GUARDANDO AL NORD-EST, C’È L’AMAREZZA
DI UNA CALABRIA INCAPACE DI AFFERMARSI

di SANTO GIOFFRÈ  – Nei giorni scorsi sono stato in Friuli Venezia Giulia e Veneto. Ne ho apprezzato il perfetto ordine regnante. Sanità pubblica al 70%, in grado di affrontare e risolvere tutte le esigenze/emergenze sanitarie della loro gente. Le strade tutte asfaltate, nemmeno una buca a cercarla pedissequamente. Non una busta di spazzatura lanciata o lasciata ai margini. Paesi pieni e curatissimi.

Ricchezze che sbucavano da tutti i vicoli non asfaltati, per sciccheria e trend, dei griffati, ricchissimi vigneti. Eppure, all’inizio del ‘900, per fame, i Veneti emigrarono il doppio dei calabresi, fino al fascismo. La bonifica delle paludi pontine la fecero con i sudori e le vite dei Veneti. Bene, mentre dopo la guerra coloro che governarono il Veneto, pure se fottevano, le cose le facevano, in Calabria, fottevano pure le cose che dovevano fare.

I poteri palesi e oscuri dello Stato, qui, s’inventarono la ‘Ndrangheta, suo vero braccio violento, con l’obiettivo di arricchirsi reciprocamente attraverso il dominio delle risorse che vennero trasformate in economia criminale.
Nel farlo, hanno sospeso la Costituzione e istituzionalizzato, elevandola a governo della Cosa Pubblica, la cromosomica incapacità di elaborazione minima delle dinamiche reali dei processi sociali, approfittando, anche, dell’atavica propensione al servilismo dei calabresi. Trasformandoli in emigranti-schiavi col doppio risultato: manodopera a gogò, con bassi diritti e salari da fame, funzionale solo allo sviluppo economico e industriale del Nord; tenere la Calabria in uno stato di perenne instabilità sociale.

Creando un enorme sottoproletariato di funzione e, per generazioni, eternamente trattenuto dentro una situazione di equilibrio precario a disposizione dello stato dei bisogni di scopo del Potere. Qualsiasi colore assuma quel Potere.

Il Nord-Est ha visto e intrapreso la sua strada. Noi, abbiamo subìto un processo, all’inverso: una perenne sperimentazione su come auto-allevarci vitelli per ogni macello. C’è un articolato piano e processo a monte. Persino il PCI ne uscì, storicamente, strumentalizzato, tanto che non pensò mai a feroci campagne di irregimentazione ideologica delle masse con fasi di lotta armata per l’equilibrio territoriale.

Ora, abbiamo, tenendo conto dell’autonomia differenziata già in vigore, solo due strade da intraprendere: o ci rassegniamo e andiamo verso l’estinzione antropologica dei calabresi, al di là delle battute georgiche come la cosiddetta”restanza” che non ho mai capito cosa sia, se non una banale parola senza un’anima che includa una ricercata prassi sociologica e storica, o passiamo a fasi politiche che portino all’espulsione totale di questa classe dirigente, la qualunque classe dirigente, impadronendoci del nostro destino, gestendolo e sottomettendolo ai bisogni.

Iniziando ad imporre un modo rivoluzionario nella gestione della Cosa Pubblica. Senza accettare nessun mediazione. Decidetevi altrimenti, non vedremo, mai, le bellezze del Nord-Est. (sg)

SANITÀ, OCCHIUTO APPLICHI IL PNRR IN
CALABRIA: È RISPOSTA A CARENZA DEI LEA

di GIACINTO NANCI – Il governatore Roberto Occhiuto ci ha informati che, a seguito delle rielaborazioni condotte per il 2023, sono stati aggiornati i valori degli indicatori P01C (punteggio 92,63) e P02C (93,49) e, di conseguenza, è stato aggiornato dal governo il punteggio (Lea Livelli Essenziali di Assistenza) per l’area della Prevenzione, (che arriva a 68 e supera la soglia di sufficienza.

I Lea sono le prestazioni che il Sistema Sanitario Nazionale è tenuto a garantire a tutti i cittadini, vi sono tre macroaree: 1) Ospedaliera con 24 indicatori, 2) Prevenzione collettiva e sanità pubblica e 3) Assistenza distrettuale, poi vi sono 4 indicatori per la stima del bisogno sanitario, uno di equità sociale e 10 per la valutazione dei percorsi diagnostico-terapeutici (PDTA).

La commissione Lea del ministero della Salute in base ai risultati delle regioni per ognuno di questi indicatori da un punteggio che si somma e dà il punteggio finale che va da 0 a 100, la sufficienza ogni regione la raggiunge se fa un punteggio almeno di 60 per ogni area.

Detto questo, ci sembra impossibile che il Ministero con il ricalcolo di solo due dei sedici indicatori della Prevenzione collettiva P01C (che conta le vaccinazioni dei bambini da 0 a 24 mesi per polio, difterite, tetano, epatite B, pertosse e hib) P02C (che conta le vaccinazioni dei bambini da 0 a 24 mesi per morbillo, pertosse, rosolia) abbia potuto praticamente raddoppiare il punteggio Lea per la Prevenzione collettiva che nel 2022 era di 36,59 e passarla a 68. Intanto si tratta di solo due indicatori su 16, indicatori che comunque nel 2022 erano nientemeno che del 96,13 per passare a 93,40 nel 2023 (media nazionale 94,71).

Quindi come è possibile che una diminuzione delle vaccinazioni abbia potuto far raddoppiare i Lea per la Prevenzione pubblica? C’e ancora di più, i dati delle vaccinazioni P01C E e P02C per come esposti nel sito del ministero della Salute da almeno 10 anni danno la Calabria, sempre al di sopra del 90% (tranne pochissimi tipo Rotavirus).

Un altro dato che sconfessa queste dichiarazioni è che il governatore Occhiuto solo nel febbraio del 2025 ha fatto una conferenza stampa insieme al presidente dell’istituto Gimbe Cartabellotta (che non ha niente da invidiare al ministero della Salute) dove quest’ultimo in base agli studi fatti dal suo Istituto ha dichiarato che si c’è stato un miglioramento dei Lea nel 2023 rispetto al 2022 per la Calabria ma di: a) 7,23 punti per la Prevenzione sanitaria che era di 36,59, b) 5,6 punti per l’Assistenza distrettuale che era di 34,88 e c) di 5,38 punti per l’Ospedaliera che era di 63,78.

È, quindi, più plausibile che siano più realistici i dati dell’Istituto Gimbe perché con due indicatori (P01C e P02C) su 16 è praticamente impossibile un raddoppio dei punteggi Lea per la Prevenzione collettiva. È impossibile anche per un altro motivo di cui il governatore Occhiuto dovrebbe occuparsi (anche perché lo ha firmato) ed è l’applicazione in Calabria del Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) che secondo i dati dello studioso Rubens Curia è applicato soltanto per il 12,5% infatti dei 320 milioni assegnati alla Calabria ne sono stati spesi finora solo 40. Se fosse applicato in toto il Pnrr questo sì che farebbe salire i Lea calabresi, perché prevederebbe 61 Case di Comunità, 20 Ospedali di Comunità e 19 Centri Operativi Territoriali.

Sono in pratica strutture sanitarie per la medicina di prossimità che prenderebbe in carico i calabresi assistiti e specialmente i fragili e delle zone interne e permetterebbe di fare vera prevenzione e diminuirebbe il numero dei calabresi che evitano di curarsi per motivi economici perché sarebbe la medicina a loro vicina. Questa sarebbe la vera risposta alle carenze Lea proprio per l’area della Prevenzione e della medicina Territoriale, e di questo dovrebbe preoccuparsi il governatore Occhiuto visto che i finanziamenti si perderanno in quanto spesi attualmente solo in minima parte.

Altra possibilità per migliorare i Lea è quella che il governatore Occhiuto vada alla Conferenza Stato Regione per battersi affinchè la Calabria non continui ad essere penalizzata per il riparto dei fondi sanitari alle regioni. Infatti la Calabria che ha centinaia di migliaia di malati cronici in più (proprio perché non fa prevenzione), riceve da oltre 20 anni meno finanziamenti di tutti perché non viene applicato il comma 34 dell’art. 1 della legge 662 del 1996, che prevede più fondi dove ci sono più malati e non il contrario per come avviene da oltre 20 anni.

Lo aveva detto anche il dott. Cartabellotta, nella conferenza del febbraio 2025, che i piani di rientro e i commissariamenti in sanità hanno peggiorato le condizioni di salute delle regioni dove applicate per lungo tempo (16 anni) come in Calabria. In Italia abbiamo una delle migliori leggi sanitarie del mondo ma se questa regionalizzazione differenziata sanitaria dà questi risultati (e ne darà di peggiori se l’autonomia differenziata sarà integralmente applicata) che allora il governatore Occhiuto chieda con forza che la sanità torni al governo centrale, affinché tutti i malati vengano curati allo stesso modo in tutta l’Italia. (cn)

[Giacinto Nanci è medico di Famiglia in pensione Catanzaro ed ex ricercatore Healt Search]

IL GIOCO D’AZZARDO IN CALABRIA BRUCIA 5MLD
CURARE LA LUDOPATIA TRA I GIOVANI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Il gioco d’azzardo è un problema in Calabria, soprattutto per i giovani. Nella nostra regione, infatti, nel 2023 sono stati “bruciati” 5 miliardi e mezzo in giochi e scommesse. È quanto denunciato dal consigliere regionale Pietro Molinaro, snocciolando i dati ufficiali del Monopolio di Stato, nel corso del convegno “Ludopatia: vinci solo quando smetti!”, promosso dal coordinamento di Fratelli d’Italia Corigliano-Rossano, che si è svolto nella sala parrocchiale San Giovanni XXIII in contrada Cardame.

Una cifra che fa impressione, considerando che la Calabria è l’ultima regione d’Europa per reddito pro capite, ma «non lo scopriamo oggi che il gioco d’azzardo è oggetto di attenzione della criminalità organizzata. Ma la nostra preoccupazione è anche un’altra: genera usura, dipendenza e impoverimento», ha detto Molinaro.

«Pensare che 5 miliardi e mezzo vengono bruciati – perché questo è il termine giusto – nel gioco d’azzardo, è una grande preoccupazione che dobbiamo avere», ha detto Molinaro, che ha puntato il dito sul ruolo dei Comuni, ricordando l’obbligo previsto dalla legge: «Lo dice l’articolo 16 della legge 9 del 2018: le amministrazioni comunali dovrebbero monitorare il rispetto delle distanze tra sale da gioco e luoghi sensibili come scuole e centri anziani. Ma questo – ha sottolineato – viene monitorato poco e male. Serve più attenzione, più controlli, più prevenzione».

Il  gioco d’azzardo patologico, infatti, non è un problema marginale. È una dipendenza che cresce silenziosamente e che lascia dietro di sé macerie sociali, familiari ed economiche. Il punto non è il gioco in sé, ma quando diventa un comportamento fuori controllo, alimentato da fragilità personali e contesti difficili. L’urgenza è costruire una risposta concreta fatta di prevenzione, informazione, ascolto. E, soprattutto, coinvolgimento dei territori.

Nel corso del convegno, introdotto da Dora Mauro, coordinatrice territoriale Fdi, il senatore di Fdi, Ernesto Rapani, ha illustrato i contenuti di una proposta di legge depositata nel dicembre 2022. Un DDL nato per colmare le lacune dell’attuale normativa, con l’obiettivo di rendere più chiaro e concreto l’intervento dello Stato: «C’è una normativa che al momento non è completa – ha spiegato Rapani – tant’è che è stato presentato un Ddl a firma di senatori di Fratelli d’Italia, che è in valutazione e che stiamo cercando di integrare con la speranza di dare un quadro normativo più chiaro».

Il focus, però, non è sulle pene. Anzi. «Non servono pene – ha detto il senatore – ma prevenzione. Perché purtroppo questa forma di ludopatia che sta dilagando è legata molto a un fattore psicologico. Per questo nel Ddl è previsto che rientri tra i Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), per garantire un sostegno concreto e capillare sul territorio».

Mauro, invece, ha posto l’accento sulla mancanza di consapevolezza del problema, soprattutto tra i giovani: «la ludopatia non riguarda solo gli adulti o gli over 65 – ha detto – ma è largamente diffusa tra i giovani, anche minorenni».

Per questo, attraverso le testimonianze di ragazzi iscritti al partito, abbiamo deciso di accendere i riflettori sul gioco d’azzardo patologico», ha spiegando Mauro, parlando del disturbo come di una minaccia che si estende ben oltre il singolo individuo: «Il problema non sono solo le slot machine presenti sul territorio».

«La vera emergenza è fermare il gioco quando diventa un disturbo comportamentale – ha ribadito –. Perché il disturbo non coinvolge solo il soggetto ludopatico, ma l’intera società: famiglia, economia, relazioni, finanze. Un mondo che ne viene inevitabilmente travolto».

Per Paolo Savoia, già dirigente medico Serd-Asp di Cosenza, specialista in malattie infettive, «la ludopatia non ha età: Riconoscere una dipendenza da gioco d’azzardo significa osservare i comportamenti: tempo eccessivo trascorso a giocare, sbalzi d’umore, difficoltà economiche improvvise, isolamento sociale, tendenza a mentire su quanto si gioca. Segnali sottili, ma spesso ricorrenti, che possono aiutare a individuare il problema in fase iniziale».

«Il primo passo – aggiunge Savoia – è parlare. Trovare  qualcuno che ascolti senza giudicare. Anche solo rompere il silenzio, spesso, è già un grande aiuto. E da lì si può costruire un percorso con figure professionali competenti». Un percorso che non deve essere lasciato al caso».

Salvatore Perfetto, esponente di Gioventù Nazionale, si è focalizzato sul problema della percezione sociale: il gioco d’azzardo è considerato molto più accettabile rispetto ad altre dipendenze. Ed è qui che si nasconde la trappola».

Perfetto ha legato la diffusione del fenomeno a condizioni di disagio: «Più è alto il disagio – povertà, disoccupazione, isolamento – più alta è la probabilità che un giovane cada nella dipendenza da gioco».

Per questo ha proposto la costruzione di una rete territoriale, con il coinvolgimento di scuole, enti locali, regioni, terzo settore ed esperti, per avviare giornate di prevenzione e informazione, oltre alla promozione di comitati giovanili per sensibilizzare i coetanei. A rafforzare questo appello è stato Fabio Carignola, giovane di Fdi, che ha evidenziato la gravità della situazione: «Il vero problema – ha sottolineato – è che il ludopatico ha difficoltà ad ammettere di avere un problema. Ecco perché il fenomeno è così difficile da contrastare».

Carignola ha poi condiviso un dato allarmante: molti ragazzi della sua età raccontano di giocate che superano i 70 euro al giorno. Un segnale che, secondo lui, impone un intervento rapido e deciso, a partire proprio dal coinvolgimento delle nuove generazioni.

Un problema ben noto alla Regione che, in tre anni, «ha messo a terra e programmato complessivamente oltre 6 milioni di euro per contrastare le dipendenze patologiche: dalla tossicodipendenza alla ludopatia, con un’attenzione particolare alla prevenzione tra i giovani. Solo nella provincia di Cosenza, oltre 8mila studenti sono e saranno coinvolti in programmi di tutela e prevenzione», ha detto Pasqualina Straface, nel ruolo di consigliere delegata dal Presidente alle politiche per le dipendenze patologiche.

«Complessivamente – ha spiegato – negli ultimi due anni, la Regione Calabria ha messo a terra 4,5 milioni di euro di fondi destinati alla prevenzione, al recupero e alla riabilitazione. Ma non è finita qui, perché il prossimo 30 aprile – annuncia la consigliera delegata alle politiche per le dipendenze patologiche – la Regione chiederà al Ministero della Salute un ulteriore finanziamento di 1,5 milioni di euro, per portare le risorse complessive a 6 milioni di euro».

«Insieme al Presidente Occhiuto – ha ricordato – stiamo coordinando tutti i programmi e gli eventi regionali per il contrasto alle dipendenze patologiche e al gioco dazzardo, mettendo in campo, in stretta collaborazione con il Dipartimento regionale salute, tutte le misure possibili utili mappare e governare  il fenomeno. Questo ci sta consentendo di mettere in atto strumenti efficaci, intercettando ed utilizzando ogni utile risorsa resa disponibile dal Ministero della Salute».

«In soli due anni, con il coinvolgimento di docenti e studenti, l’azione di contrasto alle dipendenze attuata dalla Regione ha coinvolto ben 90 istituti scolastici calabresi, tra scuole secondarie di primo grado e scuole superiori, di cui 24 nella provincia di Cosenza. Questo – ha sottolineato la Presidente della Terza Commissione – ci ha consentito di alzare nelle scuole una prima ed importante cortina difensiva contro le dipendenze».

«Inoltre, sono stati istituiti 15 servizi terapeutici gestiti da comunità specializzate, che accolgono i giocatori patologici che in collaborazione con i SerD oggi hanno intrapreso un percorso di riabilitazione e di reintegrazione sociale». (ams)

IL GEN. ERRIGO: PER IL BENE DI CROTONE
UNA SCELTA DIFFICILE MA OBBLIGATA

di EMILIO ERRIGO – Cari cittadini calabresi, mi rivolgo a voi da orgoglioso calabrese, come Commissario Straordinario di Governo per il Sin di Crotone, come uomo dello Stato, come servitore delle istituzioni pubbliche, sempre fedele ai principi fondanti del nostro ordinamento.

In un contesto in cui per tanto tempo si è atteso, discusso, rinviato, il 3 aprile 2025 scorso ho ritenuto doveroso intervenire con una ordinanza dettagliata sulla bonifica di un sito che, non certo a caso, è inquadrato come sito di Interesse nazionale.

Sapete cos’è l’interesse nazionale? È ciò che serve a proteggere e far crescere il benessere, la sicurezza, la libertà e l’identità di un Paese e dei suoi cittadini. Sono quelle cose importanti che uno Stato deve difendere o realizzare per garantire il futuro della propria comunità.

Emanare l’ordinanza n. 1/2025 è stata una scelta dettata dall’urgenza e dalla responsabilità che il mio ruolo comporta. Quando i fatti diventano chiari, le decisioni – benché richiedano un giusto tempo tecnico di analisi e ponderazione – non possono essere rimandate. Crotone attende da decenni una bonifica. I cittadini attendono risposte ed è a voi che questa ordinanza parla indirettamente. Certo, lo fa con un linguaggio doverosamente burocratico, ma con la concretezza che i tempi esigono.

Ho sempre nutrito profondo rispetto istituzionale per la buona politica e per quelle amministrazioni territoriali che si muovono quotidianamente tra problematiche sociali di ogni genere, vincoli molto complessi, risorse contenute e spesso insufficienti, nel tentativo – il più delle volte autentico e sincero – di operare per il bene comune.

Ragione per la quale, sin dall’inizio del mio mandato, mai mi sono sottratto a interventi pubblici in ogni sede possibile (Consiglio Regionale, in Consiglio Comunale, in confronti con associazioni, comitati e sindacati). Ma la dialettica politica, le divergenze di vedute, le logiche di schieramento partitico, la ricerca di equilibri possono rallentare processi vitali. E quando la salute collettiva è in gioco ogni prolungata esitazione ha un costo.

In un processo complesso, molto risalente nel tempo e particolarmente delicato come quello della bonifica del Sin di Crotone, credo sia poco utile – e potenzialmente dannoso – impostare il dibattito pubblico come uno scontro tra c.d. “poteri forti” e una “collettività vittima”.

Questa narrazione a mio avviso alimenta tensioni e, al tempo stesso, allontana i cittadini da una comprensione della realtà. Vi assicuro che non siamo di fronte a blocchi contrapposti che si fronteggiano, ma a una sfida collettiva che richiede cooperazione. I soggetti coinvolti nella bonifica devono muoversi con responsabilità precise in mezzo a quadri regolatori internazionali, europei e nazionali molto articolati, strumenti tecnici, soggetti privati e pubblici chiamati a rispondere a norme, a obblighi e scadenze.

Sarò il primo a battermi affinché la cittadinanza possa esercitare, nel rispetto della legalità, il proprio diritto a esprimere opinioni e preoccupazioni, e perché no, un civile e democratico dissenso. Ma sarò anche il primo a battersi affinché si evitino le semplificazioni. La verità, in vicende complesse come questa, non può e non deve essere ingabbiata in narrazioni ridotte e sintetizzate per slogan.

È invece fondamentale che si affermi con forza la cultura dell’approfondimento, dell’informazione, del confronto costruttivo, istituzionale, trasparente. Perché solo in questo modo i cittadini possono davvero comprendere, valutare e – se lo ritengono – criticare ma sulla base di elementi reali, e non di rappresentazioni che alimentano sfiducia.

L’ordinanza commissariale stabilisce una linea operativa fondata su fatti concreti:  oggi, l’unica discarica italiana attrezzata per ricevere rifiuti pericolosi è a Crotone; Regione, Provincia e Comune hanno deciso che i rifiuti pericolosi del Sin di Crotone devono essere smaltiti inderogabilmente fuori dalla Calabria, proprio dove è possibile farlo in sicurezza; La discarica di Crotone, tuttavia, riceve da altri luoghi della Calabria stessa e da altre regioni italiane tutti i giorni tonnellate di rifiuti pericolosi uguali a quelle del Sin di Crotone.

Cari cittadini, questi fatti non sono in linea con il diritto. E io sono stato nominato per decidere secondo i dettami del diritto. Ecco perché ho deciso nel solco della legalità, dell’equilibrio e del rispetto delle norme in vigore. Il mio compito istituzionale è quello di accelerare, promuovere e coordinare un processo di bonifica che, a Crotone, Cassano e Cerchiara, è atteso da troppo tempo.

C’è chi ha ricordato a mezzo stampa che io non ho un mandato popolare. È vero! Ma ho un mandato istituzionale chiaro. E quel mandato lo onorerò sino all’ultimo giorno con la stessa fedeltà con cui, da appartenente alla Guardia di Finanza, ho giurato sulla Costituzione della Repubblica.

Non c’è firma più sentita, più convinta, di quella che ho apposto su questa ordinanza. E se quella firma servirà ad evitare anche solo una malattia in più, o una vita spezzata, a causa degli agenti inquinanti che infestano il nostro territorio, io sentirò di aver fatto il mio dovere.

L’ordinanza prevede – tra gli strumenti straordinari – anche l’eventuale avvalimento delle Forze Armate e delle Forze di Polizia. Capisco che ai più, questa possa apparire una cosa eccessiva. Ma non si tratta di un gesto di forza. Non è, e non sarà mai, un atto punitivo. Vi invito a riflettere sul fatto che tale azione di eventuale avvalimento è piuttosto una risorsa. È uno strumento di difesa e protezione civile a supporto della collettività, quando questa chiede aiuto e lo merita.

Lo abbiamo visto nel 2008, quando l’Esercito italiano fu chiamato a rimuovere la spazzatura che soffocava le strade di Napoli. Abbiamo visto uomini in divisa e mezzi specializzati dopo ogni terremoto (in Irpinia, in Umbria, in Abruzzo). Lo abbiamo visto recentemente nei giorni drammatici dell’alluvione in Emilia-Romagna.

E chi dimentica le immagini dei camion militari che trasportavano le bare a Bergamo, durante il picco del Covid, o chi dimentica l’azione quotidiana nelle nostre strade e nelle nostre città di uomini e donne con la divisa, dimentica lo Stato che fa il proprio dovere, nel silenzio, con disciplina e umanità. Gli appartenenti alle Forze Armate e Forze di Polizia non sono mai “contro” i cittadini. Sono “con” i cittadini. Sono parte di questa comunità. Servono in certi momenti a costruire, a proteggere, a intervenire dove serve competenza, sacrificio, ordine.

In certe emergenze – e quella ambientale di Crotone lo è a pieno titolo – non si può chiedere alla normalità di risolvere ciò che solo uno strumento straordinario può affrontare.

Io sono qui per questo. Per assumermi questa responsabilità. Per affermare, senza arroganza e con la forza del diritto, che questa Calabria, la mia Calabria, merita fermezza.

Sento, oggi più che mai, che con me ci sono molti cittadini onesti. Le nuove generazioni. I volti di chi chiede giustizia, dignità, tutela. Agire non è dividere. Agire, per me, significa essere al servizio dello Stato.

Con rispetto e determinazione. (ee)

[Emilio Errigo è commissario straordinario di Governo per la bonifica del Sin di Crotone-Cassano e Cerchiara]

IN CALABRIA È INVERNO DEMOGRAFICO
NEL 2024 I NATI SONO IL 4,5% IN MENO

di CLAUDIO VENDITTI – Preoccupa il quadro delineato dall’Istat nel rapporto “Indicatori demografici Anno 2024” dal quale emerge, a livello nazionale, un calo demografico delle nascite, pari al -2,6%.

Il tasso di natalità in Calabria è stato del 6,9 mentre quello di mortalità dell’11,3 con un saldo naturale (nascite/decessi) di -4,4. I nati in Calabria nel 2024 sono stati 12.700, nel 2023 erano stati 13.282 e nel 2022 13.451.  In calo anche il numero medio di figli per donna, stimato dall’Istat per il 2024 in 1,18 a livello nazionale in Calabria 1,25 e siamo ai minimi storici.

L’età delle neomamme a livello nazionale è del 32,6 in Calabria 32,4 media delle partorienti è di 32,4 anni, Con 1,18 figli per donna nel 2024 il tasso di fecondità è ai minimi storici. Il saldo naturale, ovvero la differenza tra nascite e decessi, continua a essere fortemente negativo (-8.034).

Stiamo sprofondando nelle sabbie mobili, ed è evidente che quanto stiamo mettendo in campo, come sistema-Italia, è del tutto insufficiente per garantire un minimo equilibrio demografico. Da anni si chiede una rivoluzione che il nostro Paese non è ancora disposto ad assumere, vittima di priorità che sono sempre altre, di mancate convergenze transpartitiche, di fragilità di alleanze tra politica, amministrazione locale, lavoro associazionismo e scuola.

A tal fine mi faccio portavoce nel chiedere una Conferenza Regionale sulla famiglia. Ma anche politiche asfittiche e vincolate a patti di bilancio stringenti che invece si fanno flessibili per altre urgenze. L’anno della famiglia sembra sempre essere il prossimo in agende ormai attanagliate da crisi mondiali che oggi ci portano anche a parlare di guerra, militare o di dazi, come una possibilità di scenario ordinario. Cresce ancora anche il numero di italiani che lasciano il Belpaese.

Nel 2024 sono stati 156mila, un +36,5% con un impatto significativo per la Calabria gravata anche dal fenomeno delle migrazioni interne: -8.376. La popolazione residente in Calabria al 1° gennaio 2025 è di 1.838.568 di cui circa 106 mila di nazionalista straniera.  L’Istat ci dice che il numero medio di componenti per famiglia è sceso a 2,2, rispetto ai 2,6 di venti anni fa.

Oggi circa un terzo delle famiglie anagrafiche in Italia è costituito da una sola persona evidenziando che il tema delle solitudini cresce in modo preoccupante. Le coppie con figli rappresentano meno del 30%, mentre aumentano le famiglie monogenitoriali (10,8%) e quelle senza figli (20,2%).

Stiamo consumando il futuro in un’epoca che si fa vanto di cercare sempre la sostenibilità è il commento del presidente del Forum. Urgono politiche strutturali, generose ed universali orientate a famiglia e giovani. In tal senso, serve il coraggio, l’unità e la capacità di programmare per fare, da subito, le scelte operative conseguenti, considerando la spesa per far crescere il figlio, non come un costo individuale ma come investimento per il futuro dell’intera comunità.

Occorre cambiare cultura e supportare la famiglia come soggetto sociale che, se messo nelle condizioni, è capace di generare benessere per tutto il Paese. (cv)

[Claudio Venditti è presidente del Forum famiglie della Calabria]

SANITÀ, IN CALABRIA SPESI SOLO 40 MILIONI
DEI 320 DISPONIBILI (INCLUSI I FONDI PNRR)

di RUBENS CURIA e FRANCESCO COSTANTINO – È sempre accaduto che, situazioni impreviste, modifichino il corso della storia e i popoli si trovino davanti a un bivio.

Il mondo intero, e più ancora l’Europa, negli ultimi 5 anni hanno dovuto fare i conti con una pandemia devastante e con un conflitto bellico come non se vedeva da 80 anni.

Nel primo caso la risposta più rilevante la si è individuata nel Pnrr per il quale le risorse destinate all’Italia risultavano pari a 194,4 mln di euro ripartite in 7 missioni: Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; Rivoluzione verde e transizione ecologica; Infrastrutture per una mobilità sostenibile; Istruzione e ricerca; Inclusione e coesione; Salute; RepowerEU

Per finanziare ulteriori interventi il Governo italiano ha approvato un Piano Nazionale Complementare (Pnc) con risorse pari a 30,6 miliardi di euro.

In aggiunta, il Piano promuove un’ambiziosa agenda di riforme, e in particolare, le quattro principali riguardano: pubblica amministrazione; giustizia; semplificazione; competitività

Il Pnrr ha destinato alla Missione Salute  15,63 milioni di euro, pari all’8,16% dell’importo totale, per sostenere importanti riforme e investimenti a beneficio del Servizio sanitario nazionale, da realizzare entro il 2026.

Ma, complessivament,e le risorse straordinarie per l’attuazione del Pnrr e il rinnovamento della sanità pubblica italiana superano i 20 miliardi di euro.

Tra queste, le risorse messe in campo dall’Italia con il Piano nazionale per gli investimenti complementari (PNC), che destina alla salute ulteriori 2,89 milioni di euro.

Le risorse disponibili servivano: per adeguare il nostro SSN a un mutato contesto demografico ed epidemiologico; per garantire uguaglianza nel soddisfacimento dei bisogni di salute, indipendentemente dal genere e dalle condizioni socioeconomiche; per rendere la rete dell’assistenza primaria territoriale in grado di rispondere al fabbisogno di salute lasciato scoperto dalla razionalizzazione della rete ospedaliera; per rendere capillare l’offerta di salute sul territorio, in termini di prevenzione e cura, eliminando le disparità geografiche, in particolare tra Nord e Sud; per sfruttare appieno le opportunità di miglioramento dell’offerta di salute derivanti dall’impiego dell’innovazione tecnologica, dall’avanzamento della ricerca in campo medico e dalla valorizzazione del personale del SSN.

Se limitiamo lo sguardo a ciò che è accaduto in Calabria, per quanto desumibile dall’ultima relazione di  monitoraggio sulle linee d’intervento della Missione 6 pubblicata sulla piattaforma Regis (gennaio 2025), non possiamo non essere preoccupati perché a fronte di circa 320.000.000 milioni di euro complessivamente disponibili, risultano impegni assunti per poco più di 40.000.000 milioni di euro e pagamenti effettuati per circa 18.000.000 milioni, dovendosi concludere la spesa rendicontata entro l’anno 2026.

Leggiamo, in questi giorni, che per i progetti che si stima non possano essere conclusi entro il termine ultimo dell’anno 2026 sarà possibile “spondare” gli investimenti sui fondi di coesione della comunità europea per avere maggiore termine temporale per la spesa.

Tutto questo ci preoccupa per 2 ordini di motivi. Il primo perché la sanità calabrese ha, quanto mai, bisogno urgente di una assistenza primaria territoriale in grado di rispondere al fabbisogno di salute lasciato scoperto dalla razionalizzazione della rete ospedaliera, e ogni ritardo non fa che aggravare una situazione già di per sé precaria.

Il secondo perché non ci convince il principio che, ai fondi di coesione, venga sottratta una quota importante di risorse.

Lo spostamento sui fondi per la coesione significa che la dimensione quantitativa di quei fondi che dovevano essere destinati ad altre misure verrà ridimensionata e la pratica dello “spondamento” di fondi su altre fonti di finanziamento diverse da quelle originariamente previste rappresenta sempre una perdita secca.

Se la spesa programmata con i fondi del Pnrr fosse stata effettuata nei tempi stabiliti, non ci sarebbe stato bisogno di usare i fondi per la coesione.

A meno che le somme non spese in tempo utile in ambito Pnrr non diventino aggiuntive di quelle ordinarie dei fondi di coesione europei. Ma questo non è stato chiarito. (rc, fc)

[Rubens Curia e Francesco Costantino sono di Comunità Competente]

IL PORTO DI SALINE VERSO UN’APERTURA
OPERATIVA: CHE SIA LA VOLTA BUONA?

di SILVIO CACCIATORE – «Per il porto di Saline Joniche sono in corso le fasi di progettazione per una prima apertura operativa:si tratta di una striscia di circa 70 metri, necessaria a renderlo funzionale. L’intervento prevede anche il rifacimento del molo di sopraflutto e la realizzazione di un pennello-trappola per garantire – o quantomeno ridurre al minimo – il rischio di insabbiamento. Si tratta di un intervento abbastanza impegnativo da un punto di vista economico».

Il contrammiraglio Antonio Ranieri, commissario straordinario dell’Autorità di sistema portuale dello Stretto, lo ha dichiarato in occasione dell’incontro dedicato al Masterplan per l’area dello Stretto, tenutosi a Reggio lo scorso 25 marzo. La riattivazione del porto di Saline, inserita tra gli obiettivi strategici dell’ente, torna dunque al centro del dibattito con un aggiornamento che conferma quanto delineato negli ultimi mesi: si lavora alla progettazione esecutiva, passaggio tecnico propedeutico alla gara d’appalto.

Che sia davvero la volta buona? Nato negli anni Settanta nell’ambito del cosiddetto “Pacchetto Colombo”, il porto di Saline Joniche era stato pensato come snodo cruciale per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno, in particolare per servire l’impianto mai entrato in produzione della Liquichimica, uno dei più grandi esempi di cimitero industriale del sud Italia. L’infrastruttura, imponente ma mai entrata davvero in funzione a causa della sua insabbiatura che l’ha reso inagibile, è rimasta per decenni un simbolo di incompiutezza, ma anche una risorsa potenziale rimasta intatta lungo la costa ionica reggina. Oggi, a cinquant’anni di distanza, torna con forza nel dibattito pubblico e istituzionale.

«Siamo nella fase di progettazione, che dovrà poi diventare esecutiva per poter procedere alla gara. L’obiettivo è una copertura operativa parziale. Prima, però, dobbiamo concludere la progettazione esecutiva e successivamente andare in gara. Sono in corso anche le approvazioni ambientali, poiché si tratta di un intervento che include dragaggi. Il dragaggio sarà seguito – per quanto possibile – dal riutilizzo delle sabbie rimosse sui litorali adiacenti. Siamo in linea con i tempi. Tuttavia, gli stessi sono lunghi a causa della complessità sia delle attività di progettazione, sia delle autorizzazioni ambientali, che richiedono una valutazione a livello nazionale».

Una visione che trova conferma nel progetto di fattibilità redatto dalla società Wavenergy, oggetto della conferenza dei servizi decisoria svoltasi nel 2023, con un investimento stimato intorno ai 10 milioni di euro. Gli interventi contemplati erano e sono funzionali al parziale ripristino dell’accessibilità del porto, con l’obiettivo di renderlo operativo inizialmente per il diporto nautico, con una previsione tra i 100 e i 150 posti.

Ecco gli interventi, ribaditi da Ranieri: dragaggio del fondale, messa in sicurezza della testata del molo di sopraflutto, realizzazione del pennello-trappola e interventi sull’impianto elettrico. Tutti elementi tecnici pensati per affrontare uno dei nodi strutturali dell’infrastruttura: l’insabbiamento del bacino portuale, che secondo uno studio dell’Università Mediterranea dipenderebbe da una gestione inefficace dei sedimenti costieri e non da errore progettuale.

Interventi che, nel loro insieme, non sono semplici opere di manutenzione, ma costituiscono la base tecnica per ridare vita a un’infrastruttura abbandonata da oltre un decennio, la cui riattivazione richiede oggi un coordinamento multilivello, con al centro anche il Ministero dell’Ambiente, impegnato nella valutazione degli effetti dei dragaggi.

A confermare la centralità strategica del sito è anche quanto accaduto negli scorsi mesi quando, a seguito del dietrofront della multinazionale Baker Hughes da un investimento previsto a Corigliano-Rossano, venne proposto Saline Joniche come sede alternativa per l’insediamento industriale. L’ipotesi non si è mai tradotta purtroppo in un passaggio operativo, ma ha acceso un faro sulla valenza infrastrutturale e logistica del porto, capace di attrarre l’interesse di attori internazionali, a patto che le condizioni tecniche lo rendano agibile.

Oggi il porto resta chiuso, ma il percorso amministrativo tracciato si conferma attivo. Le tempistiche restano condizionate dalla necessità di coordinare più livelli decisionali, soprattutto in materia ambientale. Il rilancio di Saline, mai abbandonato nei piani dell’Autorità portuale, sembra dunque mantenere il proprio orizzonte. La prospettiva di una riattivazione graduale, limitata ma concreta, è tornata ad avere voce ufficiale.

E in un territorio dove la parola “futuro” spesso resta astratta, rimuovere anche solo settanta metri di sabbia può voler dire molto: più di quanto suggerisca la misura, più di quanto abbiano saputo fare in tanti anni le promesse mancate e le occasioni perdute per l’Area Grecanica. (sc)

[Courtesy LaCNews24]

DISPERSIONE SCOLASTICA: IN CALABRIA È EMERGENZA:
È ULTIMA TRA LE REGIONI

di GUIDO LEONE – Nei giorni scorsi sono iniziate le rilevazioni Invalsi 2025 con le prove per gli studenti e le studentesse dell’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado che, a giugno prossimo, affronteranno l’esame di Stato del secondo ciclo d’istruzione.

Le prove si concluderanno il 31 marzo in più giornate, secondo il calendario prescelto dalle Scuole. Gli studenti calabresi delle quinte classi campione del superiore coinvolti dalle rilevazioni, che  sosterranno le prove di Italiano, Matematica e Inglese (reading e listening) al computer, saranno circa 1100, quelli delle terze classi “campione” delle scuole medie inferiori circa 350 e quelli delle classi “campione” delle seconde media superiore circa 1200.

I test Invalsi, introdotti con una legge del 2007 per valutare il livello generale del sistema scolastico italiano, sono requisiti di ammissione alla maturità e agli esami di terza media, tuttavia va sottolineato che i risultati delle prove Invalsi non influenzeranno né la  promozione né il voto finale degli studenti in corsa per il diploma.

Le Prove Invalsi, dunque, rappresentano un momento fondamentale per il sistema educativo italiano e offrono una valutazione standardizzata delle competenze acquisite dagli studenti. L’edizione 2025 è ricca di novità e sfide, interessando tutti i gradi scolastici – dalla scuola primaria alla secondaria – e rappresentando un importante indicatore del livello di preparazione degli alunni e dell’efficacia dell’offerta formativa nazionale.

Quali gli obiettivi delle prove e  il calendario  completo per ogni ordine e gradolo vediamo qui di seguito.

Le prove permettono di misurare le capacità in ambito linguistico, matematico e, per alcune classi, anche in inglese. L’obiettivo è monitorare l’apprendimento in modo trasversale, individuando punti di forza e criticità.

I risultati forniscono dati preziosi per le istituzioni, utili a individuare aree di miglioramento e a orientare interventi mirati per una didattica sempre più efficace.

Gli esiti delle prove aiuteranno insegnanti e dirigenti scolastici a rivedere metodi e strumenti di insegnamento, favorendo un processo di aggiornamento continuo e mirato.

La diffusione dei risultati, in termini di votazioni e medie di classe, contribuisce a una maggiore trasparenza del sistema scolastico, evidenziando il valore aggiunto delle pratiche educative adottate nelle scuole.

Calendario delle Prove Ivalsi 2025

Le date delle prove variano in base all’ordine e al grado scolastico. Gli alunni delle quinte elementari si cimenteranno nella prova di italiano il 7 maggio. Nella prova di matematica il 9 maggio e nella prova di inglese il 6 maggio, quest’ultima non per gli allievi delle seconde classi.

La modalità di somministrazione cambia a seconda del ciclo d’istruzione: nella Scuola primaria le prove avvengono simultaneamente nello stesso giorno per ogni materia e alla stessa ora con la tradizionale modalità carta e matita.

Gli studenti che corrispondono alle classi terze medie, sosterranno le prove dal 1 al 30 aprile. Le classi campione affronteranno le prove nei giorni 1, 2, 3 e 4 aprile 2025.

Gli studenti del secondo anno delle scuole superiori dovranno sostenere solo le prove di italiano e  matematica tra il 12 e il 30 di maggio comprendendo le classi campione  e non.

In via sperimentale, in questo anno scolastico solo nelle classi campione sono rilevate, per la prima volta, le Competenze digitali.

Tale rilevazione ha come finalità la misurazione dell’attuale livello di competenze digitali delle allieve e degli allievi.

Come sono andate le prove Invalsi nelle scuole calabresi

Le prove Invalsi continuano di anno in anno a restituire il volto di un Paese diviso in due con differenze territoriali in italiano e matematica sempre marcate. Anche gli esiti delle ultime prove 2024 hanno evidenziato che l’istruzione al Sud resta un’emergenza, con una situazione incredibile, diremmo quasi drammatica in particolare per la Calabria.

Gli ultimi dati, infatti, hanno evidenziato un peggioramento nelle competenze di base in italiano e matematica con la nostra regione particolarmente colpita. Già a partire dal ciclo primaria dove si evidenzia una considerevole differenza di opportunità di apprendimento che si riverbera anche sui gradi successivi interamente a svantaggio della Calabria e anche di alcune regioni meridionali.

La quota di chi non raggiunge il prescritto livello A1 è circa doppia rispetto al dato nazionale e più che doppia rispetto all’Italia settentrionale.

Alle superiori la musica non cambia: La Calabria ultimo posto tra le regioni italiane, i nostri allievi non raggiungono gli obiettivi previsti al termine del secondo ciclo.

Secondo il rapporto Invalsi, per quanto riguarda il rischio dispersione scolastica implicita al termine del primo ciclo d’istruzione, la Calabria rientra nel 1° gruppo delle regioni in cui oltre il 20% di studenti e studentesse (non meno di 1 studente su 5) è a rischio dispersione. Anche se si nota un miglioramento tra il 2023 e il 2024 con un -3,3 punti percentuali.

Così al termine del II ciclo dove oltre il 10% degli studenti (almeno 1 su 10) è a rischio. La Calabria è al 9,3% a fronte della media italiana che è del 6,6%. Anche qui un miglioramento rispetto all’anno scorso  del -4,7 punti percentuali.

Forte la disuguaglianza educativa in Calabria

Insomma i divari territoriali non migliorano e rimangono forti evidenze di disuguaglianza educativa al Sud e in particolare in Calabria: le scuole riescono a fatica ad attenuare l’effetto delle differenze socio-culturali del contesto familiare e le disparità esistenti tra scuole e anche tra classi.

La principale criticità della scuola in Italia riguarda ovviamente la qualità degli apprendimenti degli studenti, inferiore a quella degli altri paesi avanzati

Una possibile ricetta per migliorare gli apprendimenti nel nostro Paese? Un nuovo modello di reclutamento e di carriera degli insegnanti, una didattica rinnovata nel contesto di una scuola estesa al pomeriggio, interventi sostanziali sull’edilizia scolastica.

Riemerge, però, in tutta la sua drammaticità, l’urgenza di rimettere al centro dell’attenzione politica e dei nostri governanti l’istruzione e la formazione come emergenza sociale per il sud e la Calabria in particolare.

E, mentre le regioni più avanzate, a questo punto, vogliono andare per la loro strada con la autonomia differenziata, si palesa in maniera drammatica una questione meridionale all’interno del sistema scolastico nazionale.

Speriamo che i prossimi esiti Invalsi 2025 smentiscano la tendenza di una Italia che procede a due velocità. (gl)

[Guido Leone è già dirigente tecnico Usr Calabria]

FONDI UE, CALABRIA FERMA ALL’1,31%
ANCORA INCAPACE DI SAPER SPENDERE

Ritardi nell’avanzamento della spesa dei fondi europei. Lo stato di attuazione del programma 2021-2027 del fondo europeo di sviluppo regionale (Fers), vede la Regione Calabria ferma all’1,31% nell’avanzamento dei pagamenti e al 3,59% per ciò che concerne gli impegni di spesa. Che tradotto in soldoni significa che dei 2.405,17 miliardi destinati alla Calabria, le risorse impegnate ammontano a 86,37 milioni mentre i pagamenti non vanno oltre i 31,40 milioni.

Va un po’ meglio per quanto riguarda invece i fondi Fse+: l’avanzamento degli impegni segna il 7,01% mentre quello dei pagamenti il 5,93%. Sono questi alcuni dei dati che emergono da Check-Up Mezzogiorno 2024, l’analisi sullo stato di salute dell’economia meridionale realizzato annualmente da Confindustria e SRM.

Fondi europei

I dati relativi all’attuazione della programmazione 2021-2027 soprattutto nelle regioni del Sud sono ancora molto bassi, seppur ci si trovi quasi alla revisione di metà periodo. Questo – secondo l’associazione degli industriali – «è sicuramente imputabile a varie cause, primo tra tutti il fatto che la programmazione è di per sé partita con due anni di ritardo a causa della situazione emergenziale dovuta alla pandemia, che ha interrotto i negoziati sui regolamenti e di conseguenza l’approvazione del quadro legislativo europeo e poi dell’Accordo di partenariato e dei piani nazionali e regionali». Inoltre, «la concomitanza con l’introduzione del Pnrr ha portato le amministrazioni a spendere per prime, per non perderle, tali risorse». Al 31 dicembre 2024 sono i programmi regionali delle regioni classificate come “più sviluppate” a far registrare il tasso più alto di risorse impegnate (30,9%) e di pagamenti effettuati (10%, il doppio della media nazionale). Con riferimento alle Regioni del Mezzogiorno, il dato complessivo è pari all’11% di impegni e al 3% di pagamenti, con una performance migliore per i Piani Nazionali. «Questo andamento eterogeneo – rilevano gli industriali – è sicuramente anche imputabile al fatto che le risorse a disposizione sono molte di più nelle regioni classificate come meno sviluppate».

Tra queste, registrano buone performance i FSE + di Puglia e Campania. In linea generale, l’attuazione del FESR, e quindi del fondo più specificatamente a sostegno delle imprese, è ferma a un 1,5%, dato ben al di sotto della media nazionale.

Accordi per la Coesione, Calabria da zerovirgola

Introdotti nel 2023, gli Accordi per la Coesione costituiscono i nuovi strumenti operativi per la gestione delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione. A differenza che nel passato, gli interventi finanziati con le risorse del Fondo vengono concordati tra le Amministrazioni e il Governo.

«Il necessario tempo per la negoziazione degli accordi – si legge nel report – ha portato alla stipula degli stessi con tempi diversi da regione a regione, comportando inevitabilmente effetti sull’attuazione».

A livello nazionale i pagamenti non arrivano ancora all’1%, mentre a livello regionale nel Sud spicca la Basilicata, con un livello di pagamenti pari al 3%. Mancano i dati relativi all’attuazione degli Accordi in Campania e Sardegna, in quanto la firma stessa dell’accordo in queste due Regioni è arrivata tardivamente e non sono stati elaborati ancora i dati sui pagamenti. Mentre la Calabria è ferma allo 0,03% sui pagamenti e allo 0,09 sugli impegni.

Crescono le società di capitali: +4%

A fine 2024 le imprese attive nel Mezzogiorno erano più di 1 milione e settecentomila e, pur se in lieve calo rispetto al dato del 2023 (-1,2%), rappresentano poco più di un terzo del totale nazionale. Le Società di capitali al Sud continuano, invece, a mostrare un andamento in crescita, superando le 425 mila unità, con un +4,2% rispetto all’anno precedente che equivale ad oltre 17 mila nuove imprese di capitale. Per tutte le regioni della macroarea la dinamica è la stessa: ad un calo del numero complessivo di imprese si contrappone una crescita delle società di capitaliche mostrano le migliori performance in Campania (+4,8%), Puglia (+4,6%), Calabria (+4,1%). Dal Pollino allo Stretto le imprese attive nel 2024 sono state 157.410, in calo dell’1,7% rispetto al 2023 mentre le società di capitali hanno toccato quota 32.431.

Export

Nel 2024 l’export delle regioni del Sud è stato pari a quasi 65 miliardi di euro, circa l’11% del dato nazionale, con un calo rispetto al 2023 (-5,4%, contro un -0,6% per il Centro-Nord) ed un saldo commerciale negativo per quasi 5,5 miliardi. Guardando alle sue regioni, le prime due per flussi internazionali in uscita (Campania e Sicilia) rappresentano più della metà dell’export della macroarea; in particolare, la Campania registra un valore di oltre 21,6 miliardi di euro con un calo del 2,5% rispetto al dato del 2023 e la Sicilia un valore di quasi 13,2 miliardi con un calo dell’8,3%. La Calabria, invece, ha registrato un dato pari a 965 milioni con una variazione in positivo rispetto al 2023 del 9,4% e un saldo commerciale negativo pari a -267,3.

Occupazione

I dati sull’occupazione mostrano che, al 2024, nel Mezzogiorno si è concentrato quasi il 27% dell’occupazione nazionale e il 23,5% di quella femminile, valori decisamente più bassi se rapportate alla quota della popolazione che vive al Sud. Guardando all’andamento rispetto allo scorso anno, l’occupazione nel Mezzogiorno aumenta del 2,2%, un valore più alto di quello registrato nelle restanti aree del Paese (Centro-Nord +1,2%), superando le 6,4 milioni di unità. Anche l’occupazione femminile mostra segnali positivi con un +3,3% per oltre 2,4 milioni di unità. L’occupazione in Calabria rispetto al 2023 aumenta dello 0,4%.

La Zes Unica vola solo in Campania

Sul versante delle policy poste in essere per il Mezzogiorno, attraverso strumenti di agevolazione contributiva, di sgravi fiscali e di semplificazione amministrativa, uno tra i più rilevanti è senza dubbio il credito di imposta per gli investimenti effettuati nella Zes Unica.

I dati a consuntivo dell’Agenzia delle Entrate sulle comunicazioni di richiesta nel 2024 raccontano di poco meno di 7 mila domande pervenute dalle imprese localizzate nelle otto regioni meridionali, con una forte concentrazione in Campania, che, da sola, ha assorbito oltre un terzo delle domande. Seguono Sicilia e Puglia (quest’ultima con un numero di comunicazioni che non va oltre la metà della Campania). Abruzzo, Basilicata e Molise, sommate, non arrivano al 10% del totale.

A questo numero di domande è corrisposto un credito di imposta di poco superiore ai 2,5 miliardi di euro, che ha determinato un importo medio di circa 370 mila euro ad azienda richiedente. Quest’ultimo valore è in realtà specchio di una realtà piuttosto diversificata tra le varie regioni, in virtù delle diverse intensità di incentivo previste ma anche della diversa struttura produttiva e delle tipologie di investimenti effettuati: in Abruzzo, ad esempio, il credito medio concesso è meno della metà di quello di regioni come Sicilia, Calabria e Puglia (tra loro molto simili e in linea con il dato medio dell’intero Sud). (bam)

[Courtesy LaCNews24]

SALUTE MENTALE, IN CALABRIA OLTRE
470MILA PERSONE SOFFRONO DI DISTURBI

di CATERINA CAPPONI – Ansia, depressione, senso di solitudine e frustrazione sono diventati sentimenti diffusi. E come amministratori pubblici, abbiamo il dovere di rispondere a questa emergenza sociale, non solo con il potenziamento dei servizi sanitari, ma con una visione globale di inclusione e sostegno psicologico.

La salute mentale è un tema che, come tutti sappiamo, è ormai divenuto centrale nel dibattito pubblico e nelle priorità politiche, soprattutto in seguito alle sfide che la pandemia ha posto alle nostre comunità. È una questione che trascende il solo ambito sanitario, e le politiche sociali giocano un ruolo fondamentale nel suo trattamento e nella sua prevenzione. La salute mentale, infatti, non può essere separata dalla qualità della vita che una persona conduce, dai contesti sociali in cui cresce, vive e si relaziona.

La povertà, l’isolamento, la disoccupazione, le disuguaglianze, la difficoltà di accesso ai servizi sono solo alcune delle determinanti sociali che influenzano la salute mentale, spesso in modo profondo e devastante. Il nostro impegno come amministratori pubblici non si limita alla sola implementazione delle politiche sanitarie, ma deve abbracciare un approccio integrato, che consideri il benessere sociale ed emotivo di un individuo. Le politiche sociali devono favorire il benessere emotivo e psicologico attraverso interventi che coinvolgano scuola, famiglia, lavoro e ambiente urbano. Solo così potremo  creare una rete di supporto che aiuti a prevenire i disturbi mentali, ma anche rispondere tempestivamente a quelli che si manifestano, offrendo percorsi di recupero e reintegrazione.

Non possiamo ignorare che la pandemia ha lasciato un segno indelebile sulla salute mentale delle persone, in particolare dei bambini e dei giovani. Gli effetti collaterali del lockdown, della didattica a distanza, dell’isolamento sociale e delle incertezze legate alla situazione sanitaria globale sono stati devastanti per le nuove generazioni. I bambini, ancora in fase di sviluppo emotivo e relazionale, e i giovani, spesso privi degli strumenti necessari per gestire il trauma, hanno visto peggiorare il loro benessere psicologico. Ansia, depressione, senso di solitudine e frustrazione sono diventati sentimenti diffusi. Come amministratori pubblici, abbiamo il dovere di rispondere a questa emergenza sociale non solo con il potenziamento dei servizi sanitari, ma con una visione globale di inclusione e sostegno psicologico.

L’integrazione tra il settore sanitario e il settore sociale è la chiave per una risposta efficace. A tal fine, la Regione Calabria ha avviato una serie di iniziative per garantire un accesso più rapido e diffuso alle risorse psicologiche, con progetti che coinvolgono scuole, associazioni, e centri di aggregazione giovanile.

Vogliamo offrire ai nostri bambini e ragazzi uno spazio protetto dove possano esprimere le proprie emozioni, affrontare le difficoltà e acquisire gli strumenti per affrontare le sfide future.

Inoltre, la pandemia ci ha mostrato quanto sia importante investire nel rafforzamento della rete di supporto sociale. Non possiamo più permetterci che le persone vulnerabili siano lasciate sole a fronteggiare le proprie difficoltà.

Le politiche sociali devono puntare a garantire la protezione, il supporto e l’inclusione di tutti, a partire dai più giovani, che sono i cittadini del nostro domani. Solo costruendo una società che offra pari opportunità di crescita e sviluppo emotivo potremo sperare di ridurre il carico delle malattie mentali e favorire il benessere collettivo.

Questo convegno rappresenta un’opportunità fondamentale per discutere le soluzioni e le pratiche che possiamo mettere in atto per rispondere in modo adeguato alla sfida della salute mentale nella nostra Regione. (cc)

[Caterina Capponi è assessore regionale alle Politiche Sociali]

 

I dati della Calabria

Secondo i dati dell’ultimo rapporto sulla salute mentale pubblicato dal Ministero della Salute alla fine del 2024, le persone in carico ai Dipartimenti della Regione, nel 2023, erano 17.636, con circa 470mila soggetti (le stime parlano del 20-30% della popolazione) che convivono con situazioni di disagio psicologico e disturbi mentali sottosoglia.

Numeri che raccontano di un disagio crescente, come confermano i dati degli accessi nei Pronto Soccorso calabresi per problematiche psichiatriche che, nel 2023, sono stati 15.407, ossia più di 40 al giorno. L’analisi delle diagnosi principali che hanno portato agli accessi in pronto soccorso mostra che le sindromi nevrotiche e somatoformi costituiscano il problema più frequente, con oltre cinquemila casi segnalati. Oltre 164mila, poi, le prestazioni erogate in un anno dai servizi territoriali, di cui 8.385 a domicilio.

La rete di assistenza psichiatrica in Calabria è articolata con cinque Dipartimenti di salute mentale, 43 centri territoriali, 22 strutture residenziali e 5 strutture semiresidenziali che offrono, rispettivamente, 412 e 52 posti tra pubblico e privato. Il costo complessivo dell’assistenza psichiatrica territoriale nella regione (ma i dati, ha precisato il Ministero nel report, sono provvisori) ammonta a 88 milioni di euro, di cui quasi 48 milioni destinati all’assistenza ambulatoriale e domiciliare, 4,6 milioni per l’assistenza semiresidenziale e 31,5 milioni per l’assistenza residenziale.

Per quanto riguarda il personale, secondo i dati diffusi dal Ministero alla fine del 2024, aggiornati al 31 dicembre 2022, il personale dei dipartimenti di salute mentale della Calabria contava 423 unità, di cui 98 medici (41 dei quali psichiatri). E poi 178 unità di personale infermieristico, 9 tecnici della riabilitazione psichiatrica, 11 educatori professionali, 31 Ota/Oss, 23 assistenti sociali, 13 amministrativi e 37 figure rientranti in altre categorie. Gli psicologi dei Csm sono 31, in media uno ogni 43mila abitanti.

In Italia, il numero di persone affette da disabilità mentali è di 16 milioni, con un incremento del 6% rispetto al 2022. Il 75%, circa 12 milioni, soffre di ansia e depressione. I numeri, però, raccontano di un Paese che arranca. I dipartimenti di salute mentale (Dsm) sono crollati, passando da 183 nel 2015 a 139 nel 2023.

Un taglio che si accompagna a un esodo di professionisti, con 25.000 operatori attivi, 55 ogni 100.000 abitanti, molto al di sotto degli 83 previsti dagli standard dell’Agenas e ratificati dal Ministero della Salute. La spesa pubblica per la salute mentale, intanto, rimane anemica: appena 3,6 miliardi l’anno, facendo dell’Italia il fanalino di coda tra i Paesi europei ad alto reddito. Dietro questa cifra, però, si nasconde un vuoto doloroso: un 3,5% di italiani, oltre due milioni di persone, secondo le stime non riesce a trovare aiuto. (rrm)