REFERENDUM / In Calabria la seconda percentuale più alta di Sì in Italia: 77,57%

In Calabria trionfa il Sì con la seconda percentuale più alta d’Italia, il 77,57%, superata solo dal piccolo Molise (79,89%). Ma è primato assoluto per due province calabresi, Crotone e Cosenza, che risultano le più schierate per il Sì in tutta Italia, rispettivamente con l’81,9% e l’80,97%, una sorta di plebiscito contro la casta.

Un dato clamoroso che va analizzato in profondità perché testimonia la forte disaffezione del popolo calabrese verso la politica e una evidente forma di protesta verso il Parlamento per le mancate risposte ai bisogni della nostra terra.

È bene che le forze politiche calabresi non sottovalutino questo segnale e che nella seconda parte della legislatura affrontino con più determinazione i problemi delle nostre popolazioni. L’ondata dell’antipolitica – confermata anche dagli ottimi risultati dei candidati civici alternativi alle Comunali di Crotone e Reggio Calabria – rischia di travolgere le forze politiche tradizionali. (dr)

Il referendum del 29: perché se ne parla poco?
Penalizzati la Calabria e gli italiani all’estero

di SANTO STRATI – Il prossimo 29 marzo gli italiani saranno chiamati al referendum confermativo per decidere sul taglio dei parlamentari. Un provvedimento di modifica costituzionale approvato sull’onda populista dei Cinque Stelle contro la “casta” e che probabilmente raccoglierà una marea di sì, giocando facilmente sui sentimenti dell’antipolitica che ormai convivono su moltissimi italiani. Ma siamo sicuri che questa scelta sia in linea con lo spirito dei Costituenti che, se hanno indicato in 630 il numero dei deputati e in 315 quello dei senatori, qualche ragionamento l’avranno pur fatto. Nel 1946, all’alba della ricostruzione postbellica, i sentimenti dell’antipolitica non esistevano, anzi c’era semmai una forte voglia di partecipazione: si costruiva l’Italia repubblicana, si stava ricostruendo il Paese. È la Costituzione rappresenta le fondamenta del nostro Paese: troppo facilmente si è cercato, questa volta, di “scassinarla” nei suoi principi di rappresentanza.

Come siamo finiti, ahinoi, con lo sciocco e bieco populismo dei pentastellati ce lo racconteranno negli anni a venire gli storici di professione, adesso occorre, invece, fermarsi un attimo a riflettere e cercare di bloccare un provvedimento che farà solo male, soprattutto alle piccole regioni, come la Calabria, e in modo particolare agli italiani all’estero che vedranno assottigliarsi ancor di più la propria rappresentanza parlamentare. La motivazione che il taglio dei parlamentari offrirà un grande risparmio agli italiani è risibile: gli 80 milioni risparmiati all’anno corrispondono a 1,35 euro per cittadino, come dire che ciascun italiano non offrirà più un caffè al politico democraticamente eletto dal popolo. Non prendiamoci in giro da soli. Invece, sarà l’avvio di un più temibile processo di revisione dell’attività politica, con una rappresentanza ristretta sempre più elitaria e di scelti e non eletti. È questo che la maggioranza degli italiani vuole? Non lo crediamo proprio. Non si tratta di confermare “privilegi” della casta, ma di mantenere i principi costituenti della giusta rappresentanza del popolo attraverso gli eletti.

Inspiegabilmente, del referendum se ne parla davvero troppo poco e, considerando che in questa occasione, non servirà il quorum, c’è il rischio che il voto confermativo di pochi assatanati dell’antipolitica sconvolgano la nostra vita futura. Occorre mobilitarsi per spiegare le ragioni del No (ma, per correttezza, anche le ragioni del Sì) perché gli elettori si sveglino e decidano in piena autonomia ma con la consapevolezza di cosa significherà approvare il provvedimento o respingerlo.

La politica, occupata più a valutare l’agonia perenne di un governo che si regge sulle stampelle, sta trascurando quest’appuntamento fondamentale per la nostra democrazia rappresentativa. Con qualche meritoria eccezione: il deputato Nicola Carè, eletto per il Pd nella circoscrizione estera Africa Asia Oceania Antartide e oggi passato a Italia Viva ha lanciato un accorato appello, cercando di spiegare le insidie nascoste nel referendum. «Per oltre un anno – ha detto l’on. Carè – mi sono battuto contro la riduzione della rappresentanza parlamentare, ma nonostante la contrarietà e l’impegno profusi, la riforma è stata accolta.  Tuttavia, attraverso il Referendum del 29 marzo prossimo, c’è ancora la possibilità di invertire la rotta. Tra poche settimane, proprio domenica 29 marzo, tutti gli italiani, anche all’estero, si pronunceranno su essa. Un referendum importante che sarà un atto di grande responsabilità di tutti gli elettori, perché questa scelta potrebbe alterare il funzionamento delle Istituzioni democratiche del nostro Paese».

Carè mette in guardia sui risultati del referendum: «In caso di definitivo accoglimento – ha spiegato –, si ridisegnerebbe, con 345 eletti in meno, la composizione del Parlamento. La riduzione penalizzerebbe soprattutto l’elettorato estero, già scarsamente rappresentato. I deputati da 12 a 8 ed i senatori da 6 a 4. A nulla sono valse valide rimostranze: solo la Ripartizione Africa, Asia, Oceania e Antartide di mia competenza raggruppa, ad esempio, 117 Paesi e Gerusalemme. Sono anni che chiediamo, a fronte di questa situazione e della massiccia migrazione italiana dell’ultimo decennio (aumentata del 70%) una più equa redistribuzione della rappresentanza in Parlamento. Non solo abbiamo ottenuto solo indifferenza, ma  questa già grave situazione peggiorerà. Sono circa 5 milioni e mezzo solo gli italiani registrati all’AIRE, quasi il 9% del totale della popolazione italiana. Si corre il rischio concreto di avere, ad esempio, solo nella Ripartizione Europa un Senatore della Repubblica ogni due milioni di elettori. Inaccettabile».

Quello del 29 marzo sarà il quarto referendum costituzionale. Gli altri si sono svolti nel 2001 modifica del titolo V, nel 2006 (modifica delle Ii parte della Costituzione, e nel 2016 quello sul bicameralismo: quattro anni fa votò oltre il 65% degli elettori che bocciarono la riforma (proposta da Matteo Renzi e Maria Elena Boschi) che aboliva il Senato (per come è adesso).

Quanti saranno gli elettori che si recheranno alle urne per respingere (o approvare) una legge spinta da pura demagogia grillina per “punire” la democrazia parlamentare e ridurre la sua efficacia? Gianroberto Casaleggio (il padre dei pentastellati) sognava una Repubblica che potesse fare a meno della rappresentanza parlamentare e fosse affidata agli algoritmi della sua società. I grillini ortodossi hanno continuato in questa missione riuscendo, non si sa come, a piegare tutto il Parlamento a votare una legge di “autocastrazione” che in buona sostanza serve solo a mortificare se non ad umiliare l’attività politica, soprattutto quella sana. Come funzionerà la Camera con 400 deputati e il Senato con 200 senatori? Qualche dubbio sul corretto funzionamento della macchina parlamentare è lecito. Ma è il discorso di rappresentanza quello che più deve preoccupare: la Calabria, tanto per fare un esempio, perderà tre senatori e sette deputati, in totale 20 parlamentari (6+1 – dai resti – senatori, e 13 deputati) al posto di 30.

Mette in evidenza l’on. Carè che «saranno innumerevoli le implicazioni negative, tra cui principalmente un netto danneggiamento del rapporto eletto/elettore. Oggi esso è di un deputato ogni 96.006 cittadini e un senatore ogni 188.424. In caso di definitivo accoglimento vi sarà un deputato ogni 151.210 ed un senatore ogni 302.420. Il Paese diverrà, tra i 28 Stati dell’UE, quello con il peggior rapporto di rappresentanza».  Secondo Carè si mutilerà seriamente il Parlamento e, come immediata conseguenza, vi sarà la modifica dei collegi elettorali. Non è escluso – fa notare Carè – che si richiedano anche possibili correttivi legislativi come equiparare l’età dell’elettorato attivo (anche i 18enni potranno votare per il Senato) o modificare i delegati regionali per l’elezione del Senato e del Presidente della Repubblica. Vi è, insomma, il pericolo di rendere sempre più difficoltosi i lavori parlamentari. Una riforma pensata per rendere più agile la dialettica politica finirà per complicarla. Un grave danno anche per la credibilità internazionale e la stabilità economica. Al contrario, è compito della politica confrontarsi sulle vere priorità del Paese: occupazione, internazionalizzazione delle PMI, cooperazione globale e Green Economy. Svuotare le istituzioni democratiche non è di certo la risposta giusta. Bisogna chiedersi se sacrificare la democrazia elettiva e mutilare i nostri ideali costituzionali siano un prezzo accettabile. Certamente No. Una trasformazione così non è solo inutile, ma profondamente dannosa». (s)

Vedi anche l’intervista di Calabria.Live al sen. Andrea Cangini, uno dei promotori del referendum