di SANTO STRATI – Quella che dovrebbe essere oggi, in Consiglio comunale a Reggio, una semplice seduta di routine per accertare l’incompatibilità del sindaco dopo la sua elezione al Consiglio regionale, potrebbe, in realtà, diventare l’atto finale della consiliatura.
Tutto nasce dall’eventualità (molto remota, per la verità) di una mozione di sfiducia nei confronti del sindaco che manderebbe tutti a casa: ci sarebbe il commissariamento per traghettare la città alle elezioni di primavera e si volterebbe drasticamente pagina.
Ma chi potrebbe presentare la mozione di sfiducia? La minoranza, si suppone, con l’appoggio (velato) di alcuni esponenti della maggioranza (cioè pd) che sono arrivati al limite della sopportazione. Oppure – ma è uno scenario da periodo ipotetico di IV tipo: praticamente irrealizzabile – il Pd, guidato dal segretario regionale – e senatore – Nicola Irto potrebbe decidere di porre fine all’assurda guerra che Falcomatà – in vera e propria eresia – ha dichiarato al partito. Uno stop obbligato per rifiatare e pensare come ricostruire sulle “macerie” che i dem si lasciano dietro ormai da troppo tempo. È finita la rendita vitalizia e – pur comprendendo bene che sarà sicuramente ed estremamente improbabile la riconquista della Città di Reggio – ci sarebbe da considerare che un gesto di tale portata avrebbe il grandissimo risultato di riavvicinare i reggini al partito e ripartire da zero a sinistra. In una nuova ottica che tenga conto, in primo luogo, del territorio e della sua gente e che torni a parlare ai cittadini, ma soprattutto ad ascoltarli. I mugugni che si registrano in riva allo Stretto sono in realtà urla eclatanti di una conclamata insostenibilità dello status quo.
E il sindaco uscente, Giuseppe Falcomatà, continua a buttare benzina sul fuoco, anziché tentare di individuare eventuali “estintori” sociali, in grado di appianare il dissidio, ormai diventato guerra.
Le ultime mosse del sindaco Falcomatà, del resto, hanno gettato nello sconforto i dem reggini che non riescono a spiegarsi la scelta del nuovo assessore alla Cultura Mary Caracciolo, non solo smaccatamente di destra – era capogruppo di Forza Italia al Comune nella passata consiliatura– ma anche, in passato protagonista di accesissimi scontri proprio con Falcomatà con relativi “insulti” politici non proprio eleganti.
E uguale stupore ha destato la scelta di modificare la composizione della Giunta mandando a casa Paolo Malara, l’assessore del pluricelebrato MasterPlan di Reggio (di cui lo stesso sindaco esaltava contenuti e obiettivi) e Anna Briante.
Ora, fermo restando che è prerogativa di ogni sindaco nominare e revocare i propri assessori, quello che tutti si chiedono a Reggio – sapendo che non avranno risposta – è che senso ha modificare una Giunta su cui non si avrà alcun controllo? E perché sostituire, pochi giorni prima di lasciare Palazzo San Giorgio, i due manager delle società in house Hermes e Castore, i cui risultati – a detta dello stesso sindaco – erano stati eccellenti?
Le malelingue dicono che, vestiti i panni del Conte di Montecristo, Giuseppe Falcomatà ha voluto attuare la sua vendetta personale nei confronti di quanti non lo hanno sostenuto in campagna elettorale. Ora, premesso che il sindaco Falcomatà avrebbe potuto, a buon diritto, aspirare alla vicepresidenza del Consiglio regionale (assegnata d’imperio dal pd al sindaco di Palmi Giuseppe Ranuccio), l’ulteriore sgarbo nei suoi confronti dal PD è venuto con la mancata designazione a capogruppo a Palazzo Campanella. Una mortificazione che gli si poteva evitare, visto che, nel bene o nel male, ha tenuto per 11 anni un posto di grande prestigio in Calabria. Sindaco della città più popolosa, e sindaco metropolitano: un ruolo, che al di là di qualunque apprezzamento benevolo a contrario, non si può nascondere come la polvere sotto il tappeto quando si fanno di malavoglia le pulizie di casa.
Che le scintille fra Irto e Falcomatà avrebbero attizzato un grande incendio è stato evidente già dalla composizione delle liste elettorali: probabilmente Falcomatà non sarebbe riuscito – come è successo a Tridico – a battere Occhiuto, ma sicuramente i dem avrebbero potuto mostrare “l’esistenza in vita” del loro partito in Calabria, incapace persino di esprimere un candidato alla presidenza. Questo, ovviamente, con tutta la stima e il rispetto per Pasquale Tridico, il quale si è trovato a giocare un partita già persa in partenza.
Negata la candidatura alla presidenza della Regione, Falcomatà ha accettato il “contentino” della candidatura al Consiglio (e ci mancava pure che il pd non lo candidasse!) ma non immaginava che avrebbe fatto tutto da solo.
A Reggio due terzi della città lo ama, oppure no – scusate, è facile confondersi – due terzi della città non lo ama, eppure è riuscito da solo a raccogliere oltre 10mila preferenze. Una bella vittoria, un bello schiaffo morale a Irto e i suoi sodali che gli hanno fatto – parliamoci chiaro – una campagna contro, puntanto tutto, nella provincia reggina, su Ranuccio (che ha pur buoni meriti nella sua sindacatura a Palmi). Epperò, il sindaco “azzoppato” ha ugualmente raggiunto il traguardo.
Peccato che abbia deciso di buttare l’acqua sporca col bambino dentro, inguaiandosi – senza ragione – in un guazzabuglio di nomine e di revoche che il popolo reggino ha ha semplicemente identificato in una “grande vendetta”.
Probabilmente Falcomatà ha dimenticato le sue letture giovanili di Dumas e si è immedesimato tout court nel Conte vendicatore di torti ingiustamente patiti. Ma quali torti avrebbe subito Falcomatà? Quello dello sgarbo della mancata candidatura a rivale di Occhiuto? O quello del mancato “appoggio” del “suo” partito?
Non si trascuri il fatto che tra pochi mesi, in primavera, i reggini andranno al voto e una situazione di questo genere non solo ha provocato disagi e imbarazzi, nell’ala progressista della città, ma incoraggia la diserzione alle urne, per irreversibile disgusto della politica e dei suoi protagonisti.
Non c’era alcuna reale ragione, per Falcomatà, per rimpastare la Giunta, visto che oggi saluta tutti e se ne va a Palazzo Campanella, e men che meno modificare gli assetti amministrative cui sono demandati compiti poco graditi (riscossione delle imposte) e servizi ai cittadini.
Forse Falcomatà voleva fare un colpo di teatro, ma rischia di provocare con le sue scelte, a di poco assai discutibili, ulteriori mugugni e mormori non proprio utili in vista della prossima campagna elettorale.
La sua guerra al Pd è sbagliata e tatticamente devastante nei suoi stessi confronti e nemmeno aver avuto tre innesti alla sua corrente in Comune – il vicesindaco Brunetti, Giovanni Latella e Carmelo sono passati al pd – lo aiuterà a uscire da questo incredibile casino che lui stesso sta provocando. Già perché – secondo voci abitualmente attendibili – non è ancora finita e non è improbabile che questa mattina, prima del congedo riserverà qualche altra sorpresa.
Certo, dopo quanto ha dichiarato in una nota Falcomatà («l’azione politica non può vivere ancora in Calabria di unanimismi ed equilibrismi. È arrivato il momento di offrire alla Calabria un’alternativa credibile all’abitudine alle sconfitte») è difficile immaginare che l’abitualmente imperturbabile Nicola Irto subisca le insinuazioni di fancazzismo politico e partitico senza rispondere adeguatamente. E lo vi vedrà, in diretta, questa mattina a Palazzo San Giorgio dove, in ogni caso, si consumerà un amaro epilogo della consiliatura, anche nel caso in cui Brunetti assuma il ruolo di sindaco facente funzione fino alle elezioni. Già perché – considerato che anche il gruppo Rinascita Comune guidato da Filippo Quartuccio ha scintille in corso col Sindaco, è facile prevedere che ci sono solo due scenari possibili: il suo nuovo colpo di teatro di azzeramento totale della Giunta, oppure la mozione di sfiducia della minoranza che conquista, nel segreto dell’urna, i voti di qualcuno della maggioranza che di questa situazione ha le scatole piene.
Senza contare che l’elezione “stentata” di Falcomatà in Consiglio è insidiata dal ricorso della vicesindaca di Catanzaro Giusi Iemma, forte della tesi portata avanti dall’avv. Oreste Morcavallo, che i conteggi non siano corretti, in quanto non sono stati presi in considerazione, nel riparto dei voti e dei successivi resti, i voti dei singoli candidati presidenti da aggiungere a quelli di lista. Procedura ampiamente giustificata dall’assenza, nella Regione Calabria, del voto disgiunto. Ci sono in discussione 34mila voti ed è evidente che, se il TAR dovesse accogliere questa tesi, ci sarebbe il finimondo in Consiglio regionale, con gioia di chi è rimasto tra i primi non eletti e la disperazione di chi si è già seduto negli scranni di Palazzo Campanella.
Nell’attesa di questa ulteriore polpetta avvelenata (il pd non credo scoraggerà Giusi Iemma dal proseguire nel ricorso che la vedrebbe vincitrice per pochi voti sul soccombente sindaco di Reggio) Giusppe Falcomatà si gioca il suo futuro aprendo una seria ipoteca sul prossimo candidato progressista per Palazzo San Giorgio. C’è chi insinua che è già pronto, tanto per restare in famiglia, il cognato Naccari Carlizzi, altro politico di mestiere, su cui, però, sono caduti gli strali dell’amministratore uscente di Hermes, l’avv. Giuseppe Mazzotta che non le ha mandate a dire.
Un appello per la mozione di sfiducia è stato lanciato dal Presidente dell’Associazione Amici del Ponte sullo Stretto, Simone Veronese. «La città – dice Veronese – vive una delle fasi più buie della sua storia recente… La misura è colma. È finito il tempo delle conferenze stampa, delle dichiarazioni di indignazione, dei comunicati che non portano a nulla. È il momento di un gesto politico chiaro e inequivocabile: presentare la.mozione di sfiducia al sindaco Giuseppe Falcomatà e all’intera Giunta comunale. Non farlo significherebbe tradire la città. Non farlo significherebbe rendere inutili undici anni di battaglie di opposizione, vanificare ogni denuncia, ogni conferenza, ogni voto contrario. Non farlo alimenterebbe, ancora una volta, il sospetto di un “inciucio” sottorreaneo, lo stesso che una parte dei cittadini ha percepito dopo il ballottaggio che rieleggendo Falcomatà sembrò frutto più di equilibri che di scelte politiche».
La città comprende bene che, comnque vadano le cose, ci sarà sicuramente un vincente che, però, non corrisponde al popolo reggino. (s)







