;
Bruciano le terre vibonesi

Bruciano le terre vibonesi

di PINO CINQUEGRANAIn un attimo si è scatenato l’inferno. Bivona, Pizzo, la costa napitina, le carreggiate di strade principali di collegamento dai paesi verso Vibo Valentia si sono trasformati in un fuoco infernale con fiamme altre fino a 20 metri.

Bruciano luoghi che hanno segnato la storia del turismo mondiale come l’ex Lido degli Aranci simbolo della grande vacanza per conoscere la costa bella, uno dei migliori litorali della Calabria, luogo simbolo dell’occupazione giovanile, speranza per una nuova rinascita. Tutto diventa cenere nonostante tutti gli sforzi fino all’estremo dei vigili del fuoco che si sono trovati imbrigliati in una sorta di rete programmata da mano criminale in diversi punti del territorio.

Il fuoco circoscrive la Cittadella di Padre Pio, luogo della speranza per la cura dei bambini oncologici di tutto il mondo, luogo della grande ricerca internazionale, simbolo di un nascente cambiamento mentale di una terra chi pari scumunicata! Fuochi vicino al Popilia Resort fiore all’occhiello di una vibonesità di orgoglio dell’azienda Callipo.

Brucia tutto! Una giornata campale, dove pare non funzionassero di droni per un immediato controllo, dove all’intensità della calura fino a trentasette gradi nel mese di settembre si è aggiunta quella distruttiva delle fiamme le cui ceneri sono cadute sui paesi vicini. Tutto è compromesso, la gente ne parla poco, paure e angosce di un popolo martoriato i cui giovani fuggono via perché come dice il poeta serrese Mastro bruno Pelagi ccà la luna vada sempri à la mancanza, e no’ nc’è cchù speranza caà nd’irgimu.

Oggi tutti dovremmo sentirci chiamati a gridare forte questo senso di arroganza: sindaci, associazioni, scuole, giornalisti, tutti perché tutto questo desertifica, annulla persino le coscienze, come scriveva T.S.Eliot diventa una terra inutile perché siamo diventati uomini con la testa di paglia. Restare in Calabria è accettare una perdizione nonostante molti stanno provando ad investire e creare processi economici internazionali che mirano alla crescita, allo sviluppo, alle economie innovative, all’occupazione.

A cosa servono tante università sul territorio se poi devono preparare professionalità che vanno via dove la normalità diventa opportunità di crescita, a cosa servono tanti appuntamenti culturali quando manca l’idea stessa di essere momenti parafulmini di tanta tracotanza che divora sempre più la società calabrese. Si postano centinaia di fotografie di luoghi, albe e tramonti, di piatti e di feste popolari e ci si dimentica di gridare contro una terra che brucia, contro un agire che arroventa tutti, che ci accartoccia e ci fa sentire tutto il male di noi stessi. E allora rientra tutta una maladie du siècle in cui si naturalizza una atrofizzazione dove vale il ragionamento: qui da me non è successo… e ci si lava le mani! (pc)