LA VARIA PATRIMONIO UNESCO, RISCHIA
DI DIVENTARE UNA FESTA DA STRAPAESE

di SANTO STRATI – Alcuni calabresi sparsi in varie località del mondo mi hanno scritto chiedendo notizie della “festa di Palmi, quella della Madonna” che si tiene ad agosto… Non ricordavano che si chiamasse Varia e non sapevano dove cercare informazioni: quale più evidente segnale che la grande festa della Devozione, patrimonio immateriale dell’Umanità per l’Unesco, non trova la dovuta promozione, adeguata al valore simbolico che l’evento stesso rappresenta.

Al contrario della festa di Santa Rosa a Viterbo (altro patrimonio Unesco unitamente alla Discesa dei Candelieri di Sassari) che riesce ad avere un’eco mondiale. Ma il confronto non regge: la Varia è tutt’altra cosa, è una rappresentazione di sapore rinascimentale che utilizza persone vere (l’animella, il Padreterno, gli angeli, etc), ovvero figuranti reali che danno un particolare senso alla devozione popolare.

La Varia, originariamente era un evento a cadenza triennale o quadriennale, poi lo scorso anno il sindaco di Palmi Giuseppe Ranuccio – sembrerebbe senTIza consultare nessuno – ha deciso che ci sarebbe stata anche quest’anno. Nulla di che, anzi un appuntamento aggiuntivo con la Fede e l’impegno appassionato dei mbuttaturi e di quanti, in un modo o nell’altro, collaborano alla realizzazione di questo meraviglioso evento che ha caratteristiche di unicità mondiali.

Solo che, pur avendo ricevuto sostanziosi contributi da Reggio e Città Metropolitana, la Città di Palmi sta facendo di tutto per trasformare un evento popolare di respiro mondiale in una modestissima festa strapaesana, di cui non importa nulla ad alcuno.

Tutto ciò è inaccettabile. Non ci interessa sapere l’ammontare dei debiti che la Fondazione ha accumulato (probabilmente più per eventi legati all’Estate Palmese, che alla Varia) perché, nel caso riguarda la magistratura, ma non si può vedere ridotta in una festa paesana una tradizione ricca di storia e di grande suggestione turistico-culturale.

Con il rischio di vedersi ritirare la qualifica Unesco (possibile, ove non vengano rispettati i requisiti prestabiliti nel 2013 dall’apposita Commissione) e togliere ai calabresi un vanto che riempie dì orgoglio non solo i palmesi bensì tutta la regione.

Ebbene, la sensazione che di Varia quest’anno si parlasse poco o niente, che avevo avvertito, è divenuta rapidamente realtà: qualche breve notizia nei quotidiani locali (nelle pagine provinciali, nemmeno regionali), vuoto assoluto nei media nazionali e persino sui social. Frutto evidente di una mancata programmazione e dell’assenza dei più elementari principi di marketing territoriale.

Intendiamoci, non è solo sulla Varia che la Calabria, intesa come Regione, toppa clamorosamente nella promozione e nella comunicazione. Abbiamo esempi in quantità industriale che non val la pena nemmeno di citare, tanto sono evidenti i modestissimi risultati ottenuti in termini di attrazione turistica e culturale. Il sospetto è che in Regione abbiamo a che fare con dilettanti allo sbaraglio che trovano, con grande abilità contabile, i fondi necessari per far realizzare eventi e manifestazioni, ma poi scivolano sulla necessaria azione promozionale da attuare sulle stesse.

In poche parole, non puoi organizzare un evento e poi trascurare di farlo sapere in giro. Il tam-tam va bene per la presentazione di un libro o un convegno di giuristi o professionisti e quello che sia, ma di fronte a eventi della portata della Varia è impensabile non studiare un piano di comunicazione efficace e foriero di grandi risultati.

Nel caso specifico, quest’anno, hanno giocato contro alcune scelte poco felici dell’Amministrazione, ma si può giustificare l’inezia con cui è stata affrontata un’edizione – fuori calendario della tradizione – calpestando un minimo di buon senso e riducendo il tutto a una festa di piazza, bellissima quanto volete, ma molto vicina a una giornata da strapaese di cui non rimarrà traccia.

Eppure la Varia ha una storia antica e sorprendentemente suggestiva, ricca di valori che partono

dalla fede e dalla devozione e finiscono all’idea di una comunità praticante, impegnata in mille modi diversi alla riuscita dell’evento.

Il marketing territoriale è una spina nel fianco della Regione e si continua a perdere occasioni e opportunità di valorizzazione di territori, luoghi, eventi e personaggi che hanno dato e danno lustro alla Calabria. Abbiamo decine e decine di testimonial del passato su cui costruire una narrazione di cultura unica e inimitabile, ma in Regione si dimenticano di ricorrenze, anniversari e occasioni, mentre sono attenti alle feste in costume medievale (ottima iniziativa, per carità) o alle rassegne e festival di tarantella e peperoncino, che sono pur sempre – diciamo – marcatori identitari di questa terra. Ma non è con la festa della ‘ndujia che si può creare attrazione culturale, sostenere e alimentare, per esempio, il turismo religioso (trascuratissimo in Calabria), attivare nuovi interessi su una vastissima platea di potenziali visitatori.

I numeri del mese di agosto del Museo dei Bronzi, peraltro, indicano chiaramente che c’è un forte afflusso di “forestieri” che amano scoprire la millenaria civiltà magnogreca e i due capolavori restituiti dal mare. Ulteriori segnali positivi sono venuti da altri siti archeologici di un certo interesse, ma la trascuranza che l’Ente Regione dedica all’enorme patrimonio archeologico della Calabria sfiora l’orrore. Non si può tollerare che, nonostante la ricchezza artistica, culturale – oltre a quella paesaggistica e ambientale –, i numeri del turismo calabrese siano modestissimi. La narrazione “turistico-culturale” della Calabria va completamente ripensata e non si può improvvisare (come è stato fatto fino ad oggi). Non ci sono giustificazioni – e il caso della Varia 2024 parla da solo – a coprire la mancanza di visione e presumibilmente l’enorme incompetenza di chi deve decidere sulle iniziative necessarie per promuovere eventi e manifestazioni.

È facile riempire le piazze con concerti gratuiti (pagati da noi contribuenti) con nomi di grido: ma cosa portano in termini di promozione turistica? Forse zero.

Palmi, con la sua tradizione e la sua macchina a spalla “animata”dovrebbe avere servizi televisivi in tutto il mondo, pagine di quotidiani nazionali e internazionali, potrebbe richiamare una grande affluenza di pubblico (che ci sarà comunque, ma ristretta agli ambiti della provincia), che a sua volta avrebbe fatto da testimonial di una Calabria non solo accogliente e straordinariamente bella, ma anche ricca di suggestioni uniche come la Varia. (s)

Bevacqua (PD): Mettere in sicurezza il territorio e programmare interventi concreti per agricoltura e turismo

Il capogruppo del Pd in Consiglio regionale, Mimmo Bevacqua, ha ribadito che «serve prima mettere in sicurezza il territorio e poi programmare interventi concreti per sviluppare agricoltura e turismo e non spese che lasciano molti dubbi come quella voluta dalla giunta a Milano».

«Una classe dirigente che non ha come mission quello di porsi il problema del dissesto idrogeologico dovrebbe cambiare mestiere. Senza un territorio sicuro diventa inutile parlare di ambiente, turismo e agricoltura – lo ha detto il capogruppo del Pd Mimmo Bevacqua nel corso del suo intervento in Consiglio regionale –. Né può essere una giustificazione che sia la burocrazia a rallentare la spesa dei fondi destinati al comparto».

«Se è così serve che la politica – ha continuato – si adoperi per risolvere il problema e accelerare i processi. Dobbiamo porre la questione al centro anche delle iniziative finanziate dalla Comunità europea perché si arrivi a risultati concreti che abbiano ricadute sul territorio e facciano aumentare il Pil. Ad esempio l’investimento da due milioni e seicentomila euro a Milano, sul quale sta montando la polemica mediatica, è da considerarsi utile alla Calabria o è un investimento a perdere che non porta nulla di concreto ai calabresi? Pongo questo problema all’attenzione dell’Aula anche dopo le osservazioni che sono arrivate dall’ex assessore Fausto Orsomarso che ha mosso diverse critiche all’operato della giunta».

«Dobbiamo capire – ha concluso – cosa intendiamo per turismo, per promozione e marketing del territorio e capire cosa vogliamo realizzare con i fondi che abbiamo a disposizione. Di sicuro prima è necessario mettere in sicurezza il territorio e poi avere una visione chiara degli obiettivi che vogliamo raggiungere e potenziare realmente settori nevralgici come agricoltura e turismo». (rrc)

IDEE / Bisogno di creatività per gli imprenditori del Sud (di Mauro Alvisi)

di MAURO ALVISIIl modello competitivo d’impresa e società che va delineandosi soddisfa le caratteristiche basi del mio progetto “La Palestra delle idee” che presentai a Confindustria Veneto in un Convegno con il Ministero dell’istruzione nel 2004 a Longarone (BL). Un modello in cui le persone e la loro capacità creativa hanno un ruolo fondamentale.

Allora sostenevo che occorresse cercare talenti, stabilendo contatti con le scuole del territorio, prima con gli istituti professionali, (a Draghi fischieranno le orecchie…) quelli tecnici e i licei poi, via via che la sfida si faceva più complessa, con le università.

Un’idea ripresa oggi da un progetto nuovo chiamato LIBERALEUROPE che sto cercando di promuovere.

L’impresa, la parola lo spiega bene, specie in Italia e di questi tempi, è un’avventura, qualcosa che si rinnova sempre, al contrario dell’azienda che è sinonimo di replicabilità.L’unicità delle idee e del talento è inimitabile,la replicabilità appartiene ad altri mondi e non al nostro, né più la  catena di montaggio. 

E in quest’ottica il modello gerarchico chiuso di gestire un’impresa, un partito, un team è morto e sepolto.

I collaboratori, i tesserati, non sono dipendenti ma attori in prima  persona. Non sono un numero. Sono soggetti e non oggetti, attori  e non spettatori o meglio “consumattori”, termine che coniai personalmente nel 2003 durante la Crociera del Marketing davanti alla platea delle blue chip e multinazionali in Italia. Allora ero considerato un guru della materia. Poi questa veste mi è andata stretta. Occorre svecchiare i ruoli e l’immagine che abbiamo e diamo di noi stessi.

Occorre creare un “vivaio”: Come nelle squadre di calcio o di basket. Stabilire un contatto a partire dalle scuole elementari dove il genio già appare con visite di orientamento e progetti comuni: va dato ai ragazzi tempo di capire se un lavoro, una professione può essere interessante per loro, e se ci sono opportunità di farli crescere occorre farlo senza indugi perché il nostro futuro sono loro.

Le sette main road della Palestra delle Idee :

1. Valorizzare il territorio 

Cercare e orientare talenti equivale a  promuove iniziative sul territorio anche nel periodo estivo, come Impresa per tutte le età, un laboratorio di formazione per “ragazzi” dai 6 agli 80 anni: l’università della Strada. 

Lo sviluppo, con le idee innovative, come le Start Up del Sud, la gioventù trainante il Paese, e il  Giffoni Film Festival lo dimostrano, non avviene solo nei grandi centri, ma ovunque ci sia qualcuno che lo sogni, lo pensi lo voglia e lo progetti. Un’impresa esiste se sa far rete ma se soprattutto dialoga con il proprio territorio.

Genius e Loci sono una sola cosa.

2. Giocare d’anticipo e sedurre anziché soddisfare 

Cercare di anticipare i desiderata del mercato e del cittadino elettore. Anzi indurlo seducendolo (conducendolo a sé). Allargare la propria base relazionale, individuando nuovi scenari sui quali lavorare.

L’unico vero capo di un’azienda è il cliente e di una comunità civica e democratica il cittadino elettore. Che oggi è un prosumer capace di consumare e produrre contenuti (i prodotti  e le app son sempre più user generated): senza di lui non c’è stipendio per l’imprenditore, né poltrona da onorevole, sindaco o governatore. né per il loro staff. 

3. Creare un brandscape 

Dove risiedere e far risiedere il patrimonio tangibile e allo stesso momento più intangibile e più importante per l’impresa e la comunità che è l’essere umano, la gente, people. Una volta assunti  non devono trovarsi di fronte una struttura gerarchica, ma ad un nuovo territorio dell’immaginario euforico, una wonderland professionale dove si lavora in gruppo su progetti comuni. Sta all’intraprendenza di ognuno trovare e generare nuovi progetti su cui lavorare.

4. Fare rotta verso il cambiamento come verso l’isola del tesoro

A che serve imporre soluzioni? Il vero cambiamento non risiede nel allenare al problem solving ma nell’allenare a rovesciare i problemi in opportunità: L’abilità di cercare continuamente è più performante di quella di trovare ogni tanto e occorre gente che si ponga problemi e lavorare insieme con chi pone il problema. Cercare l’inconsueto e non l’obsoleto, il sentiero stretto più che l’autostrada che tutti battono. 

5. Una benzina chiamata fiducia

È rivoluzionario dare fiducia e contemplare che possa anche venire tradita. Non importa, è un processo irreversibile quello del dono che potenzia ogni ruolo; donare fiducia all’intera catena di valore. Il dono non è mai simmetrico e chi lo riceve prima o poi lo concede indietro superandolo.

6. Fare rete nell’infosfera della good reputation

Costruire e mantenere buona reputazione e relazioni di scopo è vitale per l’impresa e la società postmoderna. Impresa 3.0 o 4.0 ? ma che importa la last version ? Stiamo passando dalla cultura zero defect a quella zero defection quella dove il  centro non è cancellare ogni difetto ( spesso è il piccolo difetto a sedurre) ma cancellare il rischio di venire lasciati a terra su un’isola deserta dal cliente, dai partner, dalle istituzioni, dai cittadini, dai collaboratori, dai media, dai fornitori, dai talenti.

Per questo occorre una “coltura d’impresa” ancor di più di una cultura d’impresa. Non è un gioco di parole seminare e coltivare relazioni per raccogliere benessere e successo personale e collettivo.

7. Analizzare chi ci sta davanti e non dimenticare mai quelli indietro

Occorre un duplice benchmark : 

a) analizzare sempre la best practice di chi ci precede, capirne i meccanismi, le dinamiche competitive vincenti e assumerle come modello di confronto dinamico; 

b) Avere consapevolezza che in fondo alla scale, spesso nei bui sottoscala dell’umanità sofferente c’è quanto più potenziale di svolta si possa mai immaginare. Pensare agli ultimi non è solo un dovere di noi tutti ne tantomeno facile filantropismo ma è un continous learning by defending and saving di rivoluzionario aspetto di welfare doing e wellness creating. ′

[Mauro Alvisi è docente 

universitario, esperto di marketing]