Orrico (M5S): Referendum Città Unica consultazione strumentale

La deputata del M5S, Anna Laura Orrico, ha evidenziato come «il Movimento 5 stelle, coerentemente con le criticità che ha evidenziato fino ad oggi relative alla legge sulla città unica Cosenza-Rende-Castrolibero, ritenendolo un percorso carente di trasparenza e informazioni che possano consentire ai cittadini di scegliere in maniera consapevole cosa votare, non darà un indirizzo di voto per l’imminente referendum».

«Crediamo che –  ha detto Orrico – questa area urbana è, nei fatti, destinata ad unire le proprie forze in vista delle future sfide convergendo verso una unificazione dei servizi ed un miglioramento della qualità della vita dei cittadini tramite anche l’efficientamento della macchina amministrativa, tuttavia, non possiamo essere favorevoli alla strada intrapresa poiché non supportata da alcuna visione politica e costruita attraverso un metodo dettato dalla frettolosità, dalla nebulosità e dalla scarsa partecipazione».

«Non sono state, infatti, coinvolte le parti sociali e le istituzioni preposte – ha spiegato – ovvero le amministrazioni interessate, con una addirittura sciolta per mafia quindi in presenza di una grave mancanza di rappresentatività. Anche il referendum, inoltre, importante termometro democratico, è utilizzato in maniera strumentale visto che i quesiti stessi orientano la scelta dei cittadini».

«D’altronde – ha proseguito l’esponente pentastellata – lo stesso studio di fattibilità non fornisce nessuna certezza rispetto all’efficientamento della macchina amministrativa, alle economie di scala, e vende, in maniera fumosa, il possibile finanziamento di 10 milioni di euro all’anno, per 15 anni, condito dai ‘potrebbe’ a fronte di sempre maggiori tagli del governo centrale come ad esempio avviene nella nuova legge di Bilancio. Contiene, fra l’altro, alcune affermazioni che consideriamo gravi ossia che la fusione agevolerebbe quel dimensionamento scolastico contro il quale ci siamo battuti con forza». (rp)

REFERENDUM, SUPERATE LE 500MILA FIRME
PUR CON ALCUNE CRITICITÀ AI BANCHETTI

di ERNESTO MANCINI – Si sta svolgendo in tutta Italia la raccolta delle firme per chiedere il referendum totalmente abrogativo della legge Calderoli, detta anche legge “sull’autonomia differenziata” oppure, in modo più significativo, legge “spacca Italia”. La raccolta è cominciata il 20 luglio scorso e terminerà con la consegna delle firme il 30 settembre prossimo.

I Comitati No AD (No a qualsiasi autonomia differenziata), i partiti promotori, i sindacati rappresentativi (Cgil, Uil) ed altre formazioni sociali (tra cui Anpi, Arci, Wwf, Libertà e Giustizia, Actionaid, Democrazia Costituzionale, ecc.) stanno facendo un ottimo lavoro sulle piazze. Peraltro, alla raccolta cartacea si è affiancata la raccolta elettronica da remoto attraverso lo strumento informatico dello “spid” che consente la firma on line con grande effetto sul risultato complessivo della richiesta referendaria.

Nonostante sia lontana la scadenza, proprio oggi si è raggiunto, con le sole richieste spid, l’obbiettivo delle 500mila firme come certifica il sito informatico realizzato ad hoc. A queste vanno aggiunte alcune centinaia di migliaia (dato ancora non conosciuto nel dettaglio) delle firme già acquisite ai “banchetti” sui moduli cartacei. È già certo, perciò, che il quorum verrà ampiamente superato ma i promotori ritengono politicamente importante che venga superato doppiando il quorum (un milione di firme).

Accade tuttavia che al momento della certificazione della raccolta dei moduli cartacei, gli ufficiali elettorali di molti comuni si limitano a certificare solo i moduli delle firme dei residenti accedendo alle liste elettorali della propria anagrafe comunale. Per i non residenti, anziché accertare direttamente ed in tempo reale il requisito attraverso l’Anpr (sistema web anagrafe nazionale popolazione residente), gli ufficiali elettorali ritengono di poter certificare solo le firme presentate insieme al certificato cartaceo di iscrizione alle liste elettorali di ciascun cittadino. Pertanto, ai comitati referendari viene richiesto di procurarsi via pec dai singoli comuni di provenienza dei non residenti, il certificato elettorale del cittadino interessato per poi presentarlo, attraverso ulteriore autenticazione, al Comune nel quale il cittadino non residente ha firmato.

Va detto che la situazione è molto variegata in tutta Italia perché alcuni comuni pretendono tale certificazione cartacea (per esempio: Roma), altri (per esempio: Genova, Voghera) non la richiedono e certificano i moduli ottenendo lo stesso dato in tempo reale accedendo all’Anpr ed avendo così la certezza giuridica che il firmatario è in possesso del diritto elettorale e quindi del diritto di firmare la richiesta di referendum.

La prassi dei comuni renitenti ad utilizzare essi stessi l’Anpr per certificare i non residenti è illegittima oltre che vessatoria per i comitati e dannosa per il risultato della campagna referendaria. Essa va respinta per i seguenti motivi.

1) Violazione di legge per mancato utilizzo dell’Anpr (anagrafe nazionale della popolazione residente)

L’Anpr è stata istituita con l’art. 2 del decreto-legge 179/2012 attraverso la rete digitale delle anagrafi comunali di tutta Italia. Tra le diverse funzioni l’Anpr consente agli Ufficiali Elettorali di ottenere in tempo reale dati rilevanti per i cittadini “non residenti”. Ciò ai fini dell’esercizio dei loro diritti politici, come quello in questione, di richiedere un referendum pur trovandosi per lavoro, per studio, per turismo o per altra causa in città diversa da quella di residenza. Trattasi di mobilità diffusissima in Italia, ancor di più in questo periodo di ferie estive.

Il mancato utilizzo di tale anagrafe per i non residenti da parte dei funzionari impedisce la validazione della richiesta e, di conseguenza, la certificazione dell’avvenuta volontà referendaria. Con l’ulteriore illegittima conseguenza dell’esclusione di tali cittadini dal conteggio dei richiedenti il referendum, la violazione del loro diritto politico di cittadino-elettore e la non meno grave conseguenza, politicamente significativa, di un numero complessivo minore, anche per centinaia di migliaia, di cittadini non residenti che hanno sottoscritto il modulo per il referendum abrogativo.

2) Violazione dell’art. 1 comma 2 e 2 bis della legge 241/90 che pone il divieto alla Pubblica Amministrazione di aggravare il procedimento amministrativo a carico dei cittadini

La violazione di questa norma consiste nel richiedere ai gruppi referendari ulteriori adempimenti rispetto a quelli effettivamente previsti a loro carico nei moduli di raccolta firme (numero documento di identificazione, generalità e residenza). Inoltre, pretendere che questi gruppi spediscano migliaia e migliaia di pec e ne attendano le risposte (che potrebbero non arrivare od arrivare tardivamente) è una palese violazione del principio per cui le amministrazioni non possono aggravare gli adempimenti del cittadino per questioni cui esse stesse possono agevolmente farvi fronte. Violato, per lo stesso motivo, è anche l’art. 2-bis della legge 241/90 secondo cui l’Amministrazione deve improntare i rapporti col cittadino a princìpi di collaborazione e buona fede.

3) Violazione della normativa sulla documentazione amministrativa (art. 43 Dpr 445/2000)

L’art. 43 del Dpr.28/12/2000, n. 445 (Disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa), stabilisce che la Pubblica amministrazione non può richiedere atti o certificati riguardanti stati, qualità personali e fatti i cui contenuti siano già in suo possesso, ma deve acquisirli d’ufficio.

L’acquisizione ed il possesso, in questo caso, derivano dall’accesso al sistema anagrafico digitale che, come si è detto, è stato realizzato proprio per avere in qualsiasi momento e da qualsiasi comune la disponibilità dei dati.

Tutto ciò, a tacer d’altro, comporta la violazione del principio di derivazione europea del c.d. “once only” perché ogni Amministrazione, una volta per tutte, mette a disposizione delle altre attraverso il sistema digitale i dati costantemente aggiornati di propria competenza. Ed è proprio la disponibilità dei dati che consente di utilizzarli ai fini del controllo dello status di elettore del cittadino firmatario. Il non utilizzarli comporta la violazione dell’art. 43 d.p.r. 445/2000 qui evidenziato.

4) Eccesso di potere per irrazionalità ed illogicità manifesta, violazione dell’art. 97 della Costituzione per contrasto col principio di buon andamento degli uffici della Pubblica Amministrazione

Ma, a guardar bene, le Amministrazioni, appesantendo le incombenze dei promotori referendari per i non residenti, appesantiscono anche se stesse perché ogni Comune, a seconda delle dimensioni, dovrà rispondere a centinaia o migliaia di pec impegnando così non poco i propri uffici ed i relativi protocolli con maggiore spendita di tempo per la redazione e l’inutile scambio di corrispondenza visto che lo status di elettore è già acquisibile on line con assoluta certezza.

Insomma, un meccanismo perverso che rende più gravoso il compito sia per i comitati referendari che per la pubblica amministrazione. Siamo pertanto nel pieno della fattispecie di irrazionalità ed illogicità manifesta espressione dell’eccesso di potere quale vizio di illegittimità dell’agire amministrativo pubblico (art. 21 octies legge 241/90).

5) Violazione dell’art. 97 della Costituzione suol buon andamento della pubblica amministrazione

Non meno evidente, per i motivi anzidetti, è la violazione dell’art. 97 della Costituzione che impone il “buon andamento” della Pubblica Amministrazione inteso come canone di rapidità, efficacia, semplificazione dell’attività amministrativa. Tale attività è invece gravata da adempimenti inutili a carico dei gruppi referendari costituitisi dappertutto nel territorio nazionale.

6) Raccolta Cartacea e Spid (Sistema pubblico di identità digitale)

Ma all’ affermazione di illegittimità per irrazionalità ed illogicità manifeste si giunge anche per altra via. Se, infatti, si può firmare la richiesta di referendum attraverso lo Spid senza l’onere di dimostrare il proprio elettorato attivo perché è già insito nel sistema di controllo informatico, non si vede perché analoga modalità non possa attuarsi col sistema della certificazione utilizzando la medesima base-dati dell’ANPR a cura dei funzionari comunali delegati a controllare e certificare i moduli.

7) Violazione per errata interpretazione ed applicazione della normativa sui certificati elettorali

Se è pur vero che la normativa prevede il sistema delle pec con allegata certificazione, è anche vero che il progressivo subentro dei Comuni nell’ANPR consente di applicare tale sistema solo per quei comuni (invero ormai minoritari) che ancora non hanno l’accesso all’Anagrafe digitale mentre per tutti gli altri l’obbligo è implicito proprio grazie a tale accesso. Ne è ulteriore riprova il fatto che nel corso del 2022 è stato emanato il Decreto Ministeriale 17.10.22 che stabilisce le modalità di integrazione proprio delle liste elettorali dell’Anpr e che all’allegato 2 punto 4 stabilisce che il comune può rilasciare i certificati ai cittadini a prescindere dal comune di residenza dell’elettore, “ai fini di garantire e agevolare l’esercizio dell’elettorato attivo e dell’elettorato passivo costituzionalmente tutelati”.

Insomma, si tratta di una risorsa, quella dell’Anpr, creata per le finalità anzidette e che invece rimane inutilizzata nonostante gli sforzi notevoli dello Stato e dei Comuni per costruirla nel duplice interesse dell’Amministrazione (il cui lavoro viene semplificato e velocizzato) e degli stessi comitati dei cittadini referendari chiamati invece ad adempimenti inutili e, per come si è detto, vessatori.

8) Violazione dei princìpi del Codice di Amministrazione digitale

Vengono anche violati i princìpi del codice dell’Amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 07/03/2005 n.82 e successive modificazioni e integrazioni. Tra questi basta citare l’art. 2 secondo cui la Pubblica Amministrazione “si organizza ed agisce per garantire agli utenti (ma anche a se stessa – ndr) la fruibilità delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”, oppure l’art.3 sul diritto all’uso delle tecnologie nei rapporti con la Pubblica Amministrazione cui corrisponde il dovere di questa di agire in modo da garantire tale diritto.

9) Maggiori carichi di lavoro e minore efficienza

Nessun pregio hanno le tesi di alcuni Comuni secondo cui aumenta il carico di lavoro dei propri uffici elettorali; intanto perché altri Comuni dovranno certificare dati che il Comune richiedente ha già in rete e, reciprocamente, questo dovrà verificare i dati di quelli (!!!) . Inoltre, perché sarebbe espressione di buona organizzazione rafforzare, se proprio ce n’è bisogno, attraverso comandi interni del tutto provvisori (due mesi) il personale da dedicare a questa importante funzione di democrazia senza sacrificarla in nome di non più ammissibili prassi.

10) Omissione dei doveri d’Ufficio da parte del Ministro dell’Interno

È molto grave che il Ministero dell’Interno, in una situazione nella quale si riscontra diversità di comportamento tra i comuni sulla medesima fattispecie, non sia intervenuto con apposita circolare esplicativa ai fini di un indirizzo uniforme e legittimo. Il risultato è la violazione diffusa di tutti princìpi di diritto sopra richiamati e la lesione del diritto al referendum con conseguenze sulla quota complessiva da raggiungere per il prosieguo del procedimento; quota che nel minimo (500 mila firme) non sarà compromessa, ma nel massimo certamente sì.

Conclusioni

Violare i princìpi di diritto pubblico come quelli sopra esposti in materia di referendum è un grave vulnus per la democrazia. Scaricare sui comitati promotori da parte di molti Comuni oneri che sono propri è illegittimo ed influisce assai negativamente sul risultato complessivo. Non consola il fatto che il quorum è stato già raggiunto e sarà comunque superato ampiamente: uno Stato di diritto non può permettersi questi assurdi comportamenti da parte degli organi pubblici che ad esso fanno capo. (em)

Scalese (Cgil Area Vasta): Raggiunte le 500mila firme, ma continueremo con i banchetti

Il segretario generale della Cgil Area Vasta Catanzaro-Crotone-Vibo, Enzo Scalese, a nome anche del Coordinamento referendario, ha evidenziato come «sono bastati solo undici giorni per centrare l’obiettivo formale delle 500 mila firme in calce al quesito che chiede l’abrogazione netta e totale della Legge Calderoli che istituisce l’Autonomia differenzia, la “Spacca Italia”».

«Questo risultato dimostra l’attenzione e la preoccupazione delle cittadine e dei cittadini rispetto a quella che è una battaglia chiaramente condivisa – ha aggiunto –. E noi, comunque, non ci fermeremo: continueremo ad allestire banchetti e raccogliere firme in tutto il territorio».

«Continueremo a raccogliere sottoscrizioni fino all’ultimo giorno utile, non solo sulla piattaforma digitale, ma soprattutto ai banchetti, organizzati da Cgil, Uil e altre 32 organizzazioni che compongono il Comitato promotore, tra questi Arci, Anpi, Legambiente, Wwf, Acli, Libera – ha detto ancora Scalese –. Per noi la priorità è parlare con le persone: informare, coinvolgere, spiegare».

Il Coordinamento referendario ha comunicato, inoltre, che le firme possono essere apposte anche al Comune di Vibo Valentia, in aggiunta alle altre sedi di Enti locali dove è disponibile il modulo per firmare.

Martedì 6 agosto

  • Lungomare di Soverato Europa (prolungamento via Zumpano): dalle 19.00 alle 23.00.

Mercoledì 7 agosto

  • Corso Umberto I, adiacente mercato – Mileto, dalle 9 alle 12

Sabato 10 agosto

  • Mercato Comunale di Chiaravalle Centrale: dalle ore 9.00.

Martedì 13 agosto 2024

  • Lungomare di Soverato Europa (prolungamento via Zumpano): dalle 19.00 alle 23.00. (rcz)

 

 

AMICI DEL NORD, LA BATTAGLIA CONTRO
L’AUTONOMIA È DA COMBATTERE INSIEME

di MIMMO NUNNARICarissime amiche e carissimi amici del Nord dobbiamo fermarci prima del precipizio che abbiamo davanti, non solo chi vive al Sud ed è “meridionale con difficoltà”, come diceva Sciascia con riferimento alla Sicilia, perché il Sud è notoriamente terra di contrasti e contraddizioni e il popolo è un popolo che soffre, perché dominato da secoli, lasciato ai margini della comunità nazionale per colpe che non conosce, e patisce insieme all’assedio mafioso soffocante di un deficit civile di proporzioni altissime, conseguenza principalmente del vivere senza gli stessi diritti e opportunità dei connazionali dei territori del Nord.

Il precipizio nel quale rischiamo di cadere tutti, per una serie di ragioni interne: scarsa competitività, corruzione, invecchiamento della popolazione, inefficace politica di rilancio economico, ma anche esterne – declino globale, allontanamento dall’etica e dalla morale che da anni permea la società occidentale – riguarda anche voi, che che state al Nord, e in teoria avreste meno problemi dei meridionali, almeno materiali.

La vostra situazione è la situazione non buona dell’Italia degli ultimi decenni nascosta come la polvere sotto il tappeto, che nel 1992, in un saggio che ho avuto l’onore di scrivere insieme al cardinale Carlo Maria Martini e all’arcivescovo Giuseppe Agostino [“Nord Sud l’Italia da riconciliare” edizioni Paoline], l’allora arcivescovo di Milano impietosamente così: «Siamo di fronte ad una società percorsa da forze dissolutrici, gravemente intaccata da corruzione e illegalità, sovente incapace di trovare le vie di una vera convivenza civile; e il pericolo è di credere che tutto sia così, che tutto sia marciume, che non ci sia più alcuna forza positiva, che manchino le persone oneste e capaci». 

È un ritratto, quello fatto da Martini trent’anni fa, purtroppo ancora attuale. Abbiamo tutti perciò un problema, al Nord e al Sud, ma voi al Nord ne avete uno in particolare, che vi deve far riflettere, e riguarda la qualità della classe politica settentrionale ormai da molti anni pessima.  Spesso il Sud vi serve come alibi per non parlare della vostra classe politica impresentabile, specchio della vostra indifferenza, non certo della vostra cultura e intelligenza. Di quella del Sud sappiamo: è suddita, nel senso che pensa che i diritti debbano arrivare per elemosina, è portatrice insana di consensi elettorali, per convenienza personale, un incarico, una prebenda. 

Ma che sia scarsa la classe politica del Nord è qualcosa davvero difficile da spiegare non solo all’Italia ma anche all’Europa. Perché se il Nord che ha le migliori Università, una ricerca eccellente, una buona sanità, un’impresa che vola in alto,  un diffuso benessere, esprime una classe dirigente mediocre, scarsa, qualche problema c’è. E quando parliamo di mediocrità non parliamo dell’aurea mediocritas, che per i latini aveva una connotazione positiva, significava stare in una posizione intermedia tra l’ottimo e il pessimo, tra il massimo e il minimo, ed esaltava il rifiuto di ogni eccesso, ma parliamo di quella poco lucente mediocritas simbolo di ignoranza, di vuoto a perdere, che invade ogni sfera della vita sociale.

Prendo in prestito la battuta di un caro e illuminato amico del Nord (ne ho tantissimi) che a proposito di cultura costituzionale mi dice sconsolato: «Siamo passati da Calamandrei a Calderoli». Calamandrei, giurista, scrittore e uomo politico ha lasciato pensieri profondi: «La libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare». Frase che pronunciò nel suo celebre discorso sulla Costituzione agli studenti di Milano del 26 gennaio 1955. Di Calderoli, chirurgo maxillofacciale, triumviro della prima Lega e più volte ministro, la frase che probabilmente sarà tramandata ai posteri sarà: «La legge elettorale? L’ho scritta io, ma è una porcata». Outing, fatto da Enrico Mentana durante la trasmissione Matrix, che poi Calderoli spiegò meglio: «…Una porcata, fatta volutamente per mettere in difficoltà destra e sinistra, che devono fare i conti col popolo che vota».

Qualche domanda lassù al Nord dovreste farvela, per capire in che mani siete finiti. Potreste rileggere per fare un esame di coscienza un testo teatrale di Marco Giacosa, dedicato ai fratelli Terroni che votano: «Vent’anni fa ci furono i gazebo per l’indipendenza della macro-regione del Nord, si dibatteva se un marchigiano era un terrone e andava fatto affondare nei debiti della sanità, o salvato nella gloriosa Padania…. Secondo me, terroni, dovreste vergognarvi a votare Salvini. Almeno quanto noi del Nord, certo… Ma voi, terroni, Salvini proprio no. Comunque, contenti voi». Si parlava in quel testo breve di teatro a nuora (Sud) perché suocera (Nord) intendesse.

Ecco, siamo ancora fermi lì, ad arrovellarsi su quanto bisogna vergognarsi al Sud a votare Salvini, ma anche a ragionare su come abbia fatto il Nord a sperperare il patrimonio di cultura, competenza e dignità, ereditato dai giganti della politica che hanno operato nel dopoguerra. Pensiamo, per fare un solo esempio, non alle prime file, ai grandi leader, ma al lavoro intelligente di quanti hanno pensato, scritto e attuato programmi sociali ed economici per la nuova Italia nata dalla Resistenza, come gli economisti valtellinesi Ezio Vanoni, Pasquale Saraceno, Sergio  Paronetto, Tulio Bagiotti, Bruzio Manzocchi;  alcuni dei quali – come Saraceno – concepivano il problema dell’unificazione economica dell’Italia anzitutto come una questione etico-politica. Saraceno, pensava che l’obiettivo del superamento del divario tra il Nord e il Mezzogiorno chiamava in causa responsabilità dello Stato, e che il permanere del divario poteva alla lunga riflettersi negativamente sulla stessa unità nazionale, con conseguenze che potevano risultare esiziali anche dal punto di vista politico e degli equilibri sociali.

Il suo era un pensiero profetico. Come il Nord abbia potuto dimenticare quelle pagine gloriose per arrivare alle rappresentazioni di oggi bisognerebbe studiarlo, interrogarsi su come sia potuto accadere. Cari amici del Nord la battaglia contro l’Autonomia differenziata bisogna dunque combatterla assieme. La sfasatura del dualismo Settentrione Meridione, pesa, in maniera preoccupante, e dietro l’angolo c’è il caos, cioè il disordine, il disorientamento. L’Autonomia è una via di fuga dalle responsabilità, irresponsabile e pericolosa. Le guerre civili sono nate a volte per cause imponderabili. La soluzione è la riconciliazione del Paese, non una spaccatura ulteriore.

È l’unica strada percorribile la riconciliazione in questa fase di fragilità della storia italiana. E Il primo banco di prova per quest’Italia debole e smarrita è il “No” all’Autonomia voluta dal Governo Meloni che definire antipatriottico e antiunitario è il minimo. (mnu)

La Prima Commissione del Consiglio regionale rinvia discussione della proposta del referendum

Si è concluso con il rinvio della discussione del provvedimento per l’indizione del referendum abrogativo, la seduta della Prima Commissione ‘Affari istituzionali, affari generali e normativa elettorale’ del Consiglio regionale. Alla riunione, presenti diversi sindaci.

Una scelta, per la consigliera regionale del Pd, Amalia Bruni, che «è una chiara strategia adottata per evitare di affrontare direttamente la questione e di prendere una posizione chiara rispetto all’Autonomia differenziata che rappresenta una minaccia per l’unità nazionale e per i principi costituzionali di solidarietà ed equità».

«La legge Calderoli, già esecutiva dal 13 luglio – ha aggiunto – è immorale, anticostituzionale e antistorica: l’Autonomia differenziata sarà capace solo di portare disgregazione dello Stato, penalizzando le regioni più povere come la Calabria, favorendo invece solo le regioni ricche trattenendo le tasse locali. La legge Calderoli, sebbene apparentemente promettente nel rimuovere disparità e promuovere il decentramento, di fatto crea una divisione economica tra regioni ricche e povere, violando il principio di equità sancito dall’articolo 3 della Costituzione».

«I colleghi della maggioranza di centrodestra – ha concluso – non possono non avere contezza delle gravi conseguenze economiche e sociali dell’Autonomia Differenziata, tra cui la riduzione delle risorse per le regioni più deboli e il peggioramento dei servizi pubblici essenziali come sanità e istruzione. Così come non possono non essere consapevoli del fatto che non saranno mai garantiti i finanziamenti adeguati per i Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep), necessari per garantire diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale – rimarca Bruni -. Senza l’apporto delle risorse provenienti dalle tasse versate dalle Regioni più ricche, lo Stato rischia di andare in default: l’Autonomia Differenziata farà implodere l’Italia».

Il consigliere Antonio Lo Schiavo, illustrando la proposta, ha ribadito che «non si tratta di una battaglia politica di parte, ma di una battaglia che riguarda i calabresi. Manca la discussione successiva alla legge 26 giugno 2024 sulla autonomia differenziata, per quanto in premessa, informa di aver chiesto l’adesione del Consiglio regionale della Calabria alla richiesta di referendum abrogativo e che se lo stesso non adotterà in tempi rapidissimi all’adesione al refendum, qualunque discussione successiva sarà inutile».

È stato chiesto al Presidente Roberto Occhiuto di aderire all’iniziativa e fare da front man in questa battaglia, che la discussione fosse portata al Consiglio, ricordando come le finalità della proposta in discussione è acquisita, alcune regioni vogliono rompere il principio solidaristico e trattenere la propria ricchezza nei loro territori. In un momento di grande conflitti globali vengono creati venti micro stati che avranno difficoltà a garantire i servizi ed i diritti costituzionali.

Lo Schiavo, poi, ha evidenziato che 13 sono i miliardi spesi dalla Calabria per mobilità sanitaria si immagini quale futuro potrà essere riservato alla sanità calabrese, si immaginino gli effetti della differenza retributiva. «L’economia differenziata – ha detto – è un sistema truccato in partenza e sta montando la mobilitazione generale, non si tratta di una battaglia di parte. Non basta la dichiarazione del presidente Occhiuto critica sulla legge, contestata dalla sua maggioranza la richiesta di moratoria dello stesso, la Lega ribadisce, infatti, che l’economia differenziata è legge dello Stato».

Per Lo Schiavo, poi, «i calabresi dovranno sapere che la Calabria non aderirà alla proposta di abrogazione» e che «la scelta peggiore è riscontrabile nell’escamotage della furbizia politica utilizzata per non assumersi responsabilità».

Per questo ha chiesto al presidente Occhiuto di riferire in Aula «su quali iniziative intenda intraprendere».

«La battaglia non può essere di parte e va portata nelle sedi istituzionali», ha detto, ribadendo 1che con la proposta in discussione si chiede che il Consiglio deliberi la richiesta di abrogazione della legge 26 e che le posizioni dovranno evincersi dalla votazione in Aula».

Il consigliere Davide Tavernise, premettendo che ha sottoscritto la proposta «perché come regione del Sud è giusto assumere una posizione che sia ufficiale, perché non esistono finanziamenti per i Lep e la protezione civile ed il commercio con l’estero rischiano di essere assunti da subito, viste le posizioni di alcune regioni del Nord».

Il pentastellato, poi, ha evidenziato «come anche nella maggioranza esistano posizioni diverse e che alcuni deputati e senatori calabresi di maggioranza non hanno votato la proposta», per questo «i cittadini del Sud debbano essere tutelati e che trattasi di una battaglia da portare in porto anche con il supporto della maggioranza».

Il presidente del Consiglio regionale, Filippo Mancuso, ha ricordato che «la modifica del titolo quinto è opera della sinistra e che è inutile l’atteggiamento eroico di oggi. Le differenze sociali esistono, dichiara, ed è necessario assumersi le responsabilità delle iniziative».

Sul provvedimento ha informato «che diversi giuristi hanno intravisto elementi di incostituzionalità e che la proposta referendaria sarà respinta. Rammenta che il Consiglio regionale si è espresso con diversi ordini del giorno ed ha votato un documento con il quale si dice che l’autonomia differenziata è una grande opportunità ad alcune condizioni. L’autonomia differenziata con il finanziamento dei Lep dovrà colmare il gap oggi esistente in sanità e l’esempio può essere traslato a tutte le materie».

Ha concordato sul fatto che le materie «non disciplinati dai Lep possano rappresentare un problema ed è stata espressa la posizione critica del Consiglio regionale» e ha annunciato la presentazione di una proposta all’Ufficio di Presidenza con la quale si chiede alle Università uno studio ed un approfondimento sulle materie non sottoposte ai Lep».

Non ritenendo la proposta costituzionalmente compatibile, ha poi chiesto che venga rivista.

Il consigliere Ernesto Alecci, ringraziando i sindaci per la partecipazione, che «è riconducibile a mero esibizionismo considerato che avrebbero necessità di rimanere sui territori per affrontare la crisi idrica ed altro», ha sottolineato come «il presidente Mancuso, preso dalla passione, ha dimenticato che i Lea – paragonabili ai Lep –  sono stati approvati nel 2001 e se dopo venti anni non è stato, ancora, colmato il gap. L’autonomia differenziata garantirà, grazie alla fiscalità trattenuta, una una sostanziale disparità tra regioni alcune delle quali potranno garantire servizi migliori».

«I lep sono elementi minimi da garantire e rappresentano – ha detto ancora – una grande presa in giro. Che la Lega parli di esibizionismo della sinistra è un vero è proprio ossimoro. La riforma del titolo quinto ad opera del governo Amato è stato un errore e la riforma Calederoli, vista la storia politica del ministro, non garantisce, nulla di buono. La fila in prossimità dei banchetti per la raccolta firme è rassicurante e testimonia il grande coinvolgimento popolare».

Il dem, infine, ha rammentato al Presidente Mancuso che durante il Covid la prima regione ad accogliere i cittadini lombardi è stata la Calabria e gli ospedali calabresi, a quel tempo non interessati fortemente dal fenomeno, si sono presi cura di pazienti provenienti da altre regioni. Si dichiara orgoglioso di appartenere ad un popolo che non alza muri».

Per Mimmo Bevacqua, capogruppo del Pd in Consiglio regionale, la posizione di Mancuso «è chiara» e il «suo intervento non passa inosservato», sottolineando, poi, come «sarebbe stato opportuno che il presidente Mancuso si congratulasse con i sindaci per la loro partecipazione».

«La proposta in discussione è fatta per conto ed in nome dei cittadini. La commissione dovrebbe prendere atto della richiesta avanzata e la proposta avrebbe dovuto essere discussa in Aula», ha detto Bevacqua, aggiungendo che «la minoranza chiede, sulla base, anche di 500.000 firma già raccolte che la proposta venga discussa in Aula».

«La calendarizzazione è stata prevista ai limiti dei tempi regolamentari, strumentalmente – ha evidenziato –. La maggioranza dovrebbe, invece, dimostrare sensibilità e consentire la discussione avallata dall’80% dei comuni e dalla maggioranza della società civile e, soprattutto, esprimersi con chiarezza sul “si” o “no” al referendum».

La presidente della Prima Commissione, Luciana De Francesco, si è detta meravigliata «che il consigliere Bevacqua seguendo una doppia morale contesti il normale iter, considerato che è opportuno dare il giusto coinvolgimento e la calendarizzazione in aula commissione per il giusto approfondimento tecnico/giuridico».

Per Giuseppe Mattiani la presenza dei primi cittadini non «è indicativa di appartenenza, ma di ascolto».

Ha, poi, ricordato che «la riforma del Titolo V è di iniziativa del Governo Amato e, pertanto, non è condivisibile la posizione ambigua della minoranza», che le posizioni «dei presidenti Bonaccini ed Emiliano che anni addietro rivendicavano i presupposti di all’art. 116, 117 e 119 della Costituzione sulle materie concorrenti e sulla rimozione delle diseguaglianze».

Il consigliere della Lega ha ricordato ancora come sono «propedeutici all’entrata dell’attuazione della legge sull’autonomia dovranno essere finanziati i Lep e che per la Calabria sarà un’opportunità. Azzerata la spesa storica, l’autonomia differenzaita darà la stura ad una reale equità. Il minacciato residuo fiscale ritiene non sia contemplato dalla legge, le materie non lep rientrano tra le materie concorrenti e la legge del 26 giugno definisce solo i principi generali di applicazione perchè l’autonomia differenziata esiste già. Trattasi, dunque di una presa di posizione a prescindere».

Il consigliere Antonello Talerico, non d’accordo sull’applicazione dell’autonomia in senso lato, ma concordando sulla posizione del presidente Occhiuto, ritiene, da giurista, che «il referendum sia, palesemente, inammissibile considerato che il referndum deve avere a riferimento una legge, e non può essere abrogativo di leggi ordinarie attuative di norme Costituzionale».

«Bisogna, invece – ha dichiarato – concentrarsi sugli stanziamenti finanziari dei Lep e la determinazione dei criteri degli stessi. La tecnica legislativa può spostare l’asse sulla base della valutazione dell’essenzialità e dei parametri che potrebbero anche avvantaggiare alcune regioni. I Lea sono stati previsti a livello centrale, già nel 2001 ed il sollecito del 2017 è stato applicato lo stesso criterio per altre materie. Il referendum non risolve il problema, che, invece potrebbe essere affrontato dagli amministratori».

«Il referendum, per raggiungere l’obiettivo dovrebbe riguardare la modifica dell’art. 116 della costituzione ed è improponibile», ha detto Talerico, ritenendo che non bisogna scendere nel populismo ma valutare dal punto di vista politico-amministrativo gli elementi dirimenti da prendere in considerazione per evitare i danni e cogliere le opportunità».

Per questo è «necessario un intervento virtuoso, una battaglia comune per attenzionare i criteri e la fase attuativa sui Lep e sui Lea ed evitare proposte vacue».

Il consigliere Giuseppe Gelardi ha ricordato che «la Lega vuole dare concretezza al dettato Costituzionale».

«Si assiste, in realtà al gioco delle parti, l’abolizione della spesa storica è elemento fondamentale, per come rilevato dal consigliere Mattiani, e costituisce un elemento dirimente. La Calabria tutta, maggioranza ed opposizione dovrebbero individuare, insieme, le materie importanti per il futuro della regione», ha detto il leghista, secondo cui la proposta referendaria non avrà futuro.

Ferdinando Laghi, ha evidenziato la posizione di contrapposizione netta della Federazione nazionale dei medici e della Cei che «si è chiaramente espressa contro con riferimento biblico “in nome del mio popoplo non tacerò”».

Informando della sua contrarietà non solo all’autonomia differenziata ma anche alle regioni perché favorevole al rilancio delle provincie, convinto che il governo debba essere vicino ai cittadini, ha ricordato che «i Lep sono un obbligo costituzionale».

Per Laghi l’esito del quesito non è fondamentale, ma il dibattito popolare si, perciò ritiene inutile lo spacchettamento del quesito referendario proposta da alcune regioni, il quesito si deve basare sul “si” o “no” e la maggioranza dovrebbe tenerne conto.

A conclusione della Seduta, la presidente De Francesco ha ricordato che il Governo ha garantito l’attuazione dei Lep, finalizzata al superamento delle diversità e che «la stessa maggioranza è orientata in tal senso» e che il trasferimento è subordinato al finanziamento dei Lep. (rrc)

 

 

 

L’OPINIONE / Angelo Sposato: Occhiuto impugni provvedimento e firmi per il referendum per autonomia

di ANGELO SPOSATO – La posizione del presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto che chiede una moratoria per le intese regionali, in assenza di copertura finanziaria dei Lep, è apprezzabile ma non è un ripensamento sui danni che produrrà al Paese l’autonomia differenziata. È un semplice distinguo per evitare il dissenso popolare che sul tema è crescente anche in Calabria.

In queste ore c’è una grande voglia di partecipazione e di protagonismo dei cittadini che stanno firmando per il referendum per respingere questo tentativo di dividere il Paese e colpirne le sue fondamenta costituzionali. Se il presidente Occhiuto (che ha votato sì in conferenza delle regioni al progetto di autonomia differenziata) vuole essere coerente con la nuova posizione assunta, accolga le richieste delle opposizioni in consiglio regionale ed impugni il provvedimento con le altre regioni e firmi come cittadino calabrese il referendum abrogativo.

Altrimenti rimarrà solo una semplice distinzione che non produrrà alcun atto concreto e nessun atto politico. (as)

[Angelo Sposato è segretario generale Cgil Calabria]

Il sindaco di Cinquefrondi Michele Conia:« Firmate per referendum contro l’autonomia»

«Dobbiamo scongiurare questo scenario, per questo ogni firma è preziosa. Contro l’autonomia differenziata noi abbiamo firmato, ora tocca a te! La tua firma… la ferma». È quanto hanno dichiarato Michele Conia, sindaco di Cinquefrondi, e Fausto Cordiano, presidente del Consiglio comunale di Cinquefrondi, ribadendo l’importanza della raccolta firme per il referendum abrogativo per l’autonomia.

Il sindaco Conia, tra l’altro, ha rivendicato, con orgoglio, che avendo intuito i gravi rischi per la democrazia e la vita economica e sociale del Paese, Cinquefrondi è stato il primo comune in Italia che, nel dicembre 2018, ha adottato una delibera contro l’attuazione del federalismo fiscale e nell’aprile successivo ha avviato il ricorso contro il sistema di perequazione del Fondo di solidarietà comunale, invitando gli altri comuni a fare altrettanto e raccogliendo 600 adesioni. Inoltre, insieme ad altri sindaci calabresi, ho sottoscritto l’appello “Una sola Italia” per chiedere alla Regione Calabria di impugnare la Legge n.86 davanti alla Corte Costituzionale».

Inoltre, presto sarà possibile firmare online: «A breve – ha spiegato Conia – sarà pubblicato in Gazzetta ufficiale il Dpcm che illustrerà il funzionamento della piattaforma pubblica e gratuita per poter firmare on line referendum e proposte di legge d’iniziativa popolare. La consegna delle firme in Cassazione avverrà il 30 settembre in modo che si possa celebrare il referendum nella prossima primavera».

Per Cordiano «la partita decisiva si giocherà sul quorum. Infatti il prossimo obiettivo sarà quello di portare al voto più della metà degli aventi diritto, cioè più di 25 milioni di italiani e italiane. Ma siamo fiduciosi non solo per l’entusiasmante successo riscosso ai banchetti per la raccolta firme ma anche per i risultati emersi da un recente sondaggio pubblicato su Repubblica nei giorni scorsi, ed elaborato dall’Istituto Noto Sondaggi, che stima che il 55% degli italiani è intenzionato a votare ed è contrario il 63% dei meridionali».

Il primo cittadino, poi, ha ricordato come «la Legge n. 86, meglio conosciuta come Legge Calderoli, crea inaccettabili discriminazioni, istituisce tanti stati regionali, ciascuno con le sue leggi e in competizione tra loro facendo venir meno il principio solidaristico e generando caos amministrativo, affogando in un mare di burocrazia. La nostra Cinquefrondi, libera e forte contro mafie e illegalità, da sempre luogo di partecipazione ed elaborazione politica, scende in campo per impedire una riforma che spacca il Paese, parcellizza i diritti e acuisce le insopportabili diseguaglianze che insistono nella nostra società, per contribuire a spezzare quel patto anticostituzionale scellerato tra autonomia differenziata e premierato».

«Una riforma – ha continuato Conia – costituzionalmente eversiva, che fa strame dell’articolo 3 della Costituzione, smantella il sistema pubblico di protezione sociale, con una ricaduta drammatica sulla vita delle persone. Nella mia audizione del 14 marzo scorso in Commissione Affari costituzionali della Camera, nell’ambito dell’esame del Ddl Calderoli, ho ribadito con coerenza e profonda convinzione le motivazioni per cui vada portata avanti la lotta iniziata nel 2018, rimarcando con fermezza la contrarietà al disegno di legge sull’Autonomia differenziata. Sanità, scuola, contratti, giustizia, ambiente, beni culturali, trasporti, saranno diversificati per regione di residenza, privatizzando i servizi, smantellando scuola e sanità pubblica, aumentando le ingiustizie, calpestando la Costituzione. Inoltre il testo è impraticabile anche sotto il profilo finanziario, dal momento che servirebbero, come ha ribadito la Svimez, almeno un centinaio di miliardi di euro per finanziare i Lep».

«Si tratta di un inaccettabile progetto secessionista, di una legge sbagliata che spacca il Paese, che istituzionalizza povertà e disuguaglianze, tradisce la Costituzione ed esautora il Parlamento – ha aggiunto Cordiano – senza dimenticare che, una volta ratificate dal Parlamento, le intese governo-regione avranno durata decennale e non sono reversibili, se non per un recesso da parte delle regioni stesse». (rrc)

L’Associazione Petrusinu: Un referendum per dire no alle pale eoliche

L’Associazione Culturale Petrusinu Ogni Minestra ha proposto un referendum per «dire no ai nuovi impianti eolici in Calabria; al proliferare delle pale che stanno devastando il territorio calabrese senza portare nulla all’economia calabrese. E gli impianti realizzati dovranno essere smontati e smaltiti in tempi brevi (massimo 20 anni)».

Inoltre, il sodalizio ha chiesto al presidente della Regione, Roberto Occhiuto, «di tutelare il territorio calabrese e, soprattutto la volontà dei cittadini, siamo, infatti, certi che la maggior parte dei calabresi sono contrari alle pale eoliche. E mentre al nord dicono no al proliferare degli impianti, al sud continuano ad alzarsi pale come di recente avvenuto tra Squillace e Borgia. È bene ricordare che la Calabria produce più energia elettrica di quanto necessario. La nostra regione ha un surplus energetico e non necessita di ulteriori impianti (non chiamateli parchi)».

«La Calabria produce il triplo dell’energia di cui ha bisogno 16mila gigawattora a fronte dei 5mila richiesti – ha ricordato l’Associazione –. Il 6% dell’energia prodotta in Italia è calabrese. A differenza della Lombardia che, invece, non è autosufficiente. Eppure i calabresi pagano più dei lombardi per il fattore “omega” che, paradosso dei paradossi, è il più alto d’Italia. Dalla serie “cornuti e mazziati”. Non solo ci ritroviamo con un territorio devastano ma non abbiamo nessun vantaggio neanche sulla bolletta, tutt’altro!»

«È chiaro che dietro questa situazione – ha detto l’Associazione – c’è una speculazione da parte di multinazionali ai quali nulla importa della Calabria e della malavita locale. A tal proposito vorremmo sapere che fine hanno fatto le diverse indagini delle procure calabresi. Solo fumo e niente arrosto? Ma la cosa grave che nei prossimi mesi saranno alzate 500 torri eoliche in tutta la provincia di Catanzaro e persino nel nostro splendido mare. Una devastazione che va fermata con un referendum ad hoc che ponga finalmente fine a questo scempio». (rcz)

 

 

Il sindaco di CZ rilancia proposta di referendum sul Ponte sullo Stretto

Un referendum consultivo in Calabria sull’utilità del Ponte sullo Stretto e, di riflesso, sulla possibilità che la Regione contribuisca al finanziamento dell’opera rinunciando a parte del Fondo di Sviluppo e Coesione. È la proposta lanciata dal sindaco di Catanzaro, Nicola Fiorita, ospite di Radio24.

«Se c’è la volontà politica si può votare anche assieme alle Europee della prossima primavera – ha detto il primo cittadino –. Qualcuno, terrorizzato da questa ipotesi, sostiene che il referendum consultivo non è contemplato. Non è così. Il referendum consultivo su questioni di interesse regionale è previsto dall’art.12 dello Statuto e a farne richiesta possono essere il 10% del corpo elettorale o il 40% dei Consiglieri regionali. Manca, è vero, la legge attuativa e la Calabria, se non erro, è una delle tre Regioni che non lo hanno fatto, assieme a Basilicata e Molise».

«Cosa impedisce al Consiglio regionale – ha aggiunto – di varare in due mesi la legge attuativa e consentire così lo svolgimento del referendum? Io credo sia interesse dello stesso presidente Occhiuto e dello stesso ministro Salvini conoscere la volontà popolare della Calabria su un tema così serio».

«È l’unico strumento democratico – ha concluso – per sapere se davvero la Calabria, come sostiene Salvini , è favorevole al Ponte e se è disposta ad ogni sacrificio pur di averlo. Se la Calabria si pronuncerà per il ponte, allora il ragionamento di Salvini di una compartecipazione della nostra Regione, potrebbe anche avere una logica. Si faccia dunque senza paura il referendum». (rrm)

CATANZARO – Molto interesse per gli incontri per i referendum con il sen. Paolo Arrigoni

Ha raccolto entusiasmo e tanta affluenza l’incontro sui referendum con il senatore Paolo Arrigoni, svoltosi a Catanzaro e organizzato dalla Lega.

Dopo i saluti del responsabile provinciale Giuseppe Macrì e quelli del commissario regionale Giacomo Francesco Saccomanno, è intervenuto il Presidente del Consiglio Regionale Filippo Mancuso, il quale, nel ringraziare il gradito ospite, ha chiesto maggiore collegamento con il partito centrale ed ha evidenziato le difficoltà di operare in Calabria.

A seguire il responsabile del Dipartimento Energia Guido Nardi ha consegnato al Consigliere Regionale Pietro Raso due proposte di legge sulla materia in questione, commentandone brevemente le ragioni. Le conclusioni al sen. Arrigoni che ha illustrato le ragioni dei referendum, la necessità che si vada a votare e si convincano le persone ad andarci, il tentativo di non informare i cittadini degli stessi e, comunque, la necessità che si riprenda il percorso di ascolto dei territori. Un breve cenno poi all’emergenza energetica ed alla necessità che si proceda celermente a trovare soluzioni alternative, ribadendo l’impegno della Lega a difendere famiglie ed imprese per diminuire i rincari esistenti.

Tappa successiva a Palmi, ove nella oltremisura gremita sede della Lega, vi è stato l’incontro con il candidato sindaco del centrodestra Giovanni Barone, con i candidati della lista della Lega e con i tantissimi militanti e dirigenti del partito. Dopo i saluti del responsabile locale Giovanni Saffioti, del responsabile provinciale Franco Recupero, del commissario regionale Giacomo Francesco Saccomanno, del candidato sindaco e del consigliere Giuseppe Gelardi, le conclusioni al sen. Paolo Arrigoni che ha evidenziato l’importanza dei referendum e si è congratulato con tutti per essere riusciti a comporre una coalizione con i simboli dei partiti. (rcz)