LO SFASCIO SANITÀ CALABRIA: MALEFATTE
SCELLERATEZZE E IMPUNITÀ. COLPA DI CHI?

di MIMMO NUNNARI – Chi è responsabile dello sfascio della Sanità in Calabria iniziato quando la politica ha messo le mani su questo settore, vitale per la salute della collettività? La risposta dovrebbe darla chi è incaricato per ruolo e competenza di vigilare, controllare: cioè Stato (Ministero della Salute), Regione, comitati etici, ordini professionali.

Nel dibattito, francamente surreale, ancorché acceso e vivace sulle facoltà di medicina, o sull’arrivo dei medici cubani, l’interrogativo resta invece sullo sfondo, è bypassato.  Quanto sarebbe utile, invece, una commissione d’inchiesta promossa magari dal Consiglio regionale, per indagare sul disastro della Sanità calabrese.  Una vecchia ricerca di Demoskopica rileva che il sistema sanitario calabrese è il peggiore d’Italia. I cittadini lo sapevano già: livelli essenziali di assistenza sotto la soglia minima, debiti milionari accumulati per decenni, diciotto ospedali tagliati, servizi di pronto soccorso scoppiati, tempi infiniti, per una visita specialistica o un esame. L’elenco delle disfunzioni è infinito. Le ragioni dei burocrati, le influenze dei politici, gli affari, hanno minato la centralità del servizio sanitario. Sullo sfondo di questa situazione – anzi nel fondo, come la melma – c’è l’esercito di “impuniti”; di tutti coloro che hanno ucciso la sanità in Calabria e di cui non si riesce a conoscer volto, ruoli, nome, cognome. Nessuno è finito sul banco degli imputati; nessuno ha pagato finora per questa vergogna indicibile della sanità collassata a causa di interessi loschi, di una corruzione che prospera nella combinazione diabolica tra immoralità e opportunità criminale.

Che gli impuniti l’abbiano – salvo piccoli casi –  fatta franca, pesa come un macigno sulle spalle dei calabresi, col suo carico di malefatte, ruberie, sprechi che coinvolgono, almeno sul piano morale, quanti sono chiamati a esercitare legittime funzioni di vigilanza e controllo e non l’hanno fatto, o non l’hanno fatto bene, o non l’hanno saputo fare, o hanno chiuso un occhio, e magari due. Quella degli “Impuniti” è una categoria di cui l’Italia ha il primato, e strada facendo il termine impunito – che è chi non è colpito dal giusto e meritato castigo per aver commesso reati – ha assunto un significato leggero, di “sfrontato”, di qualcosa senza tono d’ingiuria o di oltraggioso per il colpevole non scoperto e non assicurato alla giustizia.

’A ‘mpunito”, in romanesco, più che un insulto è una specie di complimento. Ci siamo nutriti in Italia della dottrina manzoniana del “sopire, troncare…troncare, sopire…” (così parlava il conte zio nei Promessi sposi). Tanto – tagliamo italianamente corto –  ci penserà la Giustizia Divina a regolare i conti. Eppure, la professione di impunità produce frutti avvelenati nella società. Non è solo questione di reati che bisognerebbe perseguire, assicurando il colpevole alla giustizia terrena intanto che prima o dopo arrivi l’altra a cui non si sfugge e comunque non appartiene alla nostra realtà sociale. Marco Tullio Cicerone che di queste cose s’intendeva, avvertiva: “La speranza di restar impunito è l’incentivo più forte per diventare scellerato”. Ed è proprio quella speranza di ciceroniana memoria che alimenta la “vocazione” di chi delinque, fidando su fattori facilitanti che nel nostro caso specifico, del sistema sanitario, sono, almeno tra i principali, vulnerabilità della pubblica amministrazione, corruttibilità dell’organizzazione che eroga i servizi, inefficienza dei controlli, che asimmetricamente fa diminuire il rischio di essere colti con le mani nella marmellata. La questione non è solo calabrese, intendiamoci.

In Lombardia, in un “libro nero”, si parla di 30 anni di scandali, cominciati col famoso Duilio Poggiolini, presidente della Commissione per i farmaci dell’allora Comunità economica europea, che nascondeva dentro i puffi del salotto sacchi di soldi, proventi, secondo i magistrati del pool Mani Pulite, da tangenti delle case farmaceutiche. E come dimenticare le protesi in cambio di mazzette agli ortopedici o la zarina delle dentiere, che era a capo di un impero di cliniche dentarie sorte come funghi. Com’è potuto tutto questo accadere nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale? Il SSN – un bene insostituibile fondato nel 1978 – che non fa idealmente distinzione tra ricchi e poveri, per un certo periodo è stato considerato tra i migliori al mondo, ma oggi ahinoi è in preoccupante declino, e ha bisogno di urgenti correzioni.

“Va sottratto alla politica, ancorato al territorio, ha bisogno di veri esperti e di adeguate risorse per la ricerca”, dice Silvio Garattini, noto scienziato e farmacologo, autore del libro “Il futuro della nostra salute” (edizioni San Paolo), con cui spara a palle incatenate contro l’inerzia della politica che trascura la ricerca e il sistema non lo ha ancora adeguato alle nuove esigenze. Naturalmente, se ci sono preoccupazioni per le regioni dove scandali a parte si registra una presunta efficienza, per la Calabria le previsioni sono molto più nere. Stupisce, dunque, che si siano accesi i riflettori sulla seconda Facoltà di Medicina nata all’Unical e per l’arrivo dei medici cubani, e che si trascuri il dibattito (invocando magari un’inchiesta rigorosa della magistratura) sulle cause dell’inadeguatezza del servizio sanitario in Calabria, che è il nodo dove restano aggrovigliati anche i problemi più generali del mancato sviluppo della regione: ultima in tutte le graduatorie nazionali ed europee su condizioni di vita, diritti sociali, istruzione, libertà civile.

Non è certo questa la sede per riprendere abusati temi, riguardo alle cause storiche dell’arretratezza della Calabria, all’impotenza di fronte energie che vanno via (ieri braccia e oggi ricchezza intellettuale) o sulla mancanza di visione, sui conflitti e i municipalismi, sulla classe politica che è la peggiore di sempre e tutt’oggi accoglie a bocca aperta politici in corsa per segreterie di partiti che promettono questo e quello e quando erano al potere non hanno fatto né questo e né quello. Dovremmo tutti concentrarci invece sul tema degli impuniti e della nostra salute, garantita dal Servizio Sanitario Nazionale almeno fino a quando sarà così, poiché in agguato c’è l’idea secessionista di “ognuno faccia per sé” del dentista e costituzionalista per mancanza di Costituzione Roberto Calderoli, proconsole prima di Bossi e ora di Salvini.

Concentrarsi, indagare, fare luce su un argomento che sembra passare in second’ordine, come quello degli “Impuniti”, dovrebbe servire anche a sgombrare il campo dal sospetto che le polemiche – magari inconsapevolmente – allontanino la politica e le istituzioni dal dovere di far luce su ombre più pesanti: ombre che uccidono il nostro futuro. (mnu)