MANCA LA GIUSTA SANITÀ NEL BASSO JONIO
COSENTINO: LE ISTITUZIONI INTERVENGANO

di ANTONIO LOIACONONell’entroterra del Basso Jonio cosentino, l’anima e il corpo dei cittadini sono affidati a due strutture fondamentali: da un lato, il personale “ecclesiastico” che si prende cura della comunità e che non manca mai nelle proprie “sedi”; dall’altro, “i medici di famiglia” (queste chimere!) che dovrebbe garantire la necessaria assistenza medica in caso di necessità: figure in via di estinzione nei piccoli centri jonici, con conseguenze drammatiche per i residenti.

A Terravecchia, Scala Coeli, Mandatoriccio, Campana, Bocchigliero ed in tante altre piccole realtà, la carenza di medici di famiglia non è soltanto un problema di accesso alle cure primarie, ma influisce pesantemente anche sul sistema di emergenza. I pronto soccorso delle strutture ospedaliere, già oberati dalla mancanza di personale e risorse, diventano la prima e spesso unica opzione per molti cittadini, costretti a rivolgersi a essi anche per problemi che potrebbero essere gestiti in modo più appropriato da un medico di famiglia. Questo sovraccarico contribuisce a congestionare ulteriormente le strutture ospedaliere, mettendo a repentaglio la qualità delle cure per tutti i pazienti.

Una delle sfide più pressanti per i cittadini di questa area è la difficoltà nel trovare un medico di famiglia. L’accesso a una figura medica di riferimento dovrebbe essere un diritto fondamentale, ma per molti abitanti dei comuni dell’entroterra diventa un’impresa ardua. Trovare un medico disponibile a visitare e prescrivere cure diventa un vero e proprio calvario, costringendo le persone a rivolgersi al proprio medico, attraverso le “chat sanitarie”: “Che farmaco devo prendere, dottò? Mi mandate la ricetta? “. Queste risorse digitali non possono e non devono sostituire l’attenzione e la competenza di un medico “in carne ed ossa”! Spesso, i pazienti, sono lasciati senza risposte adeguate alle loro necessità mediche che dovrebbero, invece, essere risolte “de visu”.

Anche le postazioni di guardia medica, seppur cruciali per garantire assistenza notturna, non sono esenti da problemi. La loro presenza non è uniforme tra i comuni dell’entroterra, lasciando molte aree prive di un punto di riferimento per le emergenze notturne. Anche quando sono presenti, queste postazioni possono essere sottodimensionate o mal equipaggiate, rendendo difficile garantire un servizio adeguato a chi ne ha bisogno.

In definitiva, la situazione sanitaria nell’entroterra del Basso Jonio cosentino è critica e richiede interventi urgenti da parte delle autorità competenti. È necessario investire nelle risorse umane e strutturali per garantire un accesso equo e adeguato alle cure mediche di base, così da evitare che i cittadini debbano continuare a lottare per ottenere assistenza sanitaria essenziale. 

Una possibile soluzione potrebbe essere l’implementazione di iniziative volte a incentivare i medici e gli operatori sanitari a stabilirsi in queste aree, magari offrendo incentivi o agevolazioni fiscali. È importante rendere queste zone più attrattive per i professionisti della salute, in modo che possano offrire cure adeguate e continuative alla popolazione locale.

Le istituzioni locali e regionali devono collaborare attivamente con le comunità e i professionisti della salute per identificare soluzioni su misura ed affrontare le sfide specifiche di queste aree. È necessario un approccio olistico che tenga conto delle esigenze specifiche della popolazione locale e che promuova la partecipazione attiva dei cittadini nella pianificazione e nell’implementazione di nuove strategie sanitarie: è importante sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere una maggiore consapevolezza riguardo alle sfide e alle necessità del sistema sanitario in queste aree. 

Questa situazione non solo è fonte di frustrazione per i residenti, ma rappresenta anche un rischio per la salute pubblica. La difficoltà nel ricevere cure mediche tempestive e adeguate potrebbe portare a gravi conseguenze per i pazienti, compromettendo la qualità della vita e l’efficacia del sistema sanitario locale.

È evidente che sia necessario un intervento urgente per migliorare l’accesso ai servizi sanitari in questi comuni dell’entroterra. La mancanza di medici di famiglia e di risorse nelle strutture sanitarie locali rappresenta una sfida che richiede l’attenzione delle autorità competenti e un impegno concreto per garantire a tutti i cittadini un accesso equo e tempestivo alle cure mediche di base.

Affrontare questa emergenza sanitaria, richiederà un impegno congiunto da parte delle autorità locali, regionali e nazionali, così come una stretta collaborazione tra istituzioni sanitarie, associazioni professionali e comunità locali. Un approccio integrato e cooperativo consentirà di superare queste sfide: è tempo di agire con determinazione per porre fine a questa storia annosa e dannosa e assicurare un futuro più sicuro e salutare per le nostre comunità. (al)

 

Più di 80 medici di famiglia entreranno in servizio nella Provincia Reggina

Sono più di 80 i medici di famiglia che presto prenderanno servizio nel territorio di Reggio e della Provincia reggina.

Si tratta degli «ultimi medici di medicina generale che abbiamo preso nell’anno appena trascorso. Siamo riusciti a recuperare il gap esistente dal 2018 accelerando tutte le procedure e adesso siamo in regola: abbiamo preso tutti i medici che potevamo prendere», ha spiegato la dott.ssa Lucia Di Furia, direttore generale dell’Asp di Reggio, nel corso di un incontro informativo organizzato assieme all’Ordine dei Medici della Provincia di Reggio e svoltosi nell’Auditorium dello stesso Ordine.

«E l’incontro di oggi – ha spiegato – è servito per fare una sorta di patto di buona abilità medica. In particolare – continua la dottoressa Di Furia – si è parlato dell’importanza dell’appropriatezza prescrittiva. Vuol dire che quando un medico prescrive un farmaco deve rispettare certe regole e deve essere capace di dare al paziente il farmaco meno costoso perché questo libera risorse per tutti gli altri pazienti. Anche gli esami del sangue e quindi gli esami di diagnostica, devono essere prescritti quando c’è bisogno ed anche seguendo un percorso preciso che non si può saltare».

Soddisfazione è stata espressa dal dottore Pasquale Veneziano, presidente dell’Ordine dei medici della provincia di Reggio Calabria.

«Sono medici e degli odontoiatri che assumono un nuovo incarico e questo incontro è importante – ha evidenziato – perché bisogna dare agli stessi delle linee d’indirizzo sulle prescrizioni, oltre a definire il tipo di rapporto tra colleghi. Perché molte disfunzioni nascono, in genere, proprio dal fatto che un paziente viene rinviato da un medico allo specialista, e viceversa, oppure che si facciano delle prescrizioni ritenute poi non necessarie o addirittura richieste dagli stessi pazienti che, peraltro, non possono talvolta essere rilasciate dal medico». 

«Occorre, quindi, una collaborazione continua tra i diversi medici – ha proseguito – proprio per non lasciare al paziente quella sorta di insicurezza che può danneggiarli sotto il profilo psicologico, dovendo gli stessi vagare tra le varie strutture sanitarie con una grave perdita di tempo. Bisogna, quindi, migliorare ulteriormente l’organizzazione della nostra sanità e in questo contesto un ruolo fondamentale lo assume il medico di medicina generale che fin dall’inizio dovrà pianificare assieme al paziente tutto il percorso che lo stesso dovrà seguire nella diagnostica e terapia della sua patologia». 

«Aveva già iniziato questo percorso il dottore Gianluigi Scaffidi e poi portato avanti dalla dottoressa Di Furia, concludendo a tal modo la procedura d’assegnazione di questi incarichi», ha ricorda il dottore Francesco Biasi, consigliere dell’Ordine, nonché responsabile Commissione Ospedale – Territorio dello stesso Ente e neo segretario provinciale della Fimmg.

 «Oggi, per la prima volta – ha detto ancora – possiamo dire che la provincia di Reggio si è allineata con le direttive della Regione Calabria anche se la richiesta di medici di famiglia rimane molto alta per diverse cause. Perché fare il medico massimalista, con circa millecinquecento pazienti, rimane sempre qualcosa di molto pesante e diversi medici dopo un po’ di tempo rinunciano. L’incontro informativo di oggi – continua Biasi – è servito a delineare lo stato dell’arte, la spesa farmaceutica, ciò che si può prescrivere o meno e, la cosa più importante, si è discusso sul fatto di educare il paziente all’utilizzo dei farmaci perché molte volte è lo stesso che richiede medicine spesso inutili».

Per il segretario dell’Ordine, dottore Vincenzo Nociti, è stato un incontro importante anche per i rapporti che si creano tra Medicina e paziente.

«Èfondamentale che i medici, oltre al proprio sapere scientifico ed abilità professionale – ha concluso – si sappiano interfacciare con i propri pazienti per quanto riguarda l’empatia. Oggi gli stessi vogliono essere attenzionati, quasi coccolati, ed i medici oggi devono avere questa sensibilità. È importante avere alla base una certa umanità perché senza di questa diventa una professione come le altre. E i medici hanno qualcosa in più che è importante applicare per una formazione sempre più completa». (rrc)

CATANZARO, I MEDICI DI FAMIGLIA SONO
SULL’ORLO DI UNA SERIA “CRISI DI NERVI”

di GIACINTO NANCI – «Dottò mi avete sbagliato l’impegnativa, dottò mi dovete sdoppiare l’impegnativa, dottò mi hanno detto che l’impegnativa va fatta così etc. etc.». sono queste le osservazioni che, più e più volte, quotidianamente voi assistiti fate a me vostro medico di famiglia.

Tutto questo avviene da quando è stato pubblicato sul Bur della Regione Calabria nel lontano 2019 il nuovo tariffario regionale delle prestazioni sanitarie. Il tariffario contiene per ogni prestazione sanitaria un codice (numero), una denominazione precisa e un numero di branca specialistica.

Ogni medico prescrittore per prescrivere una visita specialistica o qualsiasi esame deve apporre sulla impegnativa il codice della prestazione, la denominazione e il numero di branca che sono indicati nel nuovo tariffario regionale pubblicato e diventato legge regionale e che tutti dobbiamo applicare. Alle prime osservazioni degli assistiti la prima cosa che ho fatto è stata quella di chiamare i gestori del mio programma di gestione della cartella clinica computerizzata degli assistiti perché implementassero il nuovo tariffario regionale della Calabria nel programma che è il più diffuso in Italia e denominato Millewin.

La loro risposta è stata che lo avevano già fatto e che anzi la regione Calabria è stata la regione che li ha fatti dannare di più (hanno usato proprio questo termine) per la corretta implementazione. Quindi il nuovo tariffario regionale, anche per certificazione della regione Calabria, sul mio programma è correttamente implementato e le mie prescrizioni sono conformi ad esso. E allora perché gli assistiti sono costretti ad un andarivieni per “correggere” le mie impegnative prescritte correttamente?

Lo sono perché proprio le strutture sanitarie regionali calabresi sono quelle che non applicano correttamente il nuovo tariffario e quindi non sono in grado di “accettare” le impegnative fatte in rispetto del tariffario regionale. Gli assistiti sono costretti all’andarivieni perché poi le prescrizioni non conformi al tariffario regionale richiesti dalle struttura sanitarie (laboratori analisi, poliambulatori, esami strumentali visite specialistiche etc.. etc.. ) non sono dematerializzabili dal programma di gestione della cartella clinica dell’assistito e quindi devono essere prescritte su ricetta rossa non inviabile per email e si deve ritirare in studio.

Ma come è possibile che a più di tre anni dalla pubblicazione del tariffario regionale le strutture sanitarie regionali calabresi non sono riuscite a modificare i loro programmi di ricezione delle impegnative prodotte dai medici prescrittori in linea con il nuovo tariffario regionale?

Eppure la Calabria è stracolma di commissari alla sanità: da 13 anni in applicazione del piano di rientro sanitario regionale abbiamo il commissario regionale alla sanità, da più di 4 anni abbiamo commissariate tutte e cinque le aziende sanitarie e sempre da 4 anni abbiamo commissariati i tre grandi ospedali regionali Pugliese-Ciaccio di Catanzaro, Annunziata di Cosenza e Morelli di Reggio Calabria e abbiamo commissariato anche il policlinico Mater domini di Catanzaro. Ma il commissariamento non dovrebbe essere sinonimo si efficienza e velocità e allora perché tutti questi commissari straordinari in quattro anni non sono riusciti a fare ciò che un gestore (Millewin) della cartella clinica computerizzata ha fatto in pochissimo tempo?

Non crediamo che tutti questi commissari imposti dai governi nazionali alla sanità calabrese sono tutti degli inetti per cui pensiamo che ci sono altri motivi anche per ritardi gravi come questo della mancata implementazione del nuovo tariffario nei programmi di ricezione delle impegnative nelle strutture sanitarie regionali.

E il motivo è che la Calabria è la regione che da più di 20 anni ha la sua sanità gravemente sotto finanziata nonostante che tra i suoi circa due milioni di abitanti ci sono molti più malati cronici che non in altri due milioni di altri italiani, per cui la Calabria avrebbe dovuto avere finanziamenti pro capite in sanità molto più elevati (e non inferiori) delle altre regioni. Anzi il piano di rientro e tutta la pletora di commissariamenti imposti alla Calabria per ripianare il presunto deficit (dovuto invece dagli insufficienti finanziamenti a fronte di molti malati cronici) hanno avuto il compito di tagliare ulteriormente la spesa sanitaria ed è per questo che oggi la situazione della sanità calabrese è ancora più disastrosa di 10 anni fa e questo vero e proprio disservizio della mancata applicazione del tariffario regionale ne è l’ultimo esempio.

La salvezza per la sanità calabrese sarebbe la chiusura del piano di rientro e finanziare le sanità regionali in base al criterio della numerosità delle malattie presenti in ogni regione. E oggi abbiamo una opportunità perché il governatore della regione Campania che è in una condizione simile a quella della Calabria ha fatto ricorso al Tar proprio per questo scorretto modo di finanziare le sanità regionali. Il governo ha promesso è programmato per l’anno venturo la modifica dei criteri del riparto dei fondi sanitari alle regioni intuendo, prima della pronuncia del Tar, che questo accoglierà sicuramente la richiesta del governatore della Campania.

La parola adesso passa ai “distratti”, fino a questo momento, amministratori e politici calabresi tutti che hanno l’opportunità di attivarsi affiche finalmente venga fatto un riparto dei fondi sanitari adeguato ai bisogni dei molti malati calabresi e far cessare questo umiliante andare avanti e indietro degli assistiti per “correggere” le impegnative prescritte correttamente. (gn)

SEMPRE IN PRIMA LINEA CONTRO IL COVID
PUR CON I TAGLI ALLA SANITÀ CALABRESE

Non è certamente quantificabile l’impegno e la dedizione che i medici, non solo in Calabria ma in tutta Italia, per tutta la pandemia hanno profuso per garantire assistenza a tutti, stando in prima linea di fronte a un nemico inizialmente sconosciuto. Nella nostra regione, poi, dove il sistema sanitario presenta problemi che sono giganteschi, i medici, gli infermieri, e tutto il personale sanitario ha fatto un vero e proprio miracolo, garantendo, con i pochi mezzi a disposizione e le criticità persistenti, assistenza continua ai calabresi.

E, proprio sulle criticità rilevate sul sistema sanitario calabrese, l’Associazione Medici di Famiglia di Catanzaro ha voluto dare i propri suggerimenti ed evidenziare i problemi a cui hanno dovuto far fronte i medici di famiglia.

«Mentre i medici di famiglia – spiega l’Associazione in una nota – erano in prima linea a combattere il covid la dirigenza Asp, invece di attivarsi a limitare i contagi e diminuire i morti per covid, ha trovato il tempo di spendere energie “burocratiche” nel controllo di chi combatteva il virus. L’Asp ha, inoltre, pensato, sempre durante la pandemia, ma poi ci ha ripensato, di trasferire ai medici di famiglia funzioni burocratiche di altre unità operative come la prescrizione dei presidi per i diabetici».

MediAss ha rilevato che «un altro fattore che ha aggravato il lavoro del medico di famiglia è stata la netta diminuzione dei ricoveri degli assistiti MediAss passati dai 100 del 2019 ai 42 del 2020. I medici MediAss hanno dovuto gestire a casa circa 58 pazienti che avrebbero necessitato il ricovero ospedaliero. Tutta questa maggiorazione di lavoro i medici MediAss lo hanno dovuto fare senza l’ausilio degli esami di laboratorio e strumentali, infatti nel 2020 ne sono stati prescritti solo 17310 (e molti neanche eseguiti) ben il 52% in meno rispetto ai 35490 del 2019».

«E, come se tutto questo non bastasse – si legge – i medici di famiglia hanno dovuto curare i propri assistiti, durante la pandemia, con meno farmaci 32535 (il 13,5% in meno) rispetto ai 37316 del 2019, perché il commissario al piano di rientro sanitario calabrese Cotticelli, invece di impegnarsi nella lotta contro il coronavirus (infatti dei suoi innumerevoli decreti emanati durante la pandemia solo uno fa riferimento al covid) ha trovato il tempo di emanare il 6 marzo 2020 il decreto n. 63  ..”azioni di contenimento della spesa farmaceutica…” che in pratica toglie i farmaci ai malati calabresi. L’assunto di questo decreto è che la Calabria consuma il 14,6% di farmaci in più della media italiana».

«Questo assunto sarebbe logico – hanno spiegato – se il numero dei malati calabresi e delle loro malattie fosse sovrapponibile alla media italiana ma si da il caso che in Calabria ci sono proprio il 14,5% di malati cronici in più del resto d’Italia per come certificato dal commissario Scura (predecessore di Cotticelli) con il suo decreto n. 103 del 15/09/2015. Il commissario Cotticelli quindi, proprio durante la pandemia, con questo decreto ha posto delle limitazioni alla prescrivibilità di molti farmaci per le patologie croniche più diffuse, raggiungendo il suo obiettivo risparmiando proprio il 13,5% di spesa farmaceutica, ma impedendo una corretta cura dei malati calabresi esponendoli, proprio perché impossibilitati a curarsi bene alle conseguenze di una eventuale infezione di coronavirus».

«Il commissario lo ha fatto applicando pedissequamente il piano di rientro sanitario – hanno spiegato i medici di famiglia – che lo “obbliga” a pensare solo al risparmio anche durante la pandemia, anche se sa che il malato cronico che non si cura bene peggiora si complica e poi per poterlo curare bisogna spendere molto di più proprio come lo dimostra il fatto che dopo 10 anni di piano di rientro il deficit sanitario della regione Calabria invece di diminuire è raddoppiato raggiungendo 160 milioni di euro, e anche se sa che a parità di patologia in Calabria si muore prima che non nel resto d’Italia e anche se sa che dopo 10 anni di piano di rientro, per la prima volta nella storia della Calabria l’aspettativa di vita invece di aumentare è diminuita».

«Tutti questi dati – hanno evidenziato – indicano che il medico di famiglia è stato, anche in questa pandemia, un punto di riferimento, uno dei pochissimi, per gli assistiti dando loro assistenza qualificata infatti gli studi MediAss sono stati sempre aperti, e dalle ore 8 alle ore 20  uno di essi è stato sempre a loro disposizione nonostante che abbiamo ricevuto solo scadenti mascherine e in numero quanto la conta delle dita di una mano e i tamponi ci sono stati fatti a partire dall’11 giugno 2020».

«L’assistenza, anche in sostituzione delle visite specialistiche, con pochi esami, con pochi ricoveri e meno farmaci è stato possibile farla grazie alla qualità dei dati archiviati nel server MediAss legata ad una forma di teleassistenza (ricette telematiche, telefono, email, sms, whatsapp ) e i deceduti nel 2020 sono stati gli stessi del 2019».

L’Associazione, infatti, composta da sette medici di famiglia, cura oltre 10mila catanzaresi e, attraverso la piattaforma Medico ricercatore Healt Search – utilizzata da altri mille medici d’Italia – hanno potuto estrarre i dati dei loro assistiti per verificare la qualità dell’assistenza durante il covid.

«I dati estratti sono dal 01/03/2019 al 31/05/2019 confrontati con quelli dal 01/03/2020 al 31/05/2020 – hanno spiegato – Abbiamo estratto le prescrizioni dei seguenti indicatori: accessi (per accesso si intende che il medico apre la cartella clinica di un assistito e compie in essa un atto medico), esami ematochimici e strumentali, visite specialistiche, terapie farmacologiche, ricoveri ospedalieri, assistiti deceduti e numero delle telefonate al numero fisso confrontandole con quelle dello stesso periodo del 2019. Per ogni indicatore il primo numero si riferisce al 2019 e il secondo al 2020. Accessi 26.344 verso 20.371, esami 35.490 verso 17.310, visite specialistiche 5.016 verso 1.764, terapie 37.316 verso 32.535, ricoveri 100 verso 42 decessi 8 verso 8 e le telefonate 12.026 verso 21.252».

«Da questi dati si evince che la somma degli accessi e delle telefonate degli assistiti con i medici Mediass è superiore nel periodo della pandemia (20371+21252) 41623 verso (26.344+12.026) 38370 del 2019 e se a questi accessi si aggiungono quelli via email, sms e whatsapp (tutti in naturale aumento durate la pandemia) si può concludere che gli accessi dei medici Mediass con i propri assistiti durante la pandemia è nettamente aumentato». 

«Un secondo dato che dimostra un maggiore lavoro del medico di famiglia durante la pandemia – viene spiegato ancora – è la forte diminuzione delle visite specialistiche prescritte durante la pandemia 1764 (e di queste la gran parte neanche eseguite) rispetto alle  5016 del 2019. Una diminuzione del 65% per cui il medico di famiglia ha dovuto fare il monitoraggio dei malati cronici e gestire le loro riacutizzazioni in prima persona. E, visto che la prescrivibilità delle visite specialistiche era solo in modalità “urgente,” la dirigenza Asp ha creduto bene di verificare se l’apposizione dell’urgenza fatta dai medici di famiglia era appropriata per eventuali contestazioni agli stessi».

«L’associazione MediAss, molti anni fa – ha concluso l’Associazione – aveva già proposto alla Asp (e la vorremmo riproporre) una “unità di cure primarie telematica” che in questa occasione sarebbe stata in grado di attivare quei settori oggi rimasti in disparte per la lotta contro il coronavirus». (rrm)

L’annuncio di Spirlì: I medici di base parteciperanno alla campagna di vaccinazione anticovid-19

I medici di base calabresi hanno dato la loro disponibilità nella campagna di vaccinazione contro il covid: somministreranno le dose a circa 130 mila ultra ottuagenari.

Lo ha reso noto il presidente f.f. della Regione Calabria, Nino Spirlì, al termine della riunione operativa nella Cittadella “Jole Santelli” di Catanzaro, alla quale hanno preso parte il segretario regionale e il vice della Fimmg (Federazione italiana medici di famiglia), Rosalbino Cerra e Gennaro De Nardo, e il rappresentante di Intesa sindacale Francesco Masotti.

Presenti, anche il commissario ad acta della Sanità, Guido Longo, il delegato del soggetto attuatore per l’emergenza covid, Antonio Belcastro, e il dirigente regionale del settore Assistenza farmaceutica del dipartimento Tutela della salute, Vincenzo Ferrari.

«Adesso – ha detto il presidente f.f. Spirlì c’è solo da organizzare la distribuzione dei vaccini in modo tale che possano arrivare negli ambulatori pronti per essere utilizzati».

«I medici di famiglia –  ha spiegato Spirlì – sono l’avanguardia della sanità, la prima trincea, e da parte loro non ci saremmo aspettati altro che questa grande disponibilità. È stato un incontro molto costruttivo che proseguirà nei prossimi giorni con la firma di uno specifico protocollo».

«Si tratta – ha concluso il presidente della Regione – di un altro tassello del mosaico della sanità calabrese; un mosaico che si sta componendo giorno dopo giorno e che, al termine del tempo stabilito per il commissariamento, contribuirà a riconsegnare alla Calabria l’amministrazione della sanità». (rcz)