di FRANCO CIMINO – Io, se non fossi stato io, ma altri da me, alle 16, 45, nel momento esatto in cui Francesco stava ricevendo, dal passo tremante d’emozione e paura, il nostro don Mimmo per coprirlo dei simboli del suo nuovo stato cardinalizio, avrei fatto suonare a festa le campane di tutte le chiese della Diocesi. In particolare, quelle di Catanzaro.
E della Basilica, che il giorno dopo avrebbe festeggiato la sua Madonna Immacolata, tanto cara ai catanzaresi. E non solo perché della Città è stata eletta Patrona. Se io fossi il indaco, che diciotto anni fa avrei potuto essere e che un giorno, tra diciotto anni, sarò, convocherei il Consiglio e proporrei “l’elezione” di don Mimmo a cittadino onorario di Catanzaro.
E gli chiederei scusa di averlo fatto così tardi e solo quando, come è successo per quasi tutte queste nomine, Egli è diventato assai importante. Un uomo celebrato, una personalità nota, direi pure famosa, di quelle che richiamano giornali e televisioni, e riempiono di gente la sala consiliare. Quella da decenni quasi sempre vuota di cittadini, fragile di partecipazione democratica, accesa sola per le liti di questa nostra politica. Gli chiederei scusa per il dubbio che questa Sua chiamata al ministero più vicino al servizio del Papa, potesse essere da noi concepita come assunzione di un ruolo di potere.
E di quello che possa avere(già ci si sta pensando nell’agitazione di fedeli e non), l’ultima sua estensione. Con conseguente cambio di colore della veste. “Vuoi vedere che…? Ci pensi? Si affaccerà dal balcone e dalla finestra più importanti del mondo. Tra quelli più importante della storia”. No, direi, nella motivazione che accompagnerà la delibera del Consiglio, che la nomina a Cittadino Onorario(aggiungerei onorato e onorevole), è data solo da quel che don Mimmo ha fatto qui. Dal suo essere sempre quel prete (e non chiamiamo più di strada, per favore, ché pure a Lui procura un qualche fastidio) che ha applicato il Vangelo con fermezza di fede e coerenza civile. Sì, anche civile, perché come Egli ha scritto nella nota lettera, da Napoli ai potenti d’Europa, per essere anche dei buoni “cristiani” in senso lato, dovremmo avere sul tavolo, o idealmente in tasca, il Vangelo e la Costituzione.
Che non a caso si rassomigliano per volontà della seconda di ispirarsi, o involontariamente essere ispirata, ad e da esso. Il lavoro che, silenzioso, don Mimmo ha fatto qui, è stato straordinario, incessante. In qualche modo anche “eroico”, ché eroismo e santità, camminano insieme lungo i sentieri più impervi e le strade più buie e “bucate”. Il silenzio, il suo, fatto di umiltà. E anche di intelligente prudenza, onde evitare che nonostante il sostegno e la fiducia di quel Vescovo bellissimo( un altro bel prete, Antonio Cantisani, l’altro Cittadino Onorario per il Suo dedicato amore alla nostra Città), venisse “scoraggiato” dai piccoli mediocri potenti nostrani, cui avrebbe provocato il prurito al naso l’idea che il “Capoluogo tranquillo”, l’isola felice tanto decantata, avesse, invece, tanti angoli di bruttezza. Quei ristretti spazi in cui si rinchiudevano per farsi male non poche persone, quasi tutti giovanissimi.
Gli esseri umani scartati ed emarginati da una società ipocrita ed egoista, della falsa opulenza e della civiltà negata. Un tessuto sociale sfilacciato, che già allora si presentava quale cartolina strappata proprio per la disattenzione delle istituzioni e delle stesse chiese locali nei confronti delle povertà crescenti e delle fragilità diffuse. E delle solitudini terrificanti. Il lavoro silenzioso di don Mimmo per le nostre vie senza luce, né dei lampioni, né degli occhi delle persone, rafforzatosi poi in quel Centro Calabrese di Solidarietà, divenuto sotto la sua guida una delle strutture sociale più importanti del Mezzogiorno, è stato un urlo nella notte dell’Umanità smarrita. Quell’urlo del cuore si riempì delle parole di quel giovane prete.
Le parole, quelle umane, prima della Parola, l’uomo, simile a quelli cui si chinava, prima del prete. Questo umile atteggiamento, per poter entrare nella fiducia dei diseredati e nella loro necessità di sentirsi abbracciati come persone da salvare e non come uomini e donne da convertire. Don Mimmo, faceva a trent’anni ciò che il suo illustre sconosciuto vescovo a Buenos Aires praticava da tempo, “curare gli esseri umani” per la bellezza della loro umanità e per il dolore di vedersela oltraggiata da tutti noi. Inginocchiarsi davanti a loro, senza condizioni e interesse alcuno. Per questa naturale rassomiglianza tra i due, è stato facile l’incontro a Roma tra il Papa e quel prete.
E poi, le successive tre chiamate, fino ai piedi dell’altare della Basilica di San Pietro, sabato scorso. L’ultimo nella fila degli ordinati, e primo ad inizio del Concistoro, quando da Francesco, don Mimmo, ha ricevuto l’alto onore di pronunciare il giuramento a nome degli altri venti Cardinali. Fatto questo assai significativo, che è sfuggito a molti. Cittadino Onorario, catanzarese, dunque! E presto. Perché tra poco don Mimmo non avrà neppure un minuto per sé, chiamato come sarà a girare per il mondo. A dire della Bellezza dell’uomo. Che si trova, non solo nei sofferenti, nei “vinti”, negli abbandonati alla solitudine di tutte le povertà. Ma nell’uomo, che si riscatta dalle sue miserie e dal suo egoismo, si china su poveri e li salva. Costruendo da lì un percorso di vera Giustizia per la vera Pace. (fc)