L’OPINIONE / Pino Masciari: Criminalità organizzata causa dello spopolamento del Sud

di PINO MASCIARI – I nostri giovani continuano a lasciare il Sud Italia. Perché? Il Sud, la Calabria in modo particolare, è terra arida per chi ha bisogno di far crescere e fiorire il proprio futuro. Nel settore privato, imprenditoriale, commerciale, se cresci rischi di perdere tutto, perché attiri immediatamente gli avvoltoi della ‘ndrangheta.

La politica nel suo significato più autentico è nobile, dovrebbe incarnare gli ideali più alti, ma purtroppo è l’uomo che fa politica e l’uomo ha le sue debolezze. Qualcuno di loro o per paura o per avidità o per sete di potere, finisce direttamente o indirettamente a favorire l’illegalità, cadendo nelle logiche mafiose. Le coscienze della gente comune sono messe a posto dalle notizie di indagini e blitz, che di fatto danno l’impressione che “qualcuno se ne stia occupando”, restituendo l’illusione che questo basti a ritenersi non direttamente coinvolte e responsabili.

E la ‘ndrangheta, in questo status quo, continua a conquistare terreno, a sostituirsi allo Stato, a garantire un’efficienza, che seppur sanguinaria ed efferata, rimane tempestiva. Da quello che emerge dalle indagini, hanno talmente tanta liquidità di denaro, che potrebbero risanare il debito pubblico italiano e non solo. Di questo passo, se i giovani non mostreranno consapevolezza, se non se ne parlerà apertamente, se non si denuncerà ogni qualvolta si avrà sentore di una forzatura, di una stortura, di una vessazione, il potere della criminalità organizzata crescerà ancora e occuperà tutti i centri di potere, nazionali e internazionali.

L’allarme è grave e urgente! Questa inconsapevolezza, vera o apparente, è forse la più pesante responsabilità che grava sulle nuove generazioni. (pm)

L’OCCASIONE DEL TURISMO DELLE RADICI
TROVA IL TERRENO IDEALE NELLA LOCRIDE

di ARISTIDE BAVATurismo delle radici: una grande occasione per i territori come questo della Locride, ricco di piccoli centri interni in gran parte abbandonati proprio dai migranti di prima generazione. La riscoperta dei luoghi di origine, della cultura, dei modi di essere,  dell’enogastronomia, delle tradizioni sono, infatti, gli elementi giusti capaci di incidere in modo significativo sul tessuto sociale ed economico delle piccole comunità della Calabria.

Ormai è chiaro che il turismo delle radici si porta appresso una forte nicchia di mercato, e certamente un territorio come quello calabrese, ha tutte le carte in regola per porsi come punto di riferimento di questo settore. Non a caso ci si è accorti dell’importanza di questo tipo di turismo. L’anno 2024, infatti, è stato dichiarato proprio l’anno del turismo delle radici, ovvero quel tipo di turismo per cui gli italiani emigrati nel mondo e i loro discendenti (circa 60/70 milioni di persone) vogliono tornare a visitare i luoghi natii.

Per i piccoli comuni della Calabria, e per la provincia reggina e la Locride in particolare, è certamente molto importante approfittare di questa occasione e cercare di promuovere quanto più è possibile questi luoghi ancora pieni di fascino. Luoghi che possono, adesso, diventare parte integrante del turismo moderno. Sono moltissimi gli emigrati, o i loro discendenti, che vogliono scoprire o riscoprire i luoghi nativi dei loro antenati. Secondo un apposito studio fatto dagli esperti del settore le tipologie delle persone che appartengono a questo particolare tipo di turismo sono, principalmente, quattro. 

Si parte dal cosiddetto “nostalgico”, ovvero un migrante di prima generazione che ha un legame molto stretto con il suo luogo d’origine e con il territorio circostante. Parla bene l’italiano, o più spesso il dialetto, e si sente il classico  italiano all’estero. Per lui il turismo delle radici è un desiderio di condividere con la famiglia la propria storia. Nel suo viaggio riesce ad essere anche una buona guida e ancora sa dove andare e come muoversi. C’è, poi, chi viene spesso in Italia per motivi lavorativi. Si sente italiano. Organizza da solo i propri viaggi anche con la famiglia. È una persona che ha una buona influenza nella propria comunità di adozione e che è un vero e proprio testimonial di italianità all’estero. Poi c’è l’ Italiano di seconda generazione, che non si definisce solo italiano ma italo-americano, o italo-argentino, o italo-brasiliano, o spesso, soprattutto in Calabria, e nella Locride in particolare, è anche Italo-canadese.

Questo tipo di turista approfondisce le sue radici come ricerca di identità. Il viaggio in Italia significa rivedere i luoghi di origine, i borghi, le case, i cimiteri dove sono sepolti i propri antenati. Questo turista ha bisogno di percorsi programmati e di vivere esperienze di italianità. Infine c’è l’italiano nato all’estero che desidera venire in Italia per fare esperienze immersive non necessariamente legate alla volontà di riscoprire le proprie radici genealogiche. Fa parte di un gruppo con un profilo più turistico, che non si sente italiano, ma che desidera fare esperienza di italianità a lui veicolate, spesso, tramite filmografia e, più recentemente attraverso i social.

Anche per questo, il territorio calabrese dovrebbe organizzarsi seriamente per questo tipo di turismo. Un turismo  che dovrebbe  puntare, soprattutto,  all’investimento nei borghi antichi di cui il territorio e ricco e dove si possono proporre un vasto raggio di offerte turistiche mirate soprattutto al coinvolgimento del grande numero  di oriundi italiani sparsi nel mondo.

E chi, meglio della Locride, ad esempio, che ha vissuto in maniera fortemente “pesante” il dramma dell’emigrazione negli anni del dopoguerra può vantare numeri molto rilevanti di emigrati o loro discendenti, dislocati in tanti Paesi, che sarebbero molto propensi a riscoprire i luoghi delle loro origini o dei propri avi?

È chiaro, però, che bisogna dire basta all’improvvisazione e attivare una seria programmazione progettuale che con tutti gli accorgimenti necessari. Ciò potrebbe essere veramente dirompente per il territorio e diventare  un potenziale incredibile per la qualificazione e la riscoperta degli stessi borghi antichi perché si porterebbe appresso effetti positivi a cascata in diversi comparti. E con essi economia e occupazione. (ab)

CALABRIA, DENATALITÀ E SPOPOLAMENTO
LA SFIDA FERMARE IL DECLINO ANNUNCIATO

di DANIELA DE BLASIOLa Calabria affronta una crisi demografica sempre più preoccupante. Il declino della popolazione ha conseguenze significative sull’economia, il benessere sociale e la sostenibilità della regione: per questo motivo è una sfida che richiede una seria attenzione e interventi urgenti da parte delle Istituzioni.

Sono vari i fattori che contribuiscono al declino demografico della Calabria, a partire dal tasso di natalità molto basso, come certifica l’Istat sulla base dei dati del Censimento permanente, infatti la popolazione residente nella regione al 31 dicembre 2021 era pari a 1.855.454 residenti, in discesa a -0,3% rispetto al 2020 (-5.147 individui) e -5,3% rispetto al 2011. 

Si tratta di dati sconfortanti, sicuramente da attribuire alle difficili condizioni economiche e sociali ed alle scarse politiche di sostegno alla maternità e alla famiglia che caratterizzano la regione e che possono influire sulla decisione delle famiglie di avere figli. Infatti, la mancanza di servizi adeguati per la cura dei bambini, carenza di scuole e strutture sanitarie di qualità, nonché la scarsità di opportunità per le donne di conciliare famiglia e lavoro sono fattori che rendono il contesto poco favorevole alla natalità.

Ma il calo demografico in Calabria è anche un fenomeno aggravato dall’emigrazione giovanile e dalla mancanza di opportunità di lavoro per i giovani. Le statistiche Eurostat sul mercato del lavoro ci indicano il tasso di disoccupazione in Calabria come uno dei dati peggiori in Ue.

Mancano le occasioni di occupazione stabile e ben remunerata, mancano le possibilità di crescita e realizzazione personale e queste carenze hanno portato molti giovani calabresi a lasciare la loro terra per cercare opportunità di vita e di lavoro migliori.

Nonostante gli sforzi compiuti, volti a promuovere l’occupazione, la Calabria perde in maniera continua ed inarrestabile risorse umane preziose, nonché la possibilità di sviluppare nuove attività economiche e possibilità di attrarre capitali.

La presenza limitata di grandi imprese, la scarsa diversificazione economica e la mancanza di investimenti infrastrutturali rendono difficile la creazione di posti di lavoro stabili e ben retribuiti per le giovani generazioni. Settori strategici come l’innovazione tecnologica, la ricerca e lo sviluppo sostenibile sono praticamente inesistenti, con la conseguenza che le occasioni di crescita e sviluppo professionale, sono irrisorie.

Inoltre, la mancanza di meritocrazia e la corruzione dilagante sono problemi che esasperano i giovani calabresi che si sentono demotivati, frustrati e sfiduciati nei confronti di chi non ha pensato al loro futuro ed a quello del proprio territorio.

La mancanza di rispetto per il merito, infatti, demotiva ulteriormente i giovani a rimanere nella regione, in quanto le opportunità di carriera sono spesso basate su relazioni personali  piuttosto che sulle capacità e competenze. Questa situazione li spinge altrove in cerca di una meritocrazia più imparziale.

La diminuzione del numero di persone attive nel mercato del lavoro ha gravi conseguenze economiche e sociali, in quanto innesta un circolo vizioso che inevitabilmente porterà nel breve periodo ad una riduzione della forza lavoro, all’invecchiamento della popolazione con l’aumento delle fragilità sociali ed un conseguente incremento di spese sanitarie, all’impoverimento culturale, alla contrazione delle dinamiche sociali ed ad un allontanamento da parte della società civile alla partecipazione attiva per costruire una nuova cittadinanza, oggi sempre più ai margini delle scelte calate dall’alto.

Per questi motivi, rendere la Calabria un luogo più attraente invertendo questa tendenza è il terreno su cui le Istituzioni devo cimentarsi al fine di garantire un futuro per la Calabria adottando politiche mirate, interventi adeguati e sostenibili che affrontino le cause sottostanti al declino demografico.

Solo così sarà possibile superare questa crisi e promuovere lo sviluppo con la prospettiva di costruire per le generazioni future una Calabria migliore. (ddb)

IN CALABRIA ALLARME SPOPOLAMENTO
ED EMIGRAZIONE: VA INVERTITO IL TREND

di FRANCESCO CANGEMI  – In Calabria c’è una doppia emergenza: Se da una parte c’è una diminuzione della popolazione, dall’altra, purtroppo, aumenta il numero di chi se ne va. È quanto è emerso dall’ultimo censimento dell’Istat del 2021 e divulgati pochi giorni fa.

Sulla base dei risultati del Censimento permanente della popolazione è stata determinata la popolazione legale riferita al 31 dicembre 2021. In Calabria ammonta a 1.855.454 residenti e rispetto al 2011, è diminuita del 5,3%; la riduzione più significativa si registra nella provincia di Vibo Valentia (-7,3%) e nella provincia di Cosenza (-5,5%).

La popolazione legale trova riferimento in una serie di norme, con risvolti sul piano economico e amministrativo nonché elettorale dei comuni. In Calabria, per via delle variazioni amministrative intervenute nel corso del decennio, il numero dei comuni si è ridotto da 409 a 404. Considerando le principali classi di ampiezza demografica, i comuni che hanno fatto registrare un cambio di classe transitando in quella di ampiezza inferiore sono 58, mentre Settignano, Montalto Uffugo e Botricello transitano nella classe demografica superiore.

Rispetto al 2020 i dati censuari evidenziano un decremento di 5.147 unità nella regione. A livello provinciale Reggio Calabria perde 1.664 residenti, seguita da Cosenza (-1.576 residenti), mentre Vibo Valentia registra il maggiore decremento relativo (-0,4%).

Tra il 2020 e il 2021 il 34,7% dei comuni non ha subito perdite di popolazione e tra questi non è presente alcun capoluogo di provincia. Invece sono 264 i comuni dove la popolazione diminuisce: in valore assoluto le perdite più consistenti si registrano a Crotone (-764), Catanzaro (-574) e Reggio Calabria (-547); in termini relativi nei comuni di Laganadi (-6,9%) e Santo Stefano in Aspromonte (-6,2%), entrambi in provincia di Reggio Calabria. Sotto il profilo della dimensione demografica il 34,7% dei comuni non ha perso residenti. La popolazione risulta invece in calo nel 78,0% dei comuni con popolazione fino a 1.000 residenti e nel 64,7% di quelli con popolazione tra 1.001 e 5.000 residenti.

La diminuzione della popolazione residente della Calabria è frutto di un saldo naturale negativo (-9.413 unità), al quale si somma un saldo migratorio totale negativo (-6.111 unità), nonostante un saldo censuario positivo (+10.377) e un recupero dei movimenti demografici internazionali nel 2021 rispetto al 2020. La dinamica naturale conferma il trend negativo in corso. La mortalità aumenta: il tasso di mortalità passa dall’11,2 per mille del 2020 al 12,2 per mille del 2021, con un picco del 12,5 per mille della provincia di Cosenza. Tra il 2020 e il 2021 il tasso di natalità è leggermente diminuito, da 7,4 a 7,1 per mille.

A livello provinciale il tasso resta quasi stabile nella provincia di Catanzaro, diminuisce in tutte le altre, principalmente a Vibo Valentia e Reggio Calabria (Prospetto 3). I movimenti tra comuni sono rimasti costanti nel secondo anno pandemico: il tasso migratorio interno è passato dal -4,4 per mille del 2020 al -4,3 per mille del 2021, oscillando tra il -3,2 per mille della provincia di Cosenza e il -6,6 di Crotone. I movimenti migratori internazionali sono in recupero: il tasso migratorio estero, positivo in tutte le province, aumenta rispetto al 2020 (dal 0,7 al 2,7 per mille), soprattutto nella provincia di Cosenza (da 0,9 nel 2020 a 3,2 per mille nel 2021) e Reggio Calabria (da 0,7 a 3,1).

La prevalenza della componente femminile nella struttura per genere si conferma anche nel 2021. Le donne rappresentano il 51,0% del totale e superano gli uomini di 38mila unità. La prevalenza si evidenzia particolarmente nelle età più avanzate per la maggior longevità femminile.

La popolazione calabrese presenta, nel 2021, una struttura sensibilmente più giovane rispetto al totale del Paese, come emerge dal profilo delle piramidi delle età sovrapposte. L’età media, 45,5 anni, risulta in aumento rispetto al 2020 (45,2), anche se rimane più bassa dei 46,2 anni della media nazionale (Prospetto 5). Aumenta l’indice di vecchiaia, che passa da 173,3 del 2020 a 178,6 del 2021, e risulta lievemente in aumento l’indice di dipendenza degli anziani: da 35,8 del 2020 a 36,3 del 2021. Cresce anche l’indice di struttura della popolazione attiva, che passa da 128,0 residenti nel 2020 a 130,2 nel 2021. Dagli indicatori della popolazione del Prospetto 5 le province di Crotone e Reggio Calabria risultano quelle con la struttura demografica più giovane; all’opposto, il processo di invecchiamento è più evidente nelle province di Cosenza e Catanzaro.

La popolazione straniera in Calabria al 2021 ammonta a 93.257 unità, l’1,9% della popolazione straniera residente in Italia. Oltre l’80% dei cittadini stranieri risiede nelle tre province di Cosenza (34,6%), Reggio Calabria (31,1%) e Catanzaro (17,9%). La percentuale sulla popolazione residente totale è minore rispetto al valore nazionale (5,0% contro 8,5%), l’incidenza provinciale più alta si osserva a Reggio Calabria (5,5%) e all’opposto quella più bassa a Vibo Valentia (4,4%).

In Calabria circa la metà (50,5%) dei cittadini stranieri proviene dall’Europa, il 28,2% dall’Africa, il 18,5% dall’Asia, e il 2,7% dall’America. Sono residuali le presenze dall’Oceania e gli apolidi. I cittadini stranieri provengono da 157 Paesi del mondo, particolarmente da Romania (28,4%), Marocco (16,1%) e Ucraina (5,8%). (fc)

l’Ans Calabria incontra Istituzioni e Associazioni per parlare di spopolamento dei piccoli Comuni

Nei giorni scorsi si è svolta la tavola rotonda sul tema Spopolamento dei piccoli comuni. Politiche e strumenti per investire la tendenza al calo demografico, promosso dall’Associazione Nazionale Sociologi – Dipartimento Calabria, presieduto da Bianco Ugo.

Organizzata sulla piattaforma zoom, ha visto la partecipazione di  numerosi ospiti, tra cui Mons. Claudio Maniago, l’Assessore Regionale alle politiche sociali e trasporti avv. Emma Staine, il Vicepresidente del Consiglio regionale ing. Pierluigi Caputo, la dott.ssa Elena Sodano, Presidente dell’Associazione Ra.Gi. di Catanzaro che ha dato vita alla “Casa Paese” di Cicala (CZ), l’avv. Giacomo Francesco Saccomanno Presidente dell’Accademia Calabra, la dott.ssa Francesca Barranca, la dott.ssa Annunziata Saladino e il dr. Giovan Battista Mazzei.

Il Presidente, del Dipartimento Ans Calabria, Ugo Bianco, ha dichiarato di ritenersi soddisfatto di tutti gli interventi dei relatori. Tutti improntati sulla consapevolezza che lo spopolamento è un fenomeno da governare per non correre il rischio di vedere i piccoli borghi, depositari di cultura e tradizioni, diventare sempre più piccoli, fino a scomparire.

Inoltre, sia l’assessore Regionale che il vicepresidente del Consiglio regionale, si sono resi disponibili ad incontrare il direttivo del dipartimento Calabria per intraprendere un percorso condiviso teso all’istituzione della figura del sociologo del territorio. (rcz)

LE AREE INTERNE CALABRESI POSSONO
RINASCERE SE ARRIVANO I NATIVI DIGITALI

di FRANCESCO CANGEMI – C’è un modo per ripopolare i borghi della Calabria? Il tema è affrontato da anni e si sono provate diverse soluzioni, soprattutto quelle in cui ai potenziali nuovi abitanti venivano offerte abitazioni a prezzi stracciatissimi. Ora una nuova strategia potrebbe essere messa in atto dal Governo e potrebbe giovare alle sette aree interne della regione Calabria che sono Alto Jonio cosentino, Versante tirrenico Aspromonte, Alto Tirreno-Pollino, Grecanica, Versante ionico serre, Silla e pre Sila e Area Reventino Savuto.

Alla Cittadella regionale di Germaneto chi si sta dando molto da fare per lo sviluppo delle aree interne è l’assessore all’Agricoltura Gianluca Gallo che ha avviato tutta una serie di incontri con le realtà territoriali non solo per conoscere le singole realtà ma per comprenderne e valorizzarne le potenzialità.

Le aree interne erano quattro in principio (Grecanica, Versante ionico serre, Silla e pre Sila e Area Reventino Savuto), ma proprio negli scorsi mesi il Comitato nazionale delle Aree interne ha detto sì al riconoscimento di tre nuove aree calabresi inserendole, così, nella Strategia nazionale delle Aree interne (Snai). Si tratta, appunto, dell’Alto Jonio cosentino, Versante tirrenico Aspromonte e Alto Tirreno-Pollino.

«Si tratta – ha riferito l’assessore Gallo – del raggiungimento di un obiettivo perseguito con caparbietà dalla giunta regionale ed in primis dal Presidente Occhiuto, per poter far leva su un ulteriore strumento in grado di contribuire a contrastare la marginalizzazione e i fenomeni di declino demografico delle aree interne, territori fragili, distanti dai centri principali di offerta dei servizi essenziali e troppo spesso abbandonati a se stessi, da tutelare invece investendo sulla promozione e sulla tutela della ricchezza delle comunità locali, valorizzandone le risorse naturali e culturali, creando nuovi circuiti occupazionali, arginando così l’emorragia demografica».

Si diceva che una mano per ripopolare le aree interne potrebbe arrivare dal Governo. Ma come? Lo ha anticipato il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso parlando, sostanzialmente, di ripopolamento delle aree interne grazie ai lavoratori digitali. Ovviamente il “suggerimento” al ministro è arrivato dall’esperienza dello smart working, una delle poche esperienze positive dei mesi terribili del lockdown dovuto alla pandemia da Covid.

«Tra i prossimi provvedimenti su cui stiamo lavorando – ha riferito il ministro Adolfo Urso – uno riguarda il territorio, la promozione del nostro Paese e il ripopolamento dei piccoli centri. Possiamo chiamarlo così: “Lavora nel mondo, vivi in Italia”. Vogliamo attrarre i navigatori digitali per ripopolare i borghi italiani. L’iniziativa riguarderà coloro che pur mantenendo la propria attività fuori dai nostri confini decidono di vivere nel luogo più bello del mondo, appunto l’Italia».

Urso ha inoltre aggiunto che «il lavoro a distanza, nel turismo ma anche per quanto riguarda la rivoluzione digitale, rende straordinariamente competitivi i borghi italiani nell’economia globale. Si può fare e lo faremo. I nostri borghi sono molto competitivi».

L’ambito di applicazione del disegno di legge, composto da 3 articoli, sono i Comuni con popolazione residente fino a 5.000 abitanti. Si tratta di piccole realtà territoriali che, è scritto nel testo, da oltre un decennio registrano un progressivo spopolamento, accompagnato dall’invecchiamento della popolazione e dalla rarefazione delle opportunità di lavoro, con il conseguente diradamento dell’offerta dei servizi essenziali. I centri con meno di 5000 abitanti rappresentano oltre il 70% dei quasi 9mila Comuni italiani e vi risiede una popolazione di circa 11 milioni di cittadini.

In Calabria sono molti i Comuni con queste caratteristiche e, se passerà la proposta del ministro Urso, tanti sono i luoghi che possono aspirare ad ospitare i “digitali” di ogni parte del mondo. (fc)

Venerdì con l’Associazione dei Sociologi si parla dello Spopolamento dei Piccoli Comuni

Spopolamento dei piccoli Comuni – Politiche e strumenti per invertire la tendenza al calo demografico è il titolo dell’importante tavola rotonda in programma per venerdì 19 maggio, organizzata dall’Associazione Nazionale Sociologi – Dipartimento Calabria, guidata da Ugo Bianco.

I lavori si svolgeranno sulla piattaforma Zoom, a cui accederanno i vari relatori invitati dalla segreteria organizzativa. Si parlerà dei piccoli centri, con particolare riguardo al quelli calabresi, che sono 322 e corrispondono a tre quarti (79,7%) di tutti i comuni della regione. In Italia ammontano a 5.500, il 69% degli enti dell’intera penisola, dove vive una popolazione residente di 10.068.213, con l’incidenza del 17% sull’intera nazione. Dalla seconda metà del 900 ai nostri giorni tutti gli indicatori demografici identificano una cospicua riduzione degli abitanti.

Al 1° gennaio 2021 i residenti erano 59.236.213, riducendosi di oltre 400.000 unità rispetto all’anno di inizio della pandemia da Covid-19. Nel corso del 2021 il saldo naturale (differenza tra nascite e decessi) ha raggiunto335.416. Il deficit delle nascite rispetto ai decessi è dovuto alla popolazione di cittadinanza italiana (–386.000), mentre per la popolazione straniera cresce in modo sostenuto (+50.584). Da questo scenario prende spunto la riflessione che vorrà articolare la dirigenza Ans dipartimento Calabria insieme a numerosi ospiti delle istituzioni regionali, religiose e del mondo delle associazioni.

«Con l’evento – ha dichiarato il presidente Bianco – si vogliono delineare le numerose cause del fenomeno e condividere con le istituzioni regionali una strategia comune per invertire la tendenza al calo demografico, tenuto conto anche delle risorse destinate al Sud dal Pnrr».  

Per chi volesse seguire l’evento potrà fare richiesta del link, entro e non oltre il 18/05/2023 al numero 3386045190 o all’email biancougo@libero.it, comunicando cognome, nome, profilo zoom ed un recapito email o whatsapp per essere invitato come uditore. (rrm)

SPOPOLAMENTO E CALO DEMOGRAFICO:
LA CALABRIA NON È UN PAESE PER GIOVANI

di DOMENICO MAZZA e GIANLUCA SUCCURRO – Da un’attenta analisi degli indici demografici risultanti dall’ultimo censimento della popolazione, il dato calabrese relativo il decremento di abitanti sta assumendo caratteristiche inquietanti. Alcuni ambiti regionali arrancano più di altri. L’Arco Jonico, fra tutti, ha raggiunto numeri, estremamente, preoccupanti.

Tuttavia le altre aree non vivono certo tempi migliori. Solo per citare alcuni dati e riferendoci ai Comuni più popolati, Reggio Calabria perde circa 10mila abitanti negli ultimi 11 anni. Il Capoluogo di Regione scende sotto la soglia dei 90mila, assestandosi sugli 83mila ab. Cosenza supera appena i 63mila abitanti. Scende Lamezia sotto i 70mila, così come Crotone sotto i 60mila. Drammatico anche il caso di Corigliano-Rossano, che negli ultimi 5 anni perde quasi 5mila abitanti. Dai 78mila ai tempi del referendum pro fusione agli attuali 73mila.

Tutto ciò deve indurci a riflettere ed a capire come poter intervenire per fronteggiare una lenta ed inesorabile desertificazione demografica che non accenna minimamente a diminuire. Anzi, dilaga vertiginosamente giorno dopo giorno.

Certamente uno dei motivi, probabilmente quello principale, scatenante l’azione migratoria è la mancanza di orizzonti occupazionali. La nostra Regione, ad oggi, annaspa nell’offrire una prospettiva ai propri abitanti affinché restino sul territorio. A fianco una domanda di lavoro, costante ed impellente, da parte della popolazione, l’offerta si presenta scarsa ed economicamente poco gratificante.

Si aggiunga la cronica assenza di servizi, il dramma dell’assistenza sanitaria e la difficoltà nei processi di mobilità ed il quadro è completo. Drammaticamante completo. Bisogna correre ai ripari e farlo alla svelta. È necessario discernere le problematiche aggredendole seguendo, pedissequamente, una linea di priorità.

È impensabile continuare a sperare nel miraggio del posto fisso senza pianificare le condizioni affinché le imprese siano incentivate ad investire in Calabria.

Così come non si può immaginare di saziare la fame occupazionale con una gestione arcaica del settore primario. Il prodotto della terra va trasformato in loco sottoponendolo a processi di lavorazione industriale. Non si può continuare ad inviarlo verso altre destinazioni dove si procede alla sua trasformazione.

Tantomeno si può sperare che il ramo turistico possa soddisfare le esigenze di tutti se questo si riduce, nella maggior parte dei casi, ad appena un mese di lavoro su dodici.

Ci piace ricordare il caso Crotone che nel ventennio ’60-’70 risultava essere la realtà più produttiva della Regione, mentre oggi è identificata come una fra le aree più depresse d’Italia. Eppure non ci risulta che in quegli anni la Città pitagorica fosse servita da autostrade o da binari ad alta velocità. Ciò che differiva era un’iniezione di fiducia generata da oltre 5mila salari (più indotto legato alle industrie), che consentivano un circolo economico come poche altre realtà nel Mezzogiorno riuscivano a fare.

Con questo non vogliano dire che in Calabria andrebbe riaperta una stagione d’industria pesante. E parimenti che le pianificazioni infrastrutturali, vitali per acquisire un embrione d’appetibilita sui mercati, debbano essere accantonate.

Tuttavia le ultime richiedono tempo.

Un tempo che la Calabria e lo Jonio soprattutto non hanno. Pertanto, immaginare processi industriali, ecocompatibili ed ecosostenibili, dovrà essere un imperativo se vogliamo realmente cambiare il paradigma di questa Regione.

E, giocoforza, tali processi potranno e dovranno essere pensati in quelle aree naturalmente predisposte allo scopo. E quali realtà meglio del Crotonese e della Sibaritide potrebbero prestarsi alla causa? Riteniamo nessuna, atteso che i Capoluoghi storici da sempre hanno impostato le loro economie sulla gestione pubblica.

È necessario ripartire da quei contesti identificati come aree ZES (zone economiche speciali) lungo l’Arco Jonico. Il riferimento va a Corigliano-Rossano e Crotone. Le uniche aree ZES che coniugano nel territorio il settore agricolo con quello delle aree industriali dismesse.

Oltretutto territori ad altissima vocazione turistica. Il tutto costellato da due infrastrutture portuali ed uno scalo aeroportuale connessi all’indotto agricolo. Ed ancora, al potenziale della rigenerazione industriale e con un futuro che potrebbe elevare i numeri del turismo a livelli molto interessanti.

Ed allora si dovrà procedere su una teoria simile a quella dei vasi comunicanti. Da un lato bisognerà avviare una politica di riadeguamento alla normalità infrastrutturale, parametrata su canoni europei. Dall’altro, stabilendo i presupposti per un rilancio delle filiere agricole-industriali e del marketing turistico, si potrebbe costruire un argine che agisca da deterrente all’esodo incontrollato, ed allo stato attuale ampiamente giustificato, delle persone.

Sarà necessario creare le condizioni affinché i grossi gruppi nazionali ed europei valutino il territorio jonico come appetibile per incrementare i loro interessi in chiave globale.

E non parliamo di Arco Jonico per spirito di partigianeria, ma perché è davvero l’unica area che può prestarsi ad una rinnovata funzione imprenditoriale.

Operazioni di tale portata, chiaramente, richiederebbero la fattuale collaborazione e l’implementazione di forza lavoro attingendo alle maestranze locali e, in generale, di tutta la Regione.

Un po’ come avvenne, sul finire degli anni ’50 e durante tutto il decennio successivo, a Crotone. Al tempo, da tutta la Calabria (e non solo) le persone si riversarono sulla Città e sui Comuni contermini perché gli insediamenti industriali permisero una crescita esponenziale dell’offerta di lavoro.

Una prospettiva lavorativa è una prospettiva di vita!

E la politica deve favorire processi di tale natura. Non può continuare a dimostrarsi refrattaria partorendo idee non propositive e, soprattutto, non generanti i presupposti per arginane i flussi migratori dei cervelli migliori.

Se si creeranno le condizioni per instillare nelle popolazioni un rinnovato tasso di interesse a restare ed investire nella terra natia, l’esodo centrifugo si fermerà e la piaga dello spopolamento pian piano si rimarginerà. Contrariamente saremo una terra destinata all’oblio che non troverà spazio neppure sui libri di storia. (dm/gs)

 

Lo Schiavo presenta proposta di legge sullo smart working per combattere lo spopolamento dei piccoli comuni

Il consigliere regionale di De Magistris PresidenteAntonio Lo Schiavo, ha annunciato una proposta di legge sullo smart working, per combattere lo spopolamento dei piccoli comuni calabresi.

La proposta di legge in oggetto, denominata “Misure di sostegno alla creazione di nuove imprese e/o incentivi alle imprese che attivano e agevolano il lavoro agile o smart working ai fini del ripopolamento dei piccoli comuni della Regione Calabria”, redatta da Francesco Maria Spanò, Alberto Mattia Serafin, Claudio Mattia Serafin dell’Associazione “Calabria Condivisa”, si inserisce pienamente nel solco della proposta di legge nazionale “Delega al Governo per la promozione del lavoro agile nei piccoli comuni” presentata nel luglio 2021 alla Prima Commissione del Senato.

Ora il consigliere regionale Antonio Lo Schiavo punta all’adozione di uno strumento appositamente pensato per la realtà calabrese, proseguendo nella sua azione di proposta di strumenti di legge a contrasto della marginalità delle aree interne come nel caso della legge regionale sulle Cooperative di comunità.

«La pandemia causata dal Covid-19 – si legge nell’introduzione della legge – ha messo in luce un fenomeno che da oltre un decennio caratterizza i piccoli comuni della nostra regione e non solo: lo spopolamento. Fenomeno accompagnato all’invecchiamento della popolazione e alla rarefazione delle opportunità di lavoro, con il conseguente diradamento dell’offerta dei servizi essenziali. Il ripopolamento dei piccoli comuni rappresenta, quindi, la principale sfida che abbiamo davanti, proprio per non disperdere quelle straordinarie ricchezze di cui essi sono portatori».

La legge regionale sullo smart working rappresenta dunque «una misura, che non solo è in corso di studio in altre regioni, ma che presto potrebbe estendersi a livello nazionale, se si considera che le comunità con meno di 5mila abitanti, disseminate lungo la dorsale appenninica e l’arco prealpino, rappresentano oltre il 70 per cento dei quasi 9mila comuni italiani, con una popolazione di 11 milioni di cittadini».

«La strategia nazionale – e, quindi, regionale – per contrastare la marginalizzazione e il declino delle aree interne – ha spiegato – oggi può trovare nel lavoro agile (smart working) un ulteriore elemento di forza e propulsione. Vivere e lavorare nei piccoli borghi, rafforzando le reti digitali e sfruttando le potenzialità dello smart working, è una possibilità tutt’altro che remota e impraticabile. Il lungo periodo di pandemia ha favorito questo processo. Molti lavoratori in regime di smart working hanno scelto ed apprezzato il lavoro svolto nel proprio comune natale, contribuendo alla rivitalizzazione dei piccoli centri. Questa inversione di tendenza non solo va colta ma va resa strutturale: ed è proprio questa la finalità del presente disegno di legge». (rrc)

CALPESTATA, DIMENTICATA E PURE DERISA
LA GRAVE CRISI DELLA NOSTRA CALABRIA

di AGAZIO LOIERO – La nostra regione versa in una crisi così grave – anche d’immagine – da apparire senza scampo. Per un calabrese che ama la sua terra è una vera sofferenza in questi ultimi tempi accendere la televisione o leggere i giornali. Non ci troviamo solo in presenza di quel tipo di crisi grave, testimoniata da tutti i più recenti studi, ma siamo anche demonizzati e da ultimo anche derisi.

Abbiamo assunto il ruolo di attori di rilievo nei programmi d’intrattenimento, nei quali tutto, dalle antiche tare che ci accompagnano al duro accento che fuoriesce dalla nostra bocca, diventa divertente, fonte di ilarità nel Paese. “Calpesti e derisi”, per usare due aggettivi-simbolo del Risorgimento italiano. Il peggio della società calabrese emerge con una forza dirompente nei media di questa stagione. È un fatto positivo che questo giornale da qualche tempo se ne preoccupi. Faccio qui un elenco non esaustivo di punti dolenti del nostro male di vivere. Gli studiosi affermano che Il covid rischia di lasciare in Italia cinque milioni di persone in avanzata precarietà e cinque milioni di poveri assoluti.

Di questa cifra mastodontica quanti pensiamo che ne erediteremo in Calabria? Da noi la miseria non è mai stato un fenomeno sconosciuto, anche se è apparso in passato spesso attutito dalla piccola economia autarchica delle famiglie, fatta di piccoli sussidi e dell’abitudine a secoli di lavoro nei campi, di isolamento e di lotta per la sopravvivenza. Molti comuni sono in dissesto, quindi significa che non possono programmare nulla, neanche i servizi essenziali. Abbiamo il maggior numero municipi commissariati per mafia. Da qualche tempo anche alcune aziende sanitarie seguono la stessa sorte. La criminalità calabrese è diventata pervasiva in molti territori fuori dai nostri confini. Di recente un periodico di qualità, sul tema, ha fatto un’osservazione acuta: “la ‘ndrangheta, a differenza della altre mafie, ovunque arriva, non si limita a fare affari o a riciclare i propri soldi. Fa di più: riproduce senso e identità, rigenera il modello di comunità e i (dis)valori originari, insediando le proprie strutture criminali in un legame indissolubile con i vertici dell’organizzazione in Calabria”. 

Il territorio è, da sempre, in pieno dissesto idrogeologico, come ci narra la storia ed anche la letteratura della nostra regione. Anni fa abbiamo visto un paese del Vibonese sfaldarsi in diretta televisiva. Il livello di assistenza sanitaria non è, secondo il mio parere, tanto basso da giustificare un esodo annualmente imponente di corregionali verso gli ospedali del Nord. Il fatto però di essere commissariati da oltre dieci anni, non attraverso grandi manager sanitari ma attraverso alti dirigenti delle forze dell’ordine, come se questa regione fosse una colonia penale, non solo non ha impedito liste d’attesa tra le più lunghe d’Europa, ma ha procurato altri danni. Ha automaticamente imposto, sempre da oltre dieci anni, il più alto carico fiscale immaginabile sulla pelle dei calabresi e ha suscitato un supplemento di sfiducia nei nostri malati. È vero che un tale esodo c’è sempre stato in Calabria, ma mai in questa dimensione  sconfortante.

Il territorio si va spopolando, nel 2018, secondo Svimez, con le sue 14.800 unità ha presentato il più alto tasso migratorio. Di più. la nostra regione presenta un’alta perdita di capitale umano e una grave caduta di natalità, sconfiggendo in quest’ultimo caso un’antica, fulgida, tradizione procreativa, presente da secoli nel territorio. La disoccupazione e la dispersione scolastica hanno toccato vette non più insopportabili.

«In Calabria un bambino su due – come ha stabilito una ricerca Invalsi del 2019 – fa fatica a comprendere un testo scritto». I giovani di qualità fuggono via impoverendo drammaticamente il territorio. Una delle ultime ricerche di Unicef Italia sul Neet (giovani che non studiano, non lavorano e non seguono nessun percorso di formazione) afferma che tale categoria di giovani raggiunge una percentuale del 36,2 per cento nella nostra regione. Tutte queste cose insieme significano che fra venti anni il destino sociale del nostro territorio sarà  segnato in forma irreversibilmente negativa.

Ma, oltre a quello sociale, esiste un dato immateriale che accennavo all’inizio, e che dovrebbe spaventarci: la nostra demonizzazione di massa. Un dato che la classe politica, che si trova da tempo in una campagna elettorale anticipata per le elezioni regionali d’autunno non dovrebbe cavalcare, perché alla lunga, nel migliore dei casi, ci condanna all’insignificanza. E per un soggetto politico che dovesse vincere le prossime elezioni diventa difficile battersi se si è insignificante. Nella fantasia del Paese, infatti nella semplificazione dei media, nel dilagare emotivo dei social, gli stereotipi che da sempre ci accompagnano la fanno da padroni, aduggiando meriti e qualità dei calabresi. Il leggendario Walter Lipmann in uno scritto di molti anni fa afferma che quando uno stereotipo è ben radicato “la nostra attenzione si rivolge a quei fatti che lo appoggiano e si distoglie da quelli che lo contraddicono”. 

Accolgo a questo punto l’invito del giornale a scrivere anche da attore politico del passato. Nella mia esperienza alla guida della regione – un avamposto di osservazione ragguardevole – ho colto la veridicità e la forza devastante dell’assunto di Lipmann. Mi sono di conseguenza battuto, insieme alla giunta regionale che ho presieduto, per mitigare la radicalità di certi stereotipi che ci affiggono. Ho tentato infatti disperatamente di creare antidoti alla teoria di Lipmann. Faccio qui di seguito alcuni esempi. Ho cercato di valorizzare al massimo l’esperienza di Domenico Lucano  nel comune di Riace che procedeva in totale  controtendenza rispetto alla terribile pubblicistica imperante, il cui culmine si toccò con l’efferato omicidio del povero Franco Fortugno. Sono riuscito a convincere il grande regista tedesco Wim Wenders a visitare Riace, un paesino che dista pochi chilometri da Locri, dove era stato ucciso il vicepresidente del Consiglio regionale.

Il mio sotteso intendimento era tentare di dimostrare come in tutte le realtà convivono fatti orribili e il loro rovescio. Siamo riusciti a tal fine come regione Calabria a produrre, insieme ad un privato, un cortometraggio “Il Volo”, scritto e girato, appunto, da Wim Wenders, la cui trama è la biografia di un sindaco sognatore che trasforma il dramma dello spopolamento del suo paese nel sogno dell’accoglienza. Un rito, quest’ultimo, che in Calabria affonda le radici nella notte dei tempi. Quando nei paesini lungo la costa noi calabresi, convinti che il mondo appartenesse a tutti, aprivamo la porta a ogni viandante sconosciuto, arrivato inatteso sull’uscio di casa. Di più. Bombardato dalle notizie che comparivano di frequente sulla stampa del tempo in cui si affermava che alcuni prodotti medicali costavano in Calabria 4-5 volte di più rispetto al prezzo praticato nel resto d’Italia, ho istituito come regione la prima stazione unica appaltante d’Italia e ho chiamato a guidarla un Pm severo.  Ancora. Ho reagito alla critica sarcastica, mossami a palazzo Chigi dal ministro dell’economia del tempo, durante il primo incontro dei presidenti di regione con il governo nazionale (siamo nel 2005 e il premier era Berlusconi) sui fitti che la regione pagava ai privati nella sola Catanzaro, dove risiede la Giunta. La cifra si aggirava intorno 7 milioni di euro l’anno, 14 miliardi di vecchie lire. Una cifra enorme sottratta ai bisogni reali dei calabresi.

Mi sono impegnato in quella sede a costruire una sede propria, dove far convergere tutti gli uffici regionali. Un impegno assunto più volte in passato dalla politica regionale, ma mai realizzato perché spesso da noi capita che la forza degli interessi individuali ha la meglio su quelli collettivi. Malgrado il blocco dei lavori da parte della Sovrintendenza alle belle arti, durato oltre due anni, la sede, durante il tempo della mia legislatura, vide la luce. Riuscimmo a costruire in ferro e cemento armato l’intero scheletro della Cittadella portato a termine dal mio successore. Come ricordò con esattezza il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel corso della sua visita alla struttura di qualche anno fa.

Chiudo convenendo sul fatto che all’epoca non c’era la crisi di oggi, ma questa rappresenta, semmai, una ragione di più per battersi sui problemi veri della Calabria, non su quelli frivoli della propaganda politica. (al)

*Agazio Loiero è stato Presidente della Regione Calabria