L’OPINIONE / Franco Cimino: La pace che uccide le guerre e l’appello dalla Calabria

di FRANCO CIMINO – Due scienziati e un filosofo, il nostro Pino Nisticò, farmacologo di fama mondiale, Thomas Südhof, premio Nobel per la Medicina, e Salvatore Mongiardo, hanno redatto un appello per la Pace nel mondo. Più che un appello è un documento. Più che un documento è una lettera.

Più che un appello, un documento e una lettera, è un messaggio. Più che tutte queste cose, separate o insieme, è un atto politico e un pugno di polvere d’Utopia. Per tutte queste qualità quei due fogli, scritti a sei mani, con parole semplici e pensieri fanciulli, sta già facendo il giro del pianeta. Anche in questo potendosi avvicinare alla famosa lettera ai potenti che Giorgio La Pira, il sindaco santo di Firenze, inviò, lui gigante del pensiero e del senso umano della storia, con i mezzi “postali” di allora, ai “grandi”nani della Terra nel 1963, fortemente ispirato dalla illuminata tensione morale del Concilio. Per le suddette qualità, profondità di pensiero, larghezza di visione, semplicità di espressione, questi fogli stanno arrivando sulla scrivania dei capi di Stato e dei responsabili delle diplomazie nazionali, su quella dei pensatori e ricercatori di ogni ambito del sapere.

E, quanto di più importante, molto vicino alla coscienza delle singole persone. Di certo, sono già arrivati su quella del più “accanito” e testardo “Vescovo” chiamato da “molto lontano”. È Francesco il Papa, che non si stanca mai di cercare la Pace, secondo il principio contenuto anche nella lettera documento odierna. Principio Evangelico, quello di Francesco. E, perciò, non negoziabile. È questo: la distruzione delle armi. Tutte. Dappertutto. Senza limiti e condizioni. Il pensiero dei più “adulti”, facilmente ricorre ai punti salienti degli interventi e dei documenti “Conciliari”, che valgono per credenti e non credenti, per quella “sua prima volta” in cui la Chiesa di Roma, abbia così apertamente parlato a tutti. Proprio a tutti. Sul terreno politico, basterebbero le parole del De Gasperi del primo dopoguerra, e di Sandro Pertini nel discorso del giuramento davanti al Parlamento della sua elezione a presidente della Repubblica. Chi non le ricorda! “Si svuotino gli arsenali di guerra e si riempiano i granai!”.

Dovrebbero, queste parole, con altre di Moro e di La Malfa e di Spinelli e ben numerosi altri politici-pensatori, teologi e filosofi, economisti e umanisti, essere impresse nelle pareti d’ingresso delle scuole. Magari, al posto di quelle targhe grandi e celesti che “ propagandano ordinativamemente” i progetti finanziati dalla Comunità Europea o dei Governi o delle Regioni, come se fossero un regalo straordinario agli studenti e non un dovere elementare, per giunta tardivo, nei confronti degli istituti della fondamentale formazione dei giovani. Ma di questi appelli son piene le più nascoste bacheche dell’impegno civile! Si dice. Vero. È facile pensarlo. È ancor più facile dirlo. Conviene pure, perché su questa scia possiamo meglio nasconderci nel vecchio alibi, che suona pressappoco così: “e io che posso farci per fermare la guerra? Se la facciano loro. Di certo, non è affar mio. Tra l’altro, è così lontana, che neppure il crepitio delle armi o i “tuoni” di cannoni io sento da qui.” Che stupidaggine! Essere stupidi così è più dannoso, a volte, che essere cattivi.

La stupidità della guerra e di chi la muove e la mia scuola

Ed è su questa stupidità “globalizzata”, che da prof ho tenuto, e tengo, le mie più appassionate “lezioni” ai ragazzi affidatimi. La sintetizzo, con la stessa efficacia, dell’appello dei tre cultori della Pace:” la guerra, e con essa tutte le guerre a decine in atto, è partorita dagli interessi logistici e illeciti e dall’odio. La Politica, nata dallo spirito primario di risolvere ogni contesa riducendole tutte all’interesse generale nella promozione del Bene comune, deviata da questo, oggi, viene utilizzata come arma di guerra. Specialmente, nella parte in cui si annebbia la coscienza dei cittadini sotto la spessa coltre dell’interesse nazionale. Se noi, singolarmente, come individui, compagni, gruppi, famiglie, etnie, tifosi accesi della nostra squadra, fanatici militanti di un qualche credo o fede, trasformiamo, come facciamo purtroppo, la diffidenza verso l’altro in paura e, questa, in rancore e via di seguito nell’odio, e da qui muoviamo prima la nostra maldicenza, poi l’aggressività, quindi la lite e quindi lo scontro fisico e via a seguire verso quello più violento e sanguinario, la guerra, piccola e via via più grande, parte da qui. Da noi. Le guerre “belliggerate” sono identiche a queste. Seguono la stessa dinamica. Non hanno alcunché di diverso. Solo gli effetti distruttivi. Quanto alle guerre lontane, le guerre degli altri, queste riguardano tanto noi quasi quanto i cittadini di quei territori che le subiscono.

Il costo della guerra

Tranne le morti e le mutilazioni delle persone, di peso quasi uguali a quelle delle città e delle terre, il costo della guerra lo paghiamo anche tutti noi, che non ne sentiamo il tragico rumore. È un costo enorme. Se non avvertiamo quello morale, quello materiale dovremmo avvertirlo per l’impoverimento progressivo delle economie nazionali. Per questa consapevolezza, io continuo a battermi contro la guerra. Lo faccio anche per conto di quei ragazzi che, di certo per colpa mia, non hanno pienamente riflettuto sul tema.

Il valore nuovo di un appello antico. Oggi e non domani

Ma veniamo all’appello. Perché quest’ultimo è oggi più significativo e importante? Perché dovrebbe essere sottoscritto da tutti? Perché Francesco, il Papa, e Sergio, il Presidente, ancora una volta insieme, di certo, lo sosterranno? Le ragioni sono molteplici. Ne rappresento alcune. La prima è nell’avverbio di tempo “oggi”. È in questa contemporaneità, in cui le guerre sembrano insuperabili per via della crescita di contrasti e dello spirito di vendetta, che la cessazione della guerra va imposta. Oggi, non domani, cronologicamente intesi. Domani saranno morti altre migliaia di esseri umani e centinaia di bambini. Oggi, domani saranno stati uccisi migliaia di civili inermi e centinaia di donne, la maggior parte, sopravvissute o no, ancor più violentemente stuprate come bestiale istinto maschile e come oltraggio al nemico. Oggi, domani, saranno stati già distrutti centinaia di palazzi, scuole, strade, chiese, piazze, ponti, teatri, stadi. E i campi di grano e di fiori. Oggi, domani saranno spesi in armamenti decine di miliardi di euro, dollari, sterline, per sostituire le armi e le flotte aere distrutti. Armi nuove per armi vecchie. Un calcolo approssimativo segnala che solo per il conflitto in terra Ucraina, tra la Russia aggredente e il paese aggredito, sono già stati bruciati circa quattrocento miliardi.

Solo lì, pensate. E solo in questi due anni. Oggi e non domani, significa tutto ciò che ho detto, riprodotto appena adesso mentre scrivo dalle notizie che giungono dalla Striscia di Gaza e dalle tragiche immagini televisive che le accompagnano. Nuovo attacco del potente esercito israeliano. Questa volta, distrutte per intero le Città di Gaza e quelle lungo la stretta striscia di terra al confine tra due civiltà negate, rinnegate e cancellate. Come la fede nei due Dio unici, assurdamente celebrati e difesi e in nome dei quali si arma il reciproco odio dei fedeli, cittadini. Genti e popoli.

L’attacco di Netanyahu al campo profughi

Per uccidere il numero due di Hamas e il suo luogotenente, il governo di Israele ha ordinato una strage. Un’altra delle tante consumate in questi mesi mesi che ci separano dal quel dannato sette ottobre dal quale, per responsabilità ultima di Hamas, questa nuova follia ha avuto inizio. “Oggi” su quel campo si contano ottanta morti. Sono quelli finora accertati e centinaia di feriti. Intere famiglie distrutte. Il fumo acre si vede da qui. Le urla di paura. Di dolore di mamme e padri e di bambini, si sentono da qui. Non lo vedete quel fumo? Non lo sentite quel grido? È uno. Corale di una voce sola, il cuore straziato dell’Umanità perduta. Sono già quarantamila i civili palestinesi uccisi, in questa strage che finirà “quando ogni pericolo per Israele sarà estirpato”.

Sono le parole che Netanyahu, premier israeliano, ripete continuamente, nella quasi totale distrazione dell’opinione pubblica mondiale, nella riaffermata indifferenza dei paesi occidentale e delle diplomazia internazionale. Lo sapremo alla fine se, come io penso da tempo, questo atteggiamento e quelle stragi non si configurino come “genocidio”. Ovvero stragi di massa, con l’intento cancellatorio di un popolo in quanto tale, che è la stessa cosa, pur se diversamente trattata dal Diritto internazionale. Oggi, pertanto, non è avverbio o sostantivo. È attimo della Vita che non ha più un attimo di tempo. Il documento contro le armi, è importante anche perché fa la guerra alla guerra, nell’unico modo possibile, distruggere le fabbriche di guerra. Quelle che fabbricano le armi. E quelle che producono odio e ignoranza.

La Calabria capitale dei Sud

L’appello dei tre proponenti è più forte dei precedenti, perché nasce in Calabria( non a caso reca la firma del presidente della Regione), delle capitali di ogni Sud del mondo. Una regione del mondo cosiddetto civile, che con il carico enorme delle sue contraddizioni, il Sud globale meglio rappresenta. In essa, infatti, c’è la miseria e la ricchezza, la violenza dei pochi e la bontà dei più. C’è l’ignoranza e la cultura. Le mani insanguinate dei pochi, quelle lorde d’egoismo dei pochissimi, e il pensiero illuminato dal cuore dei calabresi veri. C’è la disperazione e la speranza. L’indifferenza e la passione.

C’è, soprattuto, il sentimento suo più antico, l’Amore per gli altri, e lo spirito sconfinato di solidarietà che lo correda. C’è la ricerca del Bene e il sentire profondo la Pace. Quella che viene dal Mare Nostro, quale rimprovero all’Europa in questa triste attualità. E come dovere di costruire la Pace proprio da qui, dal Mediterraneo, dolente inerme testimone delle morti atroci causate dalla nuova guerra mondiale, la fame e la povertà estrema di interi popoli. La Pace vera, perché fondata sulla giustizia e sui diritti fondamentali della persona. Una patria libera nel proprio paese liberato, tra questi. Giustizia e diritti, senza i quali né Libertà né Democrazia avrebbero vita alcuna. E le stesse religioni sarebbero più ingannevoli di questa politica divenuta brutta, totalmente altro da sé stessa. Io ho firmato l’appello. Firmalo anche tu. E con questo mio stesso sentire. (fc)

LA RIPARTENZA RISCHIA UN AMARO RINVIO LA CALABRIA IDEALE PER DELOCALIZZARE

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Quella tanto agognata ripresa sembra essere a rischio, non solo per l’Italia, ma anche per la Calabria. Nel rapporto L’economia italiana alla prova del conflitto in Ucraina del Centro Studi di Confindustria, si parla, infatti, di una “recessione tecnica”, con un calo, nella migliore delle ipotesi, di -0,2% e di -0,5% nei primi due trimestri a causa degli effetti negativi della guerra, per poi immaginare una previsione (rivista ancora in calo) della crescita del 2022 pari al +1,9%.

Previsioni che, tuttavia, non costituiscono buone notizie per la nostra regione, soprattutto se, tra la serie di rischi non nuovi indicati dal Centro Studi, c’è «uno slittamento dei tempi di attuazione del Pnrr o una sua minore efficacia nell’alzare la crescita potenziale». Un rischio che deve essere impedito, in virtù del fatto che il rilancio e lo sviluppo della Calabria – e del Mezzogiorno – dipende da quei preziosi fondi con cui si possono ammodernare e realizzare nuove infrastrutture, migliorare il welfare, il lavoro e tutto ciò che potrebbe migliorare la vita dei calabresi.

Eppure, il Centro Studi ha evidenziato come «anche gli effetti positivi derivanti dall’implementazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) sono a rischio, perché alcuni degli investimenti previsti potrebbero essere di difficile realizzazione ai prezzi attuali. Inoltre, la scarsità di vari materiali potrebbe rendere difficoltoso realizzare alcuni investimenti nei tempi previsti. È, quindi, probabile che alcuni progetti debbano essere rivisti alla luce del contesto attuale, affinché il Piano possa essere effettivamente implementato».

Ma non è solo il Pnrr a rischio. Come evidenziato dal Centro Studi,  la guerra in Ucraina ha avuto un impatto di non poco conto sull’attività economica, e «agisce come uno shock di offerta profondo, al momento difficilmente quantificabile, perché il quadro è in continua evoluzione».

«In Italia – si legge nel rapporto – i rincari di petrolio, gas, carbone, stanno facendo crescere i costi delle imprese. Da un’analisi svolta con l’utilizzo delle tavole input-output, l’incidenza dei costi dell’energia sul totale dei costi di produzione (a parità delle voci di costo non energetiche) aumenterebbe del 77% per il totale dell’economia italiana, passando dal 4,6% nel periodo pre-pandemico (media 2018-19) all’8,2% nel 2022. In euro, questo impatto si tradurrebbe in una crescita della bolletta energetica italiana di 5,7 miliardi su base mensile, ovvero in un maggior onere di 68 miliardi su base annua. Il settore maggiormente colpito è di gran lunga la metallurgia, dove l’incidenza potrebbe sfiorare il 23% alla fine del 2022, seguito dalle produzioni legate ai minerali non metalliferi (prodotti refrattari, cemento, calcestruzzo, gesso, vetro, ceramiche), dove l’incidenza dei costi energetici potrebbe arrivare al 16%, dalle lavorazioni del legno (10%), dalla gomma-plastica (9%) e dalla produzione di carta (8%)».

«Le imprese – secondo il rapporto – hanno finora in gran parte assorbito nei propri margini, fino ad annullarli in alcuni casi, questi aumenti dei costi, invece di scaricarli sulle fasi successive della produzione. I margini erosi spiegano perché l’inflazione core in Italia è bassa, molto più che altrove. L’unico aspetto positivo è che questo andamento di prezzi e margini ha salvaguardato la competitività delle imprese italiane rispetto a quelle di altri paesi, ma non è sostenibile. Per questo diverse imprese stanno riducendo o fermando la produzione, o prevedono di farlo nei prossimi mesi».

«D’altra parte, i rincari dei prezzi energetici (+52,9% annuo a marzo) comprimono il potere d’acquisto delle famiglie e ciò influirà sull’ampiezza e il ritmo di crescita dei consumi, il cui recupero è stato prima ostacolato dall’aumento dei contagi e ora anche dalla maggiore incertezza che influenza la fiducia, che a marzo è crollata. La normalizzazione della propensione al risparmio delle famiglie, ancora elevata nel 2021 (13,5% in media fino al terzo trimestre) appare quindi rinviata. Famiglie e imprese, infatti, saranno indotte a rivedere cautamente le proprie decisioni di consumo e di investimento. L’indice di incertezza della politica economica per l’Italia è salito del 21,1% nella media dei primi due mesi del 2022 rispetto al quarto trimestre del 2021 ed è destinato ad aumentare ulteriormente da marzo».

Il Centro Studi, poi, ha evidenziato come «La guerra sta amplificando le difficoltà nel reperimento di materie prime e materiali, in particolare per quelli che provengono dai tre paesi coinvolti»e che ciò comporta «in primo luogo, uno shock concentrato in specifiche produzioni. In secondo luogo, poiché si tratta di input a monte delle catene globali del valore, utilizzati in numerose produzioni a valle, gli effetti di colli di bottiglia si amplificheranno lungo le filiere, fino ai beni di consumo e investimento».

«Ma l’export di beni – viene evidenziato – è penalizzato dal conflitto anche perché questo tenderà a rafforzare le strozzature nella rete di approvvigionamento globale, già manifestatesi nel 2021. La specializzazione geografica dell’export italiano, più rivolta ai paesi della UE, non aiuterà; come anche la specializzazione merceologica del nostro export, in cui ad esempio conta molto il settore dei prodotti in metallo».

«I numeri che escono dal rapporto del Centro Studi – ha dichiarato Fortunato Amarelli, presidente di Confindustria Cosenza – allarmano e rendono urgente una azione aggiuntiva rispetto a quanto fatto fino ad ora imponendo un tetto per il prezzo del gas. Perché le misure fin qui adottate dal Governo sul fronte del caro-energia non sono sufficienti ed appaiono di mero respiro temporale mentre i rincari di petrolio, gas e carbone, stanno facendo crescere, purtroppo, i costi per le imprese e ne stanno minando, in non pochi casi, la stessa sopravvivenza».

Per il numero uno degli industriali cosentini, questi rincari potrebbero avere un impatto negativo sull’implementazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza perché gli investimenti previsti potrebbero risultare di difficile realizzazione ai prezzi attuali e nei tempi previsti.

«Proprio di questo tema cruciale, cioè del Pnrr legato alle opportunità e progettualità che potrebbero interessare la Calabria e la provincia di Cosenza in particolare – ha sottolineato Amarelli – abbiamo parlato nei giorni scorsi in occasione del primo Consiglio Direttivo itinerante di Confindustria Cosenza tenuto presso Alfagomma, una delle principali aziende del territorio».

Gli imprenditori hanno rimarcato il ruolo sociale ed economico svolto dal sistema delle imprese, tanto in termini di sviluppo dei territori quanto in termini occupazionali ed hanno chiesto ai rappresentanti di governo delle istituzioni politiche maggiore attenzione per il superamento di alcuni gap che limitano lo svolgimento delle attività, in primis lo snellimento della burocrazia.

«Aziende come l’Alfagomma – ha spiegato Amarelli – ci dimostrano che è possibile fare impresa in Calabria a livelli eccellenti ed in molteplici campi. L’attenzione alle competenze ed al capitale umano, il rigore e la serietà con le quali viene portata avanti l’attività risultano premianti. Se supportati e messi nelle condizioni di poter bene operare, potrebbero svilupparsi tante nuove attività perché non ci difetta la volontà e la capacità di fare. Ciò che abbiamo registrato in questa attività di ascolto sul campo, evidenziata negli interventi degli imprenditori presenti in rappresentanza delle realtà di tutti i territori della provincia ci induce ad essere positivi, a provare a fare sempre di più e meglio in un territorio che abbia consapevolezza del valore strategico delle imprese tanto dal punto di vista economico che sociale».

«Lo sviluppo della Calabria – ha detto ancora Fortunato Amarelli – non potrà che passare anche attraverso l’attrazione di investimenti esterni, come nel caso di Alfagomma. La nostra regione, più di altre, può candidarsi ad essere il luogo ideale per delocalizzazioni domestiche, grazie ad incentivi mirati, minor costo della vita e risorse umane competenti, unite a semplicità di gestione, lingua, legislazione e raggiungibilità che costituiscono un’importante vantaggio competitivo. Bisogna però prestare immediata attenzione alle zone industriali, che da abbandonate e degradate devono diventare luoghi puliti, organizzati ed infrastrutturati».

«Come sempre – ha concluso il presidente di Confindustria Cosenza – è il fattore tempo a determinare il successo di ogni iniziativa, gli esiti della nuova emergenza, che ha cause soprattutto internazionali, limiteranno fortemente gli scambi con l’estero ma tenderanno a riportare in Italia la produzione manifatturiera, occorre essere pronti a cogliere questa opportunità». (ams)