di SANTO STRATI – Tra le tante “malefatte” da addebitare alla legislatura che si conclude il 25 settembre, oltre alla mancata introduzione di una nuova legge elettorale, c’è l’imperdonabile indifferenza per i tantissimi elettori che non riescono a tornare al luogo di residenza per votare. Sono una massa enorme (circa 5 milioni) di elettori e la Calabria è una terra che primeggia in questa triste realtà.
Lo slogan lanciato dal collettivo Valarioti “Voto sano da lontano” che accompagnava la proposta di legge per prevedere il voto a distanza di chi vive, per studio o lavoro fuori della propria regione, ha trovato una tiepida accoglienza e la fiera opposizione del Ministero dell’Interno.
Ben cinque le proposte di legge che prevedevano “Disposizioni per l’esercizio del diritto di voto da parte dei cittadini domiciliati, per motivi di studio universitario o di lavoro, fuori della regione di residenza”. La prima (presentata il 28 marzo 2019 con prima firmataria Marianna Madia) era stata assegnata a Giuseppe Brescia come relatore in Commissione il 5 maggio 2021; sono seguite altre a firma Enrico Costa (8 aprile 2021), a firma di Giuseppe Brescia (9 aprile 2021), di Maurizio D’Ettore (15 aprile 2021) e, infine di Massimo Ungaro (16 aprile 2021). Il tempo per discutere e approvare il provvedimento (somma di tutti gli atti presentati di cui s’è detto prima) c’era (l’ultima discussione in Commissione è stata il 16 marzo 2022), ma evidentemente si è preferito lasciar correre e affidare alla futura legislatura le decisioni in merito.
Eppure, viene da immaginare uno scenario ben diverso se fosse stata data la possibilità di voto a chi, per motivi di studio o di lavoro ha un domicilio diverso (e lontano) dalla propria residenza. Già, perché oltre a chi si astiene perché “disgustato” da questa politica, per noia o per manifestare il proprio disprezzo per le urne “pilotate” con seggi blindati e candidati paracadutati a destra e manca, c’è una cospicua percentuale di elettori che, pur volendo esercitare il proprio diritto-dovere di voto, non può. Per ragioni di distanza che rivelano i disagi non solo economici di una trasferta occasionale.
Quindi, c’è da considerare che il 55% e passa di astenuti che sono stati registrati alle passate elezioni regionali calabresi del 2021, in realtà sono rappresentati per oltre la metà da elettori impossibilitati a tornare a votare. E se lo spettro dell’astensionismo alle elezioni della prossima domenica è quello che fa più paura agli “impavidi” parlamentari che non hanno voluto concedere il diritto di voto a distanza ai fuorisede, si capisce perché diventa imperdonabile non aver provveduto per tempo ad autorizzare quello che, invece, è ammesso per il voto degli elettori che vivono all’estero.
In poche parole, facendo qualche raffronto con le passate elezioni viene fuori che in Calabria nel 2018 per le politiche è andato a votare poco più del 63 per cento degli aventi diritto, nel 2019 alle europee la percentuale è precipitata al 44 per cento, dato riconfermato alle regionali del 2020 e del 2021, mettendo la Calabria tra le regioni meno virtuose per l’affluenza alle urne.
In realtà, come si è detto, va considerato che sono circa 500mila i calabresi che per lavoro o università hanno il domicilio fuori della regione, pur avendo conservato la residenza: significa che sul milione 900mila aventi diritto, in realtà andrebbero esclusi i 500mila domiciliati fuori regione, visto che di questi appena il 5-10% torna a votare. Tradotto in soldoni, la percentuale degli astenuti andrebbe perciò calcolata sull’effettivo numero di chi si reca al voto, dimezzando il valore del totale degli astenuti. Non è complicato, ma equivarrebbe a dire che, in realtà, l’astensionismo calabrese si attesta intorno al 25% e non al 55%. Ormai è troppo tardi per rimediare, ma dev’esserci l’impegno della futura legislatura a provvedere non solo a modificare, immediatamente e senza alcun indugio, il Rosatellum, quest’infame legge elettorale che ha finito con l’allontanare dalla politica gran parte degli ultrasessantenni e tenere a dovuta distanza i diciottenni e le nuove generazioni che, pure, a nostro avviso, hanno fame di politica ma nessuno si occupa di loro.
Non è con ridicole e patetiche apparizioni su TikTok che si conquista l’elettorato giovane. Che, pur lontano dal teatrino della politica, ha capito perfettamente che tutti i partiti che si contendono i seggi di Camera e Senato in questa occasione hanno usato solo l’indicativo presente. Non c’è visione di futuro, non c’è uno straccio di programma che coinvolga le nuove generazioni (cui si continua a rubare il futuro) dando loro qualche flebile speranza di cambiamento e di rinnovamento sociale.
Avevamo, ahimè, scritto con largo anticipo che sarebbe stata una campagna elettorale terribile, crudele e da dimenticare, con denigrazioni dell’avversario e l’ ”allarme” – dall’una e dall’altra parte – sintetizzato nello schema idiota “votate noi se no vincono gli altri”. Roba da far scompisciare dalle risate nella tomba monsieur de La Palisse. Si è preferito vagheggiare fantasmi, tra populismo, sovranismo neocomunismo, neocentrismo e via discorrendo piuttosto che delineare un programma non da libro dei sogni, ma con i piedi ben saldati alla realtà.
Si è visto di tutto e questa settimana sarà cruciale: mai come questa volta gli elettori (quelli che andranno o potranno andare a votare) decideranno negli ultimi giorni a chi affidare le proprie scelte.
Un risultato, al di là dei sondaggi che, obiettivamente, sono sembrati grottescamente farlocchi, si può già facilmente anticipare: l’Italia rimane un Paese ingovernabile grazie al Rosatellum che, dopo il taglio dei parlamentari, ha provocato ulteriori situazioni di ingovernabilità. Si dovrà optare per una grosse koalition alla tedesca, ovvero a un governo di salute pubblica con un trasversalismo che guardi solo al bene del Paese. Solo che Draghi non è disponibile e non c’è una figura in grado di mettere insieme forza favorevoli e contrarie che superano gli antagonismi e facciano solo gli interessi degli italiani. Andiamo, però, tutti a votare domenica prossima: è un diritto-dovere cui non possiamo né dobbiamo rinunciare. (s)