S’inaugura domani, al Castello Aragonese di Reggio Calabria, la mostra Vanishing Languages (Linguaggi che svaniscono) di Lynn Johnson della National Geographic e a cura di Francesco Scarpino.
L’inaugurazione avverrà sabato 3 luglio, alle 17.45, alla presenza del fotografo Mario Spada, del curatore della mostra e amministratore di Bluocean, di Daniele Castrizio, professore ordinario Dip. Civiltà antiche e moderne Università di Messina. Sarà presente il sindaco della città, Giuseppe Falcomatà.
La mostra sarà fruibile fino al 25 luglio. Non è previsto alcun onere aggiuntivo per accedere alle sale espositive il cui ingresso è disciplinato secondo le vigenti politiche del Comune per l’accesso al Castello.
Grande firma del mondo del fotogiornalismo internazionale a cui National Geographic ha dedicato una monografia, Lynn Johnson ci racconta la più grande e costante emorragia culturale che il pianeta subisce silenziosamente. Sono infatti quasi 100 le lingue parlate che vengono perse ogni anno nel mondo su 7000 lingue parlate. Ogni due settimane una lingua scompare.
Un prezioso lavoro, uno studio e un’importante documentario proposto al pubblico che inserisce Reggio nel circuito delle grandi mostre di rilevanza internazionale.
Lynn Johnson propone ai visitatori un cammino tra culture sospese: «Le persone che parlano le lingue dominanti del mondo – inglese, spagnolo, cinese – credono che una lingua comune ci leghi e ci renda un popolo unificato. Ma tale unificazione è anche una perdita di cultura. Un linguaggio incorporato nella canzone, nel comportamento e nelle credenze mantiene intatta una comunità. La lingua è una bussola morale intima, un’appartenenza».
Le opere fotografiche propongono dunque un cammino di suggestione tra culture i cui “saperi”, con in testa la lingua parlata, sono prossime all’estinzione.
Un viaggio tra i Tuvani delle steppe della Russia centrale, i Seri che vivono sulle rive del Mar del Messico di Cortez e gli Aka che vivono nella remota India nord-orientale.
Ci sono anche i solitari sopravvissuti delle tribù native americane che stanno lottando per mantenere non solo le loro parole, ma la loro stessa identità «Vivo da solo e parlo da solo per ricordare. Non ad alta voce ma tranquillamente, nel mio cuore. È difficile ricordare le parole con nessuno con cui parlare. È come un uccello che perde piume. Ne vedete una fluttuare di qua e di là, un’altra parola scomparsa».
Incaricata da National Geographic di documentare le lingue indigene che scompaiono, Johnson ha dovuto escogitare un modo per “fotografare” le parole. Ha cercato elementi culturali o ambientali che aiutassero i lettori a capire la profonda correlazione tra la lingua, la cultura e la vita di un popolo.
È nata, così, una serie di eleganti ritratti di taglio quadrato che Johnson descrive come “una cornice più formale e interpretativa”, realizzati con una macchina di medio formato. (rrc)