ACUTA ANALISI DEL SOCIOLOGO FRANCESCO RAO E UNA PROPOSTA PER GLI STATI GENERALI DELL'OCCUPAZIONE;
Giovani: ma quale futuro?

1° MAGGIO, L’OCCASIONE PER RIFLETTERE
SULLA CALABRIA E IL LAVORO CHE NON C’È

di FRANCESCO RAO – Quella del Primo Maggio, oltre ad essere la “festa dei lavoratori”, vorrei potesse diventare presto un’occasione annuale per riflettere in lungo e in largo sulle sorti dei tantissimi “giovani adulti”, sempre più immersi come pesci nel mare della disoccupazione e privati di un diritto costituzionale chiamato lavoro. Alla luce dei dati pubblicati recentemente da Il Sole 24 Ore, in Calabria, il reddito medio, stante alla dichiarazione dei redditi 2022, è poco superiore ai 15.000 euro. Già questo dato, senza dover accedere ad altri indicatori utili ad analizzare la qualità della vita, in tutta la sua complessità, descrive la difficilissima condizione sociale che avvolge le famiglie della nostra regione, inibendo tra l’altro ad una parte di esse l’ipotesi di poter assistere alla realizzazione dei propri figli in questa terra. 

In modo particolare, tale circostanza riguarda quanti hanno conseguito titoli di studio difficilmente spendibili in un mercato del lavoro particolarmente complesso come quello calabrese. Seppur rispetto al passato si registrino alcuni cambiamenti strutturali, i processi di istruzione e formazione, al cospetto di un’evoluzione continua dei sistemi di consumo e produzione globale, continuano a essere asimmetrici, divenendo agli occhi degli analisti e dei diretti interessati una forbice che anziché chiudersi per offrire opportunità occupazionali, continua ad aprirsi lentamente generando inoccupazione per i più giovani e disoccupazione per quanti hanno perso o perderanno il posto di lavoro. 

Tale fenomeno, come già registrato in altre parti del mondo sovrapponibili per indicatori alla nostra realtà socio-economica, alimenta un duplice effetto: dal punto di vista quantitativo, incide direttamente sui processi occupazionali; dal punto di vista qualitativo gli effetti sono rilevabili nel rapporto qualità/soddisfazione per il lavoro svolto, circostanza che nel tempo farà registrare al mondo imprenditoriale forti difficoltà nel reperire Risorse Umane, mettendo a repentaglio la continuità aziendale. A destabilizzare ancora di più il sistema, nel corso degli ultimi anni, sono intervenuti altri fattori di natura culturale: in primis la penuria di formazione e aggiornamento continuo per i lavoratori, procedura ormai indispensabile per far fronte all’obsolescenza professionale e quindi alla continuità occupazionale. 

Nel corso dell’ultimo anno, la crisi economica post-pandemica e le crescenti difficoltà dettate dall’inedita inflazione generata dall’aumento del costo delle risorse energetiche, dovute al conflitto tra Russia e Ucraina, continuano incessantemente a incidere facendo registrare la mancanza di apposite misure atte a mitigare nel medio e nel lungo periodo un bagno di sangue occupazionale. 

Senza voler scendere in particolari tecnicismi, una tra le criticità maggiore da affrontare con urgenza è rappresentata da un’asimmetria tra domanda e offerta di lavoro che ne cristallizza il forte disallineamento tra le competenze richieste dai singoli settori e la reale disponibilità introdotta dai soggetti interessati ad ottenere un contratto di lavoro. Se in passato tale requisito afferiva principalmente al pubblico impiego, oggi si è letteralmente esteso anche ai contesti produttivi del settore privato, decretando in buona parte la fine del lavoro manuale e la crescente domanda di profili professionali altamente specializzati. 

Il “corto circuito occupazionale” ormai in atto, in parte potrebbe essere dovuto a seguito delle aspettative professionali avanzate da quanti hanno conseguito titoli di studio maggiormente elevati. In tal caso, la propensione a capitalizzare le competenze acquisite con specifici inquadramenti contrattuali a volte risultano essere inapplicabili dai vari settori di riferimento a causa delle limitate opportunità nel raggiungere velocemente mercati emergenti e dall’imponente cuneo fiscale posto a carico degli imprenditori. La conseguenza a tali dinamiche, nel breve periodo potrebbe tradursi in una crescente inoccupazione volontaria e nel medio periodo diverrà motivo principale per emigrare, esportando altrove competenze, entusiasmo e nuove opportunità 

Nelle osservazioni compiute da Bruxelles, dall’OCSE e dall’INDIRE, oltre alle profonde fratture che traggono origine dalle ben conosciute cause riconducibili alla diffusa povertà educativa, rilevabile in modo particolare nelle aree interne della Calabria, vi è la duplice responsabilità per aver disatteso nel tempo le numerose analisi sociali compiute e nell’aver utilizzato ingenti finanziamenti regionali, nazionale ed europei che di fatto non hanno prodotto i risultati attesi. 

In tal senso, la povertà educativa e la dispersione scolastica continuano ad essere criticità evidenti perché ancora oggi persiste un limitato ricorso al tempo scolastico prolungato, quale autentico antidoto alle difficoltà vissute dagli studenti maggiormente afferenti a segmenti sociali fragili; a ciò si aggiunga la penuria di asili nido indispensabili a garantire l’accesso al mondo del lavoro anche all’universo femminile; la debole e in taluni casi inesistente sinergia programmatica tra la scuola e mondo produttivo e  non per ultimo, il reiterarsi di una serie di indirizzi scolastici poco allineati alle esigenze di un mercato del lavoro riconducibile al modello “industria 4.0” che richiede urgentemente oltre alle competenze umanistiche anche quelle informatiche e tecnologiche.

Dalle colonne di Calabria.Live, considerate le circostanze trattate brevemente, vorrei condividere una proposta tesa a vivere in futuro un Primo Maggio da intendersi sia come la Festa dei Lavoratori sia come un’occasione nella quale gli “stati generali dell’occupazione e del lavoro”, rendano note proposte e strumenti atti a superare l’atavica crisi occupazionale che affligge da sempre il Meridione. Insomma, un momento solenne nel quale tutti i dati elaborati nel corso dell’anno da una cabina di regia composta dai rappresentanti del mondo del lavoro e delle professioni, dalla scuola, dai decisori politici e da rappresentanze studentesche possano divenire atti e indirizzi programmatici da sottoporre ai legislatori regionali e nazionali al fine di consentire loro, per le rispettive funzioni, di poter agire per rivedere a cadenza periodica la curvatura dell’offerta formativa e tutte quelle misure attuabili e atte a incidere nel breve e nel medio periodo con l’intento di invertire l’attuale trend per il quale si continuano a registrare fughe di cervelli, un aumento della disoccupazione giovanile e la costante desertificazione culturale, con conseguenti ricadute negative rilevabili tanto nei settori produttivi quanto sugli assetti politico-istituzionali dei vari territori. Non per ultimo considerando anche il costo pubblico generato dalla quota di devianza sociale che in marginali trova particolare attecchimento.

Vi è poi un capitolo a parte, sul quale si continua a marciare a vista forse perché manca la lungimiranza nel voler comprenderele potenzialità economico-produttive e occupazionali esprimibili dal turismo e dall’agricoltura. In tal senso non è mia intenzione sviluppare alcuna analisi, considerando l’evoluzione dei rispettivi settori e la domanda di elevate professionalità, mi limiterò a fare una domanda: annualmente, quanti sono i diplomati e laureati in ambito agrario e turistico in Calabria? Le considerazioni potrebbero essere scontate: non sono mancate le opportunità, è mancata la cultura. (fr)

Francesco Rao sociologo,  docente a contratto Università “Tor Vergata” Roma