;
A Cosenza il focus sul libro di Giuseppe Caridi su "Ferrante re di Napoli"

A Cosenza il focus sul libro di Giuseppe Caridi su “Ferrante re di Napoli”

di ANNA MARIA VENTURANella prestigiosa sala della Confindustria di Cosenza, il 5 aprile 2023, si è tenuta la presentazione del libro “Ferrante re di Napoli” Quando il potere era al Sud, di Giuseppe Caridi, Rubbettino Editore, 2023.

L’evento, organizzato da AIParC Cosenza, in collaborazione con l’Unuci, l’Icsaic e l’Istituto per la storia del Risorgimento Italiano ha visto la presenza di un nutrito pubblico di appassionati di storia e di persone amanti della cultura in tutte le sue declinazioni. Al tavolo dei lavori illustri personalità. 

Bianca Rende, Consigliere del Comune di Cosenza, che porta avanti, da anni, una politica di azione attiva sul territorio, sempre in prima linea nelle lotte alle disuguaglianze e nella rivendicazione dei diritti delle classi più deboli della società, esempio per le giovani generazioni di una vita spesa al servizio della collettività. La Presidente dell’AIParC Cosenza, Tania Frisone, guida sicura, responsabile, competente e colta, promotrice e protagonista di eventi, che hanno portato l’Associazione ai vertici del panorama culturale calabrese. Brunella Serpe, Docente presso l’Università della Calabria di Storia della scuola e dell’educazione e di Letteratura per l’infanzia per il Corso di Laurea Magistrale in Scienze della Formazione Primaria.

Nella sua attività di studio e di ricerca privilegia l’approfondimento e la riflessione sulla storia sociale, culturale, educativa e scolastica del Mezzogiorno d’Italia, con particolare riguardo alla Calabria. Questo filone di studi più propriamente meridionalistico non è però sganciato dal più generale contesto nazionale, una scelta che ha una duplice chiave interpretativa, di attenzione al passato e di sensibilità verso le problematiche del presente che hanno forti ricadute sulla società, sulla scuola e sull’educazione. Proprio la natura dei suoi studi l’ha portata ad amare il libro di Giuseppe Caridi ed a trasmettere, nella presentazione al pubblico, la sua bellezza, ma anche il suo grande valore nella ricerca e nell’approdo alla verità storica. Altra personalità di prestigio il Presidente Unuci Cosenza Giovanni De Luca, che si è dichiarato onorato di partecipare all’evento e con competenza ed eloquio chiaro e appassionato si è soffermato su alcuni aspetti storici del Regno delle Due Sicilie, nel periodo preunitario, in cui le condizioni economiche dello stesso erano soddisfacenti. Altro protagonista della serata Giuseppe Ferraro.

Professore di Storia nei Licei, studioso ricercatore ed appassionato esperto di Storia, ha già conquistato larga fama con le sue pubblicazioni, che evidenziano lo spessore storiografico dell’autore, un meridionalista che guarda all’Italia e all’Europa, ma anche alle esigenze formative del sistema scolastico e universitario. Dirige l’Istituto per la storia del Risorgimento italiano – Comitato provinciale di Cosenza e l’Istituto calabrese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea, coordina la commissione didattica dell’Icsaic ed è membro nazionale della commissione scuola e didattica dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri.

A dare ancor più luce all’evento, la presenza dell’autore Giuseppe Caridi. Recentemente insignito del Premio letterario “Città di Siderno” per la sezione saggistica con l’opera «Gli Aragonesi di Napoli. Una grande dinastia del Sud nell’Italia delle Signorie», il prof Caridi, già ordinario di Storia moderna nell’ Università di Messina, ora docente di Storia dell’Europa nella Scuola superiore per mediatori linguistici di Reggio Calabria, da oltre vent’anni è Presidente della Deputazione di Storia Patria della Calabria e Direttore della “Rivista Storica Calabrese”. Le sue ultime mongrafie sono: Carlo III  (2014); Francesco di Paola (2016); Alfonso il Magnanimo (2019); Gli Aragonesi di Napoli (2021).

In questo suo ultimo saggio “Ferrante re di Napoli” Quando il potere era al Sud  ha voluto mettere in evidenza, attraverso la biografia di un sovrano che per 36 anni, dal 1458 al 1494, governò il Mezzogiorno d’Italia, come un’egemonia dal Sud si esercitasse sul resto della Penisola. Ferrante ebbe strette relazioni con alcuni personaggi di grande rilievo nel panorama politico del tempo, da Lorenzo il Magnifico a Ludovico il Moro, ad Alessandro VI, sui cui potentati riuscì con alterne alleanze a imporre infatti una leadership a volte così accentuata al punto che nel 1480 si era sparsa addirittura la voce che aspirasse a diventare re d’Italia.

Durante il suo regno la corte di Napoli, frequentata grazie al suo mecenatismo da alcuni dei maggiori umanisti italiani, come il Panormita, Giovanni Pontano, Iacopo Sannazaro, divenne un importante centro del Rinascimento e non aveva nulla da invidiare in campo culturale alle corti del resto d’Italia. Nei più recenti volumi ha posto in risalto personaggi che hanno operato a lungo nel Sud e nella stessa Calabria e che si sono innalzati a livello europeo, come Carlo III di Borbone, Alfonso il Magnanimo, Ferrante d’Aragona e, in campo ecclesiastico, san Francesco di Paola, patrono della Calabria, che, andato in Francia su richiesta del re Luigi XI, vi è poi rimasto sino alla fine della sua vita quale padre spirituale ma anche a tratti nella veste di consigliere politico dei sovrani Carlo VIII e Luigi XII. Lo studio del passato di un Sud e una Calabria che in campo politico, economico e culturale non avevano nulla da invidiare al resto del Paese può servire a rendere le giovani generazioni orgogliose della loro appartenenza territoriale e considerare che il divario attuale è colmabile anche grazie al loro impegno.

Ad illustrare il libro di Caridi è stata  Brunella Serpe in una “lectio magistralis” di alto livello culturale per ricchezza di documentazione e chiarezza espositiva. Ha coinvolto gli ascoltatori in una narrazione storica in cui si intrecciano diversi tempi. Un tempo geografico, il Mezzogiorno all’interno di un quadro che si allarga al Mediterraneo; un tempo sociale, un’età di guerre e di forti tensioni e contrapposizioni tra Stati; un tempo individuale, la salita al trono di un re e le sue scelte in materia di politica estera e interna. Tempi che condizionano e temprano la figura di Ferrante e che, l’opera di Caridi, ci restituisce nella sua forza ma anche nelle sue debolezze. “Anche le fonti e i documenti, ha detto la Serpe, vanno ben al di là della notevole bibliografia di cui pure si avvale la ricerca di Caridi, che utilizza carte custodite presso diversi Archivi italiani e stranieri spesso di non facile lettura che solo un attento lavoro di scavo può riportare alla luce. Documenti che hanno permesso a Caridi di delineare un puntuale profilo di Ferdinando I d’Aragona come sovrano di Napoli”. 

A questo punto l’ottima relatrice ha fatto una disamina dei momenti salienti dell’ascesa politica di Ferdinando I, detto Ferrante. 

Mi piace riportare il testo originale e pressoché integrale del suo discorso, che rende in maniera esaustiva, analitica e anche critica il senso del libro di Caridi.

L’ascesa al trono di Ferdinando I, detto Ferrante, sul trono del Regno di Napoli avviene nel 1458 e si protrae per 36 anni, fino al 1494: un’ascesa quella di Ferrante programmata dal padre Alfonso e sostenuta dai baroni che, padroni dei feudi loro concessi con la licenza di esercitare al loro interno un potere assoluto, avevano assecondato il volere del re. 

Gli stessi potentati avevano insignito Ferrante del titolo di duca di Calabria, un titolo che lo designava “immediato erede e successore” come si legge nelle carte d’Archivio sulle quali poggia questo pregevole studio che celebra il 6° centenario della nascita dell’aragonese Ferrante, “padrone” del più grande Regno della penisola italiana divisa in tante repubbliche e signorie. Un regno, quello di Napoli, che si spingeva fino ai possedimenti dello Stato pontificio perciò molto esteso nonostante la Sicilia non ne facesse parte.

Ferrante si pone in linea con la politica paterna continuando a essere argine contro le mire degli Angioini, estromessi ma vogliosi sempre di ritornare sul trono di Napoli. Anche per questo Ferrante, messo a capo di un regno e di una città (Napoli) che assurgeva a ruolo di grande capitale europea capace di esercitare un’indubbia influenza politico-economica e culturale nello scacchiere italiano ed europeo, sarà chiamato a tessere e a gestire alleanze, ad affrontare scontri, conflitti e rivalità in un tempo, la seconda metà del ’400, che la storiografia più accreditata e lo stesso Caridi non esitano a definire come età delle congiure e delle guerre d’Italia con chiaro riferimento a quanto avviene nella penisola e nell’area meridionale, centro di potere quindi (come recita il sottotitolo del saggio) e perciò campo di battaglia, perché faceva gola alla Francia e allo stesso Papa Callisto III, che non accetterà la richiesta di sottomissione che lo stesso Ferrante gli avanzerà nel momento in cui sale al trono. Riconoscimento e legittimazione che gli arriveranno, infatti, soltanto da Pio II (che succede a Callisto III) con una cerimonia solenne svoltasi a Barletta nel 1459.

L’investitura papale e il sostegno di Ludovico il Moro e di Lorenzo il Magnifico saranno fondamentali per affrontare l’ostilità di alcuni dei più potenti esponenti del potere baronale che temevano un loro ridimensionamento e denunciavano una condizione di subalternità in cui erano tenuti dalla corte e dal figlio di Ferrante, Alfonso anche lui nominato duca di Calabria e quindi destinato a succedergli; queste lotte baronali insanguineranno soprattutto la Calabria dove era cresciuto lo spirito antiaragonese non senza l’ingerenza del papa Callisto III che guardava al Regno di Napoli come a una signoria da affidare ai d’Angiò (ma anche ai suoi stessi nipoti). Queste lotte avvenivano nei primi anni del regno di Ferrante ma ancora più efferate saranno quelle tra il 1484-1488 seguite da rappresaglie, repressioni esemplari, vendette e condanne a morte, nonostante la posizione di Ferrante rimanesse ben salda sia all’interno del Regno sia nel panorama politico nazionale e internazionale. 

Dall’articolato ritratto che emerge dalle pagine di Caridi, Ferrante svetta come abile tessitore di alleanze che gli richiesero un frenetico impegno diplomatico alla ricerca di un equilibrio e di una pace che saranno costruiti anche attraverso unioni nuziali; e Ferrante poteva contare su molti figli, legittimi e naturali, questi ultimi ancor più numerosi dei primi. Tutti torneranno utili anche nelle “complesse iniziative politiche a livello europeo” rispetto alle quali Ferrante, come ha scritto Galasso, assumerà un ruolo di doppiogiochista: un ruolo richiesto dal complesso quadro politico del tempo dove avere una posizione chiara, coerente e lineare non avrebbe aiutato nessuno stato. Un esempio è il sostegno che egli, spinto dal desiderio di rafforzare significativamente la sua egemonia nella penisola, aveva dato alla congiura dei Pazzi contro i Medici, salvo poi a rinsaldare un solido legame con i signori di Firenze. 

L’arrivo dei Turchi lo riconduce alla realtà; egli era sul trono di un regno vulnerabile e appetibile a molti, per cui era necessario abbandonare pretese e mire espansionistiche e pensare a salvaguardare i confini. Lo richiedeva il pericolo turco ma anche la presenza dei baroni, un pericolo mai sopito sia per Ferrante che per il padre Alfonso come si evince da un’interessante lettera di questi indirizzata al duca di Milano nella quale, a proposito dei baroni, si paragonavano questi ultimi ai condottieri che avevano l’interesse a prolungare il conflitto per i vantaggi che riuscivano a conseguire in termini di concessioni da parte degli aspiranti al trono; concessioni strappate perché legate al supporto militare e destinate ad essere ridimensionate in tempo di pace.

Gli stessi albanesi, guidati da Demetrio Reres prima e dalla leggendaria figura del condottiero Scanderbeg poi,si inseriscono nei conflitti che attraversano l’età di Alfonso e di Ferrante come milizie mercenarie a sostegno di un esclusivo appoggio che scelgono di dare alla Casa di Aragona contro gli Angioini e nella lunga lotta contro le ribellioni armate con le quali i baroni locali si opponevano al re di Napoli. Per questo Scanderbeg e le sue genti saranno destinatari di donazioni e privilegi soprattutto in Calabria, con grande sconcerto delle comunità calabresi i cui abitanti, come si legge nelle fonti dell’epoca, vengono definiti come “sudditi” e gli albanesi come “uomini liberi”. 

Al di là dei conflitti, che pure non mancarono, voglio sottolineare lo sforzo normativo di cui Ferrante si renderà protagonista per arginare il potere e la tracotanza dei baroni, ma anche per garantire una maggiore pace sociale all’interno dei confini del suo Regno. Di questa volontà troviamo tracce importanti nel Codice Aragonese che non cancella comunque gli evidenti privilegi di cui continuano a godere il ceto nobiliare e il clero medio.

Uno sforzo accompagnato anche da interessanti iniziative sul piano economico, soprattutto nel ventennio che intercorre tra le due guerre baronali, che fanno registrare un incremento demografico e della forza lavoro soprattutto nelle attività legate al mondo dell’agricoltura e dell’allevamento, ma anche della lavorazione del ferro e del settore mercantile; a quest’ultimo è legato l’ampliamento significativo del molo di Napoli che apre a traffici commerciali di un certo significato, ad esempio con l’impero Ottomano con cui si percorre il tentativo di esportazione del sale e importazione dell’argento. Interessante è il sostegno dato da Ferrante all’introduzione della lavorazione della seta che per volontà del sovrano viene affidata ad alcuni maestri ai quali vennero elargite esenzioni affinché diffondessero nel Regno l’arte della filatura e della tessitura dei preziosi fili. 

Di livello è stata anche l’attività che ha coinvolto il piano culturale con l’introduzione a Napoli dell’arte della stampa, attraverso un fiammingo, con la conseguente discreta promozione della circolazione dei libri e di una dimensione/crescita culturale che ha il suo culmine nella nascita dell’Accademia Pontaniana, un’istituzione importante, punto di riferimento di una generazione di intellettuali , quali Domenico Carafa, Tristano Caracciolo, Francesco Marchese, per citarne alcuni, che daranno vita ad una importante tradizione di studi di matrice umanistica e giuridica e ad una circolazione di idee favorita poi anche dal successore di  Ferrante, Alfonso, attraverso la moglie Ippolita Sforza duchessa di Calabria, secondogenita del duca di Milano Francesco Sforza e di Bianca Maria Visconti, una figura affascinante quanto enigmatica del Rinascimento italiano, famosa per la sua grazia, per la raffinata mediazione diplomatica ma anche per aver dato un forte impulso alla poesia volgare in stretto contatto con la corte paterna e le corti del Nord e il circolo dei poeti medicei. 

Altra figura che richiama il nostro territorio è quella di Francesco di Paola, una figura descritta da Caridi come attenta alle vicende politiche della realtà locale e ai bisogni della popolazione sottoposta a un’esosa imposizione fiscale. Il rapporto tra Francesco e Ferrante può essere rappresentato come  in bilico tra autenticità e diffidenza del sovrano nei confronti del religioso. Il suo attivismo, sociale e religioso, viene comunque tollerato, come dimostra il riconoscimento del romitorio costruito dal giovane Francesco a Paola già nel 1423; ma molta diffidenza generavano le troppe fondazioni che avevano visto la luce a Paterno, Spezzano, Corigliano, Crotone. Francesco è comunque figura fortemente carismatica nel Regno di Napoli e tra i sovrani dell’epoca, come dimostra anche la sua permanenza alla corte di Luigi XI.

Importante fu anche l’opera di abbellimento urbanistico e architettonico della città di Napoli che ebbe nuove cinte murarie con quattro porte. Napoli e poi Napoli, la capitale e il centro del Regno: una tendenza che non verrà messa in discussione neanche nei decenni successivi dagli altri “sovrani-padroni”, sempre spagnoli, del Regno di Napoli e delle Due Sicilie poi. Un Regno dalla grande testa su un corpo esile, una caratteristica che verrà a costituire la debolezza del Regno meridionale come puntualmente sottolineato dalla storiografia”.

A questo bellissimo focus di Brunella Serpe è seguito il dialogo fra l’autore e Giuseppe Ferraro, che ha ulteriormente approfondito ed evidenziato i tratti salienti del libro: la modernità del regno di Ferrante, che si pone sulla scia delle monarchie europee, se pur tra grandissime difficoltà; la politica espansionistica di Ferrante; l’eredità del padre Alfonso, l’alternanza delle alleanze finalizzate a consolidarne la leadership nella penisola italiana, il contrasto e poi l’alleanza con Lorenzo il Magnifico, le iniziative regie in campo economico e culturale, il controverso rapporto con Francesco di Paola. Insomma il dialogo fra Ferraro e Caridi ha raggiunto vette elevatissime. Le conclusioni e i saluti all’ottima moderatrice Bianca Rende. 

Una presentazione che, senza dubbio, ha lasciato un segno profondo nell’autore, un arricchimento per chi ha partecipato all’evento, infinite motivazioni e sollecitazioni alla lettura del libro. Certamente un altro grande successo per AIParC  Cosenza. (amv)