L’eurodeputato Nesci (Fdi): Bankitalia attesta l’incremento significativo delle entrate tributarie

L’eurodeputato di Fdi, Denis Nesci, ha evidenziato come «grazie al Governo Meloni, a giugno le entrate fiscali registrate nel bilancio dello Stato sono cresciute del 9,9% rispetto all’anno precedente. Nell’ultimo quinquennio, invece, si è verificato un notevole calo dell’evasione fiscale, passando dal 21% al 16%».

«Questi dati – ha continuato Nesci – dimostrano l’efficacia della nuova strategia implementata nei rapporti tra fisco e contribuenti.

«Tale straordinario incremento, smentisce la narrazione della sinistra e dimostra – ha concluso il parlamentare europeo di fratelli d’Italia – come il Governo Meloni stia ottenendo risultati tangibili, eliminando gli sprechi, le pratiche clientelari e la pressione fiscale. L’Italia sta tornando a essere produttiva, a lavorare e a prosperare, confermando così l’efficacia delle politiche Meloni». (rrm)

LA CALABRIA CRESCE, MA RESTA INDIETRO
RISPETTO AL PAESE: NEL 2023 SOLO + 0,6%

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Nonostante l’andamento positivo e la crescita del 3,0% rispetto al 2021, la Calabria rimane comunque indietro rispetto al Mezzogiorno e al resto d’Italia. Ciò significa che la strada è ancora lunga per tornare ai livelli pre-covid. Questi dati emergono dal Rapporto di Bankitalia presentati nei giorni scorsi a Catanzaro. La nostra regione, infatti, si è trovata in difficoltà a causa della forte incertezza legata alla guerra in Ucraina, della crescita dell’inflazione e del peggioramento delle condizioni di finanziamento, nonostante il quadro economico sia stato favorevole nella prima parte dell’anno.

L’incremento dei costi energetici e delle materie prime, che si è acuito dopo l’invasione russa dell’Ucraina, ha progressivamente sospinto l’inflazione su livelli elevati nel confronto storico. Ne è conseguita una sensibile riduzione del potere di acquisto delle famiglie, specialmente quelle meno abbienti (più diffuse in Calabria rispetto al resto del Paese), che destinano una quota maggiore di consumi ad alcuni beni particolarmente interessati dagli aumenti (come elettricità, gas e prodotti alimentari). Nel contempo, l’incremento dei prezzi di vendita ha consentito una sostanziale tenuta dei risultati economici delle imprese.

E, proprio per quello che riguarda le imprese, l’andamento è stato migliore nei servizi, che hanno beneficiato del recupero nel comparto turistico e della ripresa dei consumi dopo l’emergenza pandemica, e nelle costruzioni. L’attività ha ristagnato nell’industria in senso stretto, che ha maggiormente risentito della crisi energetica; è risultata in calo nel settore agricolo, che sconta ancora l’elevato sbilanciamento del comparto verso alcune produzioni tradizionali.

In Calabria, infatti, il settore agricolo riveste un peso maggiore sull’economia nel confronto con la media italiana. Secondo i conti territoriali dell’Istat, esso rappresenta circa il 5 per cento del valore aggiunto, oltre il doppio del corrispondente dato nazionale; vi trova impiego il 13 per cento degli occupati, l’incidenza più alta tra le regioni italiane.

Nel complesso, gli investimenti sono cresciuti soprattutto tra quelli mirati a migliorare l’efficienza energetica o incrementare l’utilizzo e la produzione di energia rinnovabile, che potrebbero ulteriormente rafforzare la transizione già in atto verso tali fonti di energia.

«Nel 2019 – si legge nel rapporto – i consumi finali di energia della Calabria erano pari a circa 1,2 tonnellate equivalenti di petrolio (tep) per abitante, valore nettamente più basso rispetto alla media italiana (figura, pannello a). Il settore degli usi civili assorbiva il 46 per cento dei consumi finali, i trasporti il 41 e l’industria solo il 10 per cento; rispetto al dato italiano si osserva una minore quota del comparto industriale. Ciò riflette in parte il peso più contenuto del settore sul valore aggiunto regionale; inoltre, nell’industria l’intensità energetica Nel 2019 i consumi finali di energia della Calabria erano pari a circa 1,2 tonnellate equivalenti di petrolio (tep) per abitante, valore nettamente più basso rispetto alla media italiana (figura, pannello a). Il settore degli usi civili assorbiva il 46 per cento dei consumi finali, i trasporti il 41 e l’industria solo il 10 per cento; rispetto al dato italiano si osserva una minore quota del comparto industriale. Ciò riflette in parte il peso più contenuto del settore sul valore aggiunto regionale; inoltre, nell’industria l’intensità energetica».

Nonostante il forte incremento dei costi di produzione, la redditività delle imprese è stata sostenuta dal contemporaneo aumento dei prezzi di vendita e dalla modesta dinamica del costo del lavoro. La mortalità di impresa, sebbene in risalita, è rimasta inferiore a quella che si osservava prima della crisi Covid-19. La solvibilità delle aziende indebitate con il sistema bancario non ha mostrato ripercussioni significative; la liquidità pemane su livelli storicamente elevati, raggiunti grazie anche all’ampio ricorso delle imprese nel biennio 2020-21 alle misure pubbliche di sostegno introdotte durante la pandemia.

Bene sul lavoro.  Nel 2022 il recupero dell’occupazione si è esteso anche alla componente del lavoro autonomo. L’andamento congiunturale ha favorito principalmente il settore dei servizi e quello delle costruzioni; quest’ultimo in prospettiva potrebbe essere ulteriormente rafforzato dall’attuazione delle opere previste nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Il miglioramento osservato nell’ultimo biennio nei tassi di occupazione e disoccupazione è dovuto tuttavia anche alla contrazione della popolazione attiva, che riflette sia il mancato recupero nei tassi di partecipazione osservati prima della pandemia sia soprattutto il calo demografico in atto. Ciò rafforza dunque l’importanza di realizzare pienamente gli interventi di politica attiva previsti pure nel Pnrr, volti a favorire una maggiore e migliore partecipazione al mercato del lavoro.

Nonostante nello scorso anno l’espansione dell’occupazione dovrebbe aver favorito una lieve riduzione della disuguaglianza nella distribuzione del reddito da lavoro familiare equivalente, sospinta dalla diminuzione della quota di individui in famiglie senza occupati, «la Ccalabria continua a essere caratterizzata dalla presenza di un’ampia quota di nuclei in condizioni di disagio economico: secondo nostre stime sui dati dell’Indagine sulle spese delle famiglie dell’Istat, nel 2021 (ultimo dato disponibile) i nuclei familiari in povertà assoluta1 erano quasi l’11 per cento del totale, un valore superiore alla media nazionale (pari al 7,5 per cento). La presenza più diffusa in regione di famiglie economicamente svantaggiate può inoltre riflettersi in specifiche forme di povertà connesse alle difficoltà di accesso a determinati beni e servizi essenziali. In particolare, l’incremento dei prezzi di elettricità e gas potrebbe ulteriormente aggravare la condizione delle famiglie più vulnerabili, alimentando una maggiore diffusione della povertà energetica».

Ma che significa povertà energetica? Indica quando l’accesso ai servizi «energetici implica un impiego di risorse (in termini di spesa o reddito) superiore a quanto ritenuto socialmente accettabile oppure se non è in grado di sostenere l’acquisto di un paniere di beni e servizi energetici giudicati essenziali».

Nel periodo compreso tra il 2017 e il 2021 (ultimo anno disponibile) la quota media dei nuclei familiari calabresi in PE è stata pari al 16,9 per cento (figura); il dato è nettamente superiore a quello italiano (8,5), principalmente per la componente LIHC – Low Income High Cost (ossia la quota di spesa per elettricità e riscaldamento particolarmente elevata) dell’indicatore.

Il reddito disponibile delle famiglie calabresi nel 2022 ha tratto vantaggio dai miglioramenti nei livelli occupazionali, ma il potere d’acquisto si è ridotto a causa della concomitante forte crescita dei prezzi, che ha anche frenato la ripresa dei consumi. L’aumento della spesa per l’acquisto di beni e servizi si è accompagnato a un incremento dei prestiti bancari. Le transazioni sul mercato immobiliare hanno mantenuto una crescita significativa, spinta ancora dalla ricomposizione della domanda verso abitazioni dotate di spazi esterni e situate al di fuori dei centri urbani.

Per quanto riguarda i consumi, in Calabria nel 2022 è proseguita la ripresa dei consumi, con una crescita del 4,9 per cento a valori costanti secondo le stime di Prometeia, lievemente inferiore ai dati nazionali.

«La dinamica dei consumi ha beneficiato del positivo andamento del mercato del lavoro, ma è stata frenata dai rincari dei prezzi e dal deterioramento del clima di fiducia – si legge nel rapporto – anche in connessione con l’incertezza derivante dalla guerra in Ucraina. Il recupero dei consumi rispetto ai valori pre-pandemia risulta così ancora incompleto, con un divario rispetto al 2019 che in regione si attesterebbe, in base alle stime disponibili, a 1,8 punti percentuali».

La spesa media delle famiglie calabresi nel 2021 (ultimo anno disponibile) è stata pari a 1.529 euro al mese, al netto dei fitti figurativi (1.844 euro nel Paese); la componente dei beni alimentari ha inciso per quasi un terzo, seguita dalle voci connesse con l’abitazione e le utenze e da quelle relative ai trasporti. Queste voci, più difficilmente comprimibili perché legate a bisogni primari, hanno un peso maggiore per le famiglie con minori livelli di spesa complessiva. Poiché gli aumenti dei prezzi hanno riguardato soprattutto tali voci, le famiglie meno abbienti sono risultate le più esposte alle pressioni inflazionistiche.

Aumenta, poi, la ricchezza delle famiglie calabresi: secondo le stime aggiornate al 2021 di Bankitalia, infatti, la ricchezza netta delle famiglie calabresi ammonta a circa 178 miliardi di euro, in aumento rispetto all’anno precedente del 2,0 per cento (-2,4 per cento in termini reali). Il valore pro capite, pari a quasi 96 mila euro, era circa la metà di quello medio nazionale.

L’incremento della ricchezza netta nel 2021 è stato alimentato prevalentemente dalle attività finanziarie detenute dalle famiglie calabresi, che hanno continuato a crescere raggiungendo i 79 miliardi di euro (quasi 43 mila euro pro capite). Il valore delle attività reali è risultato in lieve aumento (0,6 per cento), in linea con il dato italiano. Nel complesso del periodo 2011-21 il valore corrente della ricchezza netta delle famiglie calabresi è cresciuto del 5,9 per cento; l’incremento, che si è intensificato a partire dal 2019, è stato comunque inferiore a quello medio nazionale (8,4 per cento).

Si è notevolmente ridotto, invece, l’investimento in titoli obbligazionari, anche se i primi dati disponibili sul 2022 sembrano evidenziare un’inversione di tendenza rispetto all’anno prima.

Preoccupa la natalità: «dopo il forte rimbalzo post-pandemico, nel 2022 il tasso di natalità netto (saldo fra iscrizioni e cessazioni in rapporto alle imprese attive)», viene evidenziato del Rapporto, «è sceso allo 0,8 per cento (dall’1,9 del 2021)». Una flessione che, tuttavia, si è registrata in tutto il Paese.

«L’andamento – si legge – ha riflesso sia la diminuzione del tasso di natalità, sia la crescita di quello di mortalità. Entrambi rimangono comunque su livelli più contenuti nel confronto con il periodo pre-pandemico; sulle minori cessazioni, oltre alla ripresa congiunturale, avrebbero continuato a incidere le misure di sostegno pubblico introdotte durante la pandemia e rimaste in vigore fino al primo semestre dello scorso anno.

Sanità. Nel 2022 si è registrato un sensibile aumento dei costi, «dopo la sostanziale stabilità osservata nell’anno precedente».

Particolarmente significativo l’incremento della spesa per l’acquisto di beni e servizi. Vi hanno contribuito in parte i rincari dei prezzi dei prodotti energetici e del gas, con un aumento della spesa per tali utenze di circa il 45 per cento nel 2022; per farvi fronte, a livello nazionale, sono state stanziate risorse aggiuntive, che per la Regione Calabria hanno più che compensato i maggiori oneri. La spesa in convenzione ha continuato a crescere nelle componenti collegate all’acquisto da privati di prestazioni ospedaliere e specialistiche; vi può aver influito l’attività di recupero delle liste di attesa.

Nonostante questo, il numero delle prestazioni di specialistica ambulatoriale erogate nel 2022 si mantiene ancora inferiore ai valori antecedenti all’emergenza sanitaria. L’andamento del costo del personale (in aumento dell’1 per cento) è stato determinato principalmente dall’effetto monetario del rinnovo dei contratti della componente non dirigenziale, mentre l’organico ha mostrato ancora una lieve flessione. Tale dinamica ha contribuito ad accrescere il ricorso alle collaborazioni e consulenze sanitarie esterne, rafforzatesi già nel 2020 in risposta all’emergenza sanitaria.

Nel biennio 2021-22 l’incidenza di tale voce sul totale del costo del personale ha raggiunto il 4,4 per cento (era il 2,8 per cento nel biennio 2018-19). Il personale delle strutture pubbliche, nella componente sia stabile sia a termine, continua a mostrare una contrazione (-0,4 per cento), seppur inferiore rispetto a quella osservata nell’ultimo decennio (tav. a6.8). Secondo i dati della Ragioneria generale dello Stato (RGS), a fine 2021 la dotazione di infermieri e di personale tecnico risultava in regione superiore ai valori antecedenti la pandemia; l’aumento ha però interessato essenzialmente i lavoratori con contratti a termine.

Il numero di medici ha continuato invece a ridursi, nonostante il significativo ricorso, anche in questo caso, a contratti temporanei. Per il personale medico si pone inoltre, in misura più forte rispetto ad altre f igure sanitarie, un problema di ricambio generazionale: a fine 2021 circa la metà dell’organico stabile operante presso strutture pubbliche aveva più di 60 anni di età (era solo il 13,6 per cento nel 2011; tav. a6.9 e fig. 6.5.b). I problemi legati all’invecchiamento del personale si presentano anche tra i medici di medicina generale (MMG) e i pediatri di libera scelta: circa il 90 per cento di tali figure professionali si collocava nella fascia di anzianità di servizio più elevata (rispettivamente, più di 27 e 23 anni dalla laurea) e con un carico di pazienti per medico aumentato nel corso dell’ultimo decennio (nel 2021 il 24 per cento dei MMG e il 74 per cento dei pediatri presentava un numero di pazienti superiore alle soglie di legge).

Nonostante questo, è migliorato l’equilibrio economico-finanziario della sanità calabrese: sulla base dei dati di consuntivo 2021, è stato conseguito un avanzo di gestione pari a 145,6 milioni di euro, che ha consentito di dare piena copertura alle perdite pregresse al 31 dicembre 2020 (77,4 milioni di euro). (ams)

 

BANKITALIA: SANITÀ, TRASPORTI, SCUOLA
COME RIPIANARE LO SVANTAGGIO DEL SUD

Ci sono tanti, troppi e grandi divari tra il Nord e il Sud, a livello di infrastrutture, trasporti, sanità e istruzione, come è stato rilevato nel report I divari infrastrutturali in Italia realizzato da Banca d’Italia e di Mauro Bucci, Elena Gennari, Giorgio Ivaldi, Giovanna Messina e Luca Moller e pubblicato lo scorso mese di luglio.

I risultati del report documentano la presenza in Italia di differenze molto pronunciate nella dotazione infrastrutturale economiche e sociali tra i diversi territori, evidenziando come, «per quanto riguarda alle infrastrutture di trasporto, emerge che le aree con i collegamenti stradali e ferroviari più veloci nonché quelle con le maggiori possibilità di accesso ai principali scali aeroportuali e portuali, in termini di traffico merci, sono prevalentemente collocate nelle regioni centro settentrionali (in particolare in Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Toscana)».

«Le regioni del Sud e delle Isole – si legge – si trovano in una condizione di relativo svantaggio, fatta eccezione per le aree della fascia tirrenica limitatamente alla possibilità di accedere a scali portuali rilevanti per il solo traffico di passeggeri. Le reti di comunicazione presentano una dicotomia Nord Sud meno marcata se si guarda alla disponibilità delle infrastrutture, soprattutto per quanto attiene alla rete mobile ad alta velocità (un discorso diverso riguarda però l’accesso effettivo alla rete, che riflette l’eterogeneità territoriale delle condizioni economiche e della cultura digitale delle famiglie)».

«Il gap infrastrutturale appare, invece – si legge nel rapporto – molto profondo nell’ambito della distribuzione dell’elettricità e dell’acqua: nelle regioni meridionali e insulari la frequenza delle interruzioni senza preavviso del servizio elettrico per gli utenti a bassa tensione è più che doppia rispetto al resto del paese, oltre un terzo degli utenti a media tensione riceve un servizio inferiore agli standard previsti dalla regolazione nazionale e gli acquedotti disperdono una quota di acqua 1,4 volte più elevata rispetto a quanto avviene nel resto del paese».

Un altro aspetto affrontato, è quello delle telecomunicazioni, in cui è stato ribadito il suo ruolo «di primo piano tra le infrastrutture necessarie per lo sviluppo delle economie moderne, segnate dalla rivoluzione digitale e da continue trasformazioni nei processi di lavoro».

Per quanto riguarda la distribuzione dell’energia elettrica e dell’acqua, è stato evidenziato come le «province meglio servite sono quelle collocate nella fascia alpina del Trentino Alto-Adige e della Lombardia (favorite dalla prossimità agli impianti di produzione), nonché quelle dell’area padana», mentre si registrano frequenti interruzioni della fornitura nelle aree appenniniche interne dell’Italia centrale e soprattutto nelle regioni meridionali e in quelle insulari: in queste ultime la frequenza annua dei distacchi per ogni utente a bassa tensione è pari a 14,3 (contro 5,1 nelle regioni centrosettentrionali)».

«I divari di qualità del servizio – è stato evidenziato – sono peraltro confermati dai dati circa la durata complessiva delle interruzioni senza preavviso, che ammontano a oltre 60 minuti l’anno per utente nella media delle province del Sud e delle Isole (con punte di oltre 90 minuti in Sicilia), a fronte di circa 30 nelle regioni settentrionali (con valori minimi di 20 in Valle d’Aosta). Anche i buchi di tensione si verificano con una frequenza significativamente maggiore nelle regioni meridionali e insulari rispetto al resto del paese (nel 2019 sono stati registrati circa 76 buchi di tensione complessivi per singolo nodo nelle regioni meridionali continentali e ben 130 in Sicilia, a fronte di circa 23 nelle regioni settentrionali e 30 in quelle centrali)».

«Perdite idriche di entità rilevante – si legge nel report – si registrano nei territori di Frosinone e Latina e in molte province del Sud e delle Isole: in oltre la metà di quelle campane, siciliane e sarde la quota di acqua effettivamente messa a disposizione degli utenti è inferiore al 50 per cento29. Le cattive condizioni delle infrastrutture idriche rendono alcune realtà più esposte a fenomeni di razionamento dell’acqua per uso domestico. Tali episodi sono pressoché interamente concentrati in alcune province del Sud e insulari (figura 10, pannello b); in alcuni capoluoghi (Catanzaro, Palermo, Enna e Sassari) il razionamento idrico non è limitato ai periodi estivi ma interessa, per alcune ore al giorno, l’intero arco dell’anno».

Per la Banca d’Italia, «il gap infrastrutturale delle regioni meridionali e insulari è confermato anche dalle condizioni delle infrastrutture preposte agli altri segmenti della filiera dell’acqua, quali la raccolta delle acque reflue e le attività di depurazione. Vi sono circa 40 Comuni tuttora sprovvisti di servizio di raccolta delle acque reflue (poiché la rete fognaria non è presente o non è collegata a un depuratore), di cui oltre la metà localizzati in Sicilia; nelle aree meridionali inoltre si verificano con maggiore frequenza episodi di allagamento, sversamento e rottura delle fognature e la qualità delle acque depurate è sensibilmente peggiore della media italiana».

Per quanto riguarda le infrastrutture ospedaliere, mentre al Nord si può accedere a un numero di posti letto pari a circa una volta e mezza la media italiana, scendendo verso le aree meridionali e verso le isole si riduce: l’indicatore è pari al 70 per cento della media per le province calabresi, al 50 per quelle siciliane e al 20 per quelle sarde. Anche per le aree di confine l’accessibilità a posti letto in strutture ospedaliere è inferiore alla media, ma di poco (l’indicatore si aggira intorno al 90 per cento).

Questione rifiuti

Per quanto riguarda la raccolta indifferenziata, «la maggiore facilità di accedere a impianti di smaltimento dei rifiuti sono localizzati in Emilia Romagna, avvantaggiata dell’elevato numero di impianti collocati sia nella regione di appartenenza (complessivamente 28) sia nelle regioni limitrofe (in particolare in Lombardia, regione che conta 34 impianti)», mentre le aree penalizzate rimangono quelle insulari (sopratutto la Sardegna) e quelle calabresi, dove le possibilità di raggiungere pianti di trattamento della frazione organica dei rifiuti differenziati decrescono, fino a essere particolarmente bassi nelle isole.

Un gap, che è stato segnalato anche dall’ultimo Green Book di Utilitalia, dove è stata rilevata «una situazione di sovracapacità impiantistica delle regioni settentrionali, che si caratterizzano per quantità di rifiuti urbani trattati superiori a quelli raccolti in loco sia relativamente alla frazione secca residua sia a quella organica; al contrario gli impianti presenti nelle regioni centrali e soprattutto in quelle meridionali non sono sufficienti a trattare tutti i quantitativi raccolti localmente».

Secondo il report, infatti, «tenendo conto sia della componente ordinaria che di quella aggiuntiva dell’attività di investimento dell’operatore pubblico, alle regioni meridionali e insulari dovrebbe essere destinata una quota di spesa almeno pari al 45 per cento e in ogni caso sensibilmente più elevata rispetto alla quota della popolazione residente».

«Alcune elaborazioni basate sui dati dei Conti pubblici territoriali (CPT) mostrano tuttavia che nell’arco dell’ultimo decennio l’incidenza delle regioni meridionali e insulari sul complesso delle risorse destinate all’accumulazione di capitale pubblico (spesa pubblica per investimenti e per contributi agli investimenti delle imprese) è oscillata intorno al 30 per cento (con un picco nel 2015 in corrispondenza della chiusura del ciclo di programmazione dei fondi comunitari; a fronte di una popolazione residente pari in media al 34,4 per cento di quella nazionale40. In termini pro capite, nella media dell’ultimo decennio l’entità di tali risorse è stata all’incirca pari a circa 780 euro per le regioni meridionali e insulari, contro gli oltre 940 delle regioni centrosettentrionali».

«Il divario – si legge ancora – è legato alla distribuzione delle risorse sul territorio ma possono avervi contribuito anche fattori istituzionali, quali le capacità tecniche delle Amministrazioni locali di selezionare i progetti e di portare a termine i lavori nei tempi programmati; questi fattori sembrano essere particolarmente critici per le regioni meridionali, che si caratterizzano per ritardi nella esecuzione delle opere relativamente elevati rispetto al resto del Paese». (rrm)

COVID E CALABRIA SECONDO BANKITALIA
IL VERO RISCHIO DELL’ALTRA EMERGENZA

Un’emergenza nell’emergenza. Mentre la Calabria affronta, al meglio che può e con le risorse a disposizione la grave crisi sanitaria in corso – e non si parla solo della pandemia da covid-19, ma anche delle gravi mancanze a livello di medicina territoriale e del continuo tira e molla intorno alla figura del nuovo commissario alla Sanità che hanno messo la Calabria stessa in un pericoloso limbo -, ecco che il nuovo rapporto sull’andamento congiunturale dell’economia calabrese  redatto dalla filiale di Catanzaro della Banca d’Italia e presentato dal direttore Sergio Magarelli e dagli estensori Giuseppe Albanese, coordinatore, Tonino Covelli, Iconio Garri, Enza Maltese e Graziella Mendicino, dà il colpo di grazia.

L’economia calabrese, nella prima parte del 2020, è stata fortemente colpita dalla pandemia di coronavirus.

«In particolare – ha spiegato la Banca d’Italia – le misure di distanziamento e la chiusura parziale delle attività tra marzo e maggio, necessarie per contenere la diffusione del contagio, hanno avuto pesanti ricadute sull’attività economica. La domanda di beni e servizi è nettamente calata, anche a causa delle conseguenze della crisi su fiducia e redditi dei consumatori, a cui si e associato un aumento del risparmio precauzionale».

Bankitalia, infatti, sebbene abbia rilevato che con la fine del lockdown si è avviata una ripresa dell’attività economica, insufficiente, tuttavia, a compensare la forte caduta registrata nei mesi precedenti. L’operato di imprese e famiglie è rimasto ancora condizionato dall’incertezza legata al riacutizzarsi della pandemia e al collegato rischio di nuove ricadute economiche», ha segnalato «una diminuzione significativa del fatturato delle imprese nei primi nove mesi dell’anno, risultata più intensa per il settore dei servizi privati. Vi si è accompagnata una diffusa revisione al ribasso dei piani di investimento programmati per l’anno in corso».

«Il brusco calo delle vendite registrato durante il lockdown – riporta ancora Bakitalia – ha sottoposto le aziende ad uno shock economico e finanziario rilevante. In concomitanza con il forte incremento del fabbisogno di liquidità, il credito alle imprese ha accelerato, sostenuto dalle misure adottate dalla Bce e dal Governo. La crescita dei prestiti registrata a giugno ha riguardato, con maggiore intensità, le imprese di piccole dimensioni e quelle dei servizi».

Inoltre, viene rimarcato come anche «il mercato del lavoro calabrese ha risentito rapidamente delle ripercussioni dell’emergenza Covid-19»: «Nel primo semestre del 2020 – viene riportato – l’occupazione si è ridotta significativamente rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, soprattutto tra gli autonomi e i lavoratori dipendenti a termine, mentre il calo del lavoro dipendente a tempo indeterminato è stato contenuto dal blocco dei licenziamenti e dall’ampio ricorso agli strumenti di integrazione salariale. A partire da luglio, le posizioni perse nel lavoro dipendente sono state gradualmente recuperate».

«A fronte del peggioramento delle prospettive occupazionali – riporta ancora Bankitalia – il rafforzamento degli ammortizzatori sociali e degli altri interventi di sostegno al reddito ha contribuito a sostenere i consumi delle famiglie, comunque risultati pesantemente condizionati dai vincoli alla mobilità e dal netto peggioramento del clima di fiducia. In particolare, le famiglie hanno operato una ricomposizione della spesa, riducendo i consumi di beni non essenziali. Ciò si è riflesso anche in un deciso rallentamento dei prestiti alle famiglie, che ha riguardato sia il credito al consumo sia i mutui per l’acquisto di abitazioni».

Quanto al credito bancario, secondo la Banca d’Italia «ha gradualmente accelerato, sospinto dalla componente delle imprese. L’emergenza Covid-19 non si è riflessa in un peggioramento della qualità del credito, beneficiando degli interventi governativi e delle politiche monetarie e regolamentari accomodanti. In un contesto di elevata incertezza sulle prospettive, la crescita dei depositi bancari si è ulteriormente rafforzata, sia per le famiglie sia per le imprese».

Per quanto riguarda, invece, l’andamento del settore industriale, «nella prima parte del 2020 è stato pesantemente condizionato dagli effetti dell’emergenza Covid-19».

«Le conseguenze negative – ha aggiunto Bankitalia – si sono manifestate soprattutto nel secondo trimestre dell’anno, in concomitanza con l’entrata in vigore delle disposizioni restrittive volte al contenimento dei contagi. Solo nei mesi estivi, con il graduale allentamento delle misure di sospensione, l’attività produttiva ha mostrato segnali di recupero, pur se ancora parziale e disomogeneo».

Nel report si evidenzia che «secondo i risultati di un sondaggio su un campione di imprese industriali con almeno 20 addetti, il fatturato delle imprese calabresi nei primi nove mesi dell’anno ha subito un brusco peggioramento. Oltre i due terzi delle aziende intervistate hanno segnalato una riduzione delle vendite rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Tra queste ultime, più della metà ha dichiarato una riduzione superiore al 15%. La flessione è stata più marcata nel settore manifatturiero non alimentare».

Inoltre, spiega la Banca d’Italia, «i timori circa l’evoluzione della pandemia, nonché l’elevata incertezza su tempi e  intensità della ripresa, hanno indotto molte imprese a rivedere i piani di investimento: oltre il 40% delle aziende partecipanti al sondaggio ha dichiarato una spesa per investimenti nell’anno più bassa rispetto a quanto programmato a fine 2019».

Numeri negativi per quanto riguarda l’occupazione: Bankitalia, «secondo la rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat, nella media del primo semestre del 2020,  l’occupazione in Calabria si è ridotta del 4,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Tale variazione è stata notevolmente peggiore di quella media nazionale e del Mezzogiorno (rispettivamente, -1,7 e -2,6%), come già accaduto durante la precedente crisi del debito sovrano».

«Il calo – ha spiegato Bankitalia – è stato particolarmente marcato per la componente dei lavoratori autonomi. Seppur in misura inferiore per effetto degli strumenti di integrazione salariale e del blocco dei licenziamenti, è diminuita anche l’occupazione dipendente. Il calo si è concentrato principalmente sulla componente dei lavoratori con contratti a tempo determinato». (rrm)

ANCHE UN PO’ DI SUD AGLI ‘STATI GENERALI’
BANKITALIA: IL 75% DI OPERE È INCOMPIUTO

di SANTO STRATI – A dispetto del Piano rilancio di Vittorio Colao che in 121 pagine non cita mai il Mezzogiorno, agli Stati generali in corso a Roma, a Villa Pamphilj, si è parlato di Sud. Riafferma convinto il premier Conte che «Se corre il Sud corre l’Italia» e ricorda il Piano per il Sud (100 miliardi in 10 anni) presentato a febbraio col ministro Provenzano a Gioia Tauro: «Molti di quei progetti saranno trasferiti nel Piano di Rilancio». È un buon segnale che le cose non sono peggio di quello che s’immagina, ma anzi potrebbero (permetteteci il condizionale) voltare in positivo. Il post-Covid se ben gestito è un’opportunità per tutto il Paese, ma è molto di più per la Calabria che ha fame di infrastrutture e di investimenti.

Non a caso, è stato proprio il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, in apertura di queste giornate di incontri nel verde della bella villa romana, a sottolineare come il Mezzogiorno pur rappresentando un quarto di Pil nazionale, vanta il 75% delle opere incompiute sul 30% dei lavori pubblici nazionali già avviati. In poche parole occorre cambiare registro e smetterla con gli annunci e le proiezioni, serve concretezza e gli investimenti dalla carta devono necessariamente, con priorità assoluta, diventare progetti esecutivi. Come si fa? Semplice, apparentemente: basta programmare le risorse e utilizzarle, ovvero spendere razionalizzando costi e benefici nell’ottica di uno sviluppo possibile e non più solo immaginario. E alle parole di Visco, che ha dedicato all’argomento Mezzogiorno due paragrafi della sua bella e accurata relazione, ha fatto eco il ministro per il Sud e la Coesione sociale Peppe Provenzano: «Il Sud non è solo un capitolo del Piano di rilancio, ma il luogo in cui attuarlo con più urgenza e determinazione – ha detto il ministro –. Accanto all’aumento degli investimenti pubblici, per garantire scuola, salute, infrastrutture e digitale, come previsto nel Piano Sud 2030, oggi è ancor più necessario accelerare e potenziare gli effetti degli investimenti con una fiscalità di vantaggio e un incentivo all’occupazione femminile».

E il tema fiscalità di vantaggio è stato centrale nella giornata di ieri, dove hanno avuto la dovuta considerazione le tre proposte avanzate da un gruppo di deputati dem per riallineare il sistema Paese, colmando il divario tra Nord e Sud. «Si tratta – ha osservato la deputata calabrese Enza Bruno Bossio – di misure anti cicliche a sostegno dell’economia meridionale che vanno ben oltre l’attuale congiuntura. Nello specifico, abbiamo proposto: una fiscalità di vantaggio per il Sud per il 2020 per dare ossigeno e fornire immediata liquidità al tessuto produttivo; dare continuità alle misure già previste nel decreto “imprese”che, attraverso le garanzie prestate dallo Stato, permette di uniformare l’accesso al credito per le imprese meridionali; introdurre un regime amministrativo e fiscale speciale nel Mezzogiorno, per attrarre insediamenti industriali nelle aree qualificate Zone Economiche Speciali, a partire dalle aree calabresi, nei prossimi sette anni, rinnovabili per altri sette». In ogni caso – ha fatto notare la deputata dem «al di là della discussione degli Stati Generali la maggioranza di governo sarà chiamata a verificarsi nelle sedi parlamentari sul merito di queste proposte».

Tra i firmatari calabresi delle proposte avanzate dal Pd figura anche l’on. Antonio Viscomi. «Questa misura di politica fiscale di natura temporanea – è stato affermato dal gruppo dei firmatari –, tuttavia, sarebbe poco efficace se non fosse accompagnata dagli altri due interventi di sostegno alle imprese. Dare continuità a quanto già previsto nel decreto liquidità che, attraverso le garanzie prestate dallo Stato, permette di uniformare l’accesso al credito per le imprese meridionali. Esse, in assenza dell’intervento del Governo, scontano una onerosità dei crediti erogati sensibilmente superiore rispetto al Centro-Nord e una conseguente inevitabile perdita di competitività. Infine, come previsto da un progetto di legge già da noi presentato alla Camera dei Deputati, riteniamo importante irrobustire il tessuto imprenditoriale nelle regioni meridionali attraverso l’introduzione di un regime amministrativo e fiscale speciale per attrarre insediamenti industriali nelle aree qualificate Zes. Assicurare liquidità e ridurre i costi di accesso al credito alle imprese esistenti e attrarre al Sud insediamenti produttivi di nuove società significa tracciare un percorso di rilancio per il settore produttivo meridionale e una nuova stagione di crescita nel Mezzogiorno».

In questi “stravaganti” Stati generali dopo i quali qualcuno rischia, come da corsi e ricorsi storici, di perdere la testa (metaforicamente parlando) si continua a parlare, purtroppo, in astratto, come se all’Italia e al Mezzogiorno servisse un altro “libro dei sogni” dove ci sono indicazioni più che scontate per non dire lapalissiane (basta guardare alle considerazioni sulle località italiane meta ambita del turismo straniero, e sai la novita!), ma mancano gli elementi di programmazione che aiutino a pianificare le risorse e attuare gli investimenti. Come, del resto, hanno osservato i maggiori osservatori di economia.

Sei priorità, nove capitoli e 55 voci per il Rilancio: c’è aspetto principale trascurato in questo piano, l’economia reale del Paese. Messa a dura prova dal Covid e con prospettive ancora più disastrose vista l’attuale politica finanziaria del Governo a favore delle piccole imprese, degli artigiani, degli esercenti. Aiuti promessi e presentati come un grande sforzo del Paese per far ripartire l’economia. Veramente non c’è stato neanche il minimo sforzo di immaginazione per prospettare scenari che sono sotto gli occhi di tutti, tranne che di quelli che ci governano. Il presidente dell’Inps, il cosentino Pasquale Tridico, ci ha fatto vergognare per lui quando ha avuto la faccia tosta di dichiarare: «abbiamo riempito di soldi gli italiani», quando metà degli aventi diritto ancora aspetta la cassa integrazione. E se gli imprenditori non avessero messo mano al portafogli (chi ha potuto, naturalmente) non sappiamo quante famiglie avrebbero saltato i pasti, negando anche il minimo essenziale ai propri figli. E Conte che ha annunciato 400 miliardi per le imprese, senza specificare che si trattava di garanzie su prestiti e non denaro fresco. Servivano e servono tuttora soldi veri, ma si continua a lasciar fare alle banche l’opera di disgregazione sociale tra famiglie e imprese  negando ogni aiuto, pur in presenza di garanzia totale dello Stato sugli importi da erogare.

Ma dove vivono i nostri governanti? Il distacco tra Paese reale e Paese legale è sempre più abissale: oggi lo Stato conta di incassare 10 miliardi tra tasse, contributi, Imu e via discorrendo. A nessuno viene in mente che forse spostare in autunno, magari spalmando in più rate, le tasse dovute alla scadenza del 16 giugno sarebbe stata la dimostrazione concreta che lo Stato c’è e non tratta i suoi cittadini, i suoi imprenditori, come sudditi da spremere come limoni, poi gettarli via. Se si impedisce alle piccole aziende, quelle che creano e mantengono occupazione, che creano ricchezza e mettono in circolo il denaro, non ci potrà essere alcun rilancio. Con buona pace della task force coordinata da Londra dal supermanager Colao e del suo bel libro dei sogni. (s)

 

REGGIO: ALLA MEDITERRANEA IL RAPPORTO SULL’ ECONOMIA DELLA CALABRIA

Il Rapporto di Bankitalia sulla Calabria.

1° luglio – Presentato a Reggio, presso l’Aula Magna “A. Quistelli” dell’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, il rapporto su “L’Economia della Calabria” della Banca d’Italia.
Ai lavori hanno preso parte Pasquale Catanoso, Rettore dell’Università Mediterranea, da Francesco Manganaro, direttore del Dipartimento di Giurisprudenza, Economia e Scienze Umane, da Massimiliano Ferrara, coordinatore del corso di Laurea Magistrale in “Economics”, da Elda Sprizzi, direttore della Filiale di Reggio Calabria della Banca d’Italia, e da Antonino Tramontana, presidente della Camera Di Commercio Reggio Calabria.
Il Rapporto è stato illustrato da Giuseppe Albanese, coordinatore del Rapporto. Sono intervenuti, coordinati da Massimo Finocchiaro Castro, docente di Economia Pubblica presso l’Università Mediterranea, Vittorio Caminiti, presidente Federalberghi Calabria, Paolo Chirico, amministratore Agrumaria Reggina. Conclude Sergio Magarelli, direttore della Filiale di Catanzaro della Banca d’Italia. (rrc)

La locandina dell’evento all’Università Mediterranea di Reggio Calabria