di PIETRO MASSIMO BUSETTA – Qualcuno vorrebbe farne un programma per Chi l’ha visto. Qualcun altro, nella rimodulazione dei fondi del Pnrr, vorrebbe recuperare i 630 milioni che sono statI destinati ad esse. Parlo delle cosiddette Zone Economiche Speciali che, varate nel 2018, sembrava che stessero decollando.
In realtà sembra invece che vi siano da parte di alcuni molti dubbi sulla loro utilità, come periodicamente avviene in Italia. Infatti anche se le Zes sembrano comincino a dare i risultati le perplessità sembrano sempre più diffuse.
Ma d’altra parte l’alternativa, nel caso di fallimento delle stesse, sarebbe quella che il Mezzogiorno abbandonasse la sua vocazione manifatturiera, cosa assolutamente inopportuna se si vuole che si creino quei posti di lavoro indispensabili per far si che il tasso di occupazione di tutto il Paese possa avvicinarsi a quel 50% necessario e opportuno delle realtà a sviluppo compiuto.
E certamente il recupero del tasso di occupazione non può che avvenire laddove i margini di recupero sono più elevati, cioè al Sud. Ma recentemente delle zone economiche speciali si è sentito parlarle sempre meno, sembra che la determinazione con la quale venivano seguite dal precedente Governo stia in qualche modo diminuendo. Ricordare che è necessario creare nel Sud un numero di posti di lavoro pari a circa 3 – 4 milioni, se si vuole che il rapporto tra popolazione ed occupati sia di uno o due, non è inutile.
Perché confrontarsi sempre con la dimensione quantitativa porta a capire meglio quali sforzi sono necessari, per riuscire ad avere un indirizzo ed una rotta chiara e precisa. La vulgata, adesso prevalente, sembra essere quella che in realtà manchino i lavoratori piuttosto che i posti di lavoro e ci si chiede come fare ad occupare quelle posizioni che rimangono non servite. Se devono essere gli italiani che bisogna far alzare dalle loro poltrone, sulle quali qualcuno è convinto sono ormai adagiati grazie a un welfare eccessivo, oppure se dobbiamo far arrivare flussi consistenti di extracomunitari per coprire le esigenze occupazionali delle nostre imprese.
A me sembra che si stia distorcendo la realtà e che l’esigenza di creare nuova occupazione sia sempre cogente. Ed è evidente che i numeri di cui parliamo possano essere creati solo se vi sarà un manifatturiero adeguato. Tale evoluzione non potrà avvenire che con l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area, cosa possibile soltanto se vi saranno delle aree nelle quali le condizioni di insediamento possano essere più favorevoli.
Questa, però, che sembrava essere una posizione condivisa sembra avere sempre meno sostenitori e che si stia tornando ai generici aiuti a pioggia, favoriti anche dal Pnrr, che sembra possa dare aiuto a tutti. L’esempio della diminuzione del cuneo fiscale, adottato per tutto il Paese, dimostra come in realtà si sia tornato alla finzione che il Paese è uno e che il dualismo prevalente possa essere dimenticato.
I vincoli esistenti per il Mezzogiorno evidentemente a qualcuno stanno troppo stretti ed allora il tema di smantellare quello che si è costruito fino ad adesso sembra essere un obiettivo primario, con piccoli passaggi che in realtà spesso non hanno alcuna evidenza nell’opinione pubblica, ma che alla fine portano a distruggere la sistematicità di un intervento che non può portare che al fallimento di esso.
Il manifatturiero del Mezzogiorno ormai da oltre 10 anni non cresce, perché quello che riusciva ad esprimere l’imprenditoria meridionale si vede che ha raggiunto il suo massimo e non può avere che incrementi limitati. D’altra parte come è stato dimostrato da tutte le realtà a sviluppo ritardato, compresa quella Germania dell’Est, che sta raggiungendo livelli di sviluppo interessanti e sta diminuendo il gap con la Germania dell’Ovest, il corpo fondamentale della crescita occupazionale non può che venire che dal settore manifatturiero.
Per questo le Zes diventano fondamentali per offrire quelle condizioni minime necessarie per attrarre investimenti, come una realtà infrastrutturata e con criminalità contenuta e messa all’angolo, oltreché le condizioni di vantaggio, come un cuneo fiscale che faccia competere il costo del lavoro con quello che altre Zes europee possono praticare e la possibilità di poter avere una tassazione sull’utile d’impresa più contenuta.
Per cui è necessario che, laddove le condizioni complessive del Paese diventano più vantaggiose, quelle relative alle Zes del Mezzogiorno lo diventino ancor di più, altrimenti le localizzazioni avverranno dove le condizioni complessive sono più favorevoli e la presenza di altre aziende farà sì che ci siano dei vantaggi competitivi che nelle realtà più periferiche non ci sarebbero.
Alcune volte sembra che questa visione complessiva si perda. Mentre l’esigenza è quella che questo sistema di vantaggio possa essere trasferito anche nel settore dell’accoglienza turistica idea che finalmente pare stia diventando patrimonio comune se è vero che
il direttore di Unicredit Sud, Ferdinando Natali, afferma che si potrebbe pensare anche a vere e proprie Zone Economiche Speciali a vocazione turistica. Quindi altro che abbandonare il sistema ma piuttosto estenderlo anche ad altre branche oltre che al manifatturiero.
Quindi la struttura delle Zes va ulteriormente potenziata. Come dice Giusy Romano, commissario per la Zes campana e calabra I comuni meridionali, che stanno dimostrando in molti casi di non riuscire a utilizzare i fondi del Piano Nazionale Ripresa possono chiederci di fungere da stazioni appaltanti».
Le Zes «si basano su due pilastri. Una logica premiale per le aziende già insediate e che vogliano ampliarsi. E poi una logica di attrazione per gli investimenti di chi intenda allocarsi nell’area. L’obiettivo che ci preme maggiormente è la ricaduta sul territorio, in termini di Pii e di indotto».
E continua rispetto alle strategie dell’attrazione che cominciamo ad essere patrimonio condiviso:”Andare noi a convincere gli investitori esteri che hanno tutta la convenienza a venire qui, da un lato, e poi portare gli stranieri in visita qui da noi, così da poter toccare con mano la qualità del prodotto che gli offriamo». Forti anche del fatto che una Zona Economica Speciale può durare 21 anni, e che l’Authority di gestione non è a tempo, come avviene anche nelle altre parti del mondo dove le Zes già esistono da decenni. Insomma sarebbe un peccato tornare indietro ora che sembra comincino ad andare a regime. (pmb)
[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]