PANETTA, GOVERNATORE BANKITALIA: CON
INVESTIMENTI E RISORSE SI RIALZA IL SUD

di ERCOLE INCALZA – Tutti i Governatori della Banca d’Italia da Menichella a Baffi, da Baffi a Ciampi, da Ciampi a Fazio, fino a Visco hanno sempre denunciato le criticità presenti nel Mezzogiorno, hanno sempre elencato le motivazioni che rendeva inamovibile una serie di vincoli che non consentivano la crescita di territori ricchi di potenzialità produttive, ricchi di capacità imprenditoriali elevate. Il Governatore Ciampi, addirittura, istituì, all’interno della Banca d’Italia, un apposito osservatorio finalizzato non tanto alla identificazione delle cause di tale fenomeno quanto alla ricerca di azioni e di strumenti necessari per cercare di annullare la resistenza alla crescita presente, in modo particolare, in Regioni come la Calabria, la Sardegna ed il Molise.

Insomma dobbiamo riconoscere alla Banca d’Italia il merito di aver seguito sempre la emergenza Sud e devo anche dare atto che in questo ruolo la Banca d’Italia è stata sempre oggettiva ed ha sempre ricordato che “pur in presenza di azioni mirate dello Stato, pur in presenza di scelte mirate alla infrastrutturazione dell’intero Mezzogiorno, purtroppo gli indicatori dello stato scoio economico del Sud, come ad esempio il reddito pro capite, non sono cresciuti  per niente o gli indicatori legati alla crescita di iniziative industriali non avevano superato soglie accettabili. Tra l’altro in una delle relazioni annuali del Governatore del 2006 leggiamo: «Pur avendo realizzato dal dopo guerra ad oggi infrastrutture come i porti di Cagliari, di Augusta, di Pozzallo, di Gioia Tauro, pur avendo ristrutturato quelli di Taranto e di Salerno e pur avendo realizzato nuove reti autostradali e nuovi impianti aeroportuali, non si è riusciti a incrinare minimamente il gap esistente tra il Sud ed il resto del Paese».

Tutto questo, quindi, per confermare la serietà ed al tempo stesso la oggettività delle analisi della Banca d’Italia.

Ebbene, leggendo le dichiarazioni dell’attuale Governatore Fabio Panetta a Catania in occasione della tappa siciliana del ‘Viaggio con la Banca d’Italia – Il polso dell’economia’, ci rendiamo conto che, indipendentemente dalle gratuite dichiarazioni di alcuni schieramenti politici della opposizione, stiamo vivendo davvero un “cambio di paradigma”, stiamo cioè vivendo un fenomeno che forse non riusciamo ancora a comprendere, un fenomeno che cambia integralmente tutte le descrizioni, tutte le interpretazioni di ciò che, fino a ieri, definivamo la “economia del Sud” o meglio, la “economia retrograda del Sud”.

E devo dare atto a Panetta che, nel suo intervento a Catania, ci ha praticamente svegliato ed informato, in modo analitico, della nuova realtà meridionale.

«Il Sud Italia – ha ribadito Panetta – è cresciuto più del Paese dopo la pandemia e ha ora “occasioni di sviluppo” per la fine della fase globale di delocalizzazione, da un lato, e per la produzione di energia rinnovabile dall’altro. Uno dei motori dello sviluppo del Mezzogiorno è senza dubbio il Pnrr, ma un ruolo chiave va riconosciuto al nuovo ciclo di programmazione dei fondi strutturali e del Fondo di sviluppo e coesione, senza contare il Fondo perequativo infrastrutturale per il Mezzogiorno».

«Una iniezione di risorse che in questo decennio vale “il cinque per cento del Pil” dell’area per ogni anno. Per questo – ammonisce Panetta – è necessario assicurare un impiego efficiente delle risorse, anche preservando in futuro il metodo del Pnrr, che prevede obiettivi ben definiti, un costante vaglio delle modalità di utilizzo delle risorse e interventi a sostegno delle amministrazioni più deboli dal punto di vista gestionale. Più che l’elenco delle opere e delle scelte è vincente il modello delle procedure e della articolazione delle fasi e se serve un allungamento dei tempi per la realizzazione dei progetti previsti non dev’essere un tabù. Qualora a causa dell’ingente ammontare degli investimenti insorgesse un conflitto tra i due obiettivi, efficacia e rapidità, sarebbe preferibile salvaguardare il primo e valutare la possibilità di concordare, soprattutto per le Regioni del Sud, un allungamento dei tempi di realizzazione dei progetti».

Panetta ha poi ricordato come la crescita del Sud osservata negli anni più recenti «sia in parte dovuta a fattori temporanei, legati alla risposta fornita agli shock globali dalle autorità nazionali ed europee». Il Mezzogiorno ha beneficiato «dell’incremento degli investimenti pubblici e del sostegno ai redditi delle famiglie meno abbienti.  Adesso, però – ha ribadito Panetta – è il momento di lanciare il cuore oltre l’ostacolo e di guardare con fiducia al futuro nonostante la congiuntura internazionale. Per quanto possa sembrare paradossale, la fase di incertezza globale che stiamo attraversando può offrire occasioni di sviluppo alle regioni del Mezzogiorno».

«Gli shock geopolitici registrati negli anni scorsi, dalla pandemia alla crisi energetica, fino ai tragici conflitti in atto, hanno reso palesi i rischi connessi con le politiche di delocalizzazione produttiva. Attualmente le imprese dei principali Paesi – rimarca Panetta – pongono enfasi maggiore che in passato sul tema della sicurezza degli investimenti e delle forniture di input di importanza strategica, in particolare l’energia. Sta emergendo la tendenza a collocare le attività produttive entro i confini nazionali o presso Paesi ritenuti affidabili sul piano economico e politico. E in questo scenario «le regioni meridionali garantiscono condizioni di stabilità geopolitica ed economica, anche grazie all’appartenenza dell’Italia all’Unione europea e all’Unione monetaria, rispetto alle destinazioni tradizionali della delocalizzazione produttiva sono collocate in prossimità dei maggiori centri economici europei e al crocevia del Mediterraneo, attraverso cui transita un quinto del traffico marittimo internazionale». L’altro punto di forza è la presenza “di poli scientifici di qualità”, di una forza lavoro “sottoutilizzata” e di un potenziale “mercato di sbocco con 20 milioni di abitanti”.

Queste precisazioni e questa corretta analisi di ciò che, come detto prima, ancora non abbiamo capito penso portino anche alla ricerca dei motivi che, proprio in questo biennio, sì quello dell’attuale Governo, hanno modificato o stanno modificando, le condizioni di crescita dell’intero Sud. Penso che in questo biennio siano maturati almeno quattro elementi che hanno reso possibile questa evoluzione:

La stabilità del Governo, la possibilità del mondo della produzione ed anche delle forze sociali di interloquire con certezza per cinque anni con un Governo ed un Parlamento stabile

La presa d’atto di cosa siano i Fondi comunitari, non solo quelli del Pnrr ma soprattutto quelli legati al Fondo di Sviluppo e Coesione. In questo il confronto tra il Ministro Fitto ed alcune Regioni del Sud ha dimostrato che l’organo centrale non trasferisce all’organo locale delle risorse senza conoscere prima i programmi e le finalità delle singole assegnazioni finanziarie

Il ritorno alla aggregazione dei comportamenti dell’organo centrale nei confronti delle scelte di riassetto strategico della economia del Sud; un comportamento che è stato attuato attraverso la istituzione di una Zona Economica Speciale Unica con un adeguato supporto finanziario; una scelta dopo il fallimento delle otto Zes precedenti, ferme per sei anni con una disponibilità finanziaria ridicola

La coscienza che, come ribadito da Panetta, proprio la sommatoria di criticità, come quelle generate dalle varie guerre, identificano il Mezzogiorno come una delle aree strategiche dell’intera area Mediterranea; una realtà che se non adeguatamente sostenuta a scala nazionale mette in crisi le condizioni di crescita logistica dell’intero Paese

Ora dopo queste dichiarazioni di Panetta sarebbe bene che il Governo nella redigenda Legge di Stabilità proponesse la istituzione di una Conferenza permanente sul Mezzogiorno. Una Conferenza permanente della durata di un semestre da svolgersi a Napoli con la presenza di tutte le Regioni (le otto Regioni del Sud sono una tessera chiave del Paese e quindi è necessario il coinvolgimento di tutte le Regioni), dei Dicasteri interessati, delle Commissioni parlamentari competenti, delle forze sindacali e degli organismi rappresentanti dei grandi assetti produttivi, dell’articolato mondo della finanza.

Una Conferenza permanente, ripeto, della durata di un semestre in cui, riconoscendo questo nuovo processo di rilancio del Sud, si definiscano le condizioni per un riassetto strutturale ed infrastrutturale del Mezzogiorno; si definiscano le condizioni per una crescita stabile di questo processo positivo partito proprio in questo biennio e che non vorremmo terminasse, per colpa di una sottovalutazione delle positività riconosciute da tutti, proprio ultimamente. (ei)

L’OPINIONE / Aldo Ferrara: Bene firma Fsc, ora investimenti in aree industriali e infrastrutture

di ALDO FERRARAI 2,5mld di euro destinati alla nostra regione attraverso il Fondo rappresentano una potente leva finanziaria capace di attivare importanti investimenti in settori strategici per la Calabria: interventi sul sistema di trasporto stradale, su trasporto marittimo, logistica e portualità, a favore della prevenzione in materia idrogeologica, gestione dei rifiuti e depurazione rappresentano un’opportunità da non perdere e anzi da cogliere nel più breve tempo possibile

Parimenti, auspichiamo che una parte di queste risorse siano destinate alla riqualificazione delle aree industriali calabresi: da tempo, infatti, sosteniamo pubblicamente come l’investimento in questo ambito si traduca in un moltiplicatore di opportunità, in una spinta alla capacità dell’intera regione di essere attrattiva rispetto alle intenzioni di investimento da parte di imprese italiane e straniere.

Questo, è forse superfluo sottolinearlo, si tradurrebbe in azioni concrete per la riduzione delle distanze sociali ed economiche della Calabria rispetto al resto del Paese e dell’Europa: esattamente le finalità per le quali è nato il Fondo di Sviluppo e Coesione. Questi temi sono stati al centro dei più recenti incontri con il presidente della Giunta regionale, Roberto Occhiuto, il quale ha manifestato sensibilità e attenzione: ora c’è la concreta opportunità di tradurre in azioni concrete gli intendimenti forti e particolareggiati di cui abbiamo fin qui discusso. Siamo fiduciosi che ciò possa avvenire rapidamente così da consegnare alla Calabria lo strumento che, assieme alle infrastrutture, più di altri sarà capace di determinare lo sviluppo sociale ed economico della regione. (af)

[Aldo Ferrara è presidente di Unindustria Calabria]

VIVA LE ZES, ZONE ECONOMICHE SPECIALI
MA QUELLA CALABRESE È ANCORA FERMA

di PIETRO MASSIMO BUSETTAQualcuno vorrebbe farne un programma per Chi l’ha visto. Qualcun altro, nella rimodulazione dei fondi del Pnrr, vorrebbe recuperare i 630 milioni che sono statI destinati ad esse. Parlo delle cosiddette Zone Economiche Speciali che, varate nel 2018, sembrava che stessero decollando. 

In realtà sembra invece che vi siano da parte di alcuni molti dubbi sulla loro utilità, come periodicamente avviene in Italia.  Infatti anche se le Zes sembrano comincino a dare i risultati le perplessità sembrano sempre più diffuse. 

Ma  d’altra parte l’alternativa, nel caso di fallimento delle stesse, sarebbe quella che il Mezzogiorno abbandonasse la sua vocazione manifatturiera, cosa assolutamente inopportuna se si vuole che si creino quei posti di lavoro indispensabili per far si che il tasso di occupazione di tutto il Paese possa avvicinarsi a quel 50% necessario e opportuno delle realtà a sviluppo compiuto.

 E certamente il recupero del tasso di occupazione non può che avvenire laddove i margini di recupero sono più elevati, cioè al Sud. Ma recentemente delle zone economiche speciali si è sentito parlarle sempre meno, sembra che la determinazione con la quale venivano seguite dal precedente Governo stia in qualche modo diminuendo. Ricordare che è  necessario creare nel Sud un numero di posti di lavoro pari a circa 3 – 4 milioni, se si vuole che il rapporto tra popolazione ed occupati sia di uno o due, non è inutile. 

Perché confrontarsi sempre con la dimensione quantitativa porta a capire meglio quali sforzi sono necessari, per riuscire ad avere un indirizzo ed una rotta chiara e precisa. La vulgata, adesso prevalente, sembra essere quella che in realtà manchino i lavoratori piuttosto che i posti di lavoro e ci si chiede come fare ad occupare quelle posizioni che rimangono non servite. Se devono essere gli italiani che bisogna far alzare dalle loro poltrone, sulle quali qualcuno è convinto sono ormai adagiati grazie a un welfare eccessivo, oppure se dobbiamo far arrivare flussi consistenti di extracomunitari per coprire le esigenze occupazionali delle nostre imprese. 

A me sembra che si stia distorcendo la realtà e che l’esigenza di creare nuova occupazione sia sempre cogente. Ed è evidente che i numeri di cui parliamo possano essere creati solo se vi sarà un manifatturiero adeguato. Tale evoluzione non potrà avvenire che con l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area, cosa possibile soltanto se vi saranno delle aree nelle quali le condizioni di insediamento possano essere più favorevoli. 

Questa, però, che sembrava essere una posizione condivisa sembra avere sempre meno sostenitori e che si stia tornando ai generici aiuti a pioggia, favoriti anche dal Pnrr, che sembra possa dare aiuto a tutti. L’esempio della diminuzione del cuneo fiscale, adottato per tutto il Paese, dimostra come in realtà si sia tornato alla finzione che il Paese è uno e che il dualismo prevalente possa essere dimenticato. 

I vincoli esistenti per il Mezzogiorno evidentemente a qualcuno stanno troppo stretti ed allora il tema di smantellare quello che si è costruito fino ad adesso sembra essere un obiettivo primario, con piccoli passaggi che in realtà spesso non hanno alcuna evidenza nell’opinione pubblica, ma che alla fine portano a distruggere la sistematicità di un intervento che non può portare che al fallimento di esso. 

 Il manifatturiero del Mezzogiorno ormai da oltre 10 anni non cresce, perché quello che riusciva ad esprimere l’imprenditoria meridionale si vede che ha raggiunto il suo massimo e non può avere che incrementi limitati. D’altra parte come è stato dimostrato da tutte le realtà a sviluppo ritardato, compresa quella Germania dell’Est, che sta raggiungendo livelli di sviluppo interessanti e sta diminuendo il gap con la Germania dell’Ovest, il corpo fondamentale della crescita occupazionale non può che venire che dal settore manifatturiero. 

Per questo le Zes diventano fondamentali per offrire quelle condizioni minime necessarie per attrarre investimenti, come una realtà infrastrutturata e con criminalità contenuta e messa all’angolo, oltreché le condizioni di vantaggio, come un cuneo fiscale che faccia competere il costo del lavoro con quello che altre Zes europee possono praticare e la possibilità di poter avere una tassazione sull’utile d’impresa più contenuta. 

Per cui è necessario che, laddove le condizioni complessive del Paese diventano più vantaggiose, quelle relative alle Zes del Mezzogiorno lo diventino ancor di più, altrimenti le localizzazioni avverranno dove le condizioni complessive sono più favorevoli e la presenza di altre aziende farà sì che ci siano dei vantaggi competitivi che nelle realtà più periferiche non ci sarebbero.

Alcune volte sembra che questa visione complessiva si perda. Mentre l’esigenza è quella che questo sistema di vantaggio possa essere trasferito anche nel settore dell’accoglienza turistica idea che finalmente pare stia diventando patrimonio comune se è vero che 

 il direttore di Unicredit Sud, Ferdinando Natali, afferma che si potrebbe pensare anche a vere e proprie Zone Economiche Speciali a vocazione turistica. Quindi altro che abbandonare il sistema ma piuttosto estenderlo anche ad altre branche oltre che al manifatturiero. 

Quindi la struttura delle Zes va ulteriormente potenziata. Come dice Giusy Romano, commissario per la Zes campana e calabra I comuni meridionali, che stanno dimostrando in molti casi di non riuscire a utilizzare i fondi del Piano Nazionale Ripresa possono chiederci di fungere da stazioni appaltanti». 

 Le Zes «si basano su due pilastri. Una logica premiale per le aziende già insediate e che vogliano ampliarsi. E poi una logica di attrazione per gli investimenti di chi intenda allocarsi nell’area. L’obiettivo che ci preme maggiormente è la ricaduta sul territorio, in termini di Pii e di indotto». 

E continua rispetto alle strategie dell’attrazione che cominciamo ad essere patrimonio condiviso:”Andare noi a convincere gli investitori esteri che hanno tutta la convenienza a venire qui, da un lato, e poi portare gli stranieri in visita qui da noi, così da poter toccare con mano la qualità del prodotto che gli offriamo». Forti anche del fatto che una Zona Economica Speciale può durare 21 anni, e che l’Authority di gestione non è a tempo, come avviene anche nelle altre parti del mondo dove le Zes già esistono da decenni. Insomma sarebbe un peccato tornare indietro ora che sembra comincino ad andare a regime. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]