di ROBERTO DI MARIA – C’è un assioma che i governi italiani mostrano di condividere da anni: i porti del Meridione, semplicemente, non esistono. Non esiste Gioia Tauro, con i suoi 5 km di banchine, fondali adatti a navi da 20 mila TEU e il suo vasto retroporto inutilizzato; non esiste Augusta (10 km di banchine e i fondali più profondi del Mediterraneo) e nemmeno Taranto. Questi porti – e tanti altri – non esistono semplicemente perché mancano collegamenti efficienti con la rete stradale e ferroviaria europea. E non si vogliono realizzare, pur se richiedono risorse molto inferiori di quelle destinate a Genova e consentirebbero traffici competitivi con tutti gli scali del Northern Range messi insieme.
E la conferma viene dagli ultimi intendimenti relativi all’utilizzo dei fondi del PNRR: fare di Genova il “cuore logistico dell’Europa”. La grande stampa economica ha magnificato lo sforzo economico e infrastrutturale – Terzo Valico, Gronda, Nuova diga foranea – che lo Stato sta compiendo per battere la concorrenza di Rotterdam e Anversa. Ma è una
missione impossibile.
A parte la raffinata logistica, che affida all’informatica e all’elevata meccanizzazione, la movimentazione dei milioni di container in transito, i porti del Mare del Nord hanno, rispetto a quello ligure, un vantaggio territoriale incolmabile: sono in aperta pianura, al centro di una fitta rete di fiumi navigabili, strade e ferrovie che consentono di trasferire rapidamente le merci in tutta Europa. La sola Rotterdam, nei suoi 3.600ha di piazzali, ha gestito 15,3 milioni di container.
Più di tutti i porti italiani messi insieme.
Senza questa velocità di smistamento, le merci si accumulerebbero per settimane sui suoi 100 km di banchine.
Genova, invece, soffre da sempre di una condizione geomorfologica asfittica: le montagne a ridosso del mare la stringono in spazi limitatissimi. Può contare soltanto su 1,6 km di banchinamenti e 100ha di aree di movimentazione in grado di farle sfiorare, nel 2021, i 2,6 milioni di pezzi (Ports of Genova, Report Traffici Q4 2021). Tutti provenienti da navi di dimensione più ridotte rispetto alle portacontainer oceaniche, che “toccano” Rotterdam, Anversa e Amburgo ma non attraccano nel porto ligure. Il problema più grave – a parer nostro insolubile – è però rappresentato dalla capacità e dalla velocità di smistamento. Quella attuale è di 30 treni al giorno. Il Terzo valico (in esercizio, forse, nel 2024), consentirà di raddoppiarla, trasferendo non più di 1,5 milioni di TEU – 66 TEU per convoglio x 6 treni/h (!!) x 16 h/giorno (!!) x 250gg l’anno (?) – verso il retroporto di Alessandria, al di là degli Appennini.
Volumi irrisori rispetto alla sola Rotterdam.
Tant’è che già qualcuno, sventolando ipotetici 300 mila nuovi posti di lavoro, propone la realizzazione di un secondo “BRUCO” (Bi-level Rail Underpass for Container Operations), dopo che il primo, inattivo da vent’anni, è stato smantellato. Consentirebbe la “toccata” di navi da 15 mila teu – ma già navigano quelle da 25 mila -, lunghe 350m e larghe 100, che richiederebbero l’allargamento del canale che conduce all’ormeggio. Ulteriore follia finalizzata a evitare la soluzione più favorevole all’intero Bel Paese: una portualità distribuita tra le decine di porti italiani. Vocazione naturale per chi vanta 8 mila km di coste.
Intanto è scoppiato lo scandalo della nuova diga foranea con le clamorose dimissioni del Project Manager (supervisore globale) che ha denunciato costi e tempi reali doppi o tripli rispetto alle stime: “ci vorranno almeno 2 miliardi di euro e 15 anni di lavori”.
La notizia è passata sotto silenzio e si è andati avanti come se nulla fosse, con la gara di appalto – d’importo pari a “soli” 929 milioni di euro – deserta, adeguamento della base d’asta ai costi reali e ripartenza della procedura.
Ricapitoliamo. L’operazione Genova prevede: Terzo Valico, Diga foranea e Gronda per un totale di almeno 13 mld. Obiettivo: arrivare, se va bene, a un quarto della movimentazione della sola Rotterdam. Se aggiungiamo almeno un paio di miliardi per il BRUCO, arriviamo a meno di metà ma già circolano esaltanti analisi costi-benefici basati appunto sull’idea di perseverare a ignorare i porti del Meridione. Gioia Tauro, prosegue per conto suo, macinando utili e crescendo ugualmente, tra il disinteresse dell’esecutivo: se si attivassero i collegamenti e si utilizzasse adeguatamente il retroporto sarebbe ovviamente tutta un’altra storia. Altro che Genova… (rdm)