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Con il libro "Pacchetto Colombo" si parla dei progetti di sviluppo mancati in Calabria

Con il libro “Pacchetto Colombo” si parla dei progetti di sviluppo mancati in Calabria

di MARIACHIARA MONACOCome sarebbe a distanza di molti anni, il mezzogiorno, se il famoso Pacchetto Colombo, ovvero una serie di provvedimenti programmatico-industriali varati dal governo nel ’70, fossero stati realmente compiuti?

A questa domanda, difficilmente si troverà una risposta, poiché l’immaginazione ci potrebbe portare a percorrere strade sbagliate, senza riflettere sugli errori commessi dai piani alti della politica regionale, nazionale, e dalle grandi imprese settentrionali, che “saccheggiando” il Sud, hanno portato via finanziamenti che nessuno potrà mai restituire.

Per capire bene cosa è realmente accaduto, bisogna fare un passo indietro, insieme al dott. Alessandro De Virgilio, che nel suo libro intitolato: Pacchetto Colombo. Gioia Tauro, Lamezia Terme, Saline Joniche: la truffa dell’industrializzazione fantasma in Calabria, ha ricostruito attraverso fonti giornalistiche, e non solo, il percorso che avrebbe dovuto portare alla luce in Calabria, grandi opere industriali, come il Centro Siderurgico di Gioia Tauro, la Sir a Lamezia T., e la Liquichimica a Saline Joniche.

Lo fa in una cornice d’eccezione, l’Università della Calabria, insieme al professor Costabile, e al dott. Anastasi, firma autorevole del Quotidiano del Sud.

Il salto nella storia, ci porta negli anni ’70, quando a Reggio Calabria si manifestava, affinché il capoluogo di Regione, e quindi tutta la macchina regionale, non venisse spostata a Catanzaro.

Si è detto, che il “Pacchetto” fu concepito a mo’ di risarcimento, per quietare quei mesi di rivolta, durante i quali con l’appoggio dei “boia chi molla”, la Città dello Stretto, ricevette sostanziali aiuti ripetuti nei decenni a venire, come il “decreto Reggio” e la successiva elevazione a Città metropolitana.

In realtà, secondo l’analisi accurata del responsabile della redazione dell’Agi di Catanzaro, il pacchetto era già sul tavolo ancor prima dei fatti di Reggio. I moti favorirono comunque queste misure, portando, almeno sulla carta, numerosi posti di lavoro. Per rendere l’idea, l’autore traccia un paragone con gli accordi delle potenze vincitrici della prima guerra mondiale, si parla di un progetto che riguardava migliaia di miliardi delle vecchie lire.

Ci furono molti dibattiti sulla fattibilità o meno, soprattutto per quanto concerne quello avrebbe dovuto essere il grande centro siderurgico di Gioia Tauro, un miraggio, o addirittura un’opera letteraria, in un contesto in cui la ‘ndrangheta da fenomeno agropastorale, comincia a muovere i primi passi nel diventare holding del crimine, attraverso una metamorfosi, improntata all’insegna dell’imprenditoria, che, attraverso pezzi dello Stato deviato, ha raggiunto il suo scopo, quello di mettere sotto scacco gli abitanti di un intero territorio, senza garantire la parvenza di un futuro.

Trentamila calabresi marciarono a Roma, sotto gli occhi del distratto Presidente Andreotti (colui che inaugurò simbolicamente l’area nella quale era prevista la costruzione del centro), per il mantenimento degli impegni assunti. Ma tutto si risolse, in quella che viene definita “la più sterile delle manifestazioni sindacali”.

Analizzando bene i numeri, ci si rende maggiormente conto della grande opportunità sprecata, infatti: il centro siderurgico di Gioia Tauro avrebbe impiegato 7500 tute blu, lo stabilimento di Saline Joniche circa 900, e la Sir di Lamezia, avrebbe occupato circa 3000 persone, ma dei ventuno stabilimenti previsti, ne entrò in funzione solo uno, trasformando già da subito, i lavoratori in cassaintegrati.

Inoltre per quanto concerne Saline Joniche, si assiste ad un paradosso, visto che lo Stato finanziò la costruzione dello stabilimento, ma allo stesso tempo gli negò l’esercizio, poiché le bioproteine, erano considerate dai tecnici dell’epoca nocive per la salute dell’uomo.

A Gioia Tauro nacque però, il porto più grande del Mediterraneo, che oggi più che mai ha un ruolo primario nel mondo del narcotraffico (la ‘ndrangheta è leader nel mercato della droga).

Gli altri stabilimenti, che l’autore definisce ironicamente “cattedrali nel deserto”, non aprirono mai i cancelli, travolti da debiti e speranze.

«Una buona dose di responsabilità spetta al ceto politico meridionale, che non ha saputo gestire queste ingenti somme. Tutto diventa più complesso quando la borghesia mafiosa entra nei salotti buoni, dove si fanno gli affari. Ma la responsabilità è anche di quelle aziende del nord, giganti con i piedi d’argilla che, una volta presi i soldi, non hanno pensato minimamente di realizzare le opere programmate. Mentre le piccole aziende locali, hanno dovuto versare il pizzo alle cosche, per evitare la bancarotta».

La ‘ndrangheta, come una spada di Damocle, che minaccia, agisce, e sparge sangue quando ne sente la necessità.

Ci sono poi casi, come quello di Crotone, un tempo capitale industriale della Calabria, che dopo la dismissione delle fabbriche e la mancata bonifica integrale dei veleni e delle scorie, ancora convive con 600.000 mq di rifiuti speciali (anche radioattivi).

«Non sono mai stati imputati i vertici dell’Eni, che controllava le società che gestivano gli impianti. Invece sono finiti sotto accusa i dirigenti, che qualche decennio prima si erano trovati a lavorare insieme agli operai, in quelle “fabbriche di morte”, in cui entravano i “Santi vestiti d’amianto”, di cui parlava Rino Gaetano», interviene Anastasi.

Magari il cantautore calabrese anche quando cantava “Berta filava”, pensava alla fibretta d’amianto, manipolata dai lavoratori, che però si ammalavano di mesotelioma pleurico. Il volume ci parla anche di altri scheletri senza fine, come la cittadella militare, che a Cutro, non è mai entrata in funzione.

«Con il venir meno dell’obbligo di leva, un esercito su base volontaria, non ha più bisogno di quel tipo di insediamenti. Si tratta di 96 alloggi, per 1200 soldati, che non ci hanno mai messo piede», commenta De Virgilio.

Risorse pubbliche ancora una volta sprecate, e che magari, avrebbero potuto incentivare l’imprenditoria autoctona, oppure il turismo, settore strategico per la posizione geografica e per il patrimonio artistico della Calabria.

«In una regione di schiavi e di subalterni, fare memoria sui progetti di sviluppo mancati, ci aiuta a comprendere maggiormente le cose che ci circondano, come i veleni che hanno attraversato le vene di alcuni territori, portando molte persone a lottare da un giorno all’altro, contro dei mali incurabili», conclude Costabile. (mc)