀ IN CALABRIA, UN PROBLEMA A CUI
SERVONO STRUMENTI E UNA SERIA POLITICA

di GIOVANNI MACCARRONE – Negli ultimi tempi la discussione sul ponte di Messina ha accesso nuovamente il dibattito sulle politiche di mobilità e trasporti nel Meridione.

La letteratura in questo senso si è di recente arricchita di scuole di pensiero e di diverse teorie sulla possibilità di rendere più sostenibile la mobilità all’interno delle nostre città o tra città appartenenti alla nostra regione.

Ogni mattina, gran parte delle persone esce di casa per dirigersi in qualche posto.

Pensiamo ai lavoratori che si recano al proprio posto di lavoro oppure agli studenti che vanno a scuola per svolgere le attività didattiche. È emerso che i mezzi pubblici sono utilizzati assai di rado, mentre l’auto o lo scooter privato risultano essere i mezzi di trasporto più scelti in Calabria.

A Catanzaro, in particolare, ci si sposta quasi sempre con veicoli a motore anche se il luogo di lavoro o la scuola sono abbastanza vicine alla propria abitazione. In Calabria, quindi, si registra una percentuale bassissima dell’uso dei mezzi pubblici e una percentuale altissima dell’uso dei veicoli a motore.

Questi spostamenti – che nel tempo si sono intensificati ed evoluti nelle forme e nei modi – avvengono per la maggior parte in città, o tra città della nostra regione.

Inoltre riguardano anche gli spostamenti dalla propria regione per comprovate esigenze lavorative, assoluta urgenza e motivi di salute.

Per questo quella della mobilità è una delle sfide più impegnative e determinanti per la nostra regione, non solo in una prospettiva di sostenibilità ambientale, ma anche economica e sociale.

Pensate ai pericoli sulla strada e alle spese extra che tutte le famiglie devono affrontare/sopportare tutti i giorni.

Pur comprendendo la consistenza e complessità del problema e dopo diverse sollecitazioni informali, la mancanza di risposte, a circa 50 anni di distanza alla richiesta dei cittadini calabresi di attivare un confronto tra le parti sociali per rendere più efficiente la mobilità urbane ed extraurbana in Calabria, appare essere del tutto sorprendente.

La totale indifferenza e la completa sottovalutazione della problematica da parte dei diversi protagonisti sociali, politici, istituzionali ci lascia francamente sgomenti.

Non si può più aspettare, né tantomeno tergiversare. Devono immediatamente essere messi in atto strumenti e politiche per rendere più vivibili ed efficienti i servizi.

Ciò significa anche “produttivizzare” il territorio in senso logistico per promuovere un aumento dell’occupazione e delle esportazioni.

Queste ultime ricoprono un ruolo fondamentale per la ripresa dell’economia calabrese.

Non è dubbio, infatti, che investire nelle autostrade, nell’alta velocità, nei collegamenti tra l’aeroporto di Lamezia e il resto del territorio e nei porti significa sfruttare meglio la posizione poco privilegiata della nostra terra.

Soprattutto, permette di condividere servizi logistici fra le imprese presenti sul territorio e quelle che si trovano altrove, attraendo nuovi investimenti e traffici internazionali.

Attualmente, invece, i binari ferroviari sono pochi, l’Alta Velocità arriva fino alla Regione Campania, tram e metropolitane sono praticamente inesistenti e il grado di soddisfazione per bus e pullman è nettamente più basso rispetto alle altre aree del Paese.

Inoltre, l’autostrada che collega Salerno a Reggio Calabria passando per Cosenza Vibo Valentia (Autostrada A2, detta anche autostrada del Mediterraneo oppure Salerno – Reggio Calabria), a parte i crolli, presenta strade impervie e dall’asfalto non perfetto.

È sempre piena di cantieri, deviazioni, buche e rattoppi o a lunghi tratti a doppio senso di marcia. Pur essendo a doppia corsia per senso di marcia, per lunghi tratti di strada si presenta perennemente ad una sola corsia.

L’A3 passa da Lauria e Lagonegro, dove ogni anno, d’inverno, si moltiplicano i disagi provocati dal freddo e dalla neve. Il progetto originario dell’autostrada, realizzato nel 1961, prevedeva un tracciato litoraneo, lungo la costa del basso Tirreno.

Invece, alla fine si è preferito farla passare dalla Valle del Crati e da Cosenza, vale a dire dalla catena montuosa della Sila, con tutte le conseguenze che abbiamo sopra evidenziato.

Potrebbe essere utile ai cittadini e agli operatori economici, quindi, una rivisitazione sostanziale della rete autostradale finora utilizzata in modo da evitare tutti i disagi che sono costretti ad affrontare tutte le volte che viaggiano in direzione Salerno oppure verso Reggio Calabria.

Così come sarebbe altrettanto utile prevedere la realizzazione di reti di trasporto metropolitano leggero tra l’aeroporto internazionale di Lamezia Terme e l’autostrada e tra questo aeroporto e Catanzaro.

Come giustamente è stato osservato «Solo trenta km dividono Lamezia da Catanzaro: un piccolo spazio da superare che, tuttavia, pesa enormemente nella dinamica complessiva. Una città Capoluogo di regione, collegata malamente alle strutture di trasporto regionale e internazionale, aeroporto e autostrada, senza stazione ferroviaria adeguata a Germaneto. Scarsi e inefficaci i collegamenti ferroviari».

Insomma, quasi certamente è un vero e proprio disastro

E non parliamo della situazione relativa alla tratta Catanzaro lido – Crotone – Sibari.

Binario unico, poche corse, treni fatiscenti e vetusti e in più spesso la sorpresa di apprendere durante il viaggio dal capotreno che il treno proveniente da Lamezia verso Catanzaro Lido non troverà alcuna coincidenza per Crotone.

Un complimento è dire che è roba da “Far West”, seppure comico. In realtà sembra di respirare, nel 2024, sempre più un’aria da Terzo mondo.

Non dimentichiamoci, poi, l’Alta Velocità programmata da Rfi (Rete Ferroviaria Italiana).

Sappiamo che essa si ferma a Napoli, per poi procedere lentamente, con passo da lumaca, a tentoni, nel resto del Mezzogiorno. In altri termini, per arrivare in treno a Reggio di Calabria Centrale da Napoli Centrale bisogna affrontare mediamente circa 5h e 24 minuti, quando per la tratta Milano – Roma si impiegano soltanto 3h e 10 minuti.

Servirebbe, quindi, un urgente confronto tra Governo, enti, istituzioni regionali, imprenditori interessati e opinione pubblica per trovare soluzioni legate alle innovazioni infrastrutturali, tecnologiche e organizzative necessarie.

Solo garantendo una maggiore organizzazione delle azioni di tutti gli attori interessati in un sistema logistico, è possibile favorire uno sviluppo compatibile a livello settoriale e territoriale, che sia in grado di conferire efficienza e competitività territoriale delle regioni del Mezzogiorno, di ottimizzare la mobilità urbana ed extraurbane e, soprattutto, di migliorare la vita dei cittadini. (gma)

VIBO VALENTIA – Lunedì l’iniziativa “Calabria come esportare”

Lunedì 25 luglio, a Vibo Valentia, al 501 Hotel, è in programma l’iniziativa Calabria come esportare: strumenti operativi per le imprese del settore agro-alimentare’ organizzato dalla Sottosegretaria per il Sud Dalila Nesci, Agenzia ICE, CDP, Sace e Simest nell’ambito del “Patto per l’Export”.

Ad introdurre i lavori il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, il Presidente Agenzia Ice Carlo Ferro, il Presidente Unioncamere Calabria, Antonino Tramontana.

«Ho voluto fortemente organizzare questo momento di incontro per il supporto concreto e sistemico alle imprese calabresi – ha dichiarato la Sottosegretaria Nesci – perché la caratteristica delle aziende del Sud è di essere per lo più piccole e medie, pertanto hanno esigenze specifiche che vanno ascoltate. Metteremo a disposizione consulenze specializzate per i singoli imprenditori del comparto agroalimentare, faremo conoscere gli strumenti operativi disponibili e i finanziamenti messi in campo dal Governo con Ice, Cdp, Sace e Simest».

«Bisogna rafforzare le produzioni del territorio ed il processo di internazionalizzazione – ha evidenziato –. Questa giornata vuole essere una Iniziativa strategica per un più efficace dialogo fra istituzioni, associazioni datoriali, camere di commercio e territorio. Esportare all’estero vuol dire affermarsi su nuovi mercati, aumentare il fatturato ma anche cambiare il modo di concepire la propria azienda portandola ad essere più competitiva in Italia e fuori dai confini nazionali». (rvv)

Varì: Istituiremo sportello regionale per aiutare imprese nell’export

«Vogliamo puntare sull’internazionalizzazione delle nostre imprese, anche delle medio-piccole. Abbiamo intenzione di istituire, presso la Regione, uno sportello per aiutare gli imprenditori a promuovere le loro eccellenze, anche fuori dai confini nazionali». È quanto ha dichiarato l’assessore regionale allo Sviluppo Economico, Rosario Varì, intervenendo al “Calabria Day”. 

«L’export – ha spiegato – si stimola anche e soprattutto attraverso la formazione e il management, sfruttando le grandi occasioni che oggi ci dà il digitale. Questa è una delle sfide chiave per il futuro dei nostri territori».

«Il governo regionale – ha proseguito – vuole attrarre investimenti, nuovi investimenti nel nostro territorio significano sviluppo economico e dunque occupazione. In Calabria abbiamo il 20% di disoccupazione, il doppio del dato nazionale, e abbiamo purtroppo tanti Neet, giovani che non studiano e non lavorano. Serve un’accelerazione per superare questo deficit.

E per attrarre gli investimenti vogliamo puntare su alcuni settori chiave: la transizione energentica, il Made in Italy, gli asset strategici come il turismo e la cultura, l’innovazione tecnologica. E naturalmente dobbiamo riqualificare le nostre aree industriali, in modo da offrire alle aziende i servizi dei quali hanno bisogno per crescere: infrastrutture e logistica su tutti.

Vogliamo diventare attrattivi, ma allo stesso tempo dobbiamo valorizzare le nostre eccellenze, abbiamo un sistema di università e ricerca di grande qualità. I giovani calabresi si formano e trovano facilmente lavoro, purtroppo spesso non in Calabria. 

Ma il trend potrebbe cambiare. Tanti ragazzi negli ultimi anni hanno scelto di restare. Dal 2015 al 2021 in Calabria abbiamo avuto il 114% in più di start up innovative. Stiamo investendo nella programmazione e nello sviluppo delle nuove tecnologie: le imprese devono trovare un territorio fertile. Stamo lanciando gli innovation hub, luoghi fisici nei quali dare opportunità ai nostri giovani e offrire loro una possibile occupazione di qualità. In questo scenario il porto di Gioia Tauro e la Zes che ricade sul territorio a ridosso possono essere uno straordinario volano di sviluppo. 

Stiamo intraprendendo la strada giusta. 

L’EXPORT È IL TESORO DELLA CALABRIA
E IL PIL 2022 POTRÀ CRESCERE DEL 3,9%

Il Pil della Calabria crescerà del 3,9% nel 2022, se l’export continuerà a fare da traino. È quanto è emerso dal Rapporto Svimez, che è stato ripreso dall’Osservatorio Mpi di Confartigianato Calabria. Il report Tendenze a inizio 2022, tra rischi e opportunità, ha evidenziato come il dato rilevato dalla Svimez «per poco non permettere di raggiungere e superare il Pil pre-pandemia», ossia del 2019 e di come «l’ammontare delle vendite oltre confine di prodotti legno, arredo, metalli, alimentari e altra manifattura, realizzati nei settori a maggior presenza di micro piccole realtà produttive, ha superato quello pre pandemia (I-III trimestre 2019) del +27,4%, grazie al recupero delle esportazioni di mobili (+65,6%), metalli (+33,2%), alimentari (+29,8%) e prodotti tessili (+0,4%)».

Un dato confortante, se si considera che, sul sito della Regione, era stato indicato un dato preoccupante: nel 2020, le esportazioni calabresi ammontano a 401 milioni di euro rispetto al 2019, registrando un decremento del 16,2%. Una percentuale altissima, se si considera che quella nazionale era del 12,8%. 

L’Osservatorio, poi, riferisce come, invece, resta invece ancora preceduto da segno meno l’export dei prodotti moda made in Calabria (-32,4%) nonostante la performance positiva del tessile: il mancato recupero della Moda (38,9% dei settori di MPI) fa fermare a +1,9% i Settori di MPI (+8,3% al netto della Moda).  

A livello provinciale l’export di MPI nel periodo I-III trimestre 2021 recupera e supera i livelli pre crisi (I-III trimestre 2019) in modo più accentuato a Crotone e a Catanzaro.

Dati, quelli riportati dall’Osservatorio, che confermano quelli pubblicati a dicembre dall’Istat e riportati dall’Osservatorio Internazionalizzazione della Regione Calabria: nei primi mesi del 2021, c’è stato un recupero delle esportazioni calabresi del +32,5% e +19,2% la crescita dell’export regionale rispetto allo stesso periodo del 2020 e del 2019. Dinamiche positive, poi, sono state rilevate nelle Province: Crotone + 112,2%; Vibo Valentia + 47,5%, Reggio Calabria +34,4%, Cosenza +19,2% e Catanzaro +13,1%.

Tutto questo insieme di dati, in pratica, fanno rilevare come in Calabria le esportazioni calabresi ammontino a 394 milioni di euro (e una crescita stimata del 32,5%), che porta la nostra regione tra quelle che registrano una crescita superiore al valore nazionale, che è del 20,1%.

I dati delle Province. Come riporta l’Osservatorio, nei primi 9 mesi del 2021 il 49,6% dell’export calabrese (pari a195 M€) proviene dalla provincia di Reggio Calabria; seguono la provincia di Cosenza con un valore dell’export che si attesta sugli 80 M€ (pari al 20,6% dell’export regionale); la provincia di Catanzaro (56 M€, pari al 14,3%), la provincia di Crotone (35 M€, pari al 9,0%) e la provincia di Vibo Valentia (25 M€, pari al 6,5%).

Dinamiche positive caratterizzano tutti i territori calabresi: a Crotone si registra una crescita rilevante (+112,2%, da 17 M€ a 35 m€) e la provincia calabrese si colloca al primo posto nella graduatoria delle province italiane per variazione registrata rispetto allo stesso periodo del 2020.

 Valori superiori alla crescita media regionale si riscontrano a Vibo Valentia (+47,5%) – che nella classifica delle province italiane si colloca al 7° posto – e Reggio Calabria (+34,4%) (16° posto), mentre nella provincia di Cosenza l’incremento è del +19,2% e a Catanzaro del +13,1%.

 Complessivamente 98 su 107 sono le province italiane che registrano dinamiche positive rispetto allo stesso periodo del 2020.

 Lo scenario muta leggermente dal confronto con i primi 9 mesi del 2019: 80 sono le province che recuperano terreno, fra cui Crotone (+159,2%, che si colloca al secondo posto della graduatoria nazionale), Vibo Valentia (+58,1%, al 6° posto), Reggio Calabria (+23,8%, al 15° posto) e Cosenza (+16,6%, al 23° posto). Catanzaro rientra nell’alveo delle province che registrano variazioni negative (-23,0%).

Per quanto riguarda i settori, invece, è emerso come da gennaio a settembre 2021, l’export dei prodotti di agricoltura, silvicoltura e pesca abbiano registrato un calo del -3,4%, mentre a livello nazionale e meridionale si rileva un incremento del +11,3% e del +5,6% rispettivamente. I prodotti delle attività manifatturiere, invece, portano a casa un incremento del +36,2%. Una percentuale superiore alla crescita stimata per l’Italia, che è del +19,5% e per il Mezzogiorno del +15,9%.

«Le imprese calabresi continuano a dare grande prova di vitalità e resilienza – ha dichiarato il presidente di Confartigianato Calabria Roberto Matragrano –. L’impulso alla crescita che ha caratterizzato per la maggior parte il 2021, oggi però rischia di subire nel concreto un forte rallentamento per la presenza di numerosi ostacoli, primo tra tutti i rincari dei costi energetici e delle materie prime».

«Moltissime la segnalazione delle imprese – ha aggiunto – che stanno subendo un raddoppio dei costi sulle bollette, che si aggiunge ai rincari delle materie prime e al caro gasolio, con gli interventi del governo non sufficienti».

Il report  dell’Osservatorio evidenzia come sia tornato a crescere il numero delle nuove iscrizioni di impresa nell’anno 2021, permettendo la continuità della rigenerazione del tessuto produttivo imprenditoriale del nostro territorio, anche se inferiore a quello del 2019 (anno pre crisi), rimanendo inferiore del 7,6% (-754 unità). A livello settoriale, quello che cresce maggiormente è il settore delle costruzioni (+34,0%), mentre si osserva che il numero di start up, nel 2021 rispetto al 2019, registra una più accentuata riduzione nel manifatturiero (-25,8%) e nei servizi (-13,2%). Tra le province il numero di start up registrato nel 2021 rispetto a quello del 2019 subisce una riduzione più contenuta a Vibo Valentia (-3,6%).

«La forte crescita avuta dal settore edile – ha spiegato ancora Matragrano – è fortemente legata ai bonus edilizi introdotti dal Governo, ma anche in questo caso ci preoccupa l’incertezza legata alle continue modifiche che vengono introdotte sul tema dal Governo (9 in 20 mesi). Proprio l’ultima, prevista dal  DL sostegni ter con i limiti alla cessione del credito, ha creato scompiglio nel settore e siamo lieti che il Governo abbia accolto le nostre sollecitazioni, modificandola».

Resta, sempre negativo, Il trend del turismo che, ancora nei primi 9 mesi del 2021, non recupera i livelli dei primi nove mesi del 2019.

Nella nostra regione, infatti anche a causa del crollo accentuato della presenza di turisti stranieri, la dinamica registrata è ampiamente negativa e pari al -44,7%. Il turismo, quindi, è ancora ben lontano dai livelli pre-crisi. (rrm) 

Camera di Commercio di Reggio: Emergenza sanitaria rallenta export delle imprese reggine

L’emergenza sanitaria rallenta l’export delle imprese reggine. È quanto ha rilevato la Camera di Commercio di Reggio Calabria a seguito dei dati annuali Istat sul Commercio estero, sottolineando che le «esportazioni annuali della Città metropolitana reggina, sceso al di sotto dei 200 milioni di euro, ovvero il 14,6% in meno rispetto a quanto registrato l’anno precedente, quando l’analogo valore si attestò a quota 233 milioni. Una performance negativa che, tuttavia, è stata parzialmente mitigata dal buon risultato del quarto trimestre (+14,9% rispetto al III trimestre 2020)».

«Anche l’import – si legge in una nota – ha subìto una riduzione, ma su ritmi decisamente più lenti (-7,6%).  Ne consegue un saldo negativo che supera i 36 milioni per il 2020 e che, solo per il quarto trimestre, si attesta sulla cifra record di 25 milioni di euro. Numeri che fanno riflettere ma che, tuttavia, devono essere trattati anche alla luce della debolezza strutturale che caratterizza l’interscambio reggino con l’estero».

«Se da un lato – ha spiegato il presidente della Camera di Commercio di Reggio Calabria, Antonino Tramontana – il moderato grado di internazionalizzazione della nostra economia ha, finora, attutito l’impatto negativo della crisi generalizzata, dall’altro è necessario intervenire affinché il nostro territorio possa cogliere appieno le opportunità che si presenteranno quando l’economia globale riprenderà il suo ritmo di espansione».

«È proprio per questo – ha proseguito il presidente Tramontana – che come Camera stiamo orientando le iniziative di internazionalizzazione delle imprese reggine su due direttrici complementari: la digitalizzazione e l’apertura verso mercati esteri accessibili e di interesse per le nostre imprese. È già stata avviata l’organizzazione di incontri d’affari B2B da remoto con 4 buyers svizzeri interessati alla nostra offerta agroalimentare, che si terranno nel prossimo mese di maggio, cui farà seguito l’organizzazione di incontri d’affari con buyers di altri mercati europei ed extra europei. Si tratta di azioni concrete finalizzate ad offrire alle imprese opportunità di sbocco su nuovi mercati, da consolidare nel tempo; inoltre, sempre nell’ottica di aumentare la visibilità all’estero delle nostri produzioni, di tutti i settori economici, è operativa già dallo scorso anno la Vetrina delle imprese esportatrici della Città Metropolitana di Reggio Calabria, ideata dall’Ente camerale, che ha ottenuto un riconoscimento nazionale da parte di Unioncamere Italiana». 

«Partirà, infine – ha concluso – a breve l’edizione 2021 del Bando Internazionalizzazione, che prevede voucher per l’acquisizione di servizi per l’avvio o lo sviluppo del commercio internazionale, anche attraverso l’utilizzo delle tecnologie digitali».

Guardando al complesso delle esportazioni durante il 2020, il principale paese di sbocco è quello statunitense, cui sono destinati beni e servizi per un valore pari a 32,6 milioni di euro (il 16,4% del valore complessivamente esportato). A seguire troviamo le quote export relative al mercato francese (21,1 milioni di euro, pari al 10,6% del totale), tedesco (17,0 milioni di euro, l’8,5%) e inglese (14,6 milioni di euro, il 7,3%). Il mercato cinese assorbe appena il 3,3% del totale delle vendite reggine oltre confine, con un valore pari a meno di 7 milioni di euro. 

I settori che presentano un maggior grado di internazionalizzazione sono: la chimica (pari al 41,9% dell’export locale), il settore alimentare (31,7%), il settore agricolo (9,7%), i mezzi di trasporto (7,4%) e il comparto della metallurgia (2,9%). (rrc)