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CATONATEATRO: MASSIMO RANIERI, MALÍA E TRASGRESSIONE NAPOLETANA

29 AGOSTO – Metti una sera a CatonaTeatro, a chiudere in bellezza, tra stravaganza e trasgressione di un “mostro” sacro come Massimo Ranieri, che sulla canzone napoletana ha scritto pagine bellissime e “improvvisamente” gioca con le contaminazioni jazz stravolgendo, nel senso più vero della parola, melodie indimenticabili. E la sfida – a metà, come si è detto, tra la provocazione e la trasgressione – risulta vincente e avvicente: solo Massimo Ranieri, che ha chiamato il fior fiore dei jazzisti italiani sulla piazza poteva permettersi di stravolgere canzoni immortali, dando loro un nuovo, inaspettato, vigore. Un brio insolito ove associato con la melodia, ma la jam session napoletana, dopo un primo inevitabile smarrimento del pubblico, vince e convince. Uno spettacolo straordinariamente bello (anche se parzialmente e, inspiegabilmente, accorciato rispetto a quello più lungo portato in giro per l’Italia), che ha entusiasmato l’arena Alberto Neri piena in ogni ordine di posti. Doveva essere la ciliegina per la torta finale, Massimo Ranieri, a chiusura di una trionfale stagione che Lillo Chilà – storico patron di CatonaTeatro – ha portato, come sempre, al successo. Ma la ciliegina si è rivelata – perdonate i riferimenti dolciari – un meraviglioso babà napoletano, in grado di soddisfare qualunque appetito musicale.


Lo spettacolo,in realtà, gioca su due piani. La prima parte è dominata dalla trasgressione, dalla contaminazione – a volte sublime – del jazz con la musica napoletana, con ritmi inusuali per canzoni che hanno fatto storia e il pubblico – a metà – rimane di primo acchito perplesso perché si lascia trascinare dalla affascinante carezza della tromba di Marco Brioschi (che a Catona ha sostituito con onore Enrico Rava), dalla vellutata ruvidezza del sax di Stefano di Battista, dall’incredibile vigoria di Israel Varela alla batteria, dall’appassionato pianoforte di Rita Marcotulli e il vibrante basso (e contrabbasso) di Riccardo Fioravanti che tengono sulle corde un istrionico e poliedrico Ranieri, che canta, balla, si muove con un’armonia straordinaria, padrone assoluto del palcoscenico, ma “vittima” consenziente dell’orchestra. Poi, nella seconda parte vince la tradizione, pur nella costante contaminazione jazz: il pubblico si è quasi abituato a questa dolce violenza musicale su brani appassionati e si perde, con ritrovato spirito napoletano, a gustare il solista Ranieri che guida le danze e accompagna, stavolta lui, gli orchestrali in ardite sperimentazioni.
Il bis finale, manco a dirlo, torna nella tradizione più pura, con i classici “Rose rosse” e “Perdere l’amore” a sparigliare ancora una volta i sentimenti contrastanti del pubblico.
Lo spettacolo è forte, piacevole e di grande impatto: chi si aspetta un Ranieri tradizionalista e romantico, resta deluso (ma non era in programma un carosello napoletano) ma si riprende subito dallo choc del palcoscenico e si abbandona a farsi carezzare dalla voce di Massimo, alla luce di una luna che sembra anch’essa intenerita e palpitante. E a fine spettacolo il pubblico è appagato e felice, “stordito” ma rapito, conquistato e soddisfatto.
Peccato per il costume di scena di Ranieri della prima parte, brutto e inappropriato, quasi clownesco mentre invece l’artista tradiva e utilizzava degnamente l’esperienza delle tante sue appassionate partecipazioni teatrali, da capocomico consumato e instancabile protagonista. Camicia rossa garibaldina, una giacca coi lustrini ma dai rever anch’essi rossi, scarpe brillantinate azzurre su calzini nuovamente rossi: peggio di così… Ma il pubblico a Ranieri riesce a perdonare tutto…


Cala così il sipario su CatonaTeatro, dopo una stagione che ha confermato le giuste intuizioni di Lillo Chilà e la perfetta “macchina da guerra” che questo meraviglioso evento estivo da trentatré anni riesce a mettere in moto. Da inventare, se non ci avesse già pensato lui, il buon Lillo, che raccoglie giustamente gli allori e si gusta il sapore del successo, pensando al prossimo giro che vedrà, si spera, anche un’edizione invernale di cui i reggini non sapranno fare a meno. (s)