Occhiuto da Paestum: intitolare a Berlusconi il Ponte sullo Stretto

Dalla convention azzurra di Paestum convocate per celebrare il compleanno di Berlusconi (avrebbe compiuto 87 anni), scomparso tre mesi fa, il Presidente Occhiuto ha lanciato una proposta che, ovviamente, ha raccolto immediati consensi tra gli esponenti di Forza Italia.

«Mi piacerebbe – ha detto il Governatore della Calabria – che il Ponte sullo Stretto, che sarà la più importante opera pubblica d’Italia, potesse essere intitolata al grande uomo che l’ha ispirata: Silvio Berlusconi. È stata un’opera osteggiata per tanti anni in quanto era diventata ideologica, come se fosse il Ponte di Berlusconi.
Contrastata dalla sinistra più per questo che non per ragioni pratiche.
Ha ragione il presidente Schifani quando dice che è un’infrastruttura molto importante per la Calabria e per la Sicilia, anche dal punto di vista occupazionale.
Sarebbe bello che il Ponte potesse essere un attrattore di altre importanti infrastrutture. Così come avvenne con la realizzazione dell’Autostrada del Sole, quando all’epoca si disse che si andava a costruire una grande opera in assenza delle strade ordinarie. Poi, invece, con l’autostrada furono fatte anche le altre infrastrutture viarie.
Per cui, io sono convinto che il Ponte possa essere un grande attrattore anche di altre opere. Ringrazio, infatti, il governo perché sono riuscito ad ottenere 3 miliardi di euro per la Statale 106, e sto cercando ora ulteriori fondi per un tratto dell’A2.
Il Ponte non deve rappresentare una cattedrale nel deserto, bensì un’opera pubblica che accelera la realizzazione di altre infrastrutture complementari. Sarebbe bello che oggi, insieme a Salini, due presidenti di Regione di Forza Italia, realizzassero questo sogno di Berlusconi».(rp)

L’OPINIONE / Franco Cimino: Berlusconi, quel che è della politica e quel che è della storia

di FRANCO CIMINO – La notizia attesa, temuta, dolorosa e angosciante, è arrivata stamattina alle nove e trenta. È arrivata improvvisa come un fulmine che rompe il cielo, un rombo di tuono assordante. Silvio Berlusconi è morto. Tanti sentimenti, e contrastanti, in questo momento si intrecciano in tutto il popolo italiano e nella pubblica opinione mondiale. Si muovono freneticamente tra quanti, specialmente gli italian, lo hanno amato e quanti lo hanno odiato. Molti di più i primi.

Tra quanti lo hanno ammirato e e quanti disprezzato. Assai di più i primi. Tra quanto lo hanno considerato padre amorevole protettivo della Nazione e quanti il nemico più feroce della stessa. In maggioranza i primi, in minoranza i secondi. Tra quanti l’hanno sostenuto, sempre vincendo, taluni pure guadagnando tanto, e quanti l’hanno combattuto, quasi sempre perdendo, non pochi anche più che le elezioni. Questo contrasto resta anche oggi. E non potrebbe essere diversamente, perché il Cavaliere è stato uomo delle divisioni, dei contrasti e delle contraddizioni intrinseche alla sua personalità, poliedrica, vivace, ostinatamente combattiva.

Berlusconi si è trovato sempre bene in questo contrasto, non potendo realizzare una delle sue prime ambizioni, piacere a tutti. Essere accolto da tutti. Amato incondizionatamente da tutti. Uomo di spettacolo, e dello spettacolo innato in lui, ha scritto una sceneggiatura facendosi regista della sua stessa commedia esistenziale. È salito sul palcoscenico della vita e ha recitato il suo ruolo, nel quale vantava una totale supremazia. Berlusconi ha recitato la parte che si è scelto da ragazzino. Se l’è confezionato come un abito su misura. E non si è mai fermato. La commedia da lui scritta potrebbe avere un solo titolo, “L’uomo che vince sempre”. Oppure, “Colui che non perde mai”. Ha iniziato a scuola e all’Università, per poi rappresentarla su quella prima nave da crocerai, dove non si esibiva come cantante, ma esibiva lui stesso, la sua persona. E quella sua bellezza maschile che gli piaceva molto e di cui menava vanto.

Conquistare era il suo motto segreto, le donne sempre. Amava anche la sua bellezza, che forse declamava, come i testi delle canzoni, anche le sue, e delle poesie, anche le sue, forse soltanto al fedele amico di sempre e che anche allora lo accompagnava, Confalonieri. Fedele di nome e di fatto. La sua ambizione era strettamente accompagnata dal suo carattere, sempre allegro, apparentemente spensierato, sempre ottimista e perché no? un po’ menefreghista. Potere e Fantasia, insieme, tanto da potersi fare beffa di un inno sessantottino per la rivoluzione mai arrivata da quelle piazze. E cioè l’a fantasia al potere. Lui, a suo modo e per il suo pensiero “politico”, vi è riuscito. Per questo è sempre stato forte in lui quel doppio amore per la Francia e per Napoli. Lungo questa strada, la sua contraddizione e quel suo contrasto naturale, hanno camminato come un treno veloce. Parigi dell’Impero napoleonico, la sua naturale tendenza alla conquista del potere e la sua aspirazione a essere sempre il migliore.

Il primo, con enorme distacco dal secondo. Napoli è la fantasia. La creatività, ma anche quella sottile voglia di uscire sempre, come se non piovesse, dai temporali. Parigi e Napoli, diversamente concepito per la bella vita. Parigi e Napoli, diversamente romantiche, egualmente poetiche. Parigi e Napoli, ragione e sentimento, storie di dominazioni e di dominati, dominatori e “acclamatori”. Parigi e Napoli, la Reggia e la piazza, il Sovrano e il Popolo. Il gourmet e la pizza. Parigi e Napoli, l’Amore sempre acceso e le donne da conquistare. Col potere sullo sfondo da far venire in soccorso quando quel fascino giovanile si fosse disperso tra le rughe di una vecchiezza in agguato. Al centro, anche geografico si direbbe, quella Milano alla cui forza dirompente Berlusconi ha ispirato tutte le sue azioni e quella scoperta di sé imprenditore che gli è esplosa tra le mani di “costruttore” di cose, di case, di ricchezza, lo strumento più sicuro per raggiungere e mantenere il potere. Milano capitale della modernità e della moda, porta dell’Europa ricca e produttiva, ma anche la via più veloce per raggiungere, in alto e in basso, al Nord e verso il Sud, la fama mondiale e il rispetto dei veri potenti. Dei ricchi veri. Dei politici forti. L’Europa e Roma.

Lungo quest’altro percorso, egli si é fatto imprenditore di un settore sconosciuto e per lungo tempo non riconosciuto se non come la scuola elementare e scadente di un banalissimo “piazzista”, come egli inizialmente fu definito dall’aristocrazia economica settentrionale. Quella governata dagli industriali storici, quei commenda tutto pancia e portafogli e quell’Avvocato, dal corpo bellissimo e dagli abiti firmati quando non indossasse i preziosi cachemire. Il Cavaliere di Arcore (l’unico titolo unitamente a quello di dottore con il quale voleva essere chiamato), inventò l’imprenditore della comunicazione, il potere economico delle televisioni, la forza culturale omologante delle telecomunicazioni e dei mass media, divenendo un modello da imitare, anche nella sua attività successiva, dai molti Trump nel mondo. E, saltando oggi i sospetti radicati e antichi sulla vera origine di quella, fu subito ricchezza crescente.

E potere mass mediatico dominante. Il resto fu la politica, l’anello mancante alla sua ambizione di fondo. Finalmente gli arriva, giungendole, pure con tranquillità, dai fatti e dalla fortuna che gli arrivano in soccorso insieme a quegli imperdonabili errori di una sinistra dotata di quella “geometrica macchina da guerra” di Achille Occhetto, corredata dalla battuta a sfottò del numero due dell’ex Pci, Massimo D’Alema, quando lo definiva “venditore di tappeti” che avrebbe messo presto le pezze al sedere. La politica gli é arrivata tra le sue mani “rapinanti” per dimostrare che qualsiasi altra cosa avesse fatto Silvio di Arcore sarebbe stata un successo. In qualsiasi altra attività, come ha confermato la sua discesa… in campo. Anche quello verde del pallone dove ha conquistato, con il suo Milan tutto quello che c’era da conquistare, tentando negli ultimi anni di ripetersi con il piccolo Monza recuperato dalla Serie C.

La politica era anche il palcoscenico più alto e più esaltante, quello in cui avrebbe potuto rappresentate pienamente tutto di sé. Teatralità e genialità, combattività e lotta per il potere, fatica e vittoria, vanità e idealità, intelligenza e furbizia, desiderio di fare il bene per gli altri e voglia sfrenata di realizzare il bene per sé. Generosità e interesse, anche personale o di classe. Essere avversato per vincere le avversità e i nemici. Ed essere amato per poter contare sulla celebrazione osannante della sua persona. Uscire da Milano e scendere, anche questo era quel proscenio, dall’antica nave, per diventare il più amato dagli italiani e l’italiano più conosciuto e rispettato nel mondo. Se fosse, però, soltanto questo la politica secondo la sua concezione, non gli verrebbe fatta cosa gradita.

E neppure cosa utile alla verità è alla storia recente del Paese. Berlusconi era parte integrante di un sistema e di una classe sociale che lo dominava. È stato detto e in gran parte è vero. Vi apparteneva anche se con spirito di indipendenza. Quello probabilmente favorito anche dalla distanza in cui veniva tenuto dai palazzi dei vecchi potenti e dei vecchi ricchi. Ovvero, per quella sua stretta amicizia con Bettino Craxi, della quale credo sia giunto il momento che ne venga rivelata tutta l’intensità, specialmente in quella parte riferita al lungo tempo della sventura del leader socialista e del suo rifugio tunisino. Berlusconi, contrariamente a quanto hanno stupidamente pensato i suoi nemici storici, era molto intelligente e sebbene non avesse studiato molto, aveva una sua idea della società e dello Stato. Non aveva fatto politica attiva mai. Ciononostante, aveva una chiara cultura politica, che se pur stretta alle cose fondamentali, ha cercato di impiegare nella sua azione di governo. Su questa cultura, inizialmente approssimativa, ha costruito un pensiero politico. Un pensiero magari inizialmente disordinato per quel suo volerlo intrecciare un po’ al liberalismo, un po’ al socialismo, un po’ al popolarismo, un po’ al culto della personalità, ma un pensiero lo aveva.

E siccome era molto ambizioso, intorno a quel pensiero aveva chiamato inizialmente figure molto limpide della cultura liberale Italiana con le quali aveva costruito una strategia per realizzarlo. Non era un venditore di tappeti. No. Ha venduto sogni, il suo soprattutto, quesì sì. Ma non era un semplice procacciatore dei suoi affari e di quello dei suoi amici, anche se di interessi particolari ne ha perseguiti e garantiti molti. Qualcuno gli attribuisce il ruolo di esecutore di disegni di “ ribaltamento” istituzionali orditi da altri e ben poco raccomandabili personaggi. Non credo sia vero, se non l’influenza politica craxiana, che era tutt’altro. Tuttavia, se anche lo si volesse considerare vero, ciò che conta è che il cavaliere di Arcore ha tentato di cambiare( anch’io ero fortemente contrario pur nel mio piccolo) l’architettura statuale.

E non riuscendovi con le riforme strutturali, ha cambiato radicalmente il volto della politica. Lo ha fatto personalizzando, attraverso figure falsamente leaderistiche, tutta la scena istituzionale e l’ambito stesso della costruzione del consenso. Sul suo personale altri, purtroppo mediocri personalità, hanno costruito partiti personali, che hanno copiato il suo anche nella scritta del proprio nome su logo e bandiere, manifesti e denominazione. È iniziata con Berlusconi la stagione, purtroppo non terminata, dei partiti finti, dei congressi finti, degli statuti inapplicati, della adorazione del capipartito. E del culto della personalità anche in quelle formazioni minuscole, le cui sigle servivano soltanto per realizzare finte alleanze in un bipartitismo insano e falso.

Nella stagione cosiddetta di Tangentopoli, in cui sono stati fatti finire i partiti tradizionali, quelli democratici e popolari soprattutto, è finita la vita dei partiti democratici, quelli a cui la Carta Costituzionale ha affidato il prezioso insostituibile compito di raccordo tra il popolo e le istituzioni, attraverso la buona rappresentanza degli interessi sociali plurimi e diversificati nelle culture politiche di riferimento. Da quel momento il cammino progressivo verso la decadenza e la trasformazione della nostra Democrazia nata dalla lotta al fascismo, ha compiuto un percorso lungo e pericoloso, giunto sul punto di un confine che non ammetterà ritorno. La fine del partito in quanto tale ha cancellato la partecipazione della gente alla vita politica, allontanando progressivamente gli elettori dalle urne.

Il monolitismo all’interno delle attuali formazioni partitiche, ha cancellato pure il ruolo dell’opposizione fino a renderla quasi inutile successivamente all’interno delle assemblee elettive e, previa la riduzione del ruolo “politico” del Sindacato, anche nelle piazze. La legge elettorale, una delle più antidemocratiche esistenti nel mondo, con le sue liste bloccate e le candidature decise nelle abitazioni dei capipartito, ha fatto il resto. L’abbattimento dei partiti democratici ha fatto il paio con l’impegno a scoraggiare la ricostituzione della DC e del Psi, ovvero con l’ostinata, fanatica, battaglia contro il pericolo comunista, anche quando il Pci, da tempo non comunista, era finito da tempo e i comunisti non si vedevano più. Neppure nei salotti culturali, per il troppo facile concedersi di moltissimi intellettuali d’origine marxiana alle “ lusinghe” premiali del leader imperante. Per questi e tanti altri fattori che andranno studiati con il massimo dell’onestà, Silvio Berlusconi, resta uno dei più grandi protagonisti della storia italiana.

In particolare, quella compresa tra la fine del secondo e l’inizio del terzo millennio. Non sarà stato il più grande statista che l’Italia abbia mai avuto, come egli stesso ripetutamente si è definito, ma uomo di rara genialità e grandezza, questo sì. L’essere stato personalita del contrasto, politico delle luci e delle ombre, come forse di qualche ambiguità e di certo di qualche contraddizione, non ne sminuisce il suo ruolo storico, se mai glielo rafforza. La sua assenza pesa. Non la celebrino come una liberazione i suoi nemici. L’ultima Italia della politica, lunga venticinque anni pieni, si può subito dividere in quella di Berlusconi, quella prima e dopo di lui. E non sia materia solo degli studiosi, storici e polititoligi, ma di quanti credono ancora nella Democrazia e nella Politica quale energia che la ravviva. Si rifletta su questa personalità straordinaria, unica quasi. E ci si preoccupi nell’immediato di un berlusconismo senza Berlusconi e sulle conseguenze che da questo possono determinarsi nel tempo più ravvicinato. Si dirà, e molto, sul personaggio controverso e sulla sua vita privata. Si dirà dei suoi errori e si trascurerà il Berlusconi degli ultimi anni. Quelli della sua malattia.

E delle lunghe degenze in ospedale. È un Berlusconi che guarda all’Europa con occhi nuovi e più profondi, alla società ingiusta e alla necessità di riforme che muovano in direzione opposta, al dovere per la Politica di costruire speranza e cittadinanza diffusa. È questo un Berlusconi diverso, anche lontano dalle posizioni degli stessi alleati che ha contribuito notevolmente a portare ancora una volta al governo. Un leader che vorrebbe parlare una lingua nuova ai popoli che cercano democrazia e progresso. Taluni diranno che non era sincero o che gli era facile esser “ buono” nella fase del passaggio finale. Sarà, ma le sue parole restano. Come la sua coraggiosa e “spettacolare” permanenza sulla scena, fino all’ultimo istante.

L’ultimo respiro vitale. L’ultima parola, lui che la parola amava enormemente, anche per i suoi effetti in qualsivoglia battaglia. L’ultimo respiro vitale. Ha palato e lavorato, dicendo di sé e della sua volontà fino alla fine. É uscito di scena secondo il suo antico copione. Sul palcoscenico. A teatro. Il suo. I suoi. Come siano stati nell’intimità più profonda gli ultimi momenti, se abbia detto e carezzato i suoi figli, se abbia pianto e pregato, invocato Dio e la sua mamma, e, soprattuto se abbia avuto paura, sono le domande che non possiamo farci. Ché una cosa è certa, per tutti, credenti e non, tutti moriamo. E tutti moriamo alla stessa maniera.

E, soli, anche se fossimo circondati da amori e carezze numerosi. Quel momento, duri tanto o poco, è solo un istante di solitudine piena in cui c’è tutto di noi. Oggi possiamo osservare che il Cavaliere è morto come desiderava, con gli occhi aperti sul mondo e combattendo fino alla fine. Di altro non sappiamo. Del dopo non possiamo sapere. Ché il mistero resta. Adesso la parola alla storia! (fc)

L’OPINIONE / Pietro Massimo Busetta: Il rapporto tra Berlusconi e il Sud

di PIETRO MASSIMO BUSETTA Si calmino adesso le polemiche. Avversari e sostenitori è bene che abbassino i toni. Di fronte al passaggio, che prima poi riguarderà tutti, bisogna avere la capacità di tacere. Questo sarebbe l’auspicio e certo, anche in questo caso, “l’Ei fù” di manzoniana memoria, del 5 maggio, senza voler fare confronti che sarebbero assolutamente impropri, vale. “Il Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola, sulla deserta coltrice accanto a lui posò”.  

Il Sud lo ha amato. Infatti sempre in cerca di un masaniello liberatore, lo ha apprezzato e acclamato, dandogli risultati elettorali assolutamente rilevanti. Dal 61 a 0 di Forza Italia in Sicilia, ai successi nelle altre realtà regionali meridionali, il Sud ha sempre premiato Silvio Berlusconi.

L’immagine di chi ce l’ha fatta, qualunque impresa iniziasse, é di quelle che entusiasmano coloro che si gasano per il successo dei vincenti, come “i cafoni” meridionali. E tutto si può dire tranne che Lui non lo sia stato. Come capitano d’impresa, ma anche come politico raffinato, che riesce a rimanere a lottare per anni. 

Certo alcune sue dubbie  amicizie compromettenti, le sue intemperanze sessuali che sfociavano in possibili reati, lo hanno fatto diventare bersaglio di una giustizia per la quale, giustamente, dovremmo essere  tutti uguali, potenti e umili. Ma di tali aspetti si  occuperanno gli storici. A me preme considerare come la sua attività di Presidente del Consiglio abbia influito sulla diminuzione dei divari. Purtroppo,  considerati i diversi diritti di cittadinanza esistenti tra le varie parti del Paese ancora oggi, che stanno portando sempre più alla spaccatura ed all’allontanamento tra le due Italie, si può affermare che anche Lui non sia riuscito ad attuare l’unificazione economica del Paese.  

Anzi viene da dire che il Partito Unico del Nord, nel suo periodo, si è ulteriormente rafforzato. Infatti  mentre nella prima Repubblica in qualche modo i partiti nazionali avevano avuto la problematica dell’unificazione economica molto presente, anche se non bisogna dimenticare che l’autostrada del sole che si ferma a Napoli o l’alta velocità ferroviaria, che si ferma a Salerno, è figlia delle loro decisioni, successivamente, con il rafforzamento della Lega Nord, nasce, senza che qualcuno abbia moti di riso, una cosiddetta questione settentrionale. 

Della quale si convinse persino la sinistra che, per inseguire i movimenti populisti territoriali sulla autonomia, procedette all’approvazione della modifica del Titolo V della Costituzione, premessa per le problematiche dell’autonomia differenziata di questi giorni. 

Tre volte premier, fondatore di Forza Italia e di un impero televisivo che aveva plasmato l’immaginario nazionale per oltre un ventennio ha meriti e colpe come tutti. Noi siamo troppo figli del suo tempo per esprimere giudizi definitivi. Ma certamente tra i meriti rispetto al Sud vi é quello di aver capito che collegare il Paese a Suez, a Hong Kong, o a Dubai fosse fondamentale per recuperare una visione di piattaforma logistica ed euromediterranea che il Paese ha perso. 

Per questo fece partire i lavori del Ponte sullo Stretto di Messina, che con visione miope, Mario Monti cancellò con una gomma, facendo crollare l’immagine di un Paese, che di fronte ad un bando vinto e a un contratto stipulato, come nelle repubbliche delle banane, procedeva all’annullamento, provocando giudizi milionari ancora non chiusi. 

Ricordo anche  la sua sensibilità rispetto alle problematiche dell’immigrazione, che da uomo del fare pensava di risolvere con il suo carisma indiscusso. 

Era il 2011, durante la crisi provocata da Roberto Maroni, Ministro degli interni che aveva bloccato a Lampedusa, sulla collina della vergogna, oltre 12.000 tunisini, andò a comiziare sulla più grande isola delle Pelagie e annunciò l’acquisto di una villa a Cala Francese, con l’intenzione di diventare anche lui lampedusano.

Lampedusa era nel pieno di un’emergenza migranti e arrivò sull’Isola per trovare una soluzione. Oltre a promettere di risolvere il problema, “liberando” l’isola dai migranti nel giro di 48-60 ore, annuncia anche l’acquisto di una casa. Ovviamente l’intervento fu un pannicello caldo, tanto che oggi Lampedusa rischia di fare la fine di Lesbo.  

 Ricordo che quando qualcuno sottolineava, poco prima delle ultime non proprio esaltanti sue dimissioni, i dati negativi del Sud, dichiarò a Bari che lui vedeva che i ristoranti erano pieni, con un approccio “nasometrico” non proprio da statista. Quindi da un lato grande amore per il Sud, per la canzone napoletana, che era il pezzo forte nel suo repertorio canoro in coppia con Mariano Apicella, amore profondo per Napoli, dall’altro provvedimenti tampone,  mai nulla di veramente sistemico. 

Napoli non gli portò bene se é vero che fu lì che gli arrivò  l’avviso dell’indagine  in pieno G8 nel 1994. Ma si batté per spostare  il G8 del 2009 dall’isola della Maddalena a l’Aquila, quando un forte terremoto colpì la città  e avanzò l’ipotesi di spostare il summit nel capoluogo abruzzese malgrado l’insistenza della Lega che avrebbe preferito portarlo a  Milano. 

Si  trattò di un forte segnale per il rilancio di zone così duramente colpite dal terremoto. Anche sull’autonomia differenziata, malgrado  le sue dichiarazioni erano nel senso che non essa deve in alcun modo penalizzare le regioni del Sud Italia, si allinea alle posizioni della coalizione” pur se “Forza Italia é sempre stata e continuerà a essere favorevole all’autonomia ma è altrettanto convinta che le legittime ambizioni delle Regioni più ricche d’Italia non debbano contrastare con l’esigenza delle altre di mantenere livelli di servizi adeguati”. 

Si vede in tutte queste decisioni un approccio al Sud di grande simpatia ed apprezzamento, ma anche la non piena consapevolezza della dimensione del problema, sempre trattato come tema residuale. Forse si può dire che malgrado il grande consenso che il Sud gli manifestava si é trattato di un’amore superficiale poco corrisposto, non di vero amore. (pmb)

Ignazio La Russa presidente. Primo giorno dei neo eletti calabresi a Palazzo Madama

Ignazio Larussa, come era nei programmi è diventato Presidente del Senato, con il giallo dei voti “misteriosi” giunti da anonimi senatori (presumibilmente dell’opposizione): Forza Italia, tranne che per Silvio berlusconi e l’ex presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati , non lo ha votato, seguendo gli ordini di scuderia dell’ex cavaliere. 

Berlusconi è stato presente per tutto il tempo della  votazione, ha avuto una scatto di collera con La Russa (non ancora presidente) ed è andato via dopo il discorso di rito del neo Presidente. In questo frangente, come annotato da Aldo Cazzullo del Corriere della Sera sull’edizione online in diretta, Berlusconi ha sfogliato il libro “Riccardo Misasi” di Giuseppe Nisticò, già presidente della Regione Calabria nel 1995-1998. Nisticò era andato a trovarlo prima dell’inizio della votazione e nel donargli il libro (appena edito da Rubbettino) aveva voluto fargli una dedica che rivela un particolare inedito dell’elezione dell’illustre farmacologo calabrese: Caro Presidente, voglio ricordarti che nel 1995 non sei venuto in Calabria a sostenermi, convinto che avrei perso la sfida, come prevedevano i sondaggi: sono stati Riccardo Misasi e Carmelo Pujia a far diventare realtà la mia elezione. Questo è un tributo a Misasi, il quale nei tuoi confronti, mi aveva confidato, di avere un’ammirazione particolare perché hai saputo realizzare quello che la Dc non fece e cioè il ricambio generazionale e l’inserimento nel mondo politico di uomini brillanti provenienti dalle professioni e dalla società civile. Misasi aveva previsto con una lucidità alla Gioacchino da Fiore che tu avresti dominato per oltre un ventennio nella vita politica italiana ed europea»».

“Primo giorno di scuola”, a Palazzo Madama per i neo senatori calabresi eletti: Nicola Irto, Tilde Minasi (anche se per qualche mese era stata nella passata legislatura tra i banchi del Senato, Mario Occhiuto, Fausto Orsomarso, Ernesto Rapani e i  due “forestieri” (cioè eletti in altri collegi) Mario Borghese (circoscrizione estera) e Marco Lombardo (Lombardia). 

Nicola Irto su Facebook ha annotato: «Una grande emozione, con la consapevolezza che oggi, dopo molti anni dall’inizio del mio percorso politico, farò parte del Senato Repubblica. Valore ancora più grande essere stato per la prima volta nell’emiciclo del Senato e potere sentire da vicino le parole della Senatrice Liliana Segre che, nel suo discorso introduttivo, ha richiamato tutte e tutti ad una grande responsabilità: essere parte delle istituzioni significa essere figli di una storia fatta di libertà, impegno e valori profondissimi».   

Tilde Minasi ha detto: «Sedersi tra questi scranni ti fa sentire ancora di più la responsabilità che hai di fronte ai tuoi elettori…  a loro cercherò di dare, con il mio partito, tutte le risposte di cui sono in cerca. Eccomi, assieme alle altre donne e gli altri uomini della Lega in Senato, in questa prima seduta di insediamento.  Ci aspetta una lunga strada e la percorreremo insieme, con il massimo impegno e il massimo entusiasmo! E anche con tanta emozione. 

Fausto Orsomarso (ancora per qualche mese assessore regionale al Turismo in Calabria) ha scritto su FB: «Per tutti quelli che hanno sudato, lottato, creduto e vissuto per un’idea, soprattutto per quelli che non ci sono più. A tutta la mia comunità.  Agli Italiani-Calabresi che anelano un futuro che sia all’altezza della bellezza dei propri sogni. 

Appello a Berlusconi per la pace dell’ex presidente Giuseppe Nisticò

Un appello a Silvio Berlusconi per la pace in Ucraina è stato lanciato dal prof. Giuseppe Nisticò, già presidente della Regione Calabria e parlamentare europeo, nel corso della presentazione in Senato del recentissimo libro di Vittorio Testa dal titolo B, edito da Diabasis. Dopo aver elogiato l’opera del giornalistaTesta e aver ricordato episodi della sua vita politica iniziata nel 1994 con Berlusconi, Nisticò ha inviato un pressante ed accorato appello a Silvio Berlusconi perché intervenga lui direttamente, con la sua autorevolezza, non avendo bisogno di autorizzazioni di parte di nessuno, nelle trattative diplomatiche per porre fine alla guerra in Ucraina. 

«Berlusconi – ha detto Nisticò – avrebbe ottime possibilità di successo: le sue straordinarie doti psicologiche gli permetteranno di penetrare nelle fibre più intime della vita affettiva dei suoi interlocutori e così convincere sia Putin a cessare i bombardamenti e gli attacchi missilistici e Zalenski a trovare un punto di intesa per il cessate il fuoco definitivo. Questa potrebbe essere l’ultima missione di Berlusconi nel mondo e interrompere la spirale tragica di morti, feriti e disastri enormi sotto il profilo economico e sociale. A mio avviso, però, egli dovrà agire lontano dai media, in silenzio e discrezione, con i fatti, portando in tempi brevi alla soluzione del conflitto. Finora l’errore è stato di avere bruciato una sua potenziale candidatura ufficiale perché è stata considerata come espressione politica e di un partito.

Nessuno chiederà a Berlusconi di muoversi ufficialmente in questa direzione perché nonostante gli siano riconosciuti i meriti purtroppo dominano ancora ignobili sentimenti di gelosia e invidia nei suoi confronti. Egli saprà più di ogni altro parlare al cuore di Putin e di Zelenski facendo ritornare alla ragione e facendo loro comprendere l’importanza delle parole e delle preghiere di Papa Francesco che si è dimostrato coerente fin dal primo momento contro le armi e a favore della pace.

Inevitabilmente, continuare a inviare armi in Ucraina vuol dire, come da tutti riconosciuto, aumentare progressivamente il numero dei morti e le sofferenze indicibili della gente ucraina, come pure cronicizzare la situazione bellica fino al rischio di un conflitto nucleare di devastante portata per tutta l’Europa.

«Ma quale Paese al mondo – ha detto Nisticò – non sarebbe felice di essere privo di armi? Uno dei valori fondamentali della civiltà italica, tremila anni prima di Cristo e di quella della Magna Grecia (VI-V secolo a.C.) – come va da anni predicando il filosofo della Magna Grecia Salvatore Mongiardo – è rappresentato dal rispetto della vita sia degli animali sia a maggior ragione dell’uomo. Quindi, un mondo contro le armi e le guerre a favore della pace.. Questi concetti filosofici basati sull’etica dovrebbero tornare a essere dominanti nel mondo.

Attraverso una sorta di Piano Marshall per il quale Berlusconi si è sempre battuto durante tutte le crisi, in cui Europa e Usa ossessionati dall’idea di favorire le lobbies delle armi, invece di spendere soldi in armamenti potrebbero con le loro risorse contribuire alla rinascita, alla ricostruzione delle città e dei monumenti distrutti e polverizzati nelle guerra e dare benessere e risorse per i giovani per un lavoro qualificato e dignitoso! Con la creazione di una fascia di Paesi neutrali, privi di armi, dalla Svezia alla Finlandia, all’Ucraina e alla Moldavia, Paesi da inserire tutti a pieno titolo nell’Unione Europea, si potrebbe arrivare a un immediato cessate il fuoco e a questi Paesi andrebbe la gratitudine di tutto il mondo». (rrm)

 

 

 

BENVENUTO 2022: L’ANNO DEL PRESIDENTE
MATTARELLA BIS, DRAGHI O GIANNI LETTA?

di SANTO STRATI – Comincia un altro difficile anno, con le fosche nubi di un contagio che appare irrefrenabile, anche se, grazie al cielo, i decessi sono limitati rispetto ai numeri che abbiamo patito nel 2020. Ma non sarà la pandemia al centro dell’attenzione e del dibattito politico. È l’anno del nuovo inquilino (o resta il vecchio?) del Quirinale e questo scenario sovrasta su tutto, persino sull’emergenza. Chi sarà il futuro presidente? La particolarità del momento tra pandemia e affannoso impegno per inseguire la ripresa non lascia spazio a grandi colpi di scena e i calabresi, come il resto dell’Italia, che ieri sera aspettavano un segnale di disponibilità da parte del presidente uscente non sono rimasti delusi, bensì si ritrovano ancor più confusi dall’incapacità della politica di trovare un punto d’incontro per una scelta condivisa. La politica, quella che stiamo vivendo in questi anni fa rimpiangere i grandi personaggi che, tra chiaro e scuro, hanno lasciato un segno tangibile di cosa significava autorevolezza, capacità di essere leader, visione ampia e consapevolezza del ruolo. Le tristi ombre degli attuali comprimari della politica sono lontani anni luce dai protagonisti della prima repubblica, ma soprattutto dimostrano l’assoluta incapacità di accettare la sfida della politica, quella nobile che appassiona il popolo e fa crescere il Paese. E sottolinea l’insignificante pochezza di quelli che non sono stati in grado di formarsi, con umiltà, studiando il passato, analizzando il presente, immaginando il futuro. Tutto ciò – è sotto gli occhi di tutti – non c’è, non ci sono protagonisti, salvo piccolissime eccezioni e gli italiani sono sfiduciati e avviliti da questa non-politica.

In questo quadro sconfortante difficile individuare scelte condivise per il nuovo presidente della Repubblica. Già è facile prevedere uno scontro fra le parti (e i partiti) del quale gli italiani farebbero volentieri a meno, visto che le posizioni per una candidatura non divisiva appaiono ingestibili. La soluzione più pratica e più efficace ci sarebbe: un Mattarella-bis che mantenga lo status quo del governo a guida Draghi fino alla naturale fine della legislatura (maggio 2023). Ma è una soluzione talmente semplice che non trova spazio tra i politici che affermano con finta convinzione che Mattarella ha detto chiaramente che non vuole un secondo mandato. Ma secondo voi, ammesso che Mattarella, nel suo ammirevole aplomb, avesse in cuor suo una pur piccolissima idea di accettare un bis in nome della stabilità irrinunciabile visto il momento difficilissimo della pandemia, lo verrebbe a dire a tutti prima della convocazione elettorale per il Quirinale? Conoscendo il personaggio, la sua naturale modestia, neanche sotto tortura direbbe in anticipo «accetto per amor di patria». Nè tanto meno non poteva non dare il suo commiato agli italiani nel messaggio di ieri sera, lasciando intendere che ha già pronte le valigie… Del resto, ricordiamolo bene che al Quirinale non ci si candida, ma si viene candidati.

Il momento, però, è terribile: è a rischio la tenuta del Governo (se Draghi dovesse diventare Capo dello Stato) perché verrebbe meno il collante che l’ex presidente Bce sa esercitare e che ha mostrato di saper utilizzare. Ma Draghi ha chiesto di diventare Presidente della Repubblica? Ad ascoltare bene le sue parole nella conferenza di fine anno, solo i più maliziosi (o in malafede) sono riusciti a leggere questo desiderio che, al momento appare più facilmente procrastinabile a fine mandato, a fine legislatura. Senza contare l’inghippo istituzionale che si andrebbe a verificare con uno spostamento di Palazzo. Draghi sta svolgendo più che egregiamente il suo compito, gode della stima incondizionata di tutto il mondo e ha più “nemici” tra i banchi della sua maggioranza che nel resto dell’opposizione (quella modesta e inoffensiva di Giorgia Meloni e quella quotidiana e perfida di Marco Travaglio). Però, può completare il mandato e aspirare, legittimamente, a chiudere la sua “carriera” al vertice al Paese, senza potere politico, ma con l’onore straordinario del ruolo di Capo dello Stato.

Quindi, la soluzione più naturale sarebbe una preghiera corale (unitaria) delle Camere e dei grandi elettori a Mattarella ad accettare un secondo mandato, che sarebbe comunque a tempo: al rinnovo del Parlamento con le Camere stravolte dal referendum che ha ridotto i loro componenti, sembrerebbe il minimo che il Presidente eletto da una maggioranza ben diversa (anche numericamente) da quella nuova rassegnasse le dimissioni, affidando alle nuove (striminzite) Camere l’onere di eleggere un nuovo Capo dello Stato. E questo suggerimento (o auspicio) vale sia per Mattarella che per chiunque vada al Quirinale. Si dirà: non è la prima volta che il Presidente in carica sia espressione di una maggioranza che magari non c’è più, ma in questo caso c’è una composizione nuova (e decisamente anomala, ma votata per legge) del Parlamento e i numeri non sarebbero più gli stessi in ogni caso.

E fin qui abbiamo parlato di status quo, ma c’è l’incognita Berlusconi che spareggia la “soluzione semplice” del bis. L’ex cavaliere sogna di diventare presidente e i suoi non fanno altro che sostenere l’impossibile desiderio, facendo i conti sui franchi tiratori (a favore) ma trascurando quelli del fuoco amico. Berlusconi è un personaggio che, al di là delle ingiustificabili e inappropriate “attività personali” (per le quali non c’è assoluzione alcuna, moralmente parlando), ha lasciato un segno profondo negli ultimi trent’anni. Voler percorrere a tutti i costi l’elezione quirinalizia nasconde un rischio gigantesco che, a ben vedere, Berlusconi dovrebbe evitare di correre. Una bocciatura alla quarta votazione (dove basta la maggioranza semplice, che comunque non avrebbe) decreterebbe non solo la sua fine politica ma soprattutto cancellerebbe completamente anche quel poco, pochissimo?, di buono che ha seminato durante i suoi governi. Una bocciatura equivarrebbe a una macchia insopportabile per un uomo di 85 anni che ha sempre mostrato di avere il vizio di vincere (pur con qualche indigesta sconfitta). E allora? Dovrebbe dare ascolto ai suoi veri amici (pochi per la verità) e rinunciare facendo però la mossa vincente che lo riconsegnerebbe agli altari della gloria (?) politica. La sua rinuncia in cambio di una designazione che nessuno potrebbe mai contestare e che Berlusconi potrebbe agevolmente intestarsi. Chi è, nell’attuale scenario della politica italiana, il personaggio che trasversalmente gode dell’incondizionata stima di destra, sinistra, centro? È Gianni Letta, il Richelieu della politica italiana, gran conoscitore della macchina dello Stato, personalità di specchiata onestà, figura emblematica e rappresentativa, al meglio, del popolo italiano.

Berlusconi avrebbe delle ottime motivazioni per rinunciare, a partire dall’età e dalla salute da qualche tempo alquanto precaria, quindi una rinuncia per “motivi di salute” non sarebbe una resa. Anzi lo aiuterebbe a ricostruirsi (si fa per dire) la reputazione perduta per la scappatelle sessuali. E la designazione del suo “delfino” potrebbe trovare una convergenza unitaria già alla prima “chiama” del voto quirinalizio. Anche Letta ha un’età (86 anni) e il suo mandato non a termine, troverebbe comunque una corretta fine dopo l’elezione del nuovo Parlamento “ridotto” che potrebbe eleggere il nuovo Presidente (Draghi?). All’attuale premier converrebbe completare il mandato fino a fine legislatura. Ne guadagnerebbero gli italiani, gli sarebbe grato il Paese. E sarebbe il candidato insostituibile per la Presidenza del dopo elezioni del 2023. Non è fantascienza politica, ma un semplice ragionamento che molti italiani, crediamo, potrebbero condividere. Ma in Italia, si sa, le soluzioni pratiche sono evitate come la peste e l’«ufficio complicazione affari semplici» (Ucas) non va mai in ferie. Buon anno a tutti. (s)

TRIPODI (FI): A SAN LUCA I CARABINIERI PRESIDIO DI LEGALITÀ

In qualità di capogruppo di Forza Italia in Commissione Difesa di Montecitorio l’on. Maria Tripodi ha fatto visita nel cuore dell’Aspromonte a San Luca, al Presidio anti ‘ndrangheta dei Carabinieri attiguo al Santuario di Polsi, in provincia di Reggio Calabria.
L’on. Tripodi accolta dal Capitano Soriano e dai militari presenti in loco, ha manifestato vivo compiacimento per l’istituzione del Presidio emblema dello Stato e della legalità, e ha espresso rinnovata vicinanza delle Istituzioni all’Arma. La visita si è conclusa con la tappa al santuario della Madonna di Polsi, meta di migliaia di fedeli.
«Credo – ha detto l’on. Tripodi – di ottemperare con la mia costante presenza sul territorio, all’impegno assunto in campagna elettorale con gli elettori che mi hanno scelto quale loro rappresentante. Il legame con la mia terra è solido e sono convinta sia necessario, lavorare, lavorare e ancora lavorare, con grande umiltà, per essere interlocutore credibile dei calabresi. Se vogliamo colmare il gap tra politica e cittadini disgustati dalla cattiva gestione della cosa pubblica dobbiamo essere per primi noi eletti a dare l’esempio. In Calabria ci attendono grandi sfide elettorali. Con i colleghi Cannizzaro e Siclari, siamo in prima linea e continueremo ad esserlo, per ridare una speranza a questa terra vilipesa da gestioni fallimentari. I vertici nazionali del nostro Movimento dal Presidente Berlusconi ad Antonio Tajani hanno già avuto modo di testare il lavoro portato avanti, il coordinamento provinciale reggino, infatti ha da poco registrato sotto la regia del collega Cannizzaro, l’adesione di 150 validi e preparati amministratori locali, che si riconoscono nel nostro di Forza Italia. E’ un risultato che ci spinge a fare sempre meglio, a queste latitudini chiosa il cielo è più che mai azzurro». (rp)