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Studenti fuorisede

«Ciao, Calabria. Io resto a Bologna», la testimonianza di un’universitaria fuorisede

di PIETRO AMENDOLA – L’Italia intera è ferma. Il Coronavirus, il nemico invisibile che sta terrorizzando il mondo, ha portato l’emergenza sanitaria nel nostro paese a livelli molto alti. Il governo ha preso, finalmente, misure di restrizione molto più forti, rendendo ufficiale il decreto che estende la zona arancione a tutte le regioni. E in un momento come questo, in cui i cittadini devono essere uniti per contrastare il virus, le persone sono costrette a non potersi vedere e a non potersi abbracciare, e a non manifestare tutti quei gesti di affetto che fanno parte della vita quotidiana. Questa lontananza forzata non è certo l’ideale per chi si trova distante dalla propria famiglia e dalla propria terra. È un tema che abbiamo affrontato insieme a Francesca, studentessa calabrese fuorisede all’Università di Bologna, città che rappresenta ormai la sua seconda casa. Con lei abbiamo tirato fuori alcuni argomenti, che riguardano tutti coloro che in questo momento vivono la quarantena distanti dai loro affetti.

– Francesca, per iniziare a conoscerci, vorrei chiederti intanto di dove sei precisamente e da quando ti sei “insediata” nella città di Bologna

«Io sono di Polistena. La zona è quella della Piana di Gioia Tauro. Io a Bologna ci sono dal 2018, quando ho iniziato l’università. E posso dire che ormai mi sono ambientata abbastanza bene in questa nuova realtà».

Siamo in un periodo quasi inedito per la storia del nostro paese. Come vive una studentessa universitaria fuorisede questa emergenza sanitaria, lontana dalla propria terra e dalla propria famiglia?

«Io inizialmente avevo deciso di rimanere a Bologna. Tutti i miei amici sono qui e inoltre faccio parte di un’associazione. Qui ho la mia vita, dunque, essendo anche una persona abbastanza autonoma, non vivo il distacco dalla famiglia come una cosa brutta. Non era un problema né per i miei né per me stessa. Molti miei coetanei si erano fiondati nelle stazioni, per tornarsene dai propri cari. Ero abbastanza incerta, ma avendo vari impegni qui a Bologna, avevo deciso di non scendere. Dopo, la cosa è diventata un po’ più seria, e ci sono stati nuovi decreti. Inoltre siamo passati alle lezioni online, quindi la situazione era chiaramente in totale cambiamento. I miei genitori hanno iniziato a chiedermi di prendere in considerazione la possibilità di andare in Calabria. Molte persone che conosco se n’erano andate da Bologna, e quindi con le amiche, che erano rimaste, ho parlato del fatto che forse era giunto il momento di lasciare la città. Dopodiché è arrivato l’annuncio di Conte, che ha esteso la zona arancione a tutto il paese. Io e le mie amiche abbiamo capito che, andando al Sud, avremmo messo a rischio i nostri familiari. Ho definitivamente deciso perciò di restare».

Parlando di spostamenti da Nord a Sud da parte dei tuoi coetanei, come l’hai vista la “fuga da Milano” di alcuni cittadini, in seguito all’ annuncio della zona arancione lombarda?

«Comportamento illegittimo. Io sono ferma sulla mia posizione, dato che è da sconsiderati catapultarsi tutti insieme su un treno, date le distanze da mantenere per evitare il contagio. Inoltre, andando al Sud , dovevano essere consapevoli del fatto che stessero mettendo a rischio la salute dei propri cari. Specialmente quella degli anziani. Bisogna essere veramente incoscienti e ti dico che la mia considerazione sui miei coetanei si è abbassata. Te ne racconto una. Un mio amico è sceso con l’autobus e il giorno dopo è andato ad una festa, ignorando anche il monito di non frequentare posti affollati».

– La presidente della regione Calabria Santelli ha parlato con toni decisamente preoccupati, dicendo “Non c’è una guerra da Nord e Sud, capiamo i ragazzi. Ma dobbiamo correre ai ripari”. Come le vedi queste dichiarazioni?

«I giornali del Sud da un po’ di tempo invitavano proprio a rimanere al Nord. Io capisco perfettamente queste parole, dato che conosco bene le condizioni del sistema sanitario calabrese. È molto precario a livello di strutture e di risorse, e dunque al momento non è pronto per affrontare un’emergenza simile. So che giù in Calabria ci sono controlli anche tra i comuni, per chi varca le zone di confine territoriale. Qui la situazione è un po’ diversa, non ci sono tutte queste precauzioni. In Calabria le cose vengono esagerate e dato il sistema sanitario debole, bisogna diminuire al massimo gli spostamenti. Penso che ora ci sia un po’ di incoerenza per quanto riguarda le restrizioni, a livello nazionale».

– In questo momento cosa vi state dicendo con amici e familiari?

«Vari messaggi di preoccupazione. Ci stiamo chiedendo soprattutto cosa fare durante questo periodo di quarantena. La paura è quella di cadere in depressione e in preda all’ansia. È una situazione opprimente, dato che siamo chiusi in casa».

– E pensando comunque al disagio attuale, cos’è che ti permette di avere maggiore serenità?

«Sicuramente la consapevolezza di aver preso la decisione giusta. So che non metterò a rischio la salute della mia famiglia. Ma la paura comunque rimane, e perciò sto prendendo tutte le precauzioni utili. Mi tranquillizza anche il fatto che qui a Bologna il sistema sanitario sia molto efficiente, facendomi sentire più protetta».

 – Immagino che in questo periodo, la mancanza della tua terra d’origine si faccia sentire un po’ di più. Quali sono le tue sensazioni legate alla Calabria?

 «È un posto sicuro per me, che mi ha fatto diventare quella che sono oggi. Mi sto abituando a vivere in un contesto diverso, che per certi aspetti preferisco, dato che c’è maggiore libertà e più stimoli. Sicuramente mi mancano, però, i paesaggi della Calabria. E’ una regione ricca e sconfinata, piena di territori magnifici. Il fatto che venga sottovalutata, mi sprona sempre a combattere per difenderla ed esaltarne la bellezza». (p.a.)