di MIMMO NUNNARI – C’è un’espressione che abbiamo imparato fin da piccoli, leggendola con qualche emozione sui libri di testo della scuola: “Qui si fa l’Itàlia o si muòre”, attribuita dallo scrittore e patriota Giuseppe Cesare Abba – che fu testimone – a Giuseppe Garibaldi, il quale durante la battaglia di Calatafimi il 15 maggio 1860 l’avrebbe rivolta a Nino Bixio, suo braccio destro, una delle figure più note del Risorgimento.
Divenuta proverbiale, la frase è ripetuta, con diverso significato, secondo i contesti, per esprimere la necessità di una condotta decisa, risoluta, come per esempio è accaduto all’indomani della Seconda Guerra mondiale, quando l’Italia si presentava come un cumulo di macerie materiali e morali e si è potuto rinascere soltanto grazie alla presenza di uomini onesti illuminati e di buona volontà di tutte le parti politiche, che furono capaci senza titubanza alcuna di creare uno spirito unitario, in grado di superare le varie diversità. Al di là della retorica patriottica e risorgimentale quella frase vorremmo risentirla pronunciare oggi, da quanti, popolo, cittadini, politici, di fronte alla battaglia decisiva per la sopravvivenza dell’Italia e al rischio “dissoluzione” derivante dall’Autonomia differenziata, si accingono a sostenere il referendum.
La frase, “O si ricostruisce l’Italia o si muore”, auspichiamo diventi un urlo corale e che il Sud l’asserzione ascoltata sul campo di battaglia da Abba, combattendo proprio a Calatafimi, la faccia propria. Quale migliore occasione del referendum ha il Meridione per uscire dal letargo e ribellarsi, anche per il passato di emarginazione e trascuratezze, trovando, come dice Daniele Macris, professore di greco e studioso delle Chiese d’Oriente e d’Occidente “un sussulto di dignità da parte di chi è stato sfruttato infinite volte”. Macris, attento studioso meridionalista spiega che in questa occasione dell’Autonomia differenziata “l’equivoco unitario emerge ancora più sfacciatamente”.
Siamo d’accordo con lui, perché la nostra unità nazionale è rimasta malcerta come all’inizio e quindi incompiuta. Non pensiamo che il referendum possa risolvere tutte le annose questioni ma un urlo potente che salga dal Sud può scuotere le coscienze addormentate del Paese, richiamare l’attenzione, anche dell’Europa, sulla secolare assenza dello Stato nel Meridione. Stato, storicamente guardingo ma non governante che ha lasciato i cittadini meridionali soli a muoversi dentro un panorama di disorientamento umano e sociale, alimentando in loro la percezione di non essere stati mai ammessi per colpe inspiegabili al processo di sviluppo e di crescita dell’Italia e di essere stati cancellati dall’agenda dei Governi tutti, con motivazioni bugiarde, arroganza coloniale e nel silenzio indecente di partiti, media e cultura.
Alla data nefasta dell’approvazione del progetto di legge di Autonomia differenziata dì Calderoli – un vero e proprio atto di secessione – sul campo restano le promesse di decenni, o di secoli: lavoro, strade, ferrovie, scuole, porti, aeroporti, infrastrutture, cose che erano indispensabili al Sud per una crescita armoniosa del territorio, come avvenuto per altre aree della nazione. Lo stesso megaprogetto del Ponte sullo Stretto voluto dal leader leghista e ministro delle infrastrutture Matteo Salvini più che colmare una carenza prioritaria assomiglia metaforicamente al cavallo di Troia: uno stratagemma pensato e realizzato allo scopo di distrarre i meridionali per non far vedere i nuovi scippi che si preparano per e cercare consensi elettorali in luoghi precedentemente disprezzati. E se in tutto questo c’è inganno, come maliziosamente pensiamo, sventuratamente Salvini non è neanche Ulisse: qui parliamo non del poema epico più grande di tutti i tempi ma di miserie quotidiane della politica politicante e non di eroi dell’Odissea.
Parliamo di zone del Paese che dopo essere state sacrificate, sfruttate, saccheggiate, ora – con l’Autonomia – sono destinate a restare più sole trascurate e abbandonate perché le terre del Nord se ne vanno, portandosi dietro nuovi bottini con la famigerata secessione dei ricchi voluta dalla coalizione di Governo: Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. E qui qualcosa di definitivo da dire spetta al presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto che di Forza Italia è il potente vicesegretario e leader nel Meridione. È vero che ha contestato il metodo: «Una legge di questo genere doveva essere maggiormente metabolizzata dal Paese, invece è stata approvata di notte e di fretta, facendola sembrare ancora più divisiva rispetto a quello che è».
È molto sul piano politico quel che ha affermato ma è ancora poco sul piano sostanziale. Schierarsi e schierare la Calabria in tutti i modi possibili contro lo scellerato progetto di Autonomia gli farebbe onore e sarebbe un atto di coraggio politico senza precedenti che lo porterebbe all’attenzione del Paese. Aderire per esempio al referendum sarebbe un atto importante. Il referendum è un’occasione che assume un’importanza vitale. Ci sono stati referendum che hanno cambiato la storia politica, economica e sociale del Paese, per cui questo strumento in mancanza di altre iniziative al momento è il più adatto.
Va detto infine che in tema di Autonomia la Chiesa italiana che da qualche tempo ha ritrovato uno spirito nazionale riconciliante di fronte al paese spezzato, si è espressa con autorevolezza, ai massimi livelli: «L’autonomia differenziata è un problema che riguarda tutto il Paese, e quindi la Chiesa italiana nel suo insieme», ha detto il presidente della Cei cardinale Matteo Zuppi annunciando la bocciatura senza appello dei vescovi italiani del ddl Calderoli. Il mondo cattolico italiano da Nord a Sud è certo che con l’Autonomia aumenteranno le diseguaglianze. In un documento l’Azione Cattolica di Milano alla vigilia delle Settimane Sociali tenute a Trieste ha denunciato – con riferimento all’Autonomia differenziata – «il tentativo di cancellare il necessario riferimento alla solidarietà nazionale, all’unità e indivisibilità del Paese, oltre che all’attenzione e vicinanza ai territori più svantaggiati, che potrebbe aggravare le differenze territoriali a partire dalle differenze economico-sociali tra il Nord e il Sud Italia».
Sul tema, dopo aver sottolineato che si indebolirà la solidarietà, deperirà il tessuto sociale ed economico del Mezzogiorno e delle “aree interne” e si creerà una fonte di ingiustizia e di perenni conflitti, monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Ionio e vice presidente della Cei per il Sud, è stato ancora più esplicito: «Lasciate che vi dica che l’autonomia differenziata è la madre di un’ingiustizia epistemica che vuole ridisegnare un’Italia spaccata dalla disparità sociale». L’espressione “qui si rifà l’Italia o si muore”, come slogan per il referendum, dunque ci sta ben. (mnu)