dalla REDAZIONE ROMANA – Sono circa 18mila le piccole e medie imprese in Calabria che rischiano di avere serie ripercussioni per l’aumento delle materie prime e la contestuale riduzione di disponibilità delle stesse. È quanto emerge dai dati dell’Osservatorio Mpi di Confartigianato Imprese Calabria, relativi allo studio sul caro-commodities no energy, che prevede costi aggiuntivi per 309 milioni di euro.
«Sulla base di un modello controfattuale – si legge – si stima che in Calabria 18 mila micro e piccole imprese della manifattura e delle costruzioni, che danno lavoro a 47 mila addetti, siano interessate da uno shock sui maggiori costi delle materie prime che su base annua, ceteris paribus, vale 309 milioni di euro, pari allo 0,9% del PIL, inferiore a quello nazionale (2,6%). Valore quest’ultimo che ne misura l’impatto e che posizione la nostra regione in ultima posizione nella classifica nazionale».
«A livello provinciale – si legge nel rapporto – i maggiori costi delle materie prime, su base annua, valgono 115 milioni di euro a Cosenza, interessando 7.017 MPI delle costruzioni e manifatturiere e i loro 17.435 addetti, 65 milioni di euro a Catanzaro, interessando 3.650 MPI e i loro 9.923 addetti, 73 milioni di euro a Reggio di Calabria, interessando 4.528 MPI e i loro 11.033 addetti, 27 milioni di euro a Crotone, interessando 1.600 MPI e i loro 4.178 addetti e 29 milioni di euro a Vibo Valentia, interessando 1.636 MPI e i loro 4.390 addetti».
L’Ente, poi, ha reso noto che in estate si sono registrati «i primi segnali di rallentamento dell’escalation dei prezzi che interessa 11 mila imprese artigiane».
Quello esposto da Confartigianato non è un problema solo calabrese, in quanto «l’Italia è particolarmente esposta all’aumento dei prezzi delle materie prime, essendo la seconda economia dell’UE per produzione manifatturiera, con una alta dipendenza dall’estero di commodities. Inoltre, ai segnali di prezzo si associano quelli di una rarefazione delle materie prime».
«Gli acquisti di materie prime delle micro e piccole imprese della manifattura e delle costruzioni nel 2020 – viene spiegato – sono calcolati pari a 156.096 milioni di euro, costituti per il 75% da acquisti delle MPI manifatturiere e per il rimanente 25% da input acquistati dalle MPI delle costruzioni. In questi due comparti l’incidenza sul fatturato degli acquisti di materie prime è del 42,5%, più elevato nella manifattura (46,6%) rispetto alle costruzioni (33,1%)».
«Il prezzo troppo elevato delle materie prime rappresenta un duro colpo ai bilanci delle aziende che paradossalmente in alcuni dovranno rinunciare a lavorare sia per il prezzo troppo elevato delle materie prime sia per la difficoltà a reperirle sul mercato» hanno dichiarato il presidente e il segretario regionale di Confartigianato Imprese Calabria, Roberto Matragrano e Silvano Barbalace.
«Le nostre aziende – hanno evidenziato – rischiano di rallentare la produzione a causa di materie prime sempre troppo care e introvabili: questa situazione paradossale rappresenta un freno per la produzione e quindi per la ripresa».
«Un aumento persistente del tasso di inflazione – hanno proseguito – potrebbe innescare un cambio di direzione della politica monetaria delle banche centrali, con rialzi dei tassi di interesse che rallenterebbero gli investimenti, ribaltandosi pericolosamente sulle imprese, ancora soggette a tensioni di liquidità, e sui bilanci dei paesi con elevato debito pubblico, come l’Italia, in cui un aumento della spesa pubblica per interessi verrebbe finanziato con incrementi di imposte, generando ulteriori effetti recessivi».
«In tale contesto – hanno concluso Matragrano e Barbalace – per allentare la pressione sui prezzi degli input produttivi, diventano prioritari gli interventi per ridurre il costo del lavoro delle micro e piccole imprese».
Ma non è solo il settore manifatturiero e artigianale ad essere in pericolo: anche Coldiretti Calabria ha lanciato l’allarme in merito, sottolineando come tale aumento dei costi delle materie prime rischia di essere un salasso per agricoltori e allevatori.
«L’emergenza covid ha innescato un cortocircuito sul fronte delle materie prime con rincari insostenibili per l’alimentazione degli animali nelle stalle, dove e necessario adeguare i compensi riconosciuti agli allevatori per il latte e la carne» ha spiegato la Coldiretti, aggiungendo che «le quotazioni dei principali elementi della dieta degli animali, dal mais alla soia, sono schizzati su massimi che non si vedevano da anni con il rischio di perdere capacità produttiva in un Paese come l’Italia che è fortemente deficitaria per i prodotti zootecnici».
Ma non è solo il fronte alimentare a destare preoccupazione: «con l’avvio delle operazioni colturali autunnali gli agricoltori – sottolinea la Coldiretti – sono costretti ad affrontare rincari fino al 50% per il gasolio necessario per le operazioni colturali che comprendono l’estirpatura, la rullatura, la semina e la concimazione».
«Il rincaro dei costi energetici – ribadisce la Coldiretti – riguarda anche il riscaldamento delle serre per fiori e ortaggi ma ad aumentare sono pure i costi per l’acquisto dei fertilizzanti, delle macchine agricole e dei pezzi di ricambio per i quali si stanno verificando addirittura preoccupanti ritardi nelle consegne».
«Senza dimenticare gli imballaggi, dalla plastica all’acciaio, dal vetro fino al legno e alla carta con aumenti dei listini che – continua la Coldiretti – incidono su diverse filiere, dalle confezioni di latte, alle bottiglie per succhi e passate, alle retine per gli agrumi ai barattoli smaltati per i legumi fino ai vasetti per i fiori».
Ovviamente, anche i costi dei trasporti sono lievitati. Su questo scenario pesa sia la lontananza dai mercati che il deficit logistico per la carenza o l’assenza di infrastrutture per il trasporto merci che aumenta il gap che penalizza il sistema economico sia rispetto ad altre regioni che agli altri Paesi dell’Unione Europea
«In gioco c’è il futuro dell’agricoltura», ha spiegato il presidente della Coldiretti Calabria, Franco Aceto, nel sottolineare che l’impennata dei costi si verifica «in una situazione in cui con la pandemia da Covid si è aperto uno scenario di riduzione degli scambi commerciali, accaparramenti, speculazioni e incertezza che spinge la corsa ai beni essenziali per conquistare l’autosufficienza produttiva nei settori strategici per garantire l’alimentazione delle popolazione». (rrm)