di GREGORIO CORIGLIANO – La Calabria continua sbarcare a Napoli. Dai piccoli centri alla capitale del Mezzogiorno. Il primo ad arrivare, quasi inaspettatamente, è stato Don Mimmo Battaglia che, da Satriano, in provincia di Catanzaro, è stato chiamato dal Santo Padre alla guida dell’Arcidiocesi di Napoli. Adesso, ma non inaspettatamente, arriva il dottor Nicola Gratteri, di Gerace, che, dopo dieci anni, lascia la procura e la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, per dirigere la procura più importante d’Italia.
Non c’è due senza tre, ma all’orizzonte non c’è ancora un terzo volto, un nome, una funzione. Già in due – le guide della Chiesa e della magistratura – sono sufficienti per affermare che la Calabria esporta sempre uomini di livello superiore. Dai piccoli centri alla metropoli, il primo, di 60 anni, il secondo di 65. Dopo alcune esperienze sacerdotali in provincia, Don Mimmo, come vuole essere chiamato, è stato rettore del Seminario e, tra l’altro, guida del Centro calabrese di solidarietà, una comunità dedita al trattamento di persone affette da tossicodipendenze, legata al comunità di don Mario Picchi.
Dopo qualche anno alla guida della sede vescovile di Sant’Agata dei Goti, il papa lo spedisce, avendolo conosciuto di più e meglio, a Napoli, come metropolita della diocesi partenopea. E se quella di Don Mimmo Battaglia, era una nomina del tutto inaspettata, questa di Gratteri, in un certo senso era attesa, sia perchè in scadenza a Catanzaro, sia perché aveva un pedigree di tutto rispetto, dopo altre esperienze, indicate, ma, incomprensibilmente, mancate, come la proposta di Renzi a ministro della giustizia. C’ero quel giorno, sul Tirreno cosentino, quando l’allora presidente del Consiglio, lo aveva informato che era stato inserito nella lista dei ministri.
E c’ero, solo perché conosco Gratteri da quando era prima giudice istruttore, poi, sostituto procuratore a Locri ed avevamo comunanza di rapporti nelle rispettive qualità, lui magistrato, io inviato speciale Rai Per motivi legati alla professione avevo conosciuto, anche Mimmo Battaglia, quale responsabile della meritoria Fondazione Betania. L’avevo più volte voluto intervistare perché notavo che era un prete di strada, un sacerdote cioè che alle stanze dorate delle curie, preferiva la polvere della strada, al servizio dei meno abbienti, dei diseredati, degli apparentemente sconfitti, dei disperati, un modo per donarsi agli altri. Le due mani che si stringono del suo stemma episcopale rimandano alla parabola del buon samaritano: una mano tesa a sostenere e rialzare il malcapitato per sottolineare la necessità della solidarietà, del soccorso cristiano da dare ai fratelli meno fortunati che sono nel disagio, nell’abbandono e che necessitano, quindi, di una mano amica che li rialzi.
Gratteri, per la cui nomina il Csm, si è spaccato, e non è la prima volta che accade quando si tratta di nomine di altissimo livello, secondo me, è stato preferito sugli altri due aspiranti per la vasta esperienza maturata dal magistrato di Gerace – ci tiene molto a rilevarlo – nel contrasto alla criminalità e alla ‘ndrangheta, sia a livello regionale che nazionale, ma anche internazionale. Riservato ma disponibile con la gente cha sempre inviato a collaborare con lui, aperto con i giornalisti – lo intervistai anni fa, dietro un guard rail dell’autostrada – che ritiene, per quel che scrivono, puntuali ed obiettivi fin da quando si fece fotografare, con un giornalista famoso, in un ristorante della locride con la pistola sul tavolo, aperto con gli avvocati, considera i suoi sostituti, colleghi più giovani.
Al pari di mons. Battaglia, Gratteri è convinto – lo ribadisce in tutte le conferenze che fa- dell’importanza dell’educazione dei giovani nella lotta al crimine organizzato. Da qui le conferenze che ha sempre fatto, in Italia e all’estero, sul perchè essere ‘ndranghetisti non paga. Nicola Gratteri, parla (tranne quando è in macchina, che rigorosamente, guida lui, seguito da una scorta che non ha eguali) e soprattutto trova il tempo, con il professor Antonio Nicaso, di scrivere libri che poi viene chiamato a presentare.
Una volta solo in Calabria, adesso raggiunge il centro ed il Nord. Ecco perché non dorme mai, non va sulla spiaggia, men che meno al cinema, per la gioia di Marina, la moglie e dei due figli che adesso fanno i medici al Nord. Mons. Battaglia parla attraverso le omelie, come quando al funerale del giovane musicista di Napoli ebbe a dire: “perdonami se non ho gridato abbastanza, perdona me e la mia Chiesa se quello che facciamo, pur essendo tanto, è ancora poco, troppo poco”.
E se Battaglia dice che “le pistole si devono trasformare in posti di lavoro, i pugni in mani tese, gli insulti in melodie”, Gratteri invita i giovani a non credere alle facili promesse, ma a curvare la schiena sui libri. Entrambi, Battaglia e Gratteri: orgoglio calabrese.