di SIMONA CARACCIOLO – La violenza di genere non si manifesta soltanto attraverso atti fisici o psicologici diretti, ma anche nelle parole. Frasi, battute a sfondo sessuale, insinuazioni e commenti sessisti rappresentano forme di violenza verbale spesso sottovalutate. Questi comportamenti, radicati in una cultura discriminatoria, colpiscono soprattutto le donne e hanno un impatto devastante sul benessere psicologico, sulla dignità personale e sulla carriera professionale di chi li subisce. Secondo i più recenti rapporti nazionali ed europei, il luogo di lavoro è uno degli spazi in cui questa forma di violenza si esprime con maggiore frequenza. Il cosiddetto “molestie verbali a sfondo sessuale” rientrano a pieno titolo nelle condotte di molestia previste dal Codice delle pari opportunità (D.Lgs. 198/2006) e dal D.Lgs. 81/2008 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, che obbligano i datori a garantire ambienti sicuri e rispettosi. Non si tratta di “semplici battute” o di “ironia innocente”: commenti sul corpo di una collega, allusioni a rapporti sessuali, insinuazioni sul ruolo professionale legato al genere o alla vita privata costituiscono violenza. Questa violenza, anche se priva di contatto fisico, produce effetti tangibili: isolamento, ansia, perdita di autostima e, in molti casi, rinuncia al posto di lavoro. In Calabria, questa minaccia è ben presente, anche se spesso sommersa da silenzi, ignorata o ridotta a “rosicchiare di goccia in goccia”.
Una ricerca del 2019 dell’Osservatorio regionale sulla violenza di genere ha stimato che il 26,4% delle donne calabresi tra i 16 e i 70 anni ha subito nel corso della vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale; nello specifico il 16,5% violenza fisica, il 16,1% violenza sessuale, ed il 4,1% uno stupro o tentato stupro.
La stessa indagine rilevava che solo l’11,7% di chi ha subito violenza ha sporto denuncia, e appena il 4,8% si è rivolta a un centro antiviolenza o servizio di supporto. Nel corso del 2024, nella sola provincia di Crotone, sono stati denunciati 157 casi di violenza di genere (nei primi dieci mesi), con un lieve aumento rispetto al 2023.
Sono aumentati in Calabria i “reati spia” della violenza di genere: stalking, maltrattamenti e violenze sessuali. Anche se i femminicidi hanno mostrato una leggera diminuzione, le modalità indirette di violenza, fra cui quelle verbali, permangono in crescita preoccupante. Questi numeri mostrano che il fenomeno non è marginale: coinvolge una buona parte della popolazione femminile, con effetti spesso gravissimi anche quando la violenza non diventa fisica. Per poter reagire al fenomeno, in Calabria operano diverse istituzioni con competenze precise: Osservatorio regionale sulla violenza di genere: organismo che monitora i dati, produce rapporti, segnala le aree fragili, e propone interventi mirati; Osservatorio regionale contro le discriminazioni nei luoghi di lavoro: utile interlocutore quando la violenza verbale sessuale si manifesta come discriminazione nel contesto professionale; Comitato Unico di Garanzia (CUG) della Regione Calabria: presente nell’amministrazione regionale, con il compito di promuovere le pari opportunità, la tutela dai fenomeni discriminatori e lo sviluppo di ambienti di lavoro inclusivi. Il CUG può intervenire anche su politiche interne, formazione, regolamenti disciplinari; Altri organismi di garanzia regionali includono il Difensore civico, il Garante regionale della salute, il Garante per l’infanzia e l’adolescenza, il Garante per le vittime di reato, ecc. spesso con funzioni di tutela e accoglienza delle istanze dei cittadini.
Un aspetto cruciale riguarda il ruolo di chi occupa posizioni di responsabilità. Manager e dirigenti non solo sono chiamati a vigilare, ma rispondono anche personalmente qualora adottino comportamenti offensivi o omissivi. Le aziende, sempre più spesso, includono nei propri codici etici norme stringenti contro molestie e discriminazioni, con sanzioni disciplinari che vanno dal richiamo formale alla sospensione, fino al licenziamento. Inoltre, laddove la condotta assuma rilievo penale, si applicano le norme del Codice penale (art. 609-bis e seguenti in materia di violenza sessuale, anche “solo” verbale).
La giurisprudenza ha più volte sottolineato come l’abuso di posizione gerarchica aggravi la responsabilità del dirigente: il potere di valutazione, di carriera o di assegnazione dei compiti può infatti trasformarsi in una leva di ricatto o intimidazione.
La risposta normativa, pur fondamentale, non basta. Serve un cambiamento culturale: formazione obbligatoria, campagne di sensibilizzazione interne e sportelli di ascolto aziendali rappresentano strumenti indispensabili per contrastare il fenomeno. Le imprese che non si attrezzano non solo rischiano pesanti conseguenze legali ed economiche, ma tradiscono la fiducia dei propri dipendenti. La lotta contro la violenza di genere passa anche da qui: dal riconoscere il peso delle parole e dall’affermare che ogni lavoratore e lavoratrice ha diritto a un ambiente professionale fondato sul rispetto, sulla dignità e sull’uguaglianza. Il problema non è solo sensibilizzare: serve strutturare norme, procedure e sanzioni interne, e responsabilizzare chi detiene ruoli di comando. Si possono adottare buone prassi, specifiche per il livello aziendale/istituzionale, che coinvolgono manager, dirigenti e organismi interni: Manager e dirigenti dovrebbero partecipare a corsi che approfondiscono cos’è la violenza verbale a sfondo sessuale, come riconoscerla, come intervenire, come fare da deterrente. L’Osservatorio regionale potrebbe coordinare moduli formativi standard per le aziende e la pubblica amministrazione; Integrare clausole specifiche che vietano comportamenti di molestia verbale, prevedono procedure di segnalazione interne, definiscono sanzioni che possono andare da richiami fino al licenziamento per i casi più gravi; Spazi o uffici (anche virtuali) dove i dipendenti si sentano liberi di segnalare molestie verbali senza timori di ripercussioni. È fondamentale che queste procedure siano trasparenti, che ci sia tutela contro le ritorsioni, e che siano svolti accertamenti tempestivi; Questi organismi possono fungere da garanti esterni o interni, verificando che le politiche aziendali siano attuate, che le sanzioni vengano applicate, che esistano strategie preventive; Sanzioni chiare e proporzionate; Campagne interne, comunicazioni periodiche, diffusione di testimonianze, workshop, brainstorming con i dipendenti su ciò che è accettabile e ciò che non lo è: contribuire a cambiare le mentalità, fare emergere ciò che di solito resta nascosto.
Per agire in modo efficace, le istituzioni calabresi (Regione, Consiglio regionale, Osservatorio) potrebbero: approvare una legge regionale aggiornata e strutturata, con fondi adeguati, che stabilisca obblighi chiari per imprese pubbliche e private in termini di prevenzione, formazione e sanzioni; istituire un fondo unico regionale con risorse stabili per sostenere centri antiviolenza, case rifugio e servizi di supporto, con omogeneità su tutto il territorio; coordinare una campagna divulgativa regionale che informi i dipendenti pubblici e privati sui loro diritti, su come riconoscere la violenza verbale sessuale, su come e dove denunciare, coinvolgendo anche le scuole, i sindacati, le associazioni territoriali; fornire linee guida e regolazioni standard per le imprese (piccole, medie, grandi), che includano modelli di regolamento interno contro molestie verbali, codici comportamentali, procedure disciplinari.
La Calabria ha numeri che non permettono l’indifferenza: la percentuale significativa di donne che hanno subito violenza, il basso tasso di denuncia, l’aumento dei reati “spia”, la fragilità dei servizi e la disomogeneità territoriale sono segnali che richiedono risposte immediate e concrete. Nel mondo del lavoro, dove la gerarchia e il potere negoziale possono amplificare i danni, è essenziale che manager e dirigenti si assumano responsabilità non solo disciplinari ma anche morali e culturali. Solo così le parole, quando diventano offesa, potranno essere riconosciute per quello che sono — e fermate.
(Esperta in politiche contro
la violenza di genere)







