di BRUNELLA GIACOBBE – Esistono artisti che suonano, altri che cantano, altri che scrivono libri, altri ancora che facendo ciò portano avanti un racconto per immagini. E c’è chi fa questo tutto insieme e forse non gradisce nemmeno essere chiamato artista, ma lo è a tutti gli effetti.
Evocante, all’anagrafe Vincenzo Greco, è un artista in questo senso. Capace di sfumare il confine tra vita e arte, tra ciò che è conosciuto e il mistero, le opere di Evocante – siano esse musica, testi da leggere o video – ci portano altrove e contemporaneamente nel profondo di noi stessi, con coraggio, grazia ed umiltà.
Prima di addentrarci nel dialogo a cuore aperto che è questa intervista, raccontiamo un po’ di lui attraverso la sua biografia ufficiale: nato a Vibo Valentia e romano d’adozione, è nato artisticamente negli ultimi anni di attività del Folkstudio. Polistrumentista, ha poi fatto molta musica esclusivamente dal vivo, spesso con l’ausilio di filmati da lui stesso girati, nella forma del “videomusiracconto” (Solo cose belle del 2013, LiberAzione del 2015).
Nel 2018 ha pubblicato il docufilm, di cui è autore anche della colonna sonora, E ncificimu a facci tanta – Una reazione Vibonese, dedicato alla reazione sociale e sportiva dovuta a una ingiustizia politico-calcistica subita dalla squadra di calcio della sua città di nascita (Vibo Valentia). Dal 2022 ha deciso di pubblicare in forma ufficiale le sue canzoni. Del 2022, infatti, è il primo album pubblicato di questi tempi di cui è in corso un remix; nel 2023 ha pubblicato l’album Fino a tardi. Viaggi sonori con Battiato, uscito contemporaneamente a un libro da lui scritto per le edizioni Arcana intitolato Battiato. Una ricostruzione sistematica. Percorsi di ascolto consapevole. L’album contiene un percorso musicale di rielaborazioni di alcuni brani di Battiato, con preferenza per quelli meno noti, e si chiude con un brano originale strumentale in cui si richiamano le sonorità orchestrali/elettroniche tipiche del periodo sperimentale degli anni 70, tenendo conto di tutto quello che nel frattempo è accaduto musicalmente.
A seguito della pubblicazione di questo doppio progetto, Vincenzo Greco ha fatto un giro di “presentazioni del libro in forma di concerto” impostate in modo da alternare la parte colloquiale con il pubblico e una parte musicale suonata dal vivo. Questi incontri si sono svolti in molte città italiane (tra cui Firenze, Roma, Lecce, Catania, Reggio Calabria ecc.) e in molti paesi, culminando in un concerto molto sentito e partecipato a Milo, luogo dove Battiato ha vissuto la seconda parte della sua vita. Del 2024 è l’album “Siamo esseri emozionali”, anticipato dai singoli “Emozionale” e “Sette minuti di sogno”, presentato dal vivo con un videomusiraccontodove il video non è di semplice accompagnamento, in quanto costituisce un vero e proprio terzo livello narrativo, oltre quello musicale e testuale. Ha poi scritto lo spettacolo teatrale musicale L’infinito fra le mani, rappresentato con due sold outl’11 e il 12 ottobre al Teatro Basilica di Roma, con la regia di Alessandro Di Murro e musiche, da lui riarrangiate, di Franco Battiato e qualcosa di suo originale.
A ottobre scorso è anche uscito l’album“All’improvviso. Canzoni lievi”, di cui si è parlato molto bene nelle riviste di settore, con critiche molto positive tutte concordi nel ritenere questo disco un punto importante per la riaffermazione della canzone d’autore. L’ultima pubblicazione musicale è del 18 aprile, ed è un disco tutto strumentale, molto vicino alla musica classica e alle colonne sonore, A quiet day, dallo stesso Greco definito “una colonna sonora dove il film, che non c’è, se lo fa ogni ascoltatore nella sua personale percezione e fantasia”. Aggiungiamo che nella sua “vita ordinaria” è un professore di materie giuridiche all’Università LUISS di Roma e che la passione per le arti lo accompagna fin da bambino.
– Vivi a Roma da molti anni, cosa provi per la tua Calabria?
«È il mio luogo, nel senso originario di positum, ovvero posto, dove sono stato collocato, indipendentemente da dove poi io vivo. Quindi, è il mio luogo non solo di nascita ma anche di consonanza, cioè dove sto bene, proprio come certe note, o certe rime, sono consonanti, quindi stanno bene, in una armonia musicale o in un verso poetico. E infatti io lì sto così bene che quasi tutti i miei progetti artistici sono nati lì, in particolare a Pizzo, dove ho una casa dalla quale si vede una bella distesa di mare e cielo.
E dove ho la necessità, ormai anche fisica oltre che spirituale, di tornare, come canto in una mia canzone, Questione di colori».
– Magnifico, ma leggiamo nel tono un po’ di rammarico oltre che di entusiasmo.
«Hai colto bene. Un mio dispiacere è che questo forte trasporto che ho e che riporto in tante mie produzioni artistiche – compreso lo spettacolo teatrale e anche il recente A quiet day, un disco strumentale dove si racconta il percorso del sole e un tramonto che pare essere proprio quello che vivo a Pizzo – non sia mai stato riconosciuto, per esempio dalle amministrazioni, che avrebbero potuto sfruttare questa mia produzione, come invece è avvenuto in molte realtà, a partire da Milo, dove abitava Battiato e dove sono praticamente di casa. Ma si sa, nessuno è profeta in patria».
–Quindi hai uno studio sia a Roma che a Pizzo. Cosa ti dà di speciale ognuno di questi luoghi mentre componi e scrivi?
«I colori di Pizzo consentono al mio cuore e alla mia mente di aprirsi. Questa apertura per me è fondamentale perché finisce ogni pessimismo e ogni pesantezza che purtroppo la vita metropolitana mi dà. Quel meraviglioso comporsi del blu intensissimo del mare e del cielo con ilrosso, poi giallo e poi viola del sole per me sono una carezza divina a seguito della quale tutto si fa più chiaro. Così chiaro da riuscire, anche in pochi secondi, a vedere tutto lo sviluppo di un progetto. A Roma continuo poi a mettere in pratica la scintilla avvenuta, compiendo un lavoro molto complesso di arrangiamento, ricerca di sonorità, preproduzioni, registrazioni ecc.. Ma né la città di Roma né lo studio romano dove lavoro, di loro, mi evocano nulla di paragonabile. Tutto nasce in Calabria».
– Quando? Quando nascono la passione per la scrittura e per la musica, come le hai coltivate?
«Nascono molto presto. Le prime melodie musicali le ho scritte in prima media: ricordo che l’insegnante di musica, divertita dal fatto di avere un alunno compositore, poi le faceva suonare a tutta la classe, con un certo mio imbarazzo. Invece già alle elementari avevo costruito il mio giornalino personale, dove scrivevo chissà cosa».
– E poi?
«Poi la passione musicale l’ho coltivata purtroppo solo privatamente, senza darle uno sbocco di studio serio. Ho pochissimi rimpianti, ma grande è quello di non aver fatto il Conservatorio. Solo da pochi anni ho deciso di pubblicare ufficialmente le mie creazioni, e infatti sono nati uno di seguito all’altro cinque dischi, tutti molto diversi, frutto delle mie diverse esperienze sonore, non essendo catalogabile in un solo genere. Mentre la passione per la scrittura mi ha portato anche ad avere la possibilità di fare il giornalista, ma per come sono fatto io ho subito capito che non poteva essere quella la mia strada, almeno in Italia, non essendo molto capace di mentire e di scrivere le cose che “serve” scrivere in quel momento, all’editore, al politico che ti fa avere il posto, al potente di turno insomma.
E infatti ho applicato questa capacità – che riconosco essere quella più spontanea, velocissima e incisiva – ai libri, dove sono libero di scrivere quello che voglio, senza problemi di referenti, di pubblico e di riscontri».
– Da poco è uscito il tuo libro “Il tempo moderno e i suoi inganni. Riflessioni critiche nella musica: Ferretti, De André, Battiato, Waters”, quale è stata la sua genesi?
«Ecco, questo libro è proprio un esempio di come certe cose si possano scrivere solo essendo liberi, mentalmente e professionalmente. In questo libro studio dove ci ha portato quello che chiamo il consumismo ipercapitalista, che è la forma economica in cui il tempo moderno si è definitivamente affermato nelle nostre vite. Ora, la strada era tra scegliere di fare un pistolotto socio-filosofico, che copiasse un po’ un testo che andava molto di moda anni fa come “L’uomo a una dimensione” di Marcuse, oppure scrivere le mie riflessioni in una forma più leggera e comprensibile per tutti, facendomi guidare in questo percorso da quattro artisti che, nella musica, ciascuno dal suo punto di osservazione, molto diverso uno dall’altro, ha scritto cose importanti e in qualche caso anche preveggenti. Ma l’autore che più tiene tutto è Pier Paolo Pasolini, che ogni tanto cito, che nella critica alla società dei consumi aveva capito tutto quello che stava accadendo e sarebbe accaduto. Questo libro, come il mio prossimo disco, che è sullo stesso tema, è dedicato a lui».
– La tua arte entra nel tuo ruolo di docente all’università?
«Sono due attività molto diverse ma accomunate dallo stesso scopo: la consapevolezza.
Esigenza che innanzitutto rivolgo a me stesso, cercando di essere sempre consapevole in ciò che dico, che faccio, che suono ecc.. L’ho scritto anche nella mia pagina di presentazione alla LUISS che la mia ambizione è contribuire, con le mie lezioni, a creare giuristi consapevoli. La stessa cosa avviene quando scrivo musiche o libri, sperando di rivolgermi a una platea consapevole».
– In che modo?
«È lunga da spiegare, ma in poche parole per consapevolezza intendo il rendersi conto di dove si è, sapere dove ci si trova, essere coscienti di quello che si fa, di tutte le conseguenze che possono derivare, per sé stessi e per gli altri. Non fare o dire cose a caso, tanto per dare un segno di presenza, ma con consapevolezza. È anche per questo che amo molto il silenzio, e chi lo pratica, perché molte volte il silenzio non è l’ammissione di una deminutio o di una impreparazione, un non saper cosa dire; il silenzio spesso è lasciar scorrere, lasciar fare a tutto quello che non è parola. Ed è un segno di piena consapevolezza, molto più del parlare a vanvera solo perché non si riesce a stare zitti».
– A proposito di consapevolezza: “Battiato. Una ricostruzione sistematica. Percorsi di ascolto consapevole” è il libro col quale noi di Calabria.Live ti abbiamo conosciuto. Scriverlo è stata più un’analisi critica o una forma di meditazione?
«Ho iniziato a scrivere questo libro con l’intenzione di fare un’analisi critica, o meglio una sistemazione ordinata del percorso artistico di Battiato e mi sa tanto che si è risolto in una forma di meditazione. E di questo sono molto contento, perché per me scrivere questo libro, alla fine, è stata una esperienza di tipo anche spirituale. Non a caso l’ho scritto in gran parte a Pizzo, e in piccola parte anche a Milo, dove Battiato viveva».
– La ricostruzione sistematica che fai di Battiato rappresenta parte del sistema Battiato o il tuo personale sistema nel comprendere Battiato?
«Guarda, sarei già in difficoltà a rispondere alla domanda se la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere meglio, immagina a questa. (risata)
Se ti dicessi che nel sistema Battiato c’è la mia ricostruzione sarei un presuntuoso, e io ho tenuto ad approcciarmi a lui con la giusta umiltà, unita però alla consapevolezza, concetto che ritorna inevitabilmente, di scrivere cose importanti e in gran parte nuove. Sono consapevole, infatti, di avere scritto il primo libro di interpretazione, o meglio dire ermeneutica, sul percorso artistico di Battiato».
– Puoi dirci cosa rappresenta Battiato per te?
«Un Maestro. Lui rifuggiva da questa definizione, ma è stato un vero Maestro. Di apertura, di curiosità, di sperimentazione, di unione di linguaggi artistici tra loro, e persino di linguaggi parlati, alcune sue canzoni sono scritte in più lingue».
– Hai avuto modo di seguirlo nei suoi concerti o addirittura di incontrarlo?
«L’ho seguito in ogni sua avventura, compresi i film, le opere liriche, le messe, i concerti più sperimentali. Ricordo che una volta era in programma la sua Messa Arcaica in una chiesa di Roma e arrivai molto presto. Non c’erano biglietti di ingresso. Io entrai e c’erano solo lui e i musicisti a provare. Ero molto imbarazzato, avevo poco più di 20 anni, e lui mi tirò fuori dall’imbarazzo chiedendomi se si sentiva bene. Risposta della quale evidentemente non necessitava, considerata la mole di tecnici e fonici professionisti lì disponibili. Di quella Messa ho un ricordo bellissimo, anche perché fu la sua opera più matura nel rapporto con l’Assoluto».
– Puoi dirci altro sul concetto di sistema?
«Il concetto di sistema, come lo intendo io, è aperto: l’arte di Battiato non è un sistema chiuso, e qui si può inserire il discorso sul mistero, sia della persona che dell’artista. Battiato effettivamente ha avuto un lato misterioso, non nel senso di sconosciuto o tenuto nascosto, ma di non facilmente inaccessibile. Ne parlo molto nell’ultimo capitolo, in cui arrivo ad una conclusione che non posso qui sintetizzare, altrimenti sarei preso per folle, ma che mi sono sentito di fare proprio sulla base di una serie di considerazioni che ho svolto nel modo più misurato possibile. Certe volte, e questo lo sto condividendo ora non avendone parlato neppure nel libro, ho la sensazione che Battiato sia entrato in contatto con altre dimensioni, magari in uno dei suoi viaggi astrali, ma se ne è guardato bene dal parlarne in pubblico, proprio per non essere preso per strambo, sebbene chi lo conosce sappia quanto fosse più consapevole di tutti noi. Consapevole di sé, delle dinamiche del mondo, della vita. Un timore reale comunque, pregno di consapevolezza su chi fosse e in che posizione o contesto era, per questo talvolta diceva:“Di questo meglio non parlare, non verrei capito…”. Che non era eludere la domanda o sbandierare una risposta “oltre”, ma pura espressione di una profonda onestà intellettuale».
– Capisco, concordo. Tornando al tuo ultimo libro, quali sono gli inganni del tempo moderno cui ti riferisci.
«Io noto che siamo stati tutti parecchio ingannati: la felicità promessa non è arrivata. Anzi, con l’avanzare della tecnologia, dal digitale all’intelligenza artificiale, stiamo cedendo sempre più diritti in cambio di comodità. Ora ci fa tutto l’algoritmo, dal ricordare allo scegliere. Arriverà un momento in cui anche fatti storici importanti saranno completamente dimenticati perché non compresi negli algoritmi. Noi crediamo di essere protagonisti e di poter scegliere».
– Cosa accomuna i quattro protagonisti Ferretti, De André, Battiato, Waters?
«Li ho scelti proprio perché sono molto diversi, come fossero quattro punti cardinali.
Ma un filo comune li lega, a mio parere, e sta nell’osservazione critica di quel che accade davanti i nostri occhi. Con conseguenze diverse, come sono diversi i temperamenti dei quattro. Ma l’approccio critico è lo stesso e, direi, pure una tensione civile che gli ha permesso di farsi domande poi tramutate in risposte artistiche».
– Che ruolo ha o può avere la musica nello sviluppo di un pensiero critico-costruttivo dei tempi moderni?
«Enorme. Innanzitutto perché, parlando un linguaggio immateriale, ci astrae da quella corsa alla mera materialità di cui è infestato il tempo moderno, basato tutto sulla relazione uomo-cose e sul possesso di beni materiali e denaro. Ci apre una dimensione immateriale, che poi può anche essere un viatico per quella spirituale, che il tempo moderno ha combattuto, appiattendo tutto e negando il silenzio, riempiendo tutto di rumori, e il vuoto, riempiendo tutti gli spazi con una logica ammassante. E quanto aveva ragione il ragazzo della via Gluck! Silenzio e vuoto sono le grandi vittime del tempo moderno.
La musica, o meglio la musica alta, non certo quella che ora passa per radio e nelle classifiche mainstream, paradossalmente, può rimetterci in contatto con queste due realtà, perché può aiutarci a fare silenzio e a creare un “vuoto pieno”. Ci può aiutare a disintossicarci dei rumori e delle cose inutili ammassate tanto per dare l’idea di pienezza, mentre in realtà è solo cianfrusaglia».
– E che ruolo ha nella tua vita personale e di compositore?
«La musica mi mette in contatto diretto con l’Assoluto. Mi capita molto quando la ascolto ma anche quando la creo. Anche la parola e le immagini possono avere questo potere, ma la musica lo ha più immediato».
– In che modo, riesci a spiegarcelo almeno un po’?
«Mi fa entrare in un’altra dimensione, e mi dà fiducia che la dimensione che vivremo dopo la morte possa essere qualcosa di molto simile, magari molto più bella e compiuta, di quella che vivo ascoltando una certa musica o producendo io stesso certi suoni, soprattutto le risonanze. Che non a caso sono il prolungamento di note, lo sdoppiamento di una nota: ecco, io spesso mi interrogo su cosa c’è oltre, avendo questa necessità di infinito, anche visiva, mi crea disagio e tristezza avere case davanti, per esempio, o stare in posti non si vede il sole. La risonanza rappresenta questa estensione: andare oltre la singola nota. È un’esperienza che si può facilmente notare suonando note lunghe su un pianoforte acustico o lavorando sui reverberi, cosa che io faccio molto nelle mie produzioni».
– Quale augurio fai a se stesso?
«Spero di continuare a ricercare la Verità. E di parlare sempre più il linguaggio della Verità. Ma mi auguro anche che questa chiarificazione interiore, questo non sopportare le falsità e le ipocrisie, per le quali ho una allergia sempre più crescente, non mi crei problemi di rapporti con gli altri. E proprio perché è sempre più forte in me la tentazione di dirgli in faccia quello che penso, mi auguro di avere sempre meno a che fare con i personaggi inutili, con quelli tutti presi dalla glorificazione di sé stessi, della loro persona e della loro carriera. Persone sempre pronte a prendere in giro, a illudere e quindi poi deludere. E di avere invece sempre più a che fare con i ricercatori di Verità dai quali avrei ancora tantissimo da imparare, in particolare, proprio come si augurava Pasolini, dalle persone più semplici e da quelle con una cultura vastissima. Le persone di mezzo, quelle tipicamente borghesi, diceva lui, sono tutte corrotte. La penso anche io così, li vedo affogare nel perbenismo, nella banalità e nella noia».
–Infine con quale augurio ai nostri lettori vogliamo salutarci?
«Lo stesso. Auguro a tutti di essere colti sulla via della Verità, di far cadere ogni velo di inutile e ridicola falsità, di entrare in contatto con il proprio seme di infinito e di farlo navigare nel mistero che ci circonda. Auguro a tutti che, mentre parlano con qualcuno, non debbano pensare tra sé e sé “ma starò fingendo bene?” o “è meglio che io non dica quello che penso”. Auguro a tutti di praticare la Verità e di ricevere Verità».
– Grazie, di cuore.
«A voi». (bg)