«La Calabria ha bisogno di più Aziende Ospedaliere e, soprattutto che queste non restino allocate, esclusivamente, nei Capoluoghi storici». È quanto si legge in una nota del Comitato Magna Graecia, che ha commentato il processo di riforme messo in atto dalla Regione Calabria.
Per il Comitato, infatti, «è necessario intervenire – viene spiegato – su argomenti scottanti che, se sottovalutati, potrebbero generare una ulteriore involuzione dei già comatosi livelli sanitari in cui versa la Calabria, oltre alla delicata questione dei rifiuti e dell’approvvigionamento idrico. Partiamo dalla proposta licenziata a dicembre scorso in Consiglio regionale relativa alla istituzione di un’Azienda Zero che surclassi e coordini tutte le altre Aziende Sanitarie ed Ospedaliere della Regione. Tale organismo, potrebbe rivelarsi come l’ennesimo buco nell’acqua atto a creare nuovi poteri accentrati in una Regione che, del centralismo, almeno nelle realtà dei Capoluoghi storici, ha fatto la sua ragione di vita».
«Non viene specificata, infatti – viene spiegato ancora – una visione netta e chiara, differenziando l’ambito di riferimento delle competenze, ma commistionando medicina territoriale ed ospedaliera. Quindi non tenendo in conto le profonde differenze che intercorrono tra le due specialità. Tuttavia, il Commissario Occhiuto, nel dare vita alla sua creatura, si è guardato dal ricalcare il disegno con cui all’epoca il duo Loiero-Lo Moro decise, in una notte del 2007, con un colpo di spugna, di cancellare 11 Asl per dare vita a 5 Asp e 4 Aziende Ospedaliere».
«A tal proposito, l’articolo 1 della legge su Azienda zero – ha rilevato il Comitato – dispone che l’Ente entri in funzione solo nel momento in cui la Giunta regionale approverà una delibera che ne disciplini i tempi di attuazione. Dunque al momento esiste solo sulla carta. E resta da vedere se la creazione di questa Azienda possa davvero rivelarsi la cura giusta per le purulenti ferite della sanità calabrese. Le stesse che continuano a sanguinare debiti e disavanzo, assorbendo il 62% del bilancio regionale. Alla base del problema resta il caso calabrese (unico in Italia) dove la sanità continua ad assemblare nello stesso alveo la medicina ospedaliera e quella del territorio, lasciando la specifica della peculiarità dei nosocomi alla sole Aziende che coordinano, esclusivamente, ospedali Hub. Così come stucchevole appare la motivazione di rigetto in seno alla Commissione sanità della proposta di voler reistituire le 11 ex Asl».
«Vero è che, tale disegno di legge – si legge nella nota – non contemplava le modifiche attuate in materia sanitaria dal 2007 ad oggi ponendosi, quindi, in una condizione non più rispondente ai dettami sanitari odierni che si basano sulla dinamica Hub-Spoke e non più sull’offerta ospedaliera di 15 anni fa. Tuttavia, licenziare il mancato accoglimento della proposta con la scusa che la situazione di commissariamento sanitario pone la Calabria nella posizione di non poter affrontare modifiche amministrative, mal si concilia con la approvazione da parte del Consiglio regionale di Azienda Zero. E questo palesa, ancora una volta, quanto si continui a ragionare con la solita metrica dei due pesi e due misure».
«Gli ospedali di Crotone e Corigliano-Rossano – viene detto – devono avere il proprio Management dedicato. Non possono più dipendere dalle Asp che invece dovrebbero solo occuparsi della medicina del territorio. Ed ancora, le Aziende dovrebbero essere guidate da personale medico altamente specializzato. È tempo di smetterla con Direttori nominati dalla politica che il più delle volte si ritrovano ad agire in un campo che neppure conoscono lontanamente, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Non è più possibile tollerare l’utilizzo delle strutture sanitarie a meri scopi strumentali, finalizzati a lanciare fumo negli occhi, senza però avere poi un ritorno di offerta qualificata nei nosocomi».
«Viepiù, se proprio Azienda Zero dovrà essere si sopprimano le Asp – continua la nota –. A riguardo, si valuti la riperimetrazione, fedele alle vocazioni territoriali, dei Distretti Sanitari. E si coordinino questi devolvendo competenze, ad oggi accentrate, verso le sedi periferiche. Ed ancora, si faccia chiarezza su quello che dovrà restare di strutture e reparti utilizzati per la patologia Covid. Come Comitato, sin dal primo momento, ci siamo opposti alla creazione di reparti Covid nelle strutture Spoke, ossequiando la circolare ministeriale che imponeva il trattamento della patologia nelle sole strutture Hub. E la ratio era legata al fatto che dette strutture fossero le uniche a disporre di tutti i servizi legati all’emergenza-urgenza disponendo di un numero adeguato di postazioni in terapia intensiva e di reparti specializzati in pneumologia e malattie infettive».
«Si è preferito, invece – si legge – ovviare allestendo reparti improvvisati in ospedali che mai avevano trattato tali discipline mediche. Con tali dissennate operazioni, in ospedali non forniti di percorsi differenziati, si è perso il tracciamento dei contagi e la trasmissione della malattia, nei territori impattati, è andata fuori controllo. Quindi, chiusure generalizzate con il risultato di ingessare ambiti ed economie già provate dalle avverse politiche centraliste che negli ultimi decenni avevano già fatto man bassa di tutto. Salvo poi paventarsi la possibilità che nei prossimi Atti Aziendali tali reparti, con molta probabilità, saranno soppressi. Con il risultato, eventualmente, di aggiungere al danno anche la beffa».
«E parimenti – si legge – dicasi per l’istituzione della nuova Multiutily che si occuperà della gestione acque e dei rifiuti per l’intero territorio regionale. Intanto, non sempre, l’accentramento, sic et simpliciter, ha sortito gli effetti di un risparmio di spesa con relativo efficientamento dei servizi (a riguardo si pensi alla sciagurata vicenda di accentramento delle ASL cui si faceva cenno sopra). Viepiù non ci risulta sia stato valutata una rappresentanza territoriale che rivedesse le perimetrazioni degli ATO (Ambiti territoriali ottimali) in funzione delle prerogative e peculiarità dei territori. Se non la individuazione di CZT (Conferenze territoriali di zona) che operano su aree coincidenti con i territori delle quattro Province e della Città Metropolitana. Si ripropone, quindi, lo scriteriato disegno amministrativo che vede la Regione non adeguarsi alle dinamiche delle affinità territoriali, ma ripetere, pedissequamente, le suddivisioni amministrative provinciali».
«Che, giova ricordare – si legge – non soffrono tutti delle medesime patologie, né sono accomunabili per similitudine in ogni ambito territoriale che le compone. Immaginare, pertanto, una suddivisione direttamente sottoposta all’egida della nuova Multiutily, degli ambiti e rispettive Rappresentanze in termini di Aree Vaste, sarebbe stato rispondente ad un coinvolgimento reale dei territori sotto forma di ambiti ottimali. Ed ancora, il vero vulnus, in particolare per quanto riguarda la gestione del ciclo integrato dei rifiuti, è il non rispetto, come vogliono le direttive UE, dei principi di autosufficienza e di prossimità. Invece, continuiamo ad assistere alla solita visione centralista degli apparati regionali che quando non accentrano competenze, al massimo, devolvono le stesse ai desiderata dei Capoluoghi storici. Il che rappresenta grave nocumento per l’area dell’Arco Jonico, quindi Sibaritide e Crotoniate, che continuano a rimanere divise nella pianificazione da, inspiegabili, steccati amministrativi».
«La politica, soprattutto quella periferica – conclude la nota – smetta l’insano andazzo di mendicare col cappello in mano, alla corte dei centralismo. Finiamola con le richieste dei medici a gettone, del posto letto raccattato da altre strutture, dell’oss con contratto a termine, del semplicistico concetto di reparto fine a se stesso, o con fiumi di note stampa ossequiose dei diktat imposti dai partiti di riferimento. Talvolta, neppure richiesti. Piuttosto si lavori con competenza ed abnegazione e, principalmente, lungo l’Arco Jonico si riacquisisca il senso della dignità e del rispetto per il proprio territorio». (rkr)