di NINO FOTI – Questo disegno di legge ci traghetta verso una subdola rottura della Costituzione con la creazione di un Grande Nord in opposizione ad un Piccolo Sud, e la creazione dunque di una specie di due Stati all’interno della Repubblica senza bisogno di alcuna secessione, esattamente al contrario di quanto ci ha richiesto l’Europa con il Pnrr, ovvero la riduzione delle disuguaglianze e l’aumento della coesione sociale, anche e soprattutto nel Mezzogiorno, grazie al prestito di 200 miliardi.
Non vedere tutto questo, ovvero ciò a cui ci stiamo pericolosamente avvicinando, significa essere miopi o corresponsabili di una strategia confezionata dalla Lega dato che, dopo l’approvazione al Senato, è previsto che il provvedimento vada in Aula alla Camera il 29 aprile p.v. con un presunto accordo, non scritto, che non prevede che la maggioranza possa fare emendamenti di modifica. Lo Stato italiano inconsapevolmente non sta per cedere competenze, ma sovranità in totale contraddizione paradossalmente con il Ddl costituzionale del Governo sul premierato.
L’aggiramento della Costituzione, che il Ddl “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata…” vorrebbe mettere in atto, parte dall’elusione del vincolo dei Lel previsti dall’articolo 117. Esso trova il suo inganno nell’art. 4 del Ddl, specificamente nei due commi che disegnano un’insana meccanica per cui se dapprima (comma 1), con retorica ostentazione di difesa costituzionale, si afferma che nessuna intesa tra Stato e Regione (se non dopo loro definizione) possa assoggettare le funzioni che prevedono il rispetto dei Lep, in totale contraddizione, immediatamente dopo nel comma 2, si consente l’immediata stipula di intese circa le altre materie a legislazione elencate nell’art. 117, oltre al trasferimento di tutte quelle funzioni, con annessi e connessi, “nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente all’entrata in vigore della presente legge”.
In questo quadro, dunque, queste intese, siglate dalle singole Regioni, soprattutto del Nord, e lo Stato, diventano irrevocabili ed inemendabili, e conseguentemente la spesa storica non solo non può più essere cambiata, ma viene costituzionalizzata! Una costituzionalizzazione, di fatto, della eliminazione della legge del 34% di investimento della spesa pubblica nel Sud – che poi non è mai stata rispettata -, per cui ognuno sarà portato a tenersi “il suo”, per gli altri “sono affari loro”.
Non a caso il Governo Draghi aveva stanziato 4 miliardi del fondo di perequazione del Mezzogiorno, confermati nella legge finanziaria del Governo Meloni, purtroppo poi ridotti a soli 800 milioni…
Tornando alla questione delle intese, queste non possono essere soggette a referendum perché è come se ciascuna intesa fosse una legge di bilancio, una specie di trattato tra l’Italia e la Germania per cui non è possibile nemmeno sottoporlo a referendum. In aggiunta, le Regioni con una legge regionale, senza che lo Stato possa dire niente, creano organismi comuni, un parlamento, per gestire interessi comuni, le intese appunto. E quali sono le materie interessate?
Il rapporto con l’estero, i rapporti con l’Europa, la legislazione sulla sicurezza del lavoro, la valorizzazione dei beni culturali, i musei, le autostrade, in teoria c’è tutto… Oltretutto, la Regione più ricca potrà attivare incentivi agli investimenti molto più alti di una regione più povera. Altro che politiche dello sviluppo, queste sono politiche di sottrazione delle risorse! È chiaramente una manovra per eludere la Costituzione ed attuare il 116 comma 3 come elusione della Costituzione, non come adempimento della Costituzione… Ed è proprio in quell’articolo 4 comma 1 e comma 2 dove è insito una specie di imbroglio!
Ad avvalorare la poca, se non del tutto assente, genuinità della riforma attualmente all’esame della Commissione affari costituzionali della Camera, vi è la preoccupazione espressa da Bankitalia che ha sottolineato come già dall’art. 11 si vada delineando una corsia preferenziale per quelle regioni, come Lombardia, Veneto e Emilia Romagna, che, guarda caso, si erano già preventivamente attivate con delle intese nel 2018 (quindi prima della proposta di legge attuale).
Intese ed accordi che, a mio avviso, sanno di anti democraticità e anti costituzionalità poiché si basano su un insano principio per cui i cittadini italiani abbiano bisogni e necessità diverse a seconda di dove vivano, e soprattutto che l’italiano ricco nella regione ricca, paradossalmente, abbia bisogni e necessità maggiori in ogni ambito, semplicemente perché “più utile”, “più produttivo”.
L’unica differenziazione allora consisterà nel fatto che le “Regioni povere”, scevre da ogni intesa, potranno contare meramente su Lep calcolati su criteri della spesa storica totalmente inadeguati ai costi reali… In effetti, però, tutto questo si incardina in un sistema in cui non vi è una volontà lungimirante di concedere Lep uguali per tutti, anche e soprattutto per ragioni di insostenibilità di costi (la spesa ammonterebbe a 100-120 miliardi annui, come calcolato da Banca d’Italia, Svimez, Confindustria e Commissione Cassese).
Questa riforma, se definitivamente approvata, non potrà che condurre ad un terremoto costituzionale, le cui conseguenze, inevitabili, non potranno che portare ad una legalizzazione della disparità e discriminazione dei cittadini italiani, sulla base della loro Regione di provenienza. (nf)
[Nino Foti è presidente della Fondazione Magna Grecia]