LA CLASSIFICAZIONE "AD ALTO RISCHIO" DOVUTA ESSENZIALMENTE ALL'INAFFIDABILITÀ DEI DATI: CHI PAGHERÀ PER QUESTO?;
Tampone molecolare

TROPPA SUPERFICIALITÀ E INCOMPETENZA
LA CALABRIA RISCHIA DI TORNARE “ROSSA”

Il rischio che la Calabria torni ad essere, a breve, “zona rossa” è molto alto. Non per i numeri del contagio, né dei ricoverati, che – grazie a Dio – sono stabili e gestibili dalle strutture sanitarie disponibili, ma perché il Ministero della Salute ritiene che i dati sull’epidemia che provengono dalla Calabria «sono inaffidabili». È una dichiarazione di una gravità spaventosa da qualunque punto di vista: il Ministero attribuisce, in maniera generica, responsabilità pesanti ai dirigenti sanitari (il nuovo commissario Longo adesso non c’entra, è appena arrivato) ma non fa autocritica sull’assenza di controlli e ispezioni che avrebbe dovuto ordinare già da tempo. In nove mesi, praticamente, nessuno ha avuto la capacità di organizzare un sistema di rilevazione sull’epidemia che fornisse dati inoppugnabili, precisi, in grado di far esprimere le opportune valutazioni.

La classificazione della Calabria con “rischio alto”, dunque, va considerata meramente a titolo precauzionale, come forma di prevenzione di un’esplosione – più possibile che probabile – incontrollata delle pandemia. Con le conseguenze immaginabili in caso di ritorno alla zona rossa: danni psicologici e biologici alle persone, danni economici agli imprenditori, disagi crescenti per la popolazione, ansia costante, preoccupazione legittima per anziani e bambini. I primi perché a rischio per la presenza di patologie legate all’età, i secondi “portatori sani” del virus in grado di annientare nonni e genitori.

Che ci sia oltre alla ragionevole e più che giustificata indignazione aria di rivolta appare evidente. Il consigliere regionale leghista Pietro Santo Molinaro è stato tra i primi a muoversi e ha diffuso una nota al vetriolo destinata ai burocrati regionali, ma molto chiaramente indirizzata al Ministero della Salute. «La Calabria – afferma Molinaro – anziché andare verso la normalità, sta viaggiando verso il ritorno alla Zona Rossa. E non perché la situazione reale lo renda necessario. La colpa di tutto ciò, secondo il Ministero della Salute, è di chi non è stato capace in nove mesi di organizzare un sistema affidabile di rilevazione dei dati sull’epidemia.
«Queste persone – dice Molinaro – hanno un nome e cognome e vanno dal Direttore Generale del Dipartimento Salute, della Regione Calabria, Francesco Bevere, al delegato per l’emergenza Covid, Antonio Belcastro, a seguire, tutti i commissari delle cinque aziende sanitarie provinciali e delle quattro aziende ospedaliere: Simonetta Cinzia Bettelini, Luisa Latella, Franca Tancredi, Salvatore Gulli, Francesco Masciari, Giuseppe Giuliano, Giovanni Meloni, Maria Carolina Ippolito, Domenico Giordano, Giuseppe Zuccatelli, Giuseppina Panizzoli, Iole Fantozzi. Per i fatti noti, non ci sono le condizioni per chiamare in causa il Commissario per la sanità regionale.
«Per tutta la suddetta lista di professionisti, corresponsabili dell’inaffidabilità dei dati che fornisce la Calabria al Ministero, ci sono due alternative:
– aprono un contenzioso con il Ministero, contestano la valutazione ed ottengono una rettifica del “Monitoraggio” pubblicato il 4 dicembre, oppure
– riconoscono che sono degli incapaci e pagano di tasca propria, restituendo lo stipendio che gli è stato pagato dai calabresi».

Secondo quanto afferma il consigliere Molinaro «È necessario stabilire chi ha sbagliato e continua a sbagliare. E chi ha sbagliato deve pagare. Se sono i burocrati del Ministero, devono pagare loro. Se sono i burocrati che operano in Calabria devono pagare loro. Tutti di tasca propria. I cittadini calabresi, gli artigiani, i commercianti, gli agricoltori, i professionisti, le imprese, non possono essere gli unici a pagare il prezzo insostenibile di una situazione grave ma amplificata dalle incapacità della burocrazia nazionale e/o regionale. I fatti di oggi sono troppo chiari. Aspetto di vedere quale sarà la scelta che faranno i burocrati che hanno in mano la sanità calabrese: contestare il Ministero ed ottenere la rettifica del monitoraggio oppure restituire lo stipendio».

Ma non si muove da solo. Il commissario regionale dei Verdi-Europa Verde Calabria Giuseppe Campana vede un interesse “politico” nella situazione che si sta venendo a creare: «Le omissioni e gli errori di chi doveva fare e non ha fatto stanno avendo ripercussioni sulla vita dei calabresi, sul loro diritto alla salute che è un diritto primario dell’individuo e un interesse preminente della collettività. Tutto questo è inaccettabile. Mentre si muore per il virus, gli eletti  di governo, pensano alla data delle elezioni; mentre nella nostra Regione regna il caos, trovano l’accordo solo sulla data delle elezioni.

«In un momento così drammatico – afferma Campana –, questa classe politica cerca di fare le elezioni nel più breve tempo possibile, per non perdere l’onda positiva dei sondaggi. Chi governa, sondaggi alla mano, non è degno di rappresentarci. La nostra Regione e i calabresi non meritano un simile malgoverno soprattutto in un questo momento. Le elezioni previste per 14 di febbraio sono favorevoli a chi ha pacchetti di voto clientelari e non a chi deve spiegare il programma elettorale, puntare su voti di opinione dei liberi cittadini, raccogliere le firme, aprire un dialogo con i cittadini, salvare la vita delle persone. Suggeriamo, come abbiamo fatto in altre occasioni, di occuparsi prima della salute dei cittadini fronteggiando tutte le emergenze in Calabria e poi delle prossime elezioni».

La situazione è drammaticamente seria. Solo per fare il caso di Cosenza, secondo il consigliere regionale Carlo Guccione l’Azienda sanitaria della provincia ha debiti per 750 milioni di debiti e 460 vertenze in corso. E il deputato pentastellato Francesco Sapia rincara la dose: «dobbiamo aprire tutti gli occhi e renderci conto che la situazione è difficilissima, sicché c’è bisogno di una gestione capace, competente e coraggiosa, date le troppe questioni gravi ancora aperte, compreso, come ha ribadito il docente universitario Ettore Jorio, il mancato possesso dei requisiti di accreditamento da parte degli ospedali pubblici».

Intanto il prefetto Guido Longo sta lavorando pesantemente. A Radio1 Rai ha dichiarato: «Ho fatto il piano territoriale per l’emergenza Covid e stiamo vedendo come migliorare la rete territoriale delle prestazioni sanitarie. Il piano territoriale per l’emergenza Covid prevede come priorità quella di fare più tamponi possibili allo scopo di isolare i contagiati e bloccare contagio e poi per i casi più gravi con cure appropriate nelle varie aziende ospedaliere che sono assolutamente attrezzate». Questo per la prevenzione. Per far luce sui numeri servirà un atto di coraggio di chi fino ad oggi li ha serviti al Ministero. E qualcuno dovrà pur essere chiamato a risponderne. (rrm)