DA UNA PUBBLICAZIONE SUI DIVARI INFRASTRUTTURALI EMERGONO LE TANTE CONTRADDIZIONI DEL PAESE;
Era il 1972...

BANKITALIA: SANITÀ, TRASPORTI, SCUOLA
COME RIPIANARE LO SVANTAGGIO DEL SUD

Ci sono tanti, troppi e grandi divari tra il Nord e il Sud, a livello di infrastrutture, trasporti, sanità e istruzione, come è stato rilevato nel report I divari infrastrutturali in Italia realizzato da Banca d’Italia e di Mauro Bucci, Elena Gennari, Giorgio Ivaldi, Giovanna Messina e Luca Moller e pubblicato lo scorso mese di luglio.

I risultati del report documentano la presenza in Italia di differenze molto pronunciate nella dotazione infrastrutturale economiche e sociali tra i diversi territori, evidenziando come, «per quanto riguarda alle infrastrutture di trasporto, emerge che le aree con i collegamenti stradali e ferroviari più veloci nonché quelle con le maggiori possibilità di accesso ai principali scali aeroportuali e portuali, in termini di traffico merci, sono prevalentemente collocate nelle regioni centro settentrionali (in particolare in Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Toscana)».

«Le regioni del Sud e delle Isole – si legge – si trovano in una condizione di relativo svantaggio, fatta eccezione per le aree della fascia tirrenica limitatamente alla possibilità di accedere a scali portuali rilevanti per il solo traffico di passeggeri. Le reti di comunicazione presentano una dicotomia Nord Sud meno marcata se si guarda alla disponibilità delle infrastrutture, soprattutto per quanto attiene alla rete mobile ad alta velocità (un discorso diverso riguarda però l’accesso effettivo alla rete, che riflette l’eterogeneità territoriale delle condizioni economiche e della cultura digitale delle famiglie)».

«Il gap infrastrutturale appare, invece – si legge nel rapporto – molto profondo nell’ambito della distribuzione dell’elettricità e dell’acqua: nelle regioni meridionali e insulari la frequenza delle interruzioni senza preavviso del servizio elettrico per gli utenti a bassa tensione è più che doppia rispetto al resto del paese, oltre un terzo degli utenti a media tensione riceve un servizio inferiore agli standard previsti dalla regolazione nazionale e gli acquedotti disperdono una quota di acqua 1,4 volte più elevata rispetto a quanto avviene nel resto del paese».

Un altro aspetto affrontato, è quello delle telecomunicazioni, in cui è stato ribadito il suo ruolo «di primo piano tra le infrastrutture necessarie per lo sviluppo delle economie moderne, segnate dalla rivoluzione digitale e da continue trasformazioni nei processi di lavoro».

Per quanto riguarda la distribuzione dell’energia elettrica e dell’acqua, è stato evidenziato come le «province meglio servite sono quelle collocate nella fascia alpina del Trentino Alto-Adige e della Lombardia (favorite dalla prossimità agli impianti di produzione), nonché quelle dell’area padana», mentre si registrano frequenti interruzioni della fornitura nelle aree appenniniche interne dell’Italia centrale e soprattutto nelle regioni meridionali e in quelle insulari: in queste ultime la frequenza annua dei distacchi per ogni utente a bassa tensione è pari a 14,3 (contro 5,1 nelle regioni centrosettentrionali)».

«I divari di qualità del servizio – è stato evidenziato – sono peraltro confermati dai dati circa la durata complessiva delle interruzioni senza preavviso, che ammontano a oltre 60 minuti l’anno per utente nella media delle province del Sud e delle Isole (con punte di oltre 90 minuti in Sicilia), a fronte di circa 30 nelle regioni settentrionali (con valori minimi di 20 in Valle d’Aosta). Anche i buchi di tensione si verificano con una frequenza significativamente maggiore nelle regioni meridionali e insulari rispetto al resto del paese (nel 2019 sono stati registrati circa 76 buchi di tensione complessivi per singolo nodo nelle regioni meridionali continentali e ben 130 in Sicilia, a fronte di circa 23 nelle regioni settentrionali e 30 in quelle centrali)».

«Perdite idriche di entità rilevante – si legge nel report – si registrano nei territori di Frosinone e Latina e in molte province del Sud e delle Isole: in oltre la metà di quelle campane, siciliane e sarde la quota di acqua effettivamente messa a disposizione degli utenti è inferiore al 50 per cento29. Le cattive condizioni delle infrastrutture idriche rendono alcune realtà più esposte a fenomeni di razionamento dell’acqua per uso domestico. Tali episodi sono pressoché interamente concentrati in alcune province del Sud e insulari (figura 10, pannello b); in alcuni capoluoghi (Catanzaro, Palermo, Enna e Sassari) il razionamento idrico non è limitato ai periodi estivi ma interessa, per alcune ore al giorno, l’intero arco dell’anno».

Per la Banca d’Italia, «il gap infrastrutturale delle regioni meridionali e insulari è confermato anche dalle condizioni delle infrastrutture preposte agli altri segmenti della filiera dell’acqua, quali la raccolta delle acque reflue e le attività di depurazione. Vi sono circa 40 Comuni tuttora sprovvisti di servizio di raccolta delle acque reflue (poiché la rete fognaria non è presente o non è collegata a un depuratore), di cui oltre la metà localizzati in Sicilia; nelle aree meridionali inoltre si verificano con maggiore frequenza episodi di allagamento, sversamento e rottura delle fognature e la qualità delle acque depurate è sensibilmente peggiore della media italiana».

Per quanto riguarda le infrastrutture ospedaliere, mentre al Nord si può accedere a un numero di posti letto pari a circa una volta e mezza la media italiana, scendendo verso le aree meridionali e verso le isole si riduce: l’indicatore è pari al 70 per cento della media per le province calabresi, al 50 per quelle siciliane e al 20 per quelle sarde. Anche per le aree di confine l’accessibilità a posti letto in strutture ospedaliere è inferiore alla media, ma di poco (l’indicatore si aggira intorno al 90 per cento).

Questione rifiuti

Per quanto riguarda la raccolta indifferenziata, «la maggiore facilità di accedere a impianti di smaltimento dei rifiuti sono localizzati in Emilia Romagna, avvantaggiata dell’elevato numero di impianti collocati sia nella regione di appartenenza (complessivamente 28) sia nelle regioni limitrofe (in particolare in Lombardia, regione che conta 34 impianti)», mentre le aree penalizzate rimangono quelle insulari (sopratutto la Sardegna) e quelle calabresi, dove le possibilità di raggiungere pianti di trattamento della frazione organica dei rifiuti differenziati decrescono, fino a essere particolarmente bassi nelle isole.

Un gap, che è stato segnalato anche dall’ultimo Green Book di Utilitalia, dove è stata rilevata «una situazione di sovracapacità impiantistica delle regioni settentrionali, che si caratterizzano per quantità di rifiuti urbani trattati superiori a quelli raccolti in loco sia relativamente alla frazione secca residua sia a quella organica; al contrario gli impianti presenti nelle regioni centrali e soprattutto in quelle meridionali non sono sufficienti a trattare tutti i quantitativi raccolti localmente».

Secondo il report, infatti, «tenendo conto sia della componente ordinaria che di quella aggiuntiva dell’attività di investimento dell’operatore pubblico, alle regioni meridionali e insulari dovrebbe essere destinata una quota di spesa almeno pari al 45 per cento e in ogni caso sensibilmente più elevata rispetto alla quota della popolazione residente».

«Alcune elaborazioni basate sui dati dei Conti pubblici territoriali (CPT) mostrano tuttavia che nell’arco dell’ultimo decennio l’incidenza delle regioni meridionali e insulari sul complesso delle risorse destinate all’accumulazione di capitale pubblico (spesa pubblica per investimenti e per contributi agli investimenti delle imprese) è oscillata intorno al 30 per cento (con un picco nel 2015 in corrispondenza della chiusura del ciclo di programmazione dei fondi comunitari; a fronte di una popolazione residente pari in media al 34,4 per cento di quella nazionale40. In termini pro capite, nella media dell’ultimo decennio l’entità di tali risorse è stata all’incirca pari a circa 780 euro per le regioni meridionali e insulari, contro gli oltre 940 delle regioni centrosettentrionali».

«Il divario – si legge ancora – è legato alla distribuzione delle risorse sul territorio ma possono avervi contribuito anche fattori istituzionali, quali le capacità tecniche delle Amministrazioni locali di selezionare i progetti e di portare a termine i lavori nei tempi programmati; questi fattori sembrano essere particolarmente critici per le regioni meridionali, che si caratterizzano per ritardi nella esecuzione delle opere relativamente elevati rispetto al resto del Paese». (rrm)