L’OPINIONE/ Giovanna Cusumano: Ddl Zan nell’odierna formulazione genera solo confusione

di GIOVANNA CUSUMANO* – Una lettura superficiale e di parte del Ddl Zan porta alla conclusione (errata) che, con esso, si vogliano rivendicare nuovi diritti, scaturenti dalla necessità di una interpretazione attualizzata dei diritti civili già consolidati nel nostro ordinamento giuridico.

A ben guardare, invece, il suddetto Ddl, nella sua odierna formulazione, genera soltanto confusione e finisce col creare una sorta di conflittualità tra “vecchi” e “nuovi” diritti, spingendosi fino al concreto rischio di svuotare la forza della libertà fondamentale di “manifestare il proprio pensiero”, garantita dall’art. 21 della Costituzione. 

È innegabile, infatti, che l’art. 4 del Ddl Zan, laddove introduce una clausola di salvaguardia del seguente tenore:  sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni, sembra che, in realtà, voglia limitare proprio tale libertà (di dissentire, evidentemente), in spregio alla garanzia del pluralismo culturale, ideologico e religioso su cui, in una democrazia moderna, si fonda il concetto di libertà. Va da sé, infatti, che la libertà di manifestare il proprio pensiero non riguarda solo le opinioni accolte da tutti con favore, ma interessa – anzitutto e soprattutto –   quelle che contrastano con l’altrui pensiero.

Inoltre, il ricorso all’utilizzo di formule ambigue come quella contenuta nel secondo periodo del citato art.4, laddove si richiama il concetto di idoneità della opinione o della condotta ad essere giudicata discriminatoria o violenta, rappresenta un vulnus dei principi fondanti del diritto penale, quali la certezza del diritto e la tassatività delle condotte di reato. Con la pericolosa conseguenza di attribuire ai giudici un arbitrio eccessivo, a fronte delle gravi conseguenze legate alla modifica prevista agli articoli 604-bis e 640-ter del codice penale (reclusione fino a 6 anni!).

A ciò si aggiunga che il Ddl Zan fonda la sua ratio su un presunto vuoto normativo, cui il Legislatore dovrebbe porre rimedio con una ulteriore espansione delle responsabilità, quando invece oggi alle vittime di reati di matrice omotransfobica è già garantita una tutela penalistica, posto che è consolidato l’orientamento giurisprudenziale di applicare la circostanza aggravante dei “motivi abietti e futili”. Quanto alla possibilità di introdurre una specifica aggravante di omotransfobia, è doveroso chiarire che essa non deve diventare uno strumento finalizzato a reprimere il libero pensiero di chi ha come modello culturale quello della eterosessualità affettiva, bensì uno strumento (condivisibile) per reprimere specifiche condotte antigiuridiche.

Del pari, è del tutto infondata – come dimostrato dai dati Oscad della Polizia di Stato –   l’esistenza di una situazione di emergenza sociale, dettata dall’aumento dei casi di violenza e di discriminazione ai danni della comunità LGBT+, che possa giustificare l’approvazione di un testo di legge ondivago, che palesa criticità su valori fondanti quali la libertà di manifestazione del pensiero e l’ancoraggio della certezza del diritto penale al testo formale della legge, valori questi ultimi che riguardano l’intera comunità. 

Se ci soffermiamo a pensare alle emergenze legate alle gravissime difficoltà e criticità che l’Italia si trova a fronteggiare in questo preciso momento storico, possiamo facilmente comprendere come il vero fine del Ddl Zan sembra essere quello squisitamente ideologico di fare esorbitare nel campo penale anche ciò che appartiene all’ambito esclusivamente etico, morale, culturale e religioso. 

Non solo: la pretesa di introdurre in maniera autoreferenziale nel diritto penale la categoria dell’identità di genere, per definire la quale si renderà necessario il ricorso costante all’interpretazione giurisprudenziale, rappresenta ancora una volta una delega in bianco del potere legislativo al potere giudiziario, il quale, colmando l’indeterminatezza delle definizioni contenute nella norma, dovrà tracciare un netto confine tra il lecito e l’illecito.

In conclusione, il testo del Ddl Zan, anziché riconoscere nuovi diritti alla comunità omotransfobica, si presenta come un’arma ideologizzata e finalizzata a contrastare la pur deprecabile discriminazione con l’intolleranza del pensiero contrario, che adesso si vorrebbe sanzionare penalmente. Come a dire che sull’altare della libertà omotransfobica si è disposti a sacrificare la libertà tout court! (gc)

Avvocato e già presidente Commissione regione Pari Opportunità

Preferenza di genere: Giovanna Cusmano, riequilibrio nelle Istituzioni

L’avv. Giovanna Cusumano, già presidente della Commissione regionale Pari Opportunità – ha espresso la «viva soddisfazione per l’approvazione da parte del Consiglio regionale della Calabria della legge sulla “Doppia Preferenza di Genere”, strumento che la Corte Costituzionale ha riconosciuto essere finalizzato al riequilibrio di genere nelle Istituzioni. Garantire a donne ed uomini la parità d’accesso nella massima assise regionale, rispetta certamente  il dettato costituzionale, favorendo le condizioni per una Democrazia Compiuta.

Certamente non era più procrastinabile la mancata approvazione della legge “de qua”, ma in questi pochi mesi di legislatura, già in diverse occasioni con la compianta Presidente Jole Santelli, avevamo discusso della necessità che il consiglio regionale recepisse in tempi brevissimi l’introduzione nella legge elettorale della “doppia preferenza di genere”.

Sapeva bene Jole Santelli che ben 7000 calabresi, donne e uomini, già nel lontano 2011 avevano sottoscritto la proposta di legge di iniziativa popolare sulla Doppia preferenza, di cui ero la relatrice e prima firmataria. Non ha avuto il tempo Jole Santelli di vedere approvata la legge in aula, ma non trovo sia stato una mera casualità che questa legge, che garantisce una maggiore partecipazione femminile, l’abbia approvata un consiglio regionale che aveva eletto, per la prima volta nella sua storia, una Donna Presidente.

Adesso è importante fare una buona campagna di comunicazione che spieghi correttamente le possibilità che hanno gli elettori, che per la prima volta andranno alle urne per il rinnovo del Consiglio regionale, col meccanismo della “doppia preferenza di genere”. Se non riusciamo, infatti, a spiegare con chiarezza le modalità con le quali l’elettore può votare rischiamo di vanificare gli effetti che la legge si proponeva, che è appunto quello di assicurare una maggiore presenza femminile nella massima Assise calabrese. L’elettore calabrese deve sapere che potrà, se vorrà, esprimere due preferenze per l’elezione del nuovo consiglio regionale. Due preferenze, dunque, che devono andare a candidati di sesso diverso che fanno parte della stessa lista. L’elettore, pertanto, quando si recherà nell’urna (ed io non posso che auspicare che ci sia la massima partecipazione popolare), potrà o dare un solo voto oppure darne due. Se decide di dare due voti dovrà darli a due candidati di sesso diverso (donna-uomo oppure uomo-donna). Auspico sinceramente che il prossimo consiglio regionale sarà composto da uomini e tante donne. (rrc)

L’OPINIONE / Giovanna Cusumano: c’ero anch’io in piazza, ma la politica dove stava?

L’avv. Giovanna Cusumano, ex presidente commissione regionale pari opportunità, apprezzata professionista reggina ed esponente della società civile, ha voluto diffondere una sua riflessione sulla situazione reggina e la zona rossa.

«Ho letto da più parti – scrive la Cusumano – che, ieri, nelle piazze di Reggio Calabria, dove è montata la protesta contro l’inserimento nel Dpcm della Calabria nella “Zona Rossa”, c’era la politica o, quantomeno, una parte di essa. Ecco, vorrei dire che io c’ero, ma la politica non l’ho vista. Ho visto giovani, imprenditori, commercianti, medici, avvocati. Ho visto rappresentanti di club service, della società civile, tutti tristemente accomunati dalla preoccupazione per il futuro, anche prossimo, della loro terra.

Se le condizioni inammissibili  in cui versa la nostra sanità, derivano certamente  in larga misura da errori strategici della classe politica, fin dai tempi del regionalismo, com’ è possibile, oggi, rimediarvi? E’ doveroso chiedersi se esiste una soluzione percorribile, che possa consentire alla Calabria di sottrarsi in tempi brevi, all’ennesima beffa. Perché se è vero che il Covid-19 continua a risparmiarci, perlomeno nel numero dei contagi, nulla fino ad oggi ci ha risparmiato l’inefficienza della politica, in termini di carenze strutturali e non solo!

Ci stava provando Jole Santelli, prima donna assurta al ruolo di Presidente della Regione Calabria, a denunciare le gravissime criticità che, nei pochi mesi di mandato, aveva riscontrato nella gestione della sanità calabrese. Le testimonianze sono numerose, basta avere l’onestà intellettuale di volerle ricordare. Purtroppo, sappiamo tutti molto tristemente, quanto poco tempo Ella abbia avuto per operare, ragion per cui, chi, oggi, tenta maldestramente di addossare le responsabilità del “declassamento” della Calabria nella zona rossa, al suo breve governo, può suscitare solo legittima indignazione.

Ricordo che negli ultimi 5 anni questa sventurata regione era guidata da una giunta di centrosinistra, il cui Presidente Oliverio, in tema di sanità, si è semplicemente limitato a rivendicarne per sé le deleghe. Per fortuna, c è da aggiungere, senza successo, viste le condizioni in cui ha lasciato i settori amministrati dai suoi assessori.

Tanto per amore di verità!

In ogni caso, è utile ricordare, più che ai cittadini calabresi, cui certamente la notizia non sarà sfuggita, quanto al sindaco di Reggio di Calabria, che invece sembra non averne alcuna contezza, che, come ha denunciato “Report”, nota trasmissione televisiva, solo pochi giorni fa, l’Italia aveva un piano pandemico scaduto da ben 14 anni e che l’attuale ministro della salute Roberto Speranza  (collega di partito del sindaco reggino), ha preferito insabbiare la notizia, piuttosto che affrontare il problema. Come nella migliore tradizione delle botteghe “oscure”, si potrebbe affermare….

Oggi che c’ è una pandemia da affrontare, risulta eufemisticamente offensivo per la nostra intelligenza, assistere allo scaricabarile, cui la miope politica nazionale ci vorrebbe assuefare, e la soluzione proposta dal Governo ai calabresi è, a dir poco, lesiva della dignità di cittadini.  Intimare ai calabresi di restare chiusi in casa, perché il sistema sanitario è deficitario, appare una soluzione altrettanto deficitaria. Anzi, possiamo dire che più che una soluzione, ci appare come una ingiusta sanzione.

Eh sì! Perché se c è qualcuno che merita di essere “punito”, quello è certamente il governo nazionale e non certamente i cittadini calabresi. Quel governo centrale, che, ad onor del vero, si è dimostrato impreparato, inadeguato, incapace ed intempestivo. Di questa politica, ieri, non c’era nessuno nelle piazze di Reggio Calabria, neanche nelle loro rappresentanze locali. E nessuno ne ha sentito la mancanza.  Non l’hanno sentita i ragazzi, orfani di un futuro in terra di Calabria. Non l’hanno sentita i medici (tante donne medico presenti), stremati dalle condizioni di lavoro nelle corsie degli ospedali. Non l’hanno sentita i commercianti, ogni giorno più poveri e più soli.
Non l’hanno sentita  i professionisti che, sebbene non destinatari delle misure restrittive, inevitabilmente restano colpiti da un tessuto sociale lacerato ed impoverito.

Però, se vogliamo davvero immaginare di fare una analisi compiuta, dobbiamo avere il coraggio di dirci  con estrema chiarezza che nessun calabrese è esente da colpe. Infatti, la classe politica che, legislatura dopo legislatura, ci ha (molto male) governato, l’abbiamo scelta noi cittadini, con la corresponsabilità, anche in misura preponderante, se vogliamo, di una politica nazionale che, sempre più frequentemente, ha guardato con “sospetto” la Calabria, ritenuta, qualche volta non a torto, solo fonte di problemi giudiziari. Questa è l’ amara verità, che, ribadisco, dobbiamo avere il coraggio di raccontarci, se vogliamo ritrovare l’orgoglio di un Popolo ingegnoso e generoso.

E arriviamo con rammarico al problema di buona parte della politica italiana: aver rinunciato alla qualità ed alle competenze, condizioni propedeutiche di ogni buon governo. Oggi la terribile pandemia da Covid 19, non ci lascia più alcun alibi e ci pone brutalmente di fronte a tutte le nostre responsabilità.

Ci resta solo da prendere dolorosa consapevolezza che di incapacità e di incompetenza si muore. Anche senza il Covid 19!»

avv. Giovanna Cusumano

 

 

 

Elezioni Reggio: la Cusumano replica alle gravi affermazioni di Mezzogiorno in Movimento

La rinuncia di correre alle prossime elezioni comunali di Reggio del prossimo 20 settembre da parte di Mezzogiorno in Movimento (guidato da Andrea Cuzzocrea, (ex presidente degli industriali reggini) è stata motivata da gravi affermazioni che stanno suscitando varie reazioni in città.
«Se fossimo stati adeguatamente presenti nelle Istituzioni – si legge in nota nota diffusa da Mezzogiorno in Movimento – avremmo chiesto con forza al Parlamento e al Governo di riportare alla normalità quei poteri oggi da stato di polizia, poiché finiti progressivamente in capo ai prefetti, alle forze dell’ordine e a procuratori della Repubblica; siffatti poteri, specie in Calabria, minano seriamente il nostro Stato di diritto.
Ovviamente siamo stati e siamo consapevoli che i nuovi partiti e i nuovi poteri hanno da tempo cacciato la Politica dalle competizioni elettorali trasformando queste ultime in lotte personali, tese alla mera conquista del potere locale. Ne deriva che avremo la presenza di decine di liste e centinaia di candidati senza programmi, senza progetti e senza visione di futuro della società.
Inoltre, si è dovuto riscontrare che all’entusiasmo iniziale intorno alla proposta del Movimento, è subentrato un clima di incertezza e di preoccupazione nell’esporsi direttamente sul fronte delle libertà, dei diritti, della democrazia, della difesa della Costituzione, quasi che il solo parlarne potesse ritenersi un delitto.
«Si è così consolidato il timore che la presenza in una lista dichiaratamente garantista e meridionalista avrebbe potuto esporre i singoli candidati a ritorsioni da parte degli apparati repressivi dello Stato. Per tali motivi si sono dovuti registrare disimpegni significativi, anche comprensibili nel clima che si respira a Reggio ed in Calabria. D’altronde, la nostra regione è terra in cui, per assumere una parvenza legalitaria ed essere riconosciuto legittimo attore politico dal sistema dei poteri, è sufficiente firmare un registro in Prefettura, dichiarare di non volere il voto mafioso, sottoscrivere un codice etico, insomma una petizione di principio e tutto diventa possibile».
LA POSIZIONE DI FALCOMATÀ
Alla replica del sindaco uscente Giuseppe Falcomatà è seguita una puntuta lettera dell’avv. Giovanna Cusumano, che del Registro in Prefettura di cui parla Mezzogiorno in Movimento è stata l’ideatrice e l’artefice.
Secondo Falcomatà, «L’esperienza politica e programmatica promossa da Mezzogiorno in movimento, che in queste settimane ha riportato alla ribalta mediatica tematiche che assumono una centralità strategica, soprattutto in un territorio come il nostro, non può e non deve considerarsi esaurita. Temi come quello delle interdittive e della legge sugli scioglimenti dei consigli comunali devono rimanere al centro della dialettica politica anche in questa campagna elettorale per le amministrative. Peraltro – ha aggiunto il sindaco – i due temi sollevati da Mezzogiorno in movimento, non sono affatto, per quanto ci riguarda, questioni estemporanee. In questi anni, infatti, abbiamo lavorato politicamente ed amministrativamente, per porre all’attenzione delle massime istituzioni nazionali, la necessità di aprire una riflessione su questi due aspetti, anche ottenendo risultati significativi.Ricordo ad esempio – ha spiegato ancora Falcomatà – la campagna da noi portata avanti per la modifica della normativa sulle interdittive antimafia, che ha ottenuto i primi frutti con le modifiche inserite con l’articolo 34 del nuovo codice antimafia, condivise nel corso di un consiglio comunale aperto, che vanno nella direzione della continuità occupazionale e produttiva per le imprese interessate. Allo stesso modo, per ciò che riguarda il tema degli scioglimenti, io stesso ho più volte rilevato, anche attraverso Anci ed in altri simili contesti istituzionali di respiro nazionale, che la legge, così come conformata, non funziona e va modulata e migliorata, soprattutto per ciò che riguarda la necessità di ricondurre criteri meno discrezionali e più oggettivi la decisione in merito
allo scioglimento e intervenire sulla parte burocratica degli Enti che, anche in caso di scioglimento, si trova ad operare durante la gestione commissariale in assoluta continuità».
LA REPLICA DI GIOVANNA CUSUMANO
Di ben altro tenore la lettera aperta dell’avv. Cusumano: «Gentili signori, che, ancora una volta, non perdete occasione per manifestare disappunto verso il “registro di cittadinanza consapevole” , quasi che a Reggio Calabria il problema non fosse la ‘ndrangheta, ma le forze dell’ ordine, la magistratura e, appunto, il mio registro, (sic!), mi corre l’obbligo di ricordare a tutti Voi, il senso della iniziativa che ha portato alla istituzione del Registro di Cittadinanza consapevole presso la Prefettura di Reggio Calabria, al fine di evitare sterili strumentalizzazioni.
Premesso che a differenza vostra, che professate valori di libertà e democrazia, salvo non perdere occasione per attaccare tutti coloro che la pensano diversamente da voi e l’ attacco, ad ogni pie’ sospinto sopratutto da parte di Andrea Cuzzocrea e Pier Paolo Zavettieri, al registro va, appunto, in questa direzione, io sono veramente una  persona liberale e come tale rispettosa delle più diverse opinioni. Premesso ciò, preciso, quanto segue.
«Il registro di “Cittadinanza Consapevole”, altro valore non ha, se non quello di rappresentare un mero simbolo contro la ‘ndrangheta.
Uno dei tanti contro le mafie in generale. Certo, questo assume una valenza più “istituzionale”, ma solo perché si trova all’ interno del Palazzo del Governo della città.
«È arrivato anche il tempo per ricordare che avrei voluto fosse custodito all’interno della casa comunale. Ritenevo, infatti, che la sua sede naturale fosse Palazzo San Giorgio, e tanto è vero che una richiesta in tal senso l’avevo rivolta al sindaco Giuseppe Falcomatà.
Dopo l’ennesimo tentativo fallito, per ragioni che non conosco e che neanche  mi interessano, sono stata  “costretta” ad inoltrare la richiesta alla prefettura che, a differenza del primo cittadino, l’ha accolta sposandone l’iniziativa. Tanto per amore di verità!
«Nessuna pretesa può avere l’ apposizione di una firma su un registro, ribadisco simbolico, se non quella di rappresentare un segnale di responsabilità da parte della cittadinanza, contro la presenza pervasiva e soffocante della criminalità organizzata nella nostra città e nella nostra regione. A meno di non voler credere che la ‘ndrangheta non esista…
«Purtroppo esiste, eccome! Esiste e condiziona la vita dei calabresi onesti e per bene che sono tanti, tantissimi, la maggioranza a mio sommesso avviso, ma non certamente tutti. Non siamo, insomma, tutti belli e buoni, così come non lo sono in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, ecc..  Ma alla’ndrangheta, purtroppo e per sventura, Noi abbiamo dato i natali. Sempre a meno di non voler credere che non esista o che sia nata altrove!
«Esiste, ahinoi, come so bene io e bene Voi. Concordo che non esiste solo in Calabria, anzi… Concordo, altresì, che assume varie vesti : passa con disinvoltura dalla politica alla magistratura, passando per il mondo delle professioni, attraversa il giornalismo e non solo.
Nessuna categoria è immune, non fosse altro che ogni “segmento” di una comunità  è lo specchio di quella comunità e come tale è rappresentato da donne e uomini con vizi e virtù.
«Di certo, sono dell’avviso di ritenere che in Calabria sia più facile trovare il politico o l’imprenditore ‘ndranghetista piuttosto che l’ avvocato o il magistrato colluso, che, comunque, non escludo possa accadere “a priori”, a differenza di quanto qualche sciocco possa credere, magari proprio per “colpa” del registro.
«Questa consapevolezza (eh, sì ritorna sempre la consapevolezza! ) non mi impedisce di nutrire un profondo rispetto per quei magistrati che  sono veramente impegnati nella lotta alla criminalità organizzata. E ce ne sono, eh se ce ne sono e sopratutto servono alla nostra Terra. Cosi come servono le forze dell’ordine e così com’è indispensabile l’azione della  l’Avvocatura, che indico per ultima e posiziono per prima, senza l’esercizio della quale, non esisterebbe la Democrazia e la Giustizia.
«Concordo anche sull’idea che  questa Terra, non di rado, ha garantito carriere in magistratura e prefettura. La presenza di qualche “carrierista” , però, non esclude, anzi rafforza, la mia stima e il mio rispetto verso quei magistrati e sono tanti, e quei prefetti che esercitano le loro funzioni con impegno ed onore. Credo, insomma, ci siano quelli che “ci credono”, mi si perdoni il gioco di parole, nella possibilità di liberare questa terra dalla ‘ndrangheta. E non mi riferisco solo ai magistrati o ai prefetti o alle forze dell’ordine, perché vorrei ricordare che per costoro la lotta alla criminalità organizzata e non solo, rientra nelle loro funzioni. Io credo, soprattutto, nei tantissimi cittadini, qualsiasi mestiere facciano, e nel loro desiderio di vivere in una città, in una regione, in cui l’esercizio di un diritto non è la concessione di un favore, magari da parte della cosca locale o del politico colluso.
«Sempre a meno di non voler credere che la ‘ndrangheta qui non esista! Per me esiste. Esiste ed è così tanto presente (ho già detto che è camaleontica) che a Reggio Calabria ed in tutta la Calabria, ciò che altrove è ordinario, diventa straordinario. Se altrove esiste (anche se è sempre più sbiadita “grazie” alla crassa ignoranza ed incompetenza dell’attuale ministro della giustizia Alfonso Bonafede e di buona parte di questo governo) la presunzione di innocenza, in Calabria esiste il pregiudizio del “casato ‘ndranghetista”: essere calabrese equivale ad essere mafioso. Salva dimostrazione contraria.
«Ma davvero vogliamo credere che il binomio “calabrese-‘ndranghetista” , sia la conseguenza dell’attività giudiziaria e delle operazioni delle forze dell’ordine e non piuttosto della presenza criminale in ogni dove?  Ma davvero vogliamo offendere l’intelligenza dei nostri figli, “costretti” dalle condizioni di sottosviluppo, create in gran parte dalla ‘ndrangheta e non certamente dalle forze dell’ordine , ad impiegare le loro energie e le loro competenze, al Nord? Ma davvero vogliamo continuare a condizionare il loro futuro, spingendoli fuori dai confini regionali, fin dall’età degli studi universitari e i più lungimiranti anche prima?  Ma davvero vogliamo essere così ciechi, omertosi, così tanto vigliacchi? Io no. Grazie, non ci sto. Non ci sto a far finta che qui la ‘ndrangheta non esiste.  Non ci sto, sopratutto, a passare per quelli del baciamano al boss della’ ndrangheta !
«E torniamo al registro e alla sua nascita, tanto per amore di verità e per riportare l’iniziativa nel suo alveo naturale, sottraendola ad inaccettabili mistificazioni.L’idea del registro nasce all’indomani dell’arresto del latitante Giorgi nella provincia di Reggio Calabria.
 Circostanza passata agli onori della cronaca nazionale, non tanto e non solo per il carisma criminale del personaggio mafioso, quanto, piuttosto, per il famigerato baciamano al boss latitante, tributato da un vicino di casa in senso di sudditanza e rispetto.
A meno di non voler ritenere che il baciamano sia il saluto tra “pari”!  È stato proprio in quella occasione che mi sono talmente indignata per come, ancora una volta, noi calabresi siamo stati descritti dai media nazionali, che ho commentato su un post del mio profilo Facebook, più o meno testualmente: andrebbe tolta la cittadinanza calabrese a coloro che gettano discredito sulla nostra terra. Andrebbero chiesti i danni a coloro che contribuiscono ad alimentare il disprezzo nazionale verso una Terra bellissima e verso i suoi straordinari abitanti!
«Nasce così l’idea del registro : via la ‘ndrangheta e gli ndranghetisti che sono indegni della Calabria e dei calabresi.
«Firmare il registro simbolico era un atto di assunzione di responsabilità da parte di una comunità, che respinge e manifesta pubblico disprezzo verso la criminalità organizzata. Un simbolo in cui ci si ritrovava insieme, senza esitazione, a riaffermare con forza che la ‘ndrangheta non la vogliamo e la ripudiamo. Simbolicamente, tutti insieme. Tutto qua! Nessuno di coloro che hanno creduto nel registro (primo fra tutti il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, che ancora una volta ringrazio per la condivisione ed il supporto) ha mai pensato che il rifiuto di firmarlo  equivalesse ad una dichiarazione d’amore (si fa per dire) verso la ‘ndrangheta! Tanto per amore di libertà!
«Io ci ho creduto fortemente e continuo a credere che i simboli creino unione e servano ad identificare una comunità che attorno a quel simbolo si ritrova. Vale per il presepe per i cattolici  Vale per la mimosa l’8 marzo per chi crede nella parità di genere. Vale per le panchine rosse o le scarpette rosse, per chi lotta contro la violenza di genere. I simboli servono ad educare e, sopratutto, a riconoscersi nel messaggio che essi esprimono. Sì al credo in Cristo. No alla violenza sulle Donne. No alla ‘ndrangheta.  Simboli, sempre e “solo” simboli che esprimono messaggi chiari.
«Nessuno mediamente intelligente ed onesto intellettualmente, può credere che il registro di “cittadinanza consapevole” , abbia altra pretesa che non quella di essere un simbolo di rifiuto alla ‘ndrangheta. Un simbolo, appunto, uno dei tanti.
«Cosa disturba del registro? Forse la piena condivisione di tanta magistratura, non solo inquirente e di tanti rappresentati istituzionali?
Ricordo che lo hanno firmato, tra gli altri, i ministri dell’Interno, di ideologia politica diametralmente opposta, nell’ordine cronologico della carica, Marco Minniti e Matteo  Salvini.
«Vorrei anche ricordare che l’idea del registro simbolico è della  sottoscritta, che crede fermamente, da quando ha raggiunto l’età della ragione, nei valori di Libertà e Giustizia e che esercita la nobile professione di avvocato a Reggio Calabria. Del registro, dunque, di cui rivendico con altrettanto orgoglio la “maternità”, tengo a precisare che non rappresenta certamente una deroga al supremo valore della libertà, semmai ne è diretta espressione. Rivendico la libertà di dire che io la ‘ndrangheta non la voglio apponendo la mia firma nel registro depositato in Prefettura.  Rispetto la libertà di chi crede che non serva apporre la firma in un registro per ripudiare la’ ndrangheta.  Personalmente ancora  non ho depositato fiori o biglietti sotto l’albero che a Palermo è stato piantato in memoria di Falcone e Borsellino, ma non per questo non provo orrore per le stragi di Capaci e via D’Amelio. Non appena avrò l’occasione, però, lo farò. Non ho difficoltà a riconoscermi in tutto ciò che esprime sdegno e grande disprezzo per tutta la criminalità organizzata. Insomma non ho difficoltà a scrivere il mio nome sul registro che simboleggia che la ‘ndrangheta NON LA VOGLIO!
«Concludo dicendo che per fare  Politica non serve uno scranno in consiglio comunale.  Serve credibilità. E questa, purtroppo, non solo alle nostre latitudini, è poco diffusa».
L’avv. Giovanna Cusumano è stata Consigliere comunale di Reggio Calabria, prima della istituzione del registro di cittadinanza consapevole. (rrc)

DALLA CALABRIA L’INIZIATIVA POPOLARE
D’UNA LEGGE PER I SANITARI POST-COVID

Parte dalla Calabria, anzi da Reggio, la proposta di legge d’iniziativa popolare che prevede una contribuzione aggiuntiva convenzionale ai fini pensionistici per i medici e gli operatori sanitari che sono stati e sono ancora impegnati a contrastare l’epidemia da Covid-19. Prima firmataria della proposta di legge – pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 10 luglio scorso – è l’avv. Giovanna Cusumano del Foro di Reggio che ha coinvolti colleghi avvocati di diverse regioni del Paese, in rappresentanza di importanti Fori come Milano, Bolzano, Torino, Venezia, Firenze, Perugia, Avezzano e Roma. Nel comitato promotore figurano anche numerosi e apprezzati docenti universitari di tutt’Italia. L’obiettivo è riconoscere un adeguamento finanziario che abbia ripercussioni ai fini pensionistici a quanti, in ambito medico, si sono prodigati, anche a costo della propria vita, ad assistere e curare i pazienti colpiti da coronavirus.

Il comitato si adopererà in tutte le regioni d’Italia, affinché la proposta venga regolarmente sottoscritta, entro i sei mesi previsti, da almeno 50.000 cittadini italiani attraverso il coinvolgimento degli Ordini professionali dei medici e degli infermieri, i cui iscritti sono i naturali destinatari del beneficio pensionistico. Raggiunto il quorum necessario,  è auspicabile che le forze politiche rappresentate in Parlamento si impegnino e approvino la proposta in Aula perché diventi Legge. È significativo che l’iniziativa di legge popolare sia partita della Calabria, una regione non ha patito in modo pesante gli effetti della pandemia, ma ha potuto apprezzare la professionalità, l’impegno e l’abnegazione mostrata da tutto il personale medico degli ospedali calabresi con il prezioso contributo del personale sanitario e paramedico, nei confronti dei pazienti affetti da coronavirus. È giusto un riconoscimento aggiuntivo a questi nuovi eroi del terzo millennio che in tutto il Paese si sono prodigati senza mai fermarsi, qualche volta anche a costo della propria vita.

L’Avvocatura italiana  con questa proposta di legge  ricorre ad uno degli strumenti di democrazia diretta riconosciuti dalla nostra Costituzione qual è, appunto, l’iniziativa legislativa popolare, al fine di tributare, appunto, un doveroso riconoscimento all’impegno profuso dagli operatori sanitari per fronteggiare la terribile pandemia causata dal Covid-19. Visto che il Parlamento non ha messo in cantiere iniziative a favore di medici e personale sanitario, il ricorso a una legge di iniziativa popolare è sembrata la via più adeguata per sollecitare e promuovere interventi di sostegno a chi ha messo al primo posto la salute degli altri. Il Presidente del comitato, avv. Giovanna Cusumano, ha spiegato che «il beneficio della contribuzione aggiuntiva convenzionale ai fini pensionistici previsto da questa proposta di legge,  ha l’obiettivo di compensare il maggiore sacrificio e/o il maggior rischio, sostenuti dagli operatori sanitari nell’espletamento delle loro mansioni durante la pandemia».

I medici e gli operatori del Servizio Sanitario Nazionale impegnati a fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19, infatti, secondo i promotori,  hanno il diritto di incrementare il trattamento pensionistico, che sarebbe loro spettato in condizioni ordinarie di svolgimento dell’attività professionale, e per compensare il maggior dispendio di energia fisica e psichica necessaria per lo svolgimento dell’attività lavorativa nel corso della pandemia e per l’elevata probabilità di contagiarsi, con ulteriore rischio di diffusione del contagio ai propri familiari.

La proposta, pertanto, spiega ancora l’avv. Cusumano, prevede che il contributo previdenziale del lavoratore venga moltiplicato per un coefficiente di maggiorazione determinando una anzianità contributiva convenzionale che si somma a quella effettiva ed è utile sia ai fini della misura che ai fini del diritto alla pensione. Il beneficio dovrà così essere calcolato: per ogni mese di attività lavorativa effettivamente svolta in condizioni di emergenza epidemiologica, viene riconosciuta una maggiorazione contributiva di tre mesi,  fino a un massimo di 3 anni.

«È doveroso precisare – afferma sempre il presidente Cusumano – che la maggiorazione contributiva ha natura di indennità, in quanto finalizzata a compensare una prestazione sanitaria resa in peculiari condizioni ambientali, senza che rilevino profili risarcitori derivanti dal contagio del Covid-19 o dall’inadempimento di obblighi di prevenzione del datore di lavoro (carenza strumenti di protezione)».

L’avv. Giovanna Cusumano illustrerà nei prossimi giorni i dettagli dell’iniziativa nel corso di  una conferenza stampa. La promotrice ha voluto sottolineare come questa proposta di legge si inserisce nel solco di quella “Giustizia distributiva” che riguarda le relazioni della società con i singoli individui e comprende ogni forma di distribuzione di beni fatta da una Autorità tra i membri della società. «È, infatti, una questione di giustizia ed equità che i medici e tutti gli operatori sanitari impegnati durante l’emergenza pandemica ricevano dallo Stato un trattamento pensionistico migliore rispetto ai loro colleghi “pre e post Covid-19”. Pertanto – conclude l’avv. Cusumano – poiché attraverso questa proposta di legge si tende a realizzare giustizia, essa non poteva non essere pensata e sostenuta da avvocati che sono strumento di giustizia per antonomasia, sebbene mai come in questo preciso momento storico si tenda maldestramente ed indegnamente di attribuire alla figura dell’avvocato una accezione sovente negativa». (rrm)