di MARIA CRISTINA GULLÍ – Il lavoro in Calabria è donna, ma persistono le disparità e, nonostante facciano «meglio degli uomini sul fronte istruzione e formazione», le donne «scontano gap rilevanti a loro sfavore sul fronte lavoro, conciliazione e benessere soggettivo». È quanto è emerso dal rapporto dell’Osservatorio Mpi di Confartigianato Imprese Calabria, realizzato in occasione dell’8 marzo.
Una storia, quella rilevata dall’Osservatorio, che è tristemente conosciuta e che conferma come «la platea femminile sconta condizioni peggiori degli uomini in tutti gli ambiti del lavoro e conciliazione, con quote superiore a quelle dei colleghi maschi di 14,5 punti per il tasso di mancata partecipazione al lavoro, di 3,9 punti per dipendenti con bassa paga e di10,3 punti per part time involontario».
«Tutto ciò – si legge – comporta una disparità uomo donna anche sul fronte della soddisfazione per il proprio tempo libero: le donne che esprimono livelli elevati di soddisfazione sono il 66,2% quota inferiore di 2,1 punti rispetto a quella rilevata per gli uomini. Persiste inoltre una disparità del 31,8% tra la retribuzione media percepita dalle dipendenti donne rispetto a quella percepita dagli uomini. Si osservano tassi di occupazione femminili più elevati proprio nelle realtà in cui c’è una maggiore diffusione di bambini che frequentano gli asili nido e di donne che hanno titoli di studio elevati (laurea e post-laurea)».
Dati che, secondo Roberto Matragrano, presidente di Confartigianato, «ci permettono di illustrare l’importanza e la centralità di alcune leve fondamentali per un contesto a ‘favore di donna’ come l’istruzione e la diffusione capillare sui territori di servizi di assistenza negli ambiti della conciliazione (come i servizi per l’infanzia, asili nido). Leve su cui poter e dover fare forza per incentivare una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro».
D’altronde, in Calabria nel 2021 sono 5.828 le imprese registrate artigiane guidate da donne che operano per lo più nei settori dei servizi alla persona, dei servizi di pulizia, della moda e delle attività di ristorazione. Il 13% delle imprese femminili che popolano la nostra regione operano nel comparto artigiano.
Un dato non indifferente, che fa comprendere quanto sia necessario realizzare delle politiche a misura e a favore di “donna”, soprattutto se di queste «oltre 5 mila imprese, nello specifico, 969 sono gestite da giovani donne (15,6% del totale imprese femminili giovanili e 16,6% del totale imprese femminili artigiane) e 454 sono gestite da imprenditrice straniera (11,6% del totale imprese femminili straniere e 7,8% del totale imprese femminili artigiane)».
Confrontando i numeri riferiti all’imprenditoria femminile artigiana del 2021 con quelli del 2019 (anno pre crisi) – tenendo conto che tra le imprese registrate viene conteggiata anche la platea nascosta di imprese cessate, che in attesa di ristori, non hanno ancora chiuso – si nota una difficoltà maggiore nel recuperare i numeri pre Covid-19 per la platea di giovani donne e per quelle che operano nel settore della manifattura.
«Difatti – si legge nel report – la quota di donne calabresi con almeno un diploma si attesta al 54,5% superando di 0,8 punti quella rilevata per gli uomini, quella di donne laureate si attesta al 27,8% superando di 14 punti quella rilevata per gli uomini, quella di donne che hanno effettuato il passaggio all’università si attesta al 57,9% superando di 15,8 punti quella rilevata per gli uomini, mentre quella di donne che partecipano alla formazione continua si attesta al 5,5% eguagliando il valore rilevato per gli uomini. C’è, però, un ambito dell’istruzione in cui le donne scontano un gap a loro sfavore rispetto agli uomini, quello del digitale: per quota di donne con competenze digitali elevate (per le donne si registra una quota del 12,3% inferiore di 8,9 punti a quella degli uomini) e per quota di laureate in discipline Stem (per le donne si rileva una quota del 13,3% inferiore 2,1 punti quella degli uomini)». (rrm)