di ANTONINO FONTANA – Le cattedrali del Nord della sanità chirurgica hanno lasciato che si aprisse una filiale all’Annunziata di Cosenza. Questa volta il Carlo Levi che si era fermato ad Eboli ha compiuto un altro passo verso i più derelitti del Sud per chi ha bisogno di operazioni complesse e difficili.
Andare al nord per lasciarsi curare dai soliti paesani, che ti avrebbero liberato, con mani meridionali, da quel male che ti aveva fatto tanta paura, non conviene più da quando vieni a sapere che il compaesano che opera nelle più prestigiose cattedrali della chirurgia mondiale, ha deciso di farti risparmiare un viaggio, che potrai eventualmente fare da turista, senza il disagio di lunghe liste di attesa.
Pronto per partire per l’ospedale Mauriziano di Torino, mi accorgo che Cosenza è più vicina, insieme all’opportunità di poter contribuire al successo di un’idea che merita il massimo sostegno. Si sarebbe rivelato più facile prendere i contatti necessari al più presto in un incontro con colui che poteva diventare l’autore di un intervento sulla tua vita, con l’asportazione di un epatocarcinoma nell’addome, di circa 20 cm, che avrebbe richiesto una competenza chirurgica ed una visione nuova per la specificità del caso.
L’incontro con il prof. Bruno Nardo, in servizio fino a qualche anno fa al Policlinico Universitario S. Orsola di Bologna, ed ora Direttore della Chirurgia Generale Falcone dell’Annunziata, si è svolto a Cosenza verificando la fondatezza delle mie aspettative: quella di poter essere operato da mani sicure e da menti dotate di visione prospettica e sinergica, tali da poter assicurare il massimo di prevedibilità col minimo rischio chirurgico, che sarebbe stato ridotto a zero, dopo verifica della fattibilità al tavolo anatomico tridimensionale.
Speravo e credevo che si sarebbe trattato dell’incontro giusto. Il prof. accolse il caso come una sfida a sé stesso, per poter sperimentare ancora il superamento dei suoi stessi limiti. Il mio intervento sarebbe stato simulato e pianificato al tavolo anatomico, con ricostruzione tridimensionale disponibile all’Università della Calabria, dove si è avuto conferma che l‘asportazione della massa tumorale poteva essere effettuata.
Avendo 75 anni ed un cuore non perfetto, ma sicuro, come verrà verificato dalle poderose macchine e dal mestiere di un eccezionale cardiologo, il dr Francesco Greco, dopo avere esplorato le mie coronarie, concede semaforo verde con espressione di completa tranquillità, che contagia tutti gli altri operatori sanitari. Mancava solo l’essenziale opera dell’anestesista, il dr Demetrio Bonofiglio, che rivelerà eccezionali doti di partecipazione non solo scientifica ma anche umana: rallegrandosi successivamente con sé stesso e con gli altri della buona riuscita complessiva dell’intervento, che ha visto anche lui, misurarsi con un caso insolito, la cui sfida non può non essere accettata.
Egli si terrà informato fino a notte tarda delle mie condizioni, ricavandone gioia immensa e piacere, per il buon esito di un intervento assai impegnativo. In ogni momento diagnostico mi sono sentito come dentro una fiction televisiva, di un film-commedia all’italiana. Le varie location dentro l’ospedale, apparivano più come scene teatrali, in cui il protagonismo del paziente è quello dell’attore principale, intorno a cui ruota una costellazione di figure professionali di importante e significativo spessore, di una potenza estetica capace di suscitare e trasmettere un messaggio rivitalizzante al paziente cui si misurano le capacità di affrontare l’intervento.
Un intervento per me irrinunciabile, ma che agli autori dell’operazione non poteva apparire, neanche minimamente, di incerta possibilità di riuscita. In tutta la mia circolazione labirintica, nell’ospedale, che assembla vari momenti delle mie necessarie diagnosi, si avverte invisibile l’input di un regista, l’input di una regia, che contestualizza ogni momento in vista dell’obiettivo di condurmi in sala operatoria nelle condizioni più rassicuranti. Un regista che orienta e guida i vari momenti con voce curiale e stile vescovile. Dopo un’infinita serie di contatti, che mantiene costanti con i miei familiari, fornendo quasi ora per ora il bollettino della mia situazione, mi viene nel pomeriggio dell’intervento spento il lume della coscienza, sottomettendomi alle sue mani che da lì a poco mi avrebbero liberato dal male, che allignava abusivamente dentro di me. Dopo alcune ore avrei riaperto gli occhi e le orecchie nuovamente nel mio letto di reparto, e non come avrei potuto temere, in un letto di terapia intensiva.
Ho avvertito un’assenza: mi mancava quel peso sullo stomaco e non sapevo decidere come godere di una liberazione che giorno dopo giorno sarebbe diventata voglia di vivere, come non provavo più da chissà quanto tempo, da quando mi abitava quel male oscuro sconfitto all’Annunziata di Cosenza da una banda di pericolosi chirurghi, capaci di osare le imprese più rischiose, sicuri di vincere. Non credo potesse accadere la stessa situazione se mi fossi fatto operare lontano dalla mia terra.
Ospedale Annunziata può sembrare un titolo riduttivo e inadeguato al contenuto, ma io ero rimasto impressionato dalla facciata federiciana con cui si era presentato davanti a me, quando ho salito per la prima volta la sua scalinata, guardandolo in faccia. Sono entrato dentro un luogo che subito ho percepito come rassicurante. La forza dei secoli che resiste nell’operosità e genialità dei suoi figli migliori, che eredi di una memoria storica, impersonata dalla statua di Bernardino Telesio, non possono mai mancare di onorare il debito, il grande debito culturale, con un passato di storia e di gloria, in una continuità che anche nei periodi politicamente meno luminosi, può venire garantita dalla ricchezza ribollente di una società civile indomabile, grazie anche al potente ed inesauribile messaggio che partì da Cosenza dalla mente e dal cuore di un uomo, che scosse con le vibrazioni del suo pensiero le migliori menti dell’Italia e dell’Europa, inaugurando un’era nuova per l’umanità intera, che ricade oggi dopo essersi sedimentato nell’agire di mani, che non solamente fanno quello che sanno, perché l’hanno imparato, ma sanno quello che fanno, perchè possiedono una memoria innata, come direbbe un altro grande pensatore meridionale: G. B. Vico.
Un agire che nell’intervento chirurgico trova il massimo campo di espressione, esprimendo una potenza geometrica dimostrativa della forza intellettuale di chi ha voluto scegliere la Chirurgia Generale “Falcone” dell’Annunziata di Cosenza, come santuario presidio della custodia di una forza rigeneratrice e rivitalizzante rinascimentale. Figura araldica il Prof. Bruno Nardo, con accanto il suo scudiero, il guitto Daniele dal Molise, che può prestare già contributi preziosi e insostituibili nell’agire professionale del suo maestro, insieme anche al dottor Marco Doni, il cui nome, come direbbe Oscar Wilde, è la sua persona. (af)