IL NUOVO REPORT ANNUALE SULL'ECONOMIA E LA SOCIETÀ INDICA UN DATO POCO CONFORTANTE;
Luca Bianchi direttore della Svimez

CALABRIA LENTA E ULTIMA PER CRESCITA
SVIMEZ: LA PIÙ BASSA D’ITALIA CON +3,9%

La crescita della Calabria è e sarà lenta: è solo del 3,9%, contro quello nazionale che sarà del 4,2%. È quanto è emerso dal Rapporto Svimez sull’economia e la società del Mezzogiorno, che ha rilevato come la crescita della nostra regione sia quella più bassa tra quelle italiane, oltre che a rimanere stabile anche nel 2o22. Un dato, che preoccupa e che indica che la differenza tra la Calabria e il resto d’Italia sia più marcato: se al Centro-Nord è prevista infatti una crescita del Pil del 6,8% a fine anno, quel tasso al Sud si assesterà al 5%.

Nel rapporto, in cui viene evidenziato che il «2020 è stato l’anno terribile nell’Italia del «doppio divario» Italia/Europa, Sud/Nord», dove il Pil del Mezzogiorno era ancora «sotto di oltre 10 punti rispetto al 2008 e il Centro-Nord era spaccato tra un Nord locomotiva ormai stanca e un Centro sempre più in linea con il Mezzogiorno (-6% rispetto al 2008)», mentre a livello nazionale, la caduta del Pil, nel 2020, è stata di quasi 3 punti superiore alla media europea (-8,9% contro il -6,1%), «anche in virtù della maggiore rilevanza di alcuni comparti, come il terziario, legati al turismo, alla cultura e ai servizi alla persona».

Il quadro emerso per la nostra regione indica che per i Settori produttivi, si è registrato un calo, tra il 2020 e il 2021 un calo del -11,6%, mentre per quanto riguarda le diverse componenti del valore aggiunto, mentre nel complesso il Mezzogiorno ha visto una flessione del 7,9% su base annua, inferiore al -8,6%nazionale, la Calabria «mostra un calo più alto della media circoscrizione (-9,3%), dovuto alla maggiore flessione di agricoltura (-11,6%), costruzioni (-11,2%) e servizi (-9,1%); inferiore alla media del Sud la flessione dell’industria in senso stretto (-9,1%)». Per quanto riguarda la crescita dell’occupazione, si stima che entro fine anno in Calabria ci sarà una crescita del 1,3% e del 1,9% nel 2022.

Per quanto riguarda, invece, la spesa delle famiglie, è prevista nella regione una crescita del 6,6% nel 2021. Un ottimo dato, se si considera che, quella nazionale, è del 5,2%. Per il 2022, infine, si stima un incremento di 3 punti, leggermente inferiore di quella nazionale, stimata al 4,5%.

Per quanto riguarda il mercato del lavoro, nel rapporto è stato evidenziato che «alla crescita delle regioni del Centro-Nord (+1 milione 510 mila unità pari al +9,8%) si contrappone una flessione nelle regioni meridionali (-201 mila unità pari al -3,2%). Il divario tra le due aree territoriali si approfondisce ulteriormente considerando come il tasso di occupazione cresca quasi di 8 punti nel Centro-Nord mentre fletta quasi di 2 punti nel Mezzogiorno; il gap tra i due tassi sale da circa 12 ad oltre 20 punti percentuali (nel 2020, 65,4% e 44,3% rispettivamente nel Centro-Nord e nel Mezzogiorno)».

«Nel 2022 la Svimez – si legge nel rapporto – prevede un aumento del Pil del +4,2% al Centro-Nord e del +4% nel Mezzogiorno. Nel biennio 2023/2024 prevediamo al Sud rispettivamente +1,9% il primo anno e +1,5% il secondo, mentre nel Centro-Nord il Pil crescerebbe del +2,6% nel 2023 e del +2% nel 2024. Nel quadriennio l’impatto relativamente maggiore delle manovre di finanza pubblica e del Pnrr al Sud rispetto al Centro-Nord, dovrebbe impedire al divario di riaprisi».

«Ma la debolezza dei consumi – continua il rapporto – conseguente alla dinamica salariale piatta (15,3% di dipendenti con bassa paga nelle regioni meridionali rispetto a 8,4% in quelle centro settentrionali), al basso tasso di occupazione e all’eccessiva flessibilità del mercato del lavoro meridionale con il ricorso al tempo determinato per quasi 920 mila lavoratori meridionali (22,3% al Sud rispetto al 15,1% al Centro-Nord) e al part time involontario (79,9% al Sud contro 59,3% al Centro-Nord), frenerebbe la crescita. La Svimez stima che, dopo lo sblocco dei primi licenziamenti da fine giugno, ci siano stati circa 10.000 espulsi dal mercato del lavoro, di cui il 46% concentrato nelle regioni meridionali. Di qui l’indispensabilità di un ruolo attivo delle policy».

Per la Svimez, infatti, «dei quasi quasi 15 punti di crescita previsti per l’Italia nel quadriennio, ben 7 sono riconducibili alla policy. L’effetto delle misure è maggiore al Sud, dove il contributo offerto dagli interventi copre il 58,1% della crescita cumulata nel quadriennio 2021/2024, contro il 45% nel Centro-Nord. L’economia meridionale potrebbe avere una spinta decisiva se si spenderanno interamente i fondi destinati al Mezzogiorno (40%) e se si riuscirà a trasformare la spesa per investimenti pubblici in nuova capacità produttiva in grado di intercettare una quota maggiore di domanda, interna ed estera».

Per l’Ente, «buona parte dei divari di genere, infatti, dell’Italia con l’Unione europea sono ascrivibili alla situazione delle regioni meridionali. La quota di donne neet è molto elevata nel Mezzogiorno, quasi 900mila, con valori intorno al 40% rispetto al 17% nella media europea. A conferma della maggiore difficoltà di accesso al mercato del lavoro delle giovani donne nel Mezzogiorno, il tasso di occupazione delle 20-34enni laureate da 1 a 3 anni è appena il 44% nel Mezzogiorno a fronte di valori superiori al 70% nel Centro-Nord. Rispetto al secondo trimestre 2019, l’occupazione femminile nel Sud si è ridotta di circa 120mila unità nel 2021, (-5%, contro -3,3% del Centro-Nord)».

«Nel campo della sanità – si legge – si registrano valori di spesa pro capite mediamente più bassi nelle regioni del Mezzogiorno. La netta riduzione dell’assistenza ospedaliera operata per massimizzare i risparmi immediati non è andata di pari passo con il rafforzamento dei servizi alternativi all’ospedale, in primis la medicina territoriale. Su quest’ultimo fronte, come mostrano diversi indicatori, i risultati sono stati poco soddisfacenti, soprattutto nel Mezzogiorno, che già partiva da livelli più contenuti di servizi di assistenza territoriale. In particolare, il tasso di assistenza domiciliare integrata, calcolato su 10mila abitanti ultrasessantacinquenni, è pari a oltre 715 al Nord e a più di 636 al Centro mentre cala a 487 nel Mezzogiorno. Alle differenze nelle prestazioni erogate dai diversi Servizi 3 sanitari regionali si associa il fenomeno ormai strutturale della migrazione dal Sud al Nord del Paese dei cittadini alla ricerca di cure mediche».

Per quanto riguarda l’istruzione, la Svimez ha rilevato che «l’Italia e soprattutto il Mezzogiorno rimangono ancora distanti dai target europei nei servizi all’infanzia (il 33% di copertura nella fascia 0-2 anni). Il livello dei posti si attesta al 26,9% dei bambini fino a 2 anni con elevate disparità territoriali: circa il 15% la copertura nelle Regioni del Sud. Il divario tende a chiudersi con il passaggio alla scuola materna e primaria ma la carenza d’offerta a sfavore del Mezzogiorno si sposta dai posti agli orari di frequenza».

«Nel Mezzogiorno – si legge – è molto meno diffuso l’orario prolungato nella scuola d’infanzia (5,3% dei bambini), e, viceversa più diffuso l’orario ridotto (19,7%) rispetto al Centro-Nord (17,3% e 3,6% rispettivamente i bambini ad orario prolungato e ridotto) mentre nella scuola primaria la percentuale di alunni che frequentano a tempo pieno è più bassa nelle regioni meridionali (17,6%) rispetto al resto del Paese (47,7%). Gli early leavers meridionali che lasciano prematuramente il sistema formativo sono il 16,3% al Sud a fronte dell’11,2% delle regioni del Centro-Nord: 253mila giovani meridionali con al massimo la licenza media e fuori dal sistema di istruzione».

Per quanto riguarda la sfida del Pnrr, la Svimez, che ha rilevato che le regioni e Comuni del Sud «soffrono di un’evidente debolezza della macchina amministrativa, il cui numero degli addetti è esiguo», ha ribadito che va «rafforzato il supporto alla progettualità di questi Enti decentrati attraverso: Centri di Competenza nazionali a supporto della Pa (come Consip, Invitalia, Sogei), Centri di Competenza Territoriale, in raccordo con le Università» che l’Ente propone di costituire.

«Un’altra sfida decisiva – ha rilevato la Svimez – riguarda il coordinamento tra fondi del Pnrr e fondi della Politica di Coesione, che non possono andare avanti come due compartimenti stagno, bisogna programmarli e spenderli in sinergia per ottenere il massimo impatto sui territori meridionali. Per il completamento del ciclo 2014/2020 dovranno essere spesi entro il 2023 oltre 30 miliardi, ai quali si vanno a sovrapporre i nuovi fondi del periodo successivo 2021/2027, 83 miliardi, da utilizzare entro il 2030».

«Una quota rilevante di queste risorse dovrà essere impegnata al Sud», quindi è «indispensabile una complementarietà tra politiche di coesione nazionale ed europea col Pnrr, che può avvenire solo a patto che i Programmi della Coesione siano effettivamente aggiuntivi e che siano uniformate le modalità di governance. Questo coordinamento dovrà anche essere esteso alle politiche generali, valorizzando il contributo delle transizioni gemelle verde e digitale delle regioni del Sud, nell’ambito di un disegno di politica industriale che metta a frutto il posizionamento strategico del Paese nel Mediterraneo».

Per quel che riguarda le imprese, la Svimez da un lato «auspica che vi sia un’adeguata capacità di assorbimento delle risorse stanziate, in particolare quelle dedicate alla Transizione 4.0, da parte delle aziende meridionali. Dall’altro, che si semplifichi e si faccia chiarezza sull’obiettivo del trasferimento tecnologico, che rischia di incidere solo marginalmente se persiste l’attuale quadro estremamente frammentato di soggetti che se ne occupano».

«Solo così – ha concluso – l’attuale sistema economico (industria e servizi) del Sud potrà superare il tendenziale ampliamento del divario rispetto alle aree più avanzate del Centro-Nord in termini di capacità innovativa e livelli di conoscenza “inglobati”».

Per la ministra per il Sud, Mara Carfagna, «il rapporto Svimez 2021 presentato oggi conferma gli effetti positivi del Pnrr sulla crescita del Sud nei prossimi anni. Spero che questo possa mettere fine al dibattito spesso strumentale sulla “quota Sud».

«I fondi ci sono – ha sottolineato – l’abbattimento del “muro invisibile” che divide i cittadini del Sud da quelli del Nord non è più la richiesta inascoltata di una periferia del Paese. Non è più la richiesta solo della Svimez o del ministro del Sud, ma sta finalmente diventando una missione nazionale a cui tutti siamo chiamati a collaborare». (rrm)