di GUIDO LEONE – L’anno scolastico è ripartito in questi giorni e non c’è da stare allegri.
La pandemia continua a condizionarci la vita e per la scuola nulla cambia. Tutto è rimasto come prima, gli stessi disagi, gli stessi problemi di prima. Niente impianti di aereazione, nessuna prospettiva di ridurre il numero di alunni per classe, inflazione alle stelle, situazione politica caotica, stipendi divorati dalle bollette senza prospettiva di adeguamento economico dignitoso. Intanto bisogna continuare ad assicurare il buon funzionamento della scuola, su uno scenario infuocato dalla guerra Ucraina- Russia dalle conseguenze devastanti per l’economia dei singoli e dello Stato.
Ma di quale scuola?
Stanno provando a parlarne le forze politiche in questa deludente campagna elettorale in vista del rinnovo del Parlamento. Le promesse contenute nei programmi di partiti e movimenti sono numerose, molto impegnative tali da farle apparire un libro dei sogni.
Se è vero come è vero che queste promesse evidenziano un peso finanziario non indifferente nell’ordine di svariati miliardi di euro non compatibili con le note al documento di economia e finanza presentato dal governo Draghi che prevede invece delle riduzioni nelle spese per l’istruzione.
La verità è che nessun partito punta sull’istruzione come motore dello sviluppo del paese ponendola al centro dell’agenda programmatica, però tutti li a far proposte per cui è molto probabile che queste resteranno soltanto delle enunciazioni.
Così come desta preoccupazione il fatto che tra i candidati dei vari schieramenti nella nostra regione nessuno si sofferma a considerare la condizione della scuola calabrese. Vai a sapere che cosa pensano i candidati della scuola, al di là delle parole d’ordine, della scuola viva, della storia della scuola e dei risultati che hanno prodotto trent’anni e più di politiche scolastiche condotte in modo bipartisan dai vari ministri.
La scuola di Reggio e della Calabria, intesa come strumento strategico di crescita del capitale umano in funzione dello sviluppo del territorio, non ha mai avuto complessivamente su di sé l’attenzione piena della rappresentanza politica.
Il nostro sistema scolastico ci restituisce severi aspetti di criticità: una crisi nei risultati scolastici che si manifesta già nella scuola dell’obbligo e che fa prefigurare successivi scacchi formativi; il fenomeno dei debiti scolastici che indica un rapporto non positivo con gli apprendimenti scolastici; i dati più sconfortanti in materia di sicurezza e di adeguamento degli edifici scolastici; un forte turn-over nei comprensori decentrati:mobilità docente esasperata; la permanenza di squilibri territoriali con molti comuni tagliati fuori dall’offerta formativa extra-curricolari per mancanza di servizi, inadeguata integrazione tra sistema dell’istruzione e della formazione professionale; inesistente il dialogo tra mondo della scuola e delle imprese.
E questo solo per citare alcuni aspetti senza pensare che la Calabria sta ancora pagando lo scotto di discutibili processi di dimensionamento che non hanno tenuto conto delle peculiarità territoriali, dei bisogni formativo/educativi di determinate aree a rischio della regione, non razionalizzando i processi di accorpamento delle singole scuole in termini di moderna consortilità intercomunale, come avviene per altro genere indispensabile di servizi alla comunità.
In conclusione, le prove invalsi del 2022 confermano l’arretramento ulteriore degli apprendimenti degli studenti calabresi a tutti i livelli rispetto al periodo pre-pandemia: è un problema grave, che rischia di compromettere il futuro di questa generazione.
Alla preoccupazione suscitata dai test negli ultimi anni, però, non ha fatto seguito una seria azione di recupero a livello regionale. Si può solo sperare che questo ulteriore campanello di allarme sulla perdita degli apprendimenti causata dalla pandemia, che ha pesantemente aggravato una situazione già prima insoddisfacente, sia seriamente affrontata a livello di governo nazionale e regionale e dal mondo della scuola.
È sul territorio, dunque, che si misura la capacità della politica ad affrontare i nodi strutturali di un sistema scolastico come il nostro che manifesta altre criticità ormai consolidate che vanno dagli alti tassi di dispersione, all’analfabetismo primario e di ritorno, alla cultura della illegalità peraltro molto diffusa.
Ma, calandoci nel nostro territorio, quello che ci interessa sapere di più è cosa intendono fare i candidati al Parlamento dei vari partiti per i prossimi cinque anni. Sapere cosa ne pensano del sistema scolastico e universitario ai fini dello sviluppo della nostra regione, quale scuola vogliono per le nuove generazioni.
E siccome abbiamo detto che su questo versante tutto tace suggeriamo noi alcune domande: quale scuola per le nuove generazioni? Come tornare a investire sulla scuola per renderla al passo con le sfide del XXI secolo e per il raggiungimento degli obiettivi comuni dell’Ue?
Quale docente? Quali competenze, percorso di formazione, percorso di carriera? Quale stato giuridico? Quale riconoscimento economico? Quale rivalutazione sociale? Quali proposte per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche?
Esiste una questione meridionale sulla formazione? Esiste un ritardo nello sviluppo della nostra regione alimentato anche da inadeguate e lacunose politiche educative?
Insomma, il futuro della nostra regione e del Paese passa per i banchi di scuola. È così difficile capirlo? (gl)