di ANTONIETTA MARIA STRATI – «La Calabria potrebbe vivere solo di turismo, ma perché i musei sono ridotti così?». È quanto si sono chiesti diversi turisti milanesi in vacanza in Calabria.
È una domanda più che lecita, che porta a domandarsi il motivo per cui ci sia così tanta trascuratezza nei confronti dei luoghi di cultura che, invece di essere valorizzati e promossi, spesso rimangono all’angolo e lasciati in balìa di se stessi.
È inutile dire che chi viene in Calabria se ne innamora e lascia un pezzo di cuore qui, con la voglia di ritornare appena possibile, ma, accanto alle cose belle, ci sono anche quelle che hanno lasciato l’amaro in bocca. I musei in Calabria dell’arco jonico reggino, per esempio. Che, pur essendo di grande suggestione e richiamo, rivelano la grande trascuratezza in cui sono abbandonati, con poca valorizzazione dei propri tesori e scarsa considerazione per il visitatore.
La cultura in Calabria sembra essere in svendita, senza valore. E questo fa male. Fa male perché vedere quei tesori ritrovati, frutto di anni di lavoro e di ricerca trattati come se fossero pezzi di poco conto non è giusto. Non è giusto trovare i Musei della Città Metropolitana di Reggio Calabria in condizioni di trascuratezza, non è giusto che i musei debbano arrancare da soli perché la Regione o il Governo si dimenticano della loro esistenza – o non vogliono investirci.
Non è giusto – né rispettoso – che l’ingresso al museo di Locri o di Monasterace si debba pagare solo quattro euro, quando la visita al Castel Sant’Angelo di Roma costa 15 euro, senza visita guidata. Perché la cultura in Calabria deve essere svenduta e sminuita? Certo, pagare poco una entrata al Museo fa sempre piacere – considerando spesso i costi un po’ alti – ma non si pensa che, magari, quei soldi possono aiutare il museo?
Da qui, è emersa la consapevolezza – amara – che in Calabria ci sono musei di serie A e di Serie B. E, purtroppo, a parte quello di Reggio, gli altri sembrano essere di serie B.
Il MArRC, per esempio, è un museo di serie A. È innegabile la bellezza dei tesori che il Museo custodisce – d’altronde, è la casa dei Bronzi di Riace – e il percorso che offre ai suoi visitatori è un viaggio magico alla scoperta di un’era che non c’è più raccontata dai reperti che sono stati trovati. Ad arricchire il tutto, le innumerevoli mostre che rendono l’esperienza ancora più magica, ancora più ricca, grazie all’encomiabile impegno del suo direttore, Carmelo Malacrino, che cerca di portare al MArRC mostre di alto profilo, spesso da lui curate e che si rivelano sempre di grande successo.
Ma, se il MArRC è un “sogno jonico”, basta salire un po’ più in alto per scoprire che sì, ci sono altri musei, ma non sono curati come lo è quello di Reggio.
Basta vedere in che condizioni in cui versa il Museo e Parco Archeologico dell’Antica Kaulon, a Monasterace. Il Museo è in ristrutturazione – in piena stagione estiva, e già questo fa storcere il naso – e, quindi, all’interno del museo si può solo vedere una stanza. Quattro teche, nulla di più.
Non è messo meglio il Parco Archeologico, dove 10 anni fa fu ritrovato il Mosaico del Drago, che è stato definito «il più grande mosaico di epoca ellenistica rinvenuto al Sud», oltre che il più antico della Calabria, in quanto risale al IV secolo.
Una scoperta importantissima, tant’è che il Fai, addirittura, avviò un progetto per la sua ricollocazione in situ, in quanto il mosaico era stato esposto al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria.
Quella del mosaico, tuttavia, è una storia di breve celebrità: se ne sono dimenticati tutti – tranne RaiNews che ha dedicato un servizio per appunto i 10 anni dal ritrovamento. Eppure, lo stesso Comune di Monasterace, ai tempi del suo ritrovamento, scriveva che «per le sue caratteristiche, il il mosaico può assurgere a simbolo dell’intera fascia territoriale della Locride archeologica e il progetto per il recupero e la ricollocazione nel suo contesto originario essere l’emblema della valorizzazione delle risorse culturali e ambientali del territorio».
Non è stato da meno nemmeno il Ministero della Cultura che, candidamente, ha deciso di dedicare un post su Facebook al mosaico, ma non per la ricorrenza, bensì perché rientra tra gli “animali e luoghi fantastici”, un viaggio promosso dal Mic in collaborazione con Finestre sull’Arte.
Ma non è solo il mosaico a essere “orfano” di attenzioni: anche il Parco, purtroppo, si presenta in uno stato di totale abbandono, con pochi pannelli informativi e pochi recinti a “salvaguardare” e proteggere i preziosi reperti.
Recinzioni che mancano anche sul delimitare nella spiaggia, permettendo, così, ai cittadini o turisti, di entrare tranquillamente nel Parco Archeologico per scendere a mare.
Un fatto, che mette a rischio il sito e che lo espone a possibili danneggiamenti, che si possono facilmente provocare data la totale assenza di controlli. D’altronde, se nei mesi scorsi il direttore Malacrino denunciava la mancanza di personale al suo MArRC, è forse troppo pretendere la presenza di personale che vigili su dei reperti così preziosi.
Un discorso che si ripete, purtroppo, anche al Parco Archeologico di Locri, che è completamente abbandonato. Invece di un Parco, sembra di trovarsi nella terra di nessuno, dove i pannelli informativi sono completamente sbiaditi dal sole, lasciando i poveri turisti in balìa di se stessi e di un parco dove c’è il rischio di perdersi.
Infatti, in biglietteria, c’è un foglio con su scritto di chiamare due numeri se ci fossero problemi all’interno del Parco, perché non c’è personale, al suo interno.
Ed è un peccato perché, insieme ai vari reperti, c’è il Casino Macrì che, come c’è scritto in uno dei pannelli informativi al suo interno, è «il cuore della città antica», dove si sovrappongono e intrecciano edifici e testimonianze che documentano 2700 anni di storia, dalla fondazione di Locri Epizefiri fino ai giorni nostri».
Una struttura fondamentale, peccato che nel librone che si trova appena entrati nel Museo – perché è stato adibito a Museo – si legge spesso una frase lasciata dai turisti: «ripristinare la cartellonistica che non è più leggibile».
Quello di Locri e Monasterace sono solo due esempi di come due siti importanti della Provincia reggina siano svalutati in modo inverosimile e senza motivo, dimostrando come l’amministrazione pubblica di Enti così importanti non è sufficiente, se il risultato è questo. Allora ecco una provocazione: Perché non privatizzarli? Un esempio di come il privato riesca a dare il giusto valore al Museo è il Musaba di Nik Spatari. L’ingresso costa 10 euro, ma l’esperienza espositiva è qualcosa di unico.
Al di là dell’arte e di ciò che ha creato il compianto Nik Spatari, la differenza tra un Museo gestito pubblicamente e privatamente è innegabile. E, allora, senza dover aspettare miracoli o nuovi finanziamenti dal Ministero della Cultura, perché non diamo in mano ai privati questi Musei reggini che sono in stato di abbandono? Sarà una proposta che potrebbe far storcere il naso, ma penso che lo faccia storcere ancora di più vedere i luoghi della cultura ridotti così. E, se Regione, Governo o chicchessia, non faranno nulla a riguardo, allora è vero che in Calabria la cultura è in svendita e che esistono musei di serie A e B.
Gli esempi di Locri e Monasterace sono i più evidenti, ma basta salire un po’ sopra Monasterace e arrivare a Roccelletta di Borgia e trovare una situazione surreale che sta vivendo il Museo e Parco Archeologico di Scolacium che, come ha denunciato l’assessore al Turismo del Comune di Squillace, Franco Caccia, è vittima di «una gestione dissennata che determina danni all’immagine e all’economia per il turismo di tutto il comprensorio del Golfo di Squillace».
Quello di Scolacium, ma non solo, è la dimostrazione vivente di come ci siano «burocrati che dis-amministrano i tesori del nostro territorio» piuttosto che valorizzarli. E non bastano i quattro milioni dal Ministero della Cultura a compensare i disagi che il Parco Scolacium ha dovuto subìre nel corso della stagione estiva: prima l’apertura a tempo ridotto, poi la chiusura per due giorni a settimana del sito, confermata dalla funzionaria Elisa Nisticò.
Ma, mentre delle difficoltà del Parco Scolacium se ne parla, come scrive Giuseppe Lacquaniti sulla Gazzetta del Sud, «sul Parco di Medma di Rosarno è calato un assordante silenzio tombale», la cui apertura è attesa da 20 anni.
Una situazione che ha portato la comunità locale a pensare «che nella Città Metropolitana di Reggio Calabria vi sono coloro che remano contro, fingendo di tessere di giorno la tela per poi di notte disfarla» e, scrive Lacquaniti, «la Metrocity aveva chiesto diversi mesi orsono del tempo per mettere a posto alcune pratiche catastali», per poi sposare l’idea di «cedere il Parco in concessione con gara a evidenza pubblico, fingendo di ignorare che i 13 ettari del Parco sono per metà di proprietà dello Stato e per metà sono gestiti dall’Istituto Agrario, che li utilizza per le attività tecnico-pratiche degli allievi».
Una vera e propria vergogna, se si pensa che l’ultimo intervento di restyling risale al 2014 grazie a un contributo di oltre 1 milione di euro messo a disposizione dalla ex Provincia che, tuttavia, non è durato a lungo, lasciando il Parco in una condizione disastrosa e abbandonata, con l’impianto di illuminazione completamente distrutto, pannelli della recinzione mancanti in alcuni tratti, tanto per citarne alcuni.
Intanto, è recente l’annuncio, da parte della vicepresidente della Regione, Giuseppina Princi, dell’investimento di 10 milioni per sostenere «gli eventi culturali, tra cui quelli storicizzati da diversi anni, nonché le realtà teatrali, non dimenticando una particolare attenzione al sostegno delle diverse realtà artistico-musicali, come quelle bandistiche».
«Insieme al Presidente Roberto Occhiuto, abbiamo delineato un piano di rafforzamento e riorganizzazione del settore Cultura che vada dagli strumenti di sostegno finanziario per i diversi attori del comparto, all’avvio di un serio lavoro di aggiornamento di quel corpus di norme che regolano il settore», ha spiegato Princi, che ha parlato di una nuova programmazione, oltre che della necessità di riorganizzare e aggiornare delle normative regionali di settore che per alcune aree sono ferme a leggi emanate oltre 30 anni fa «e quindi – ha spiegato – da aggiornare ai tempi diversi ed esigenze del comparto».
In tutto questo, viene da chiedersi dov’è la Direzione Regionale dei Musei – Calabria che, proprio a fine luglio, ha sottoscritto una convenzione con le Soprintendenze per valorizzare i musei.
«L’intesa – si legge – nasce dalla convinzione che il patrimonio archeologico della Calabria, in qualunque posto esso sia custodito e da chiunque sia gestito, è parte indistinta della memoria e della storia della ricerca archeologica dello Stato e che per questo motivo ne vada ricercata la gestione migliore e più unitaria possibile».
«Intendiamo favorire processi e programmi comuni di tutela, ricerca e valorizzazione del patrimonio culturale per promuovere uno sviluppo sostenibile e un riequilibrio sociale nei territori» ha sottolineato il direttore ad interim della DRM Calabria, Filippo Demma.
L’iniziativa è sicuramente pregevole, ma se i tesori e i reperti devono essere abbandonati o stipati nei magazzini dei Musei, allora forse è meglio pensare a un’alternativa diversa altrimenti, è la storia del cane che si morde la coda.
Fa riflettere il commento lasciato da un utente sotto il post della pagina satirica Facebook Lo Statale Jonico in cui c’è scritto «Considera che se avessimo un po’ di testa, in Calabria potremmo vivere di turismo», in cui dice che «in Calabria non abbiamo la mentalità per puntare sul turismo». E se c’è questa mancanza, come si pensa di poter sostenere la candidatura della Locride a Capitale Italiana della Cultura 2025? Ma, soprattutto, con la situazione descritta prima di due Musei e Parchi Archeologici che si trovano proprio nella Locride, con che faccia e coraggio ci presentiamo all’Italia e pretendiamo di diventare Capitale della Cultura, se la cultura stessa la trattiamo come se fosse uno straccio? (ams)