Mario Di Cianni, il “professore” di Sant’Agata d’Esaro

di ITALO ARCURI –  Il 4 gennaio a Sant’Agata d’Esaro, in provincia di Cosenza, alle ore 16, presso il Centro “Ecclesiam Diligere” (già cinema “Montea”), su iniziativa del “Comitato gemellaggio Sant’Agata-Seregno”, con il patrocinio del Comune, sarà ricordato il professore e scrittore Mario Di Cianni, che di Sant’Agata era nativo e che tanto ha dato a questo paese in termini culturali.

In Mario Di Cianni, insegnante e formatore di generazioni di studenti, morto il 3 agosto dello scorso anno, amico di chiacchierate lunghe e articolate e compagno di penna saggio e impareggiabile, il valore del ricordo, che è bisogno naturale per chi ama e ha a cuore la storia delle origini, passava principalmente dal ricostruire prima e dal ripercorrere e tramandare poi tutto ciò che riguarda la bella nostra Sant’Agata. 

In lui, cultore autentico di una storia locale in cui studio, tradizione e passione erano un tutt’uno, scrivere del nostro paese era “un attestato di fede in certi valori che trascendono il tempo”. Il tempo, quello che si consuma per ovvietà ma che mai deve erodere il fine primo e ultimo di un’origine che, come spiegava lui stesso, ha radice fondante nell’etimologia stessa della parola: “genesi”. 

Reale, limpido e sincero è stato l’amore di Di Cianni per la comune terra di nascita, quanto vero, genuino e schietto è stato il suo costante raccontare Sant’Agata oltre Sant’Agata stessa.

Mario, come voleva che lo chiamassimo in paese, è una di quelle persone che la Cultura la masticava come il pane. Viveva di questo. Rappresenta, insieme a pochi altri, l’esempio umano lampante del senso dei luoghi.

Da fine ricercatore ha dato alle stampe, con il Centro studi Vintar, “Il vocabolario santagatese-italiano/italiano-santagatese” (2011), “Detti e proverbi in uso a Sant’Agata d’Esaro” (2012) e con Emia Edizioni “Sant’Agata la bella dell’Esaro” (2020), “Soprannomi e nomignoli santagatesi” (2021) e “Sant’Achita i na vota” (2022). 

Ogni suo libro è un viaggio, nel luogo in cui la terra diventa richiamo di impeto, attrazione di ardore e trasporto di entusiasmo. I suoi lavori editoriali sono veri percorsi umani innanzitutto, prima ancora che letterari, in cui la compiutezza della storia si fa spazio tra emozioni e spiritualità, tra cultura e folklore, tra vita e poesia. 

La trama che fa da sfondo ad ogni suo libro – tenere in vita il ricordo, inorgoglirsi di sana identità e stimolare la ricerca storica – è la maniera più stuzzicante, e probabilmente più moderna, per raccontare di noi, dei nostri genitori, dei nostri nonni, dei nostri bisnonni.

Mario, sostenuto dalla sua amata compagna di vita e di cultura, Cristina, con serietà e ironia, riprendeva per mano il tempo, lo fissava su carta e lo condivideva con chi lo aveva vissuto o con chi lo voleva conoscere, dando vita a una sorta di staffetta generazionale in cui proprio la “Cultura dell’essere” diventa forma e sostanza. Dalla Vigilia dell’Immacolata, rigorosamente dedicata alla “Cena dei nove cosi”, dalla festa di Santa Lucia, in cui i “pagliari” accendono di luce conviviale, dal Natale, che dà fuoco al “curmu” dell’emozione, dal Capodanno, in cui la “strina” era obbligo di famiglia, al Carnevale, in cui le “farse” sono realtà traslata con pungente ironia, alla Pasqua, che anche i “culurielli” portava in Chiesa, al Maggio in fiore, che adornava di bellezza la giornata del borgo, a San Francesco, apoteosi di spiritualità secolare mai sopita.

Il tutto passando tramite i culti e le funzioni civili, personali o lavorative, di una quotidianità fatta di nascita, sviluppo e morte. E in cui quest’ultima diventa commiato di destino, quasi un congedo di abbandono, da una collettività, in cui la “Cummaranza” è il pane quotidiano di un’umanità in perpetuo divenire.

Gli aspetti di vita paesana, quelli che si filtrano il ricordo per usanza linguistica, ora, ne sono certo, con le raccolte di Mario Di Cianni, resteranno in vita per sempre anche fra i più giovani abitanti di questo amato microcosmo. (ia)

 

Sant’Agata d’Esaro, il dolore di Michela diventa battaglia di civiltà per la SP 263

di ITALO ARCURI – «Era una domenica come le altre, io preparavo il pranzo, le bambine giocavano felici e Roberto, il papà perfetto, il marito che pensava alla famiglia, intorno alle 10, va sulla strada provinciale 263 a raccogliere un po’ di legna poco più distante da casa. Alle 11.30, mentre mescolavo il sugo sul fornello, ho sentito qualcosa allo stomaco, come un richiamo, un senso di preoccupazione. Non so come definirlo a parole. Mezzora dopo riguardo l’orologio e non vedendolo rientrare, con le ciabatte ai piedi, prendo le chiavi dell’auto e vado dove stava lui, con la speranza che mi incontrasse sorridente come sempre… invece più mi avvicinavo al posto dove sapevo lui fosse e più quel groviglio di brutte sensazioni non mi dava tregua, mi amplificava il pensiero. Arrivata sul luogo, vedo il suo ape50, spengo il motore dell’auto e scendo… silenzio assordante… lo chiamo più volte ma Roberto non risponde… non lo vedevo… poi è stato un attimo… un metro più giù da dove mi trovavo lo scorgo lì… e terra, esamine, accasciato… a quel punto urlo, urlo a squarciagola e con tutte le forze che ho in corpo, urlo “aiuto”… ma lì nessuno può sentirmi.. allora afferro il cellulare, digito il 112, poi il 118… ma niente… da lì non riesco a chiamare nessuno, non c’è copertura. Salgo sull’auto, terrorizzata e sotto shock, e torno indietro verso il paese, e a poco più di dieci minuti di distanza, finalmente riesco a chiamare i soccorsi. Il resto potete immaginarlo…».

Da quel maledetto giorno Michela Surace, madre di due bambine, il suo smisurato dolore per la morte improvvisa del marito, Roberto Guaglianone, lo ha trasformato in una missione, in una vera e propria lotta di civiltà. Il giorno dopo i funerali di suo marito prende carta e penna, crea un gruppo Fb, mobilita le istituzioni e chiede ai suoi concittadini, vicini e lontani, di unirsi a lei nella richiesta di vivere il più possibile in sicurezza questo tratto di strada, che oltre ad essere sprovvisto di copertura telefonica, non dispone nemmeno di colonnine d’emergenza.

«Da quel giorno – mi dice Michela – è come se a Sant’Agata avessimo scoperto l’impensabile e cioè che sulla SP 263, la strada più importante del nostro paese, non si ha accesso telefonico nemmeno al 118. Una cosa incredibile se ci pensiamo. Subito dopo il funerale ho chiesto al Sindaco di Sant’Agata e ai Sindaci dei paesi limitrofi, le istituzioni più di prossimità, di attivarsi presso gli organi preposti, Regione in primis».

«Da quel maledetto giorno ho fatto una promessa a mio marito, a me stessa e alle mie figlie: battermi per portare la copertura telefonica, almeno per le chiamate di emergenza, su quella strada che è trafficata da motociclisti, ciclisti e pellegrini. Da lì passano i pullman che portano i “nostri” ragazzi alle scuole Superiori che si trovano sulla costa… e alcuni giorni fa proprio uno di questi pullman ha avuto un guasto poco prima della “Betulla”. Per poter telefonare hanno dovuto fare un tratto a piedi, fino a dove hanno potuto agganciare il ponte…».

Trasformare “il dolore in speranza” è ciò che ha deciso di fare Michela: «È diritto di ogni essere umano vivere in tutta sicurezza il proprio territorio. Spero davvero che la mia terribile esperienza, il mio tremendo dolore, si trasformi in qualcosa di positivo per il bene comune. Mai più nessuno deve ritrovarsi nella situazione in cui mi sono trovata io quel maledetto giorno di sei mesi fa». (ia)