DONNE AL LAVORO, IN CALABRIA FORTE GAP
CON L’OCCUPAZIONE DEGLI UOMINI: È AL 18%

di ANTONIETTA MARIA STRATI – «La strada verso la parità di genere, specialmente in Calabria, è ancora lunga»: Da queste  parole dell’assessore regionale al Lavoro, Giovanni Calabrese, emerge un quadro allarmante dal Rapporto preliminare dell’Osservatorio/Laboratorio Economico-Territoriale delle Politiche del Lavoro, con focus sulla parità di genere nel mercato del lavoro in Calabria.

Un report resosi necessario, considerando che «i recenti dati dell’Istat evidenziano che, sebbene le donne abbiano un livello di istruzione più elevato rispetto agli uomini, la loro partecipazione al mercato del lavoro è inferiore e non viene adeguatamente compensata dal punto di vista economico, né in termini salariali né in termini di riconoscimento professionale», ha spiegato Calabrese nella nota introduttiva.

«I recenti dati dell’Istat evidenziano che, sebbene le donne abbiano un livello di istruzione più elevato rispetto agli uomini – ha continuato Calabrese – la loro partecipazione al mercato del lavoro è inferiore e non viene adeguatamente compensata dal punto di vista economico, né in termini salariali né in termini di riconoscimento professionale».

Nella nostra regione, infatti, «nella dinamica demografica della popolazione per genere ed età – hanno spiegato Roberto Cosentino, direttore generale del Dipartimento Lavoro e Cosimo Cuomo, dirigente dell’Uoa Programmazione e Monitoraggio Fse 21/27 e responsabile dell’Osservatorio Laboratorio Economico Territoriale delle Politiche del Lavoro – la prevalenza della componente femminile rappresenta il 51,0%, con maggiore evidenza nelle età più avanzate per la maggiore longevità femminile. Sempre, la componente femminile calabrese, prevale anche fra le persone con titolo universitario (56,9% dei laureati o con titolo superiore), in particolare per le donne di età compresa tra i 25 e 64 anni, ma anche tra quelle prive di un titolo di studio (60,1%) e in possesso della sola licenza elementare (56,6%), soprattutto nella classe d’età 65 anni e oltre».

«A livello provinciale, i tassi di assenza di istruzione – hanno detto ancora – presentano valori più alti per la componente femminile, mentre i tassi di conseguimento dei titoli di studio più bassi (fino alla licenza media), presentano valori simili tra la popolazione maschile e quella femminile. All’estremo opposto, l’insieme dei titoli accademici è ovunque più elevato per le donne, per le quali si registra il valore massimo a Catanzaro (17,1%) contro il corrispondente 13,7% degli uomini».

Quello che è emerso, dunque, è che in Calabria «permane comunque una situazione piuttosto sfavorevole all’occupazione femminile e allo squilibrio di genere, con valori anche superiori rispetto alla media nazionale. Nel 2021, il gap di genere del tasso di attività, è statisticamente di circa 18 punti (uomini 51,9%, donne 33,9%), la distanza tra il tasso di occupazione delle donne (28,6%) e quello degli uomini (45,6%) di 17 punti e, il tasso di disoccupazione delle donne (15,6%) è più di 3 punti percentuali superiore a quello degli uomini (12,2%)».

Guardando alla nostra regione, in Calabria «la popolazione residente al 2023, in base al genere, risulta essere pari a 1.846.610 unità, di cui 942.391 di sesso femminile e 904.219 maschile, rispettivamente, il 51,03% e il 48,97% sul totale».

Dopo il forte deterioramento registrato durante la fase più acuta della pandemia, anche nella regione Calabria è comunque proseguita la ripresa del mercato del lavoro. Sulla base dei dati Istat, elaborati dall’Osservatorio: Laboratorio Economico Territoriale e Politiche del Lavoro della Regione Calabria, la popolazione attiva femminile (15-64 anni), nel 2022, era pari a 591.269 unità (50,5% sul totale), a fronte di 580.332 unità di sesso maschile (49,5%).

Sempre secondo i dati rilevati dall’ Istat ed elaborati dall’Osservatorio  nel 2022 il numero di occupati nella regione è aumentato dell’1,5% rispetto all’anno precedente; A differenza di quanto rilevato nel 2021, l’incremento, però, è stato inferiore a quello medio registrato nell’intero Mezzogiorno e in Italia (rispettivamente del 2,5 e del 2,4 per cento).

In termini assoluti, comunque, il numero di occupati non ha ancora recuperato i livelli pre-pandemici (sono stati circa 529.000 nel 2022, contro i quasi 539.000 nel 2019), mentre il tasso di occupazione nella fascia 15-64 anni, è salito al 43,5%, superando sensibilmente il dato del 2019. Su tale aumento, ha inciso la dinamica demografica caratterizzata dalla progressiva riduzione della popolazione in età da lavoro. Il divario negativo nel tasso di occupazione rispetto alla media nazionale, è rimasto comunque ampio (16,7 punti percentuali; era 17,1 nel 2019). Per “genere”, l’incremento dell’occupazione nel 2022, ha riguardato sia gli uomini che le donne mentre il divario di genere nei tassi di occupazione continua a rimanere costante ed elevato (23,5 punti percentuali in Calabria, 18,1 nella media nazionale).

La diminuzione della popolazione residente della Calabria, per l’Osservatorio «è frutto di un saldo naturale negativo (-9.413 unità), al quale si somma un saldo migratorio totale negativo (-6.111 unità), nonostante un saldo censuario positivo (+10.377) e un recupero dei movimenti demografici internazionali nel 2021 rispetto al 2020».

Quello che si registra, dunque, è la conferma di un trend negativo in corso. La mortalità aumenta: il tasso di mortalità passa dall’11,2 per mille del 2020 al 12,2 per mille del 2021, con un picco del 12,5 per mille della provincia di Cosenza. Tra il 2020 e il 2021 il tasso di natalità è leggermente diminuito, da 7,4 a 7,1 per mille. A livello provinciale il tasso resta quasi stabile nella provincia di Catanzaro, diminuisce in tutte le altre, principalmente a Vibo Valentia e Reggio Calabria. I movimenti tra Comuni sono rimasti costanti nel secondo anno pandemico: il tasso migratorio interno è passato dal -4,4 per mille del 2020 al -4,3 per mille del 2021, oscillando tra il -3,2 per mille della provincia di Cosenza e il -6,6 di Crotone.

I movimenti migratori internazionali sono in recupero: il tasso migratorio estero, positivo in tutte le province, aumenta rispetto al 2020 (dal 0,7 al 2,7 per mille), soprattutto nella provincia di Cosenza (da 0,9 nel 2020 a 3,2 per mille nel 2021) e Reggio Calabria (da 0,7 a 3,1). La prevalenza della componente femminile nella struttura per genere si conferma anche nel 2021. Le donne rappresentano il 51,0% del totale e superano gli uomini di 38mila unità. La prevalenza si evidenzia particolarmente nelle età più avanzate per la maggior longevità femminile.

Per quanto riguarda la scolarizzazione e il conseguimento dei titoli, nonostante nella nostra regione ci sia un innalzamento del livello di istruzione, continuano a persistere dei divari tra le province, correlati all’invecchiamento della popolazione e alle caratteristiche del mercato del lavoro. L’incidenza del livello di istruzione terziaria risulta più elevata nei territori con sede di ateneo. Quella più alta si osserva a Catanzaro (15,5 %), Cosenza (15,2%) e Reggio Calabria (15,0).

La componente femminile calabrese prevale fra le persone con titolo universitario (56,9% dei laureati o con titolo superiore), in particolare per le donne di età compresa tra i 25 e 64 anni, ma anche tra quelle prive di un titolo di studio (60,1%) e in possesso della sola licenza elementare (56,6%), soprattutto nella classe d’età 65 anni e oltre. A livello provinciale, i tassi di mancanza di istruzione presentano valori più alti per la componente femminile mentre i tassi di conseguimento dei titoli di studio più bassi (fino alla licenza media) presentano valori simili tra la popolazione maschile e quella femminile. All’estremo opposto, l’insieme dei titoli accademici è ovunque più elevato per le donne, per le quali si registra il valore massimo a Catanzaro (17,1%) contro il corrispondente 13,7% degli uomini.

In Calabria permane una situazione piuttosto sfavorevole all’occupazione femminile e uno squilibrio di genere, con valori superiori rispetto alla media nazionale. Nel 2021, il gap di genere del tasso di attività è di circa 18 punti (uomini 51,9%, donne 33,9%), la distanza tra il tasso di occupazione delle donne (28,6%) e quello degli uomini (45,6%) di 17 punti, il tasso di disoccupazione delle donne (15,6%) è più di 3 punti superiore a quello degli uomini (12,2%). Fra le province, i valori più alti del tasso di occupazione si osservano a Catanzaro (37,4%) e Reggio Calabria (37,1%), quelli più bassi a Crotone (35,3%) e Vibo Valentia (35,8%), mentre gli squilibri di genere più ampi (circa 18 punti) si riscontrano a Catanzaro e Crotone, i più bassi (circa 15 punti) a Vibo Valentia e Reggio Calabria.

Le incidenze maggiori del tasso di disoccupazione nel 2021 si osservano nelle province di Reggio Calabria, di Cosenza e di Crotone (rispettivamente 14,1%, 13,6% e 13,6%) mentre, all’opposto, Vibo Valentia e Catanzaro presentano i valori più bassi (12,9% e 13,0%). Il divario di genere è più marcato (quasi 4 punti) nei territori cosentino e catanzarese, minore (circa 2 punti) nel vibonese.

Dal punto di vista dello stock occupazionale e degli avviamenti, interrogando i dati del SIL Calabria, si evince una variazione importante nell’anno 2020, da relazionare al divieto di licenziamento in vigore da marzo 2020 come una misura emergenziale per fronteggiare gli effetti della pandemia, livellatasi poi negli anni successivi. Filtrando i dati al solo 2023 si evincono importanti indicazioni, in primis la distribuzione territoriale dei lavoratori proporzionalmente alla popolazione residente e la distribuzione per età e sesso dei lavoratori, che evidenzia una prevalenza maschile nelle fasce più giovanili e fino ai 45 anni. Da notare la prevalenza del genere femminile nel settore delle attività di cura e di assistenza in ambito familiare, nella sanità e assistenza e nell’istruzione (60,1%); anche dall’analisi delle mansioni si deduce una divaricazione di genere per molte delle attività professionali.

La ricerca e le elaborazioni statistiche effettuate – su base Istat – purtroppo delineano, un andamento quasi stabile del fenomeno, pur se con un lievissimo decremento nazionale riferito al 2022; Dato, peraltro confermato anche per le Regioni del Sud del Paese, ma non in Calabria. Laddove, i numeri, fotografano un fenomeno in aumento con un +46 di vittime di sesso femminile. Serve, comunque evidenziare che – in Calabria – i casi di violenza realmente accertata, passano dai 34 registrati del 2020, ai 17 del 2022, con un picco di ben 41 casi nel 2021. A questi, devono, però, aggiungersi, i casi di vittime di stalking e le richieste di aiuto di vittime di violenza, sempre registrate al numero nazionale antiviolenza e stalking (1522).

Quello che emerge, dunque, è come «il mercato del lavoro in Calabria assume aspetti contraddittori rispetto a quanto espresso a livello nazionale a riprova di come la condizione delle donne assuma ulteriori aspetti di problematicità. In Calabria, infatti, non è presente solo più bassa incidenza di donne occupate rispetto a quanto espresso a livello nazionale, ma anche una più ridotta presenza di donne in cerca di occupazione: questo è sicuramente sintomo di un maggiore effetto scoraggiamento tra la popolazione femminile rispetto alle aspettative di accesso alla sfera lavorativa».

Come detto dall’assessore Calabrese, «è innegabile che, ancora oggi, nonostante le numerose politiche intraprese per le pari opportunità, queste, non sembrano aver trovato una compiuta applicazione sociale ed economica, a partire dalla condizione femminile nel mercato del lavoro».

Eppure, «sostenere attivamente le donne nella loro carriera professionale non solo arricchisce le imprese con una maggiore diversità e competenze, ma stimola anche l’innovazione e porta a risultati di qualità superiore», ha detto ancora l’assessore, sembra non essere chiaro che «l’imprenditoria femminile ha un ruolo fondamentale nella costruzione del futuro del Paese, ma anche nella nostra regione che purtroppo continua però ad essere fanalino di coda di tutte le classifiche che raccontano una terra difficile da vivere e da far crescere dove però proprio il valore delle donne rappresenta un punto di forza per superare gli ostacoli atavici che generano ritardi e criticità», come ha detto Giuliana Furrer, presidente del Movimento Donne Imprese di Confartigianato Calabria(ams)

 

L’OPINIONE / Abbandono scolastico e mondo del lavoro: legislazione superata

di CORRADO TOCCI – Cominciano a palesarsi in modo sempre più evidente i danni causati dalla pandemia riguardo alla formazione delle nuove generazioni. Nei giorni scorsi è stato pubblicato il rapporto “Scelte compromesse. Gli adolescenti in Italia, tra diritto alla scelta e povertà educativa minorile”, promosso da Openpolis e Con i Bambini.

Il rapporto mette in evidenza le problematiche legate al fenomeno della povertà educativa che colpisce i giovani che frequentano la scuola dell’obbligo e le cause che accentuano il dilagare del fenomeno. «In Italia un adolescente su 12 ha una cittadinanza diversa da quella italiana, oltre 300mila, se si considerano i residenti tra 11 e 17 anni». Nel caso degli adolescenti senza la cittadinanza italiana, si riscontrano «difficoltà di inserimento nel percorso scolastico», «disuguaglianze nell’accesso agli indirizzi delle scuole superiori», «abbandono precoce degli studi».

Il crescere delle disuguaglianze è direttamente collegato alle condizioni di disagio economico che vivono le famiglie italiane; il rapporto fotografa la situazione prima dell’emergenza Covid: “Già nel 2019, il 9,2% delle famiglie con almeno un figlio si trovava in povertà assoluta; quota che tra i nuclei con 2 figli supera il 10% e con 3 o più figli raggiunge addirittura il 20,2%. Il 41,9% dei minori vive in una abitazione sovraffollata”.

La povertà delle famiglie evidenzia anche il divario tecnologico che gli studenti appartenenti a famiglie povere debbono affrontare, prima dell’emergenza, “il 5,3% delle famiglie con un figlio dichiarava di non potersi permettere l’acquisto di un computer. E appena il 6,1% dei ragazzi tra 6-17 anni viveva in una casa con disponibilità di almeno un pc per ogni membro della famiglia”. Perciò, l’esperienza della pandemia è stata ed è spesso tuttora vissuta in modo molto diverso sul territorio nazionale, basti pensare “all’impatto del lockdown per i bambini e i ragazzi che vivono in case sovraffollate, oppure alla possibilità di svolgere la didattica a distanza dove mancano i dispositivi o l’accesso alla rete veloce”.

Marco Rossi Doria, vice-presidente della onlus Con i Bambini, ha giustamente affermato “Con la pandemia le disuguaglianze sociali ed educative crescono e aggravano una situazione caratterizzata da grandi divari strutturali. La povertà educativa, come evidenzia il report, ha spesso origine in queste disparità, non solo economiche, ma sociali e culturali. È un fenomeno che non può riguardare solo la scuola o le singole famiglie, ma chiama in causa l’intera ‘comunità educante’ perché riguarda il futuro del Paese. In questa fase di grandi difficoltà, i ragazzi dovrebbero rappresentare il fulcro di qualsiasi ripartenza”.

La società non si può permettere che decine di migliaia di ragazze e ragazzi rinuncino a partecipare alle decisioni che riguardano il loro futuro. Spetta alla politica indicare una percorso che li inserisca nel circuito della cittadinanza attiva.

Questo percorso iniziale deve essere visto come un inizio di un cammino che durerà tutta la vita, un cammino che non ha percorsi obbligati ma che lascia la possibilità di cambiare a chi fa scelte diverse, ma rimanendo sempre in movimento.

Avvicinarsi all’artigianato potrebbe essere un approccio che stimola le nuove generazioni a ricominciare a camminare, oggi di artigianato non se ne parla più, è rimasto solo papa Francesco che non perde occasione per declinare la parola artigiano collegata al vivere quotidiano.

A queste generazioni sempre meno interessate al contesto sociale in cui vivono potrebbe interessare l’approccio che nella storia è tipico del mondo artigiano. L’economia legata all’azienda artigiana fonda le sue radici nel rispetto dei bisogni dell’uomo, si mette al suo servizio e diventa strumento di progresso sociale e civile.

Per secoli la bottega artigiana è stata lo strumento appropriato per l’oculato uso dei beni della terra, nemica dello spreco delle risorse, protesa ad alleviare le sofferenze di coloro che necessitavano di tali beni.

L’impresa artigiana si identifica con le persone che riunisce, le quali, insieme al titolare, svolgono un lavoro che richiede, a ciascuno, iniziativa e responsabilità nella vita dell’impresa.

Questi giovani risentono della complessità della società di oggi. Complessità dovuta ad una “frantumazione” delle categorie di riferimento, che per anni avevano rappresentato i cardini della realtà sociale, e al conseguente aumento della mobilità sociale.

I Giovani hanno preso coscienza che questa situazione favorisce lo sviluppo di interessi sempre più parcellizzati, ed ostacola il decollo di progetti tendenti ad ordinare «in realistiche e ragionevoli graduatorie di priorità e compatibilità, bisogni civili e desideri individuali, investimenti pubblici e arricchimenti o sprechi privati, che possono coordinare alle risorse esistenti gli obiettivi di sviluppo prescelti, che imponessero efficienza, severità di preparazione e adeguatezza degli strumenti in ogni struttura pubblica o privata, di produzione di beni o servizi, a cominciare dalla pubblica amministrazione» (doc. convegno 90° Rerum Novarum).

Una legislazione sull’apprendistato fondata sulla “catena di montaggio” è divenuta desueta insieme a quel modello produttivo, oggi un giovane che vuole apprendere un mestiere o una professione si deve confrontare, prima di fare proprie delle competenze atte ad inserirlo nei cicli produttivi, con un processo di apprendimento lungo e complesso, è necessario che il Governo Draghi si faccia carico del problema e metta mano alla revisione della legge sull’apprendistato e la delega della formazione professionale alle Regioni. (ct)