PNRR SALUTE, LA CALABRIA È INDIETRO
SERVE ACCELERARE E COLMARE DIVARI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – In Calabria sono programmate 63 Case della Comunità, ma solo una è con almeno un servizio dichiarato attivo. È quanto emerso dal monitoraggio indipendente dell’Osservatorio Gimbe sul Servizio sanitario nazionale in merito sull’attuazione della Missione Salute del Pnrr.

Se si guardano i dati degli ospedali di Comunità, invece, si può notare come nella nostra regione ne sono previsti 20, ma nessuno di questi è attivo. Un miglioramento, invece, si riscontra sulla disponibilità dei documenti del Fascicolo sanitario elettronico, dove la Calabria registra un 88%, ma per il consenso alla consultazione solo l’1% della popolazione ha espresso parere positivo.

Dati che mettono nero su bianco quello che, recentemente, la consigliera del PD, Amalia Bruni, aveva denunciato: «i numeri, aggiornati al febbraio 2025 e forniti dalla stessa Regione Calabria, confermano il ritardo: Case di Comunità,  su 84,6 milioni stanziati, spesa al 5,11%; Ospedali di Comunità, su 37,6 milioni, spesa al 2,42%; Grandi Infrastrutture e Ospedali sicuri, 0,87% su oltre 24 milioni; Digitalizzazione DEA di I e II livello, 1,72% su 54,5 milioni; Grandi apparecchiature sanitarie, spesa al 15,5% su 44,7 milioni».

«Il rischio concreto – ha sottolineato – è che, se i fondi non verranno effettivamente spesi e rendicontati nei tempi stabiliti dal cronoprogramma europeo, si blocchino anche le progettazioni in corso, o si decida ancora una volta di drenare risorse dal Fondo di Coesione, già saccheggiato in passato, come nel caso del Ponte sullo Stretto».

Ma, in realtà, non è solo la Calabria a essere indietro, perché solo il 2,7% delle Case di comunità è pienamente operativo, mentre per quanto riguarda gli ospedali di comunità, nessuno ha tutti i servizi attivi e per il fascicolo sanitario elettronico nessuna regione risulta operativa al 100%. Accanto a questo quadro sconfortante, poi, si registrano «marcate diseguaglianze tra le Regioni», ha evidenziato Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe.

«Anche se non incidono direttamente sull’erogazione dei fondi del Pnrr – ha spiegato Cartabellotta – questi step intermedi vanno monitorati con attenzione, perché ritardi accumulati oggi potrebbero compromettere il rispetto delle scadenze europee di domani».

Per il periodo 2021-2025 risultano raggiunti tutti i target previsti: in particolare, al 31 marzo è stato raggiunto il target “Nuovi pazienti che ricevono assistenza domiciliare (terza parte)”, che prevede un ulteriore incremento dei pazienti over 65 da trattare in assistenza domiciliare, al fine di raggiungere la soglia della presa in carico del 10% della popolazione in quella fascia di età.

«Tuttavia – osserva il Presidente – persistono grandi disparità regionali, sia nel numero di assistiti a domicilio, sia nella tipologia di servizi offerti». Infatti, come documentato dal Report Agenas sul monitoraggio del Dm 77 – aggiornato a dicembre 2024 – solo Molise, Provincia Autonoma di Trento, Umbria e Valle D’Aosta garantiscono in tutti i distretti sanitari gli 8 servizi previsti (Figura 1): nelle altre Regioni le principali carenze riguardano l’assistenza del medico e del pediatra di famiglia, l’assistenza specialistica, i servizi socio-assistenziali e la fornitura di farmaci e dispositivi.

Per quanto riguarda la riforma dell’assistenza territoriale, guardando i dati nazionali, emerge come «a tre anni dall’adozione del Dm 77, la riforma dell’assistenza territoriale procede a rilento, con forti diseguaglianze tra le Regioni, in particolare nell’attivazione e nella piena operatività delle Case della Comunità e degli Ospedali di Comunità. Lo confermano i dati elaborati dalla Fondazione Gimbe a partire dal Report Agenas sul monitoraggio del DM 77, aggiornati al 20 dicembre 2024».

«Il potenziamento dell’assistenza territoriale – ha proseguito Cartabellotta – è la chiave per decongestionare ospedali e pronto soccorso e garantire una reale sanità di prossimità. Tuttavia, i dati ufficiali trasmessi dalle Regioni dimostrano che nonostante i fondi già stanziati, il ritmo resta inaccettabilmente lento».

Al 20 dicembre 2024, su 1.717 CdC previste, per 1.068 (62,2%) le Regioni non hanno dichiarato attivo alcun servizio tra quelli previsti dal Dm 77; per 485 strutture (28,2%) è stato dichiarato attivo almeno un servizio e solo per 164 (9,6%) tutti i servizi obbligatori sono stati dichiarati attivi. Di queste ultime, tuttavia, soltanto 46 (2,7% del totale) risultavano pienamente operative, cioè con presenza sia medica che infermieristica.

«Tenendo conto – ha precisato Cartabellotta – che tra le Case della Comunità senza servizi attivi rientrano anche quelle non ancora realizzate o in fase di riconversione, resta evidente il forte ritardo accumulato sulla tabella di marcia e, soprattutto, la distanza abissale tra le Regioni».

Sempre guardando i dati nazionali, «solo quattro Regioni superano il 50% di CdC con almeno un servizio dichiarato attivo: Emilia-Romagna (70,6%), Lombardia (66,7%), Veneto (62,6%) e Marche (55,2%). Sei Regioni si collocano tra il 25% e il 50%: Molise (38,5%), Liguria (33,3%), Piemonte (29,5%), Umbria (27,3%), Toscana (26,9%), Lazio (26,5%)».

«In altre cinque Regioni la percentuale varia dallo 0,8% della Puglia al 5% della Sardegna, mentre in sei Regioni non risulta attiva alcuna CdC. Considerando solo le CdC con tutti i servizi dichiarati attivi, la media nazionale si attesta al 6,9% per quelle prive di personale medico e infermieristico e al 2,7% per quelle pienamente funzionanti. Le differenze tra Regioni dipendono non solo dal completamento delle strutture, ma soprattutto dalla disponibilità di personale. In tutte le Regioni, fatta eccezione per il Molise, la quota di CdC pienamente operative è sempre inferiore rispetto a quelle che hanno attivato tutti i servizi».

Anche sul fronte degli Ospedali di comunità, «al 20 dicembre 2024, dei 568 Ospedali di Comunità previsti, solo 124 (21,8%) risultano avere almeno un servizio attivo (Tabella 2), per un totale di quasi 2.100 posti letto. In termini assoluti, i numeri più alti si registrano in Veneto (n. 43), Lombardia (n. 25) ed Emilia-Romagna (n. 21). Altre dieci Regioni hanno attivato almeno un OdC: dagli 8 della Puglia a un solo OdC in Campania e Sardegna. Otto Regioni restano invece ancora a quota zero».

«Rispetto alle Case della Comunità – ha commentato Cartabellotta – lo stato di attuazione degli Ospedali di Comunità appare ancora più indietro: non solo sul piano strutturale, ma anche perché nessuna Regione ha attivato tutti i servizi previsti dal DM 77». Infatti, per essere pienamente operativi, gli OdC devono garantire presenza medica per almeno 4,5 ore al giorno sei giorni su sette, assistenza infermieristica continuativa (H24 7/7 giorni), la figura del case manager, posti letto per pazienti con demenza o disturbi comportamentali e spazi dedicati alla riabilitazione motoria».

Incoraggianti, invece, i dati sulle Centrali Operative Territoriali, che «risultano attivate in tutte le Regioni. Al 31 dicembre 2024, su 650 Cot programmate, 642 risultavano pienamente funzionanti, di cui 480 hanno contribuito al raggiungimento del target europeo».

Per quanto riguarda il Fascicolo sanitario elettronico, «secondo la Corte dei Conti, il cronoprogramma ha già subìto ritardi: la milestone sulla piena interoperabilità nazionale, inizialmente prevista per giugno 2024, è stata posticipata a dicembre 2024, mentre la digitalizzazione nativa dei documenti è attesa per giugno 2025».

«Senza la piena operatività del Fse su tutto il territorio nazionale e senza il consenso dei cittadini alla consultazione dei documenti – avverte Cartabellotta –  rischiamo di centrare i target solo sulla carta per incassare i fondi, ma di lasciare la digitalizzazione del SSN incompiuta, frammentata e inefficace».

Al 30 novembre 2024, secondo i dati elaborati dal portale Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0, nessuna Regione rende disponibili tutte le 16 tipologie di documenti previste dal DM 7 settembre 2023. Il grado di completezza varia sensibilmente tra le Regioni: si va dal 94% di Lazio, Piemonte e Sardegna al 63% di Marche e Puglia.

Al 30 novembre 2024 (al 31 ottobre 2024 per le Marche), solo il 42% dei cittadini ha espresso il consenso alla consultazione del Fse da parte di medici e operatori del SSN, con forti disomogeneità regionali: dall’1% in Abruzzo, Calabria, Campania e Molise all’89% in Emilia-Romagna. Tra le Regioni del Mezzogiorno, solo la Puglia supera la media nazionale (42%) con un tasso di adesione del 71% (Figura 7). «La scarsa adesione da parte dei cittadini – spiega il Presidente – soprattutto nelle Regioni del Mezzogiorno, è un segnale preoccupante di sfiducia nella sicurezza dei dati personali e nella reale utilità del FSE».

«A poco più di un anno dalla rendicontazione finale della Missione Salute del Pnrr – ha spiegato Cartabellotta – l’avanzamento di Case e Ospedali di Comunità procede ancora troppo lentamente e con velocità profondamente diverse tra le Regioni».

Ma il problema principale è che, oltre ai ritardi infrastrutturali, il “pieno funzionamento” delle strutture – requisito indispensabile per la rendicontazione finale – è pesantemente ostacolato dalla carenza di personale sanitario, in particolare infermieristico, una vera emergenza nazionale. Nel caso delle Case della Comunità pesa poi anche l’assenza di un reale coinvolgimento dei medici di famiglia, perno insostituibile dell’assistenza territoriale».

«È, dunque – ha concluso – indispensabile accelerare in maniera sinergica su più fronti, per scongiurare rischi concreti. Il primo, da evitare ad ogni costo, è quello di non raggiungere i target europei e dover restituire il contributo a fondo perduto. Il secondo è di raggiungere il target nazionale, senza però ridurre le diseguaglianze regionali e territoriali, che rischiano anzi di ampliarsi. Il terzo, il più grave, è “portare i soldi a casa” senza produrre benefici reali per cittadini e pazienti, lasciando in eredità solo scatole vuote e una digitalizzazione incompleta, a fronte di un indebitamento scaricato sulle generazioni future». (ams)

SANITÀ, LA REGIONE SALE LA CHINA SUI LEA
È UN +18,25, MA È INADEMPIENTE PER IL 2023

di ANTONIETTA MARIA STRATI – La Calabria sta gradualmente risalendo la china nella sanità, registrando +18,21 punti in tutte e tre le aree dei Lea – Livelli Essenziali di Assistenza, passando da 135,25 a 153,46. È quanto emerso dalle analisi condotte dalla Fondazione Gimbe sugli adempimenti Lea della Regione Calabria, illustrati in conferenza stampa in Cittadella regionale. Un risultato non indifferente in cui, tuttavia «nonostante i miglioramenti e l’eventuale rettifica nell’area della prevenzione, la Calabria risulterebbe ancora inadempiente per il 2023, poiché il punteggio nell’area distrettuale rimane comunque inferiore alla soglia di 60 punti», ha avvertito il presidente della Fondazione, Nino Cartabellotta.

Questo recupero ha compensato, in parte il crollo di -24,74 punti registrato tra il 2021 e il 2022, quando il punteggio era sceso da 159,99 a 135,25. Tra il 2022 e il 2023, il punteggio Lea dell’area della prevenzione aumenta da 36,59 a 43,82 (+7,23 punti); in quella distrettuale da 34,88 a 40,48 (+5,60 punti); in quella ospedaliera da 63,78 a 69,16 (+5,38 punti). Si rileva che per l’area della prevenzione la Regione Calabria ha richiesto una rettifica del punteggio Lea al Ministero della Salute in quanto secondo i dati dell’Anagrafe Nazionale Vaccini le coperture vaccinali sono superiori al 90% per l’anno 2023: in caso di rettifica, la Calabria risulterebbe adempiente anche per l’area della prevenzione. 

Il Ministero della Salute valuta annualmente l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), ovvero l’insieme delle prestazioni sanitarie che tutte le Regioni e Province autonome sono tenute a garantire gratuitamente o previo pagamento del ticket.

«Si tratta di una vera e propria “pagella” per i servizi sanitari regionali – ha spiegato il presidente della Fondazione Gimbe – che stabilisce quali Regioni sono promosse (adempienti), pertanto meritevoli di accedere alla quota di finanziamento premiale, e quali invece vengono bocciate perché inadempienti».

A partire dal 2007 le Regioni con un disavanzo nel conto economico, vengono sottoposte ai Piani di rientro, un meccanismo di affiancamento da parte del Ministero della Salute e del Ministero dell’Economia e delle Finanze finalizzato a ristabilire l’equilibrio economico-finanziario nella continua erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza, che nei casi più critici può portare fino al commissariamento della Regione. 

Dal 2020 la “Griglia Lea” è stata sostituita dal Nuovo Sistema di Garanzia (NSG), che valuta le Regioni attraverso gli indicatori Core, suddivisi in tre aree: prevenzione collettiva e sanità pubblica, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera. Per ciascuna area, le Regioni possono ottenere un punteggio tra 0 e 100 e vengono considerate adempienti se raggiungono almeno 60 punti in tutte le tre aree. Al contrario, se il punteggio è inferiore a 60 anche in una sola area, la Regione risulta inadempiente. 

L’ultimo report del Ministero della Salute, pubblicato il 15 luglio 2024, è relativo all’anno 2022: la Regione Calabria è risultata inadempiente in quanto nell’area della Prevenzione (36,59) e in quella Distrettuale (34,88) ha ottenuto punteggi inferiori a 60. Solo nell’area ospedaliera, con un punteggio di 63,78, la Regione Calabria ha superato la soglia di adempienza.

«Utilizzando i risultati preliminari 2023 forniti dalla Regione Calabria – ha spiegato Cartabellotta – abbiamo condotto una valutazione indipendente per analizzare variazioni tra il 2022 e il 2023, sia in termini di punteggi nelle tre aree, sia rispetto ai valori dei singoli indicatori. L’obiettivo era quello di individuare i progressi ottenuti e le criticità tuttora esistenti su cui intervenire per raggiungere l’adempimento ai Lea da parte della Regione».

Per quanto riguarda le performance sui singoli indicatori,«al fine di identificare il miglioramento o peggioramento delle performance, è stata effettuata un’analisi comparativa tra i risultati ottenuti dalla Regione Calabria nel 2022 e quelli preliminari del 2023 sul valore dei singoli indicatori». Complessivamente su 29 indicatori: 21 (72,4%) mostrano un miglioramento, 7 (21,1%) registrano un peggioramento e 1 indicatore (3,4%) risulta stabile.

Nell’area della prevenzione, «7 degli 8 indicatori mostrano un trend in miglioramento, seppur con variazioni di entità diversa. L’unico indicatore in lieve peggioramento è il tasso di copertura per lo screening del carcinoma della mammella (da 8,61 nel 2022 a 8,11 nel 2023)».

Va rilevato che le coperture vaccinali per l’esavalente (88,09%) e la trivalente (87,71%) riportate nei risultati preliminari 2023 dal Ministero della Salute si attestano al di sotto della soglia minima del 90% necessaria per l’attribuzione del punteggio, che per la Regione Calabria continua quindi ad essere pari a 0. Considerato che, secondo i dati dell’Anagrafe Nazionale Vaccini, per l’anno 2023 tali coperture sono superiori al 90%, la Regione Calabria ha richiesto una rettifica del punteggio Lea al Ministero della Salute. Nell’area prevenzione la criticità più rilevante riguarda la copertura molto bassa per tutti gli screening oncologici, con particolare riferimento a quello per il tumore del colon-retto.

Nell’area Distrettuale, «8 dei 12 indicatori – si legge – mostrano un trend in miglioramento, seppur con variazioni di entità diversa, mentre 4 risultano in peggioramento. Tra i progressi più significativi si evidenzia il miglioramento nell’assistenza domiciliare (D22Z) e nel trattamento socio-sanitario degli over 75 non autosufficienti (D33Z)».

Nell’area distrettuale il punteggio Lea risulta pari a zero per due indicatori: “Intervallo Allarme-Target dei mezzi di soccorso” dove, nonostante il progressivo miglioramento negli ultimi anni il valore rimane ancora al di sopra di 22,7434 minuti, soglia al di sopra della quale il punteggio attribuito è pari a zero.

«Ovviamente – ha spiegato ancora Cartabellotta – questa soglia unica per tutte le Regioni, finisce inevitabilmente per penalizzare tutte le Regioni con un territorio prevalentemente montuoso e criticità nella viabilità». Il secondo indicatore a cui viene assegnato il punteggio Lea pari a zero è quello relativo alle liste di attesa per criticità legate al flusso dati che la Regione Calabria riferisce di aver risolto per l’anno 2024. 

Per l’area Ospedaliera, 6 dei 9 indicatori mostrano un trend in miglioramento, seppur con variazioni di entità diversa, 2 risultano in peggioramento ed 1 è stabile.

«L’area ospedaliera – ha rilevato Cartabellotta – risulta già adempiente, ma anche suscettibile di ulteriori miglioramenti».

In particolare la percentuale di colecistectomie laparoscopiche con degenza inferiore a 3 giorni, la percentuale di parti cesarei primari e la mortalità a 30 giorni dal primo ricovero per ictus ischemico. (ams)

Il PD Calabria: La sanità calabrese in coma quasi irreversibile

Per il Pd Calabria «la sanità calabrese è in coma profondo, quasi irreversibile, e a nulla servono i poteri straordinari del commissario del governo, Roberto Occhiuto, che ricopre il ruolo dal novembre 2021».

«Intanto, l’aspettativa di vita è inferiore alla media nazionale di 1,1 anni. Chi vive in Calabria, parafrasando Rino Gaetano, è sempre più abbandonato e – hanno detto i dem calabresi, commentando i dati della Fondazione Gimbe sullo stato di salute della sanità calabrese – spesso addirittura rinuncia alle cure. Il fallimento più clamoroso della gestione commissariale emerge dal quadro sulle nuove strutture di assistenza territoriale da attivare con i fondi del Pnrr».

«In Calabria, stando alle rilevazioni della Fondazione Gimbe – hanno proseguito – non è in funzione nemmeno una delle 61 Case della Comunità previste, non è pienamente operativa neppure una delle 21 Centrali operative territoriali programmate e non c’è traccia dei 20 Ospedali di Comunità da realizzare entro il 2026 con i fondi del Pnrr. Se tutto questo non bastasse, i posti aggiuntivi di terapia intensiva e sub-intensiva attualmente ricavati sono, in Calabria, molto al di sotto della media nazionale».

«Per quanto riguarda i medici e gli infermieri dipendenti ogni 1000 abitanti, per la Calabria sono riportati numeri disastrosi. Il punto, dunque, è che, al netto della propaganda ossessiva del centrodestra, l’autonomia differenziata – hanno concluso i dem calabresi – sarebbe una vera e propria eutanasia per la sanità pubblica calabrese, con il silenzio assenso del governo regionale». (rcz)

Fondazione Gimbe: In Calabria il 17,6% degli over 60 non ha fatto nessuna dose

In Calabria, il 17,6% degli over 60 non ha effettuato nessuna dose di vaccino, contro l’11,5% della media nazionale. È quanto è emerso dal monitoraggio indipendente della Fondazione Gimbe della settimana 21-27 luglio, dove è stato rilevato che, nella fascia di età tra i 12 e i 19 anni, il 63,3% non ha ricevuto nessuna dose.

E ancora, dal monitoraggio è stato registrato un peggioramento dei casi positivi, con un aumento dei nuovi casi rispetto alla settimana scorsa, mentre restano sottosoglia di saturazione i posti letto in area medica e in terapia intensiva occupati da pazienti Covid-19.

La popolazione che ha completato il ciclo vaccinale è pari 47,4% (media Italia 52,3%) a cui aggiungere un ulteriore 11,8% (media Italia 11,3%) solo con prima dose. Tra gli over 80 ha completato il ciclo il 79,3% (media Italia 92%) con un ulteriore 3,7% (media Italia 2,7%) solo con prima dose. Nella fascia 70-79 anni ha ultimato la vaccinazione il 79,5% (media Italia 84,5%) con un ulteriore 5,8% (media Italia 4,7%) solo con prima dose. Nella fascia di età 60-69 ha completato il ciclo vaccinale il 71,1% (media Italia 74,6%) a cui aggiungere un ulteriore 8,8% (media Italia 9,5%) solo con prima dose. (rrm)

Fondazione Gimbe: In Calabria il ciclo vaccinale è al 20% e migliorano i dati

In Calabria ci sono buone notizie: i dati positivi alla diffusione del covid-19 si mantengono positivi, e il 20% dei calabresi hanno concluso il ciclo vaccinale, mentre il 18,5% ha ricevuto, invece, solo la prima dose. È quanto è emerso dal monitoraggio indipendente condotto dalla Fondazione Gimbe nel monitoraggio settimanale (26 maggio-1° giugno).

Nel monitoraggio, viene indicato, anche, che il 70,9% degli over 80 ha completato il ciclo vaccinale, mentre  l’8,5% ha ricevuto solo la prima dose; mentre per la fascia dei 70-79 anni, il 41,1% ha completato il ciclo vaccinale, mentre il 35,3% ha ricevuto solo la prima dose. E ancora, per la popolazione 60-69 anni,  il 30,3% ha completato il ciclo, mentre il 35,7% ha ricevuto solo la prima dose.

È stata evidenziata, inoltre, una performance in miglioramento sui casi attualmente positivi per 100 mila abitanti e risultano in diminuzione i nuovi casi rispetto alla settimana precedente (494, con una variazione del -24,8%) Sottosoglia di saturazione, che è del 40%, sempre secondo il monitoraggio, i posti letto in area medica e terapia intensiva occupati da pazienti Covid 19, che sono rispettivamente 25% e 10%, e che «la media giornaliera di persone testate per 100 mila abitanti nel periodo 12 maggio-1 giugno, è pari a 130, non molto distante dalla media nazionale che sarebbe pari a 120».

«Da 11 settimane consecutive – ha dichiarato Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione Gimbe – si conferma il trend in discesa dei nuovi casi, sia per la ridotta circolazione del virus, come dimostra la riduzione del rapporto positivi/casi testati, sia per la diminuzione dell’attività di testing. Da metà aprile sono in costante calo anche i decessi, che nell’ultima settimana si attestano in media poco sopra i 100 al giorno».

«Il netto miglioramento del quadro pandemico –  ha concluso Cartabellotta – se da un lato attesta il successo del “rischio ragionato”, dall’altro richiede che il prudente ottimismo sia accompagnato da una strategia condivisa tra Governo e Regioni per garantire l’irreversibilità delle riaperture». (rrm)