DONNE AL LAVORO, IN CALABRIA FORTE GAP
CON L’OCCUPAZIONE DEGLI UOMINI: È AL 18%

di ANTONIETTA MARIA STRATI – «La strada verso la parità di genere, specialmente in Calabria, è ancora lunga»: Da queste  parole dell’assessore regionale al Lavoro, Giovanni Calabrese, emerge un quadro allarmante dal Rapporto preliminare dell’Osservatorio/Laboratorio Economico-Territoriale delle Politiche del Lavoro, con focus sulla parità di genere nel mercato del lavoro in Calabria.

Un report resosi necessario, considerando che «i recenti dati dell’Istat evidenziano che, sebbene le donne abbiano un livello di istruzione più elevato rispetto agli uomini, la loro partecipazione al mercato del lavoro è inferiore e non viene adeguatamente compensata dal punto di vista economico, né in termini salariali né in termini di riconoscimento professionale», ha spiegato Calabrese nella nota introduttiva.

«I recenti dati dell’Istat evidenziano che, sebbene le donne abbiano un livello di istruzione più elevato rispetto agli uomini – ha continuato Calabrese – la loro partecipazione al mercato del lavoro è inferiore e non viene adeguatamente compensata dal punto di vista economico, né in termini salariali né in termini di riconoscimento professionale».

Nella nostra regione, infatti, «nella dinamica demografica della popolazione per genere ed età – hanno spiegato Roberto Cosentino, direttore generale del Dipartimento Lavoro e Cosimo Cuomo, dirigente dell’Uoa Programmazione e Monitoraggio Fse 21/27 e responsabile dell’Osservatorio Laboratorio Economico Territoriale delle Politiche del Lavoro – la prevalenza della componente femminile rappresenta il 51,0%, con maggiore evidenza nelle età più avanzate per la maggiore longevità femminile. Sempre, la componente femminile calabrese, prevale anche fra le persone con titolo universitario (56,9% dei laureati o con titolo superiore), in particolare per le donne di età compresa tra i 25 e 64 anni, ma anche tra quelle prive di un titolo di studio (60,1%) e in possesso della sola licenza elementare (56,6%), soprattutto nella classe d’età 65 anni e oltre».

«A livello provinciale, i tassi di assenza di istruzione – hanno detto ancora – presentano valori più alti per la componente femminile, mentre i tassi di conseguimento dei titoli di studio più bassi (fino alla licenza media), presentano valori simili tra la popolazione maschile e quella femminile. All’estremo opposto, l’insieme dei titoli accademici è ovunque più elevato per le donne, per le quali si registra il valore massimo a Catanzaro (17,1%) contro il corrispondente 13,7% degli uomini».

Quello che è emerso, dunque, è che in Calabria «permane comunque una situazione piuttosto sfavorevole all’occupazione femminile e allo squilibrio di genere, con valori anche superiori rispetto alla media nazionale. Nel 2021, il gap di genere del tasso di attività, è statisticamente di circa 18 punti (uomini 51,9%, donne 33,9%), la distanza tra il tasso di occupazione delle donne (28,6%) e quello degli uomini (45,6%) di 17 punti e, il tasso di disoccupazione delle donne (15,6%) è più di 3 punti percentuali superiore a quello degli uomini (12,2%)».

Guardando alla nostra regione, in Calabria «la popolazione residente al 2023, in base al genere, risulta essere pari a 1.846.610 unità, di cui 942.391 di sesso femminile e 904.219 maschile, rispettivamente, il 51,03% e il 48,97% sul totale».

Dopo il forte deterioramento registrato durante la fase più acuta della pandemia, anche nella regione Calabria è comunque proseguita la ripresa del mercato del lavoro. Sulla base dei dati Istat, elaborati dall’Osservatorio: Laboratorio Economico Territoriale e Politiche del Lavoro della Regione Calabria, la popolazione attiva femminile (15-64 anni), nel 2022, era pari a 591.269 unità (50,5% sul totale), a fronte di 580.332 unità di sesso maschile (49,5%).

Sempre secondo i dati rilevati dall’ Istat ed elaborati dall’Osservatorio  nel 2022 il numero di occupati nella regione è aumentato dell’1,5% rispetto all’anno precedente; A differenza di quanto rilevato nel 2021, l’incremento, però, è stato inferiore a quello medio registrato nell’intero Mezzogiorno e in Italia (rispettivamente del 2,5 e del 2,4 per cento).

In termini assoluti, comunque, il numero di occupati non ha ancora recuperato i livelli pre-pandemici (sono stati circa 529.000 nel 2022, contro i quasi 539.000 nel 2019), mentre il tasso di occupazione nella fascia 15-64 anni, è salito al 43,5%, superando sensibilmente il dato del 2019. Su tale aumento, ha inciso la dinamica demografica caratterizzata dalla progressiva riduzione della popolazione in età da lavoro. Il divario negativo nel tasso di occupazione rispetto alla media nazionale, è rimasto comunque ampio (16,7 punti percentuali; era 17,1 nel 2019). Per “genere”, l’incremento dell’occupazione nel 2022, ha riguardato sia gli uomini che le donne mentre il divario di genere nei tassi di occupazione continua a rimanere costante ed elevato (23,5 punti percentuali in Calabria, 18,1 nella media nazionale).

La diminuzione della popolazione residente della Calabria, per l’Osservatorio «è frutto di un saldo naturale negativo (-9.413 unità), al quale si somma un saldo migratorio totale negativo (-6.111 unità), nonostante un saldo censuario positivo (+10.377) e un recupero dei movimenti demografici internazionali nel 2021 rispetto al 2020».

Quello che si registra, dunque, è la conferma di un trend negativo in corso. La mortalità aumenta: il tasso di mortalità passa dall’11,2 per mille del 2020 al 12,2 per mille del 2021, con un picco del 12,5 per mille della provincia di Cosenza. Tra il 2020 e il 2021 il tasso di natalità è leggermente diminuito, da 7,4 a 7,1 per mille. A livello provinciale il tasso resta quasi stabile nella provincia di Catanzaro, diminuisce in tutte le altre, principalmente a Vibo Valentia e Reggio Calabria. I movimenti tra Comuni sono rimasti costanti nel secondo anno pandemico: il tasso migratorio interno è passato dal -4,4 per mille del 2020 al -4,3 per mille del 2021, oscillando tra il -3,2 per mille della provincia di Cosenza e il -6,6 di Crotone.

I movimenti migratori internazionali sono in recupero: il tasso migratorio estero, positivo in tutte le province, aumenta rispetto al 2020 (dal 0,7 al 2,7 per mille), soprattutto nella provincia di Cosenza (da 0,9 nel 2020 a 3,2 per mille nel 2021) e Reggio Calabria (da 0,7 a 3,1). La prevalenza della componente femminile nella struttura per genere si conferma anche nel 2021. Le donne rappresentano il 51,0% del totale e superano gli uomini di 38mila unità. La prevalenza si evidenzia particolarmente nelle età più avanzate per la maggior longevità femminile.

Per quanto riguarda la scolarizzazione e il conseguimento dei titoli, nonostante nella nostra regione ci sia un innalzamento del livello di istruzione, continuano a persistere dei divari tra le province, correlati all’invecchiamento della popolazione e alle caratteristiche del mercato del lavoro. L’incidenza del livello di istruzione terziaria risulta più elevata nei territori con sede di ateneo. Quella più alta si osserva a Catanzaro (15,5 %), Cosenza (15,2%) e Reggio Calabria (15,0).

La componente femminile calabrese prevale fra le persone con titolo universitario (56,9% dei laureati o con titolo superiore), in particolare per le donne di età compresa tra i 25 e 64 anni, ma anche tra quelle prive di un titolo di studio (60,1%) e in possesso della sola licenza elementare (56,6%), soprattutto nella classe d’età 65 anni e oltre. A livello provinciale, i tassi di mancanza di istruzione presentano valori più alti per la componente femminile mentre i tassi di conseguimento dei titoli di studio più bassi (fino alla licenza media) presentano valori simili tra la popolazione maschile e quella femminile. All’estremo opposto, l’insieme dei titoli accademici è ovunque più elevato per le donne, per le quali si registra il valore massimo a Catanzaro (17,1%) contro il corrispondente 13,7% degli uomini.

In Calabria permane una situazione piuttosto sfavorevole all’occupazione femminile e uno squilibrio di genere, con valori superiori rispetto alla media nazionale. Nel 2021, il gap di genere del tasso di attività è di circa 18 punti (uomini 51,9%, donne 33,9%), la distanza tra il tasso di occupazione delle donne (28,6%) e quello degli uomini (45,6%) di 17 punti, il tasso di disoccupazione delle donne (15,6%) è più di 3 punti superiore a quello degli uomini (12,2%). Fra le province, i valori più alti del tasso di occupazione si osservano a Catanzaro (37,4%) e Reggio Calabria (37,1%), quelli più bassi a Crotone (35,3%) e Vibo Valentia (35,8%), mentre gli squilibri di genere più ampi (circa 18 punti) si riscontrano a Catanzaro e Crotone, i più bassi (circa 15 punti) a Vibo Valentia e Reggio Calabria.

Le incidenze maggiori del tasso di disoccupazione nel 2021 si osservano nelle province di Reggio Calabria, di Cosenza e di Crotone (rispettivamente 14,1%, 13,6% e 13,6%) mentre, all’opposto, Vibo Valentia e Catanzaro presentano i valori più bassi (12,9% e 13,0%). Il divario di genere è più marcato (quasi 4 punti) nei territori cosentino e catanzarese, minore (circa 2 punti) nel vibonese.

Dal punto di vista dello stock occupazionale e degli avviamenti, interrogando i dati del SIL Calabria, si evince una variazione importante nell’anno 2020, da relazionare al divieto di licenziamento in vigore da marzo 2020 come una misura emergenziale per fronteggiare gli effetti della pandemia, livellatasi poi negli anni successivi. Filtrando i dati al solo 2023 si evincono importanti indicazioni, in primis la distribuzione territoriale dei lavoratori proporzionalmente alla popolazione residente e la distribuzione per età e sesso dei lavoratori, che evidenzia una prevalenza maschile nelle fasce più giovanili e fino ai 45 anni. Da notare la prevalenza del genere femminile nel settore delle attività di cura e di assistenza in ambito familiare, nella sanità e assistenza e nell’istruzione (60,1%); anche dall’analisi delle mansioni si deduce una divaricazione di genere per molte delle attività professionali.

La ricerca e le elaborazioni statistiche effettuate – su base Istat – purtroppo delineano, un andamento quasi stabile del fenomeno, pur se con un lievissimo decremento nazionale riferito al 2022; Dato, peraltro confermato anche per le Regioni del Sud del Paese, ma non in Calabria. Laddove, i numeri, fotografano un fenomeno in aumento con un +46 di vittime di sesso femminile. Serve, comunque evidenziare che – in Calabria – i casi di violenza realmente accertata, passano dai 34 registrati del 2020, ai 17 del 2022, con un picco di ben 41 casi nel 2021. A questi, devono, però, aggiungersi, i casi di vittime di stalking e le richieste di aiuto di vittime di violenza, sempre registrate al numero nazionale antiviolenza e stalking (1522).

Quello che emerge, dunque, è come «il mercato del lavoro in Calabria assume aspetti contraddittori rispetto a quanto espresso a livello nazionale a riprova di come la condizione delle donne assuma ulteriori aspetti di problematicità. In Calabria, infatti, non è presente solo più bassa incidenza di donne occupate rispetto a quanto espresso a livello nazionale, ma anche una più ridotta presenza di donne in cerca di occupazione: questo è sicuramente sintomo di un maggiore effetto scoraggiamento tra la popolazione femminile rispetto alle aspettative di accesso alla sfera lavorativa».

Come detto dall’assessore Calabrese, «è innegabile che, ancora oggi, nonostante le numerose politiche intraprese per le pari opportunità, queste, non sembrano aver trovato una compiuta applicazione sociale ed economica, a partire dalla condizione femminile nel mercato del lavoro».

Eppure, «sostenere attivamente le donne nella loro carriera professionale non solo arricchisce le imprese con una maggiore diversità e competenze, ma stimola anche l’innovazione e porta a risultati di qualità superiore», ha detto ancora l’assessore, sembra non essere chiaro che «l’imprenditoria femminile ha un ruolo fondamentale nella costruzione del futuro del Paese, ma anche nella nostra regione che purtroppo continua però ad essere fanalino di coda di tutte le classifiche che raccontano una terra difficile da vivere e da far crescere dove però proprio il valore delle donne rappresenta un punto di forza per superare gli ostacoli atavici che generano ritardi e criticità», come ha detto Giuliana Furrer, presidente del Movimento Donne Imprese di Confartigianato Calabria(ams)

 

A Palazzo Campanella la Fidapa incontra il presidente Mancuso

Si è parlato delle problematiche legate al lavoro femminile e ai diritti nelle donne, nel corso dell’incontro avvenuto, a Palazzo Campanella, tra la Fidapa Distretto Sud-Ovest e il presidente del Consiglio regionale, Filippo Mancuso.

Un incontro in cui il presidente Mancuso ha evidenziato come «i progetti e le task force dell’Associazione sono in sintonia con l’impegno della Regione» e che è stato introdotto da Franca Dora Mannarino e Barbara Visco, rispettivamente presidente e vice del Distretto Sud-Ovest dell’associazione.

Presenti, anche, Lucia Brulino (presidente Fidapa Sez. di Botricello), Elena Santilli (referente nazionale task force Agricoltura), Maria Luisa Mascaro (referente distrettuale task force Cultura e Turismo), Stefania Basile (referente Nazionale task force Istruzione e formazione), Anna Pizzimenti (referente Distrettuale task force Parità di genere nel lavoro), Anna Cerrigone (referente sezione di Cosenza), Laura Gualtieri (presidente sezione di Paola) ed Enza Galati (referente sezione di Lamezia Terme).

Tanti i temi affrontati: La bassa percentuale di occupazione femminile in Italia – che la posizionano tra gli ultimi Paesi in Europa –, il divario tra Nord e Sud sempre sull’occupazione femminile, in cui nel primo caso è al 53% contro il 30% nel Mezzogiorno e la bassa natalità.

Quello che è emerso, ascoltando anche le parole del presidente Mancuso, è che «il percorso delle donne per una piena e stabile occupazione, nonostante tra le lavoratici si registrino percentuali di laureate e di altamente qualificate più che doppie rispetto agli uomini, è una vera e propria corsa a ostacoli che deve interessare, prescindendo dalle appartenenze politiche,  tutti indistintamente». (rrc)

 

L’OPINIONE / Anna Comi: In Calabria donne sempre più lontane dal mondo del lavoro

di ANNA COMI – La conciliazione vita-lavoro è ancora un macigno che grava sulle spalle delle donne del Sud Italia e, in particolare, di quelle calabresi. Al Sud, come ha spiegato la Svimez in occasione della presentazione del suo cinquantesimo rapporto sull’economia e il sociale del Mezzogiorno, 7 donne su 10 non lavorano. E in Calabria il tasso di occupazione si ferma al 32%.

Così, mentre la Svimez ritiene cruciale la crescita dell’occupazione femminile contro il declino demografico, gli indici statistici ci dicono che la Calabria è fra quelle regioni che presentano il tasso più basso di occupazione femminile in confronto alle medie europee.

L’Ispettorato nazionale del lavoro, in una statistica tenuta poco in considerazione della politica nazionale e locale, ci ricorda che spesso una donna si trova davanti al bivio fra lavoro e famiglia e che, sempre più spesso, la conciliazione è praticamente impossibile. Le donne, quindi, scelgono di lasciare il posto di lavoro per accudire i figli, mentre gli uomini lo fanno davanti a un’offerta migliore, rimarcando così ancora una volta il solco tracciato dalla differenza di genere.

Come evidenzia l’Ispettorato nazionale del lavoro in Calabria, lo scorso anno, sono state segnalate 643 dimissioni di donne dai posti di lavoro, un numero in crescita di oltre il 27% rispetto all’anno precedente. Una vera e propria emorragia.

Le donne sono penalizzate, poi, da un mondo del lavoro di bassa qualità, dove le lavoratrici sono costrette ad accettare i ricatti dei datori di lavoro, e dall’atavica carenza di servizi in grado di rendere efficace la richiesta di conciliazione fra lavoro e famiglia.

Questa carenza strutturale, che in Calabria si sente forte per via dei mancati investimenti o dei progetti finanziati e mai nati, finisce per penalizzare le donne nel mondo del lavoro, soprattutto di quelle donne i cui figli frequentano gli istituiti di prima infanzia.

Il governo continua a non investire, persevera nel seguire politiche fuori contesto rimandando lontano dalle istanze provenienti dal Paese reale. Fra queste quella inaccettabile di spingere sul pedale dell’acceleratore del progetto di riforma ispirato all’autonomia differenziata che, se applicato, finirà per sottrarre ancora altre risorse alle regioni più in ritardo della nazione e favorire lo sviluppo di quelle già avanzate.

Contro la quale, tardivamente, pare volersi muovere anche il presidente della giunta regionale, Roberto Occhiuto. Lo stesso governatore che, purtroppo, guarda con poca attenzione alle dinamiche distorte del gender gap, nonostante in tempi non sospetti avevamo avanzato allo stesso la proposta di istituire un assessorato specifico per studiare proposte moderne finalizzate a superare le differenze ancora esistenti fra le calabresi ed i calabresi.

Ma non solo. Risulta incomprensibile l’idea di riformulazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza che ha finito per tagliare i numeri dei nuovi asili nido, che per la Calabria si attesta ad un risicato 9% rispetto al target del 33%, con il rischio di allargare ancora di più il divario nell’offerta di servizi educativi, e messo in evidenza la necessità – più volte segnalata dalla Uil Calabria – di dare corso ad un moderno e poderoso piano regionale di rilancio dell’occupazione: l’unico strumento per rendere realmente efficiente la macchina burocratica calabrese. (ac)

[Anna Comi è responsabile Coordinamento Pari Oppportunità Uil Calabria]

Lavoro donne, intesa tra Commissione Regione Pari Opportunità, Calabria Lavoro e Anpl

Creare migliori condizioni di lavoro per le lavoratrici nella nostra Regione, oltre che promuovere l’adozione di politiche a favore della parità di genere e delle pari opportunità nel mondo del lavoro e al contrasto dei fenomeni di molestie e discriminazione di genere. Sono questi gli obiettivi del protocollo d’intesa siglato tra la Commissione regionale per l’uguaglianza dei diritti e delle pari opportunità fra uomo e donna (Crpo), guidata dalla presidente Anna De Gaio, l’Azienda Calabria Lavoro (Acl), nella persona dell’avv. Elena Maria Latella ed Anpal Servizi S.p.A., rappresentata dal dott. Michele Raccuglia, Responsabile della macroarea sud jonica – Regioni Campania e Calabria.

Il protocollo nasce dall’impegno e dall’azione sinergica tra la coordinatrice d’area – provincia Catanzaro – della Commissione, dott.ssa Daniela De Blasio e la Responsabile Osservatori, Ricerche e Statistiche di Azienda Calabria Lavoro, dott.ssa Simona Caracciolo. 

In particolare, l’Osservatorio sul lavoro femminile istituito in seno ad Acl, in virtù dei compiti di documentazione, ricerca, studio sulle questioni relative al lavoro delle donne in Calabria nonché delle attività di verifica ed elaborazione di proposte idonee a favorire l’inserimento lavorativo, l’autoimprenditorialità e la creazione di imprese a beneficio delle donne, condivide tematiche convergenti con le attività istituzionali della Crpo, tanto da indurre il Commissario straordinario a sostenere la sottoscrizione del protocollo.

In tale contesto un ruolo di fondamentale importanza riveste Anpal Servizi, che sarà in grado di mettere a punto strumenti e metodologie a supporto delle esigenze e delle azioni programmate per le finalità del suddetto protocollo.

Lo scopo del protocollo è anche quello di attuare una campagna di sensibilizzazione e promozione del tema sempre più attuale del “Sistema di Certificazione della parità di genere” introdotto dal Pnrr, ponendosi, tra gli altri, l’obiettivo di incentivare l’accesso al mercato del lavoro delle donne, migliorando i loro percorsi di carriera e contrastando il gender pay gap, nonché rendendo più semplice la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Considerando l’importanza di garantire pari opportunità di accesso al mondo del lavoro per tutti i cittadini, le parti concordano di collaborare per promuovere politiche e azioni finalizzate a favorire l’inclusione sociale e lavorativa delle donne sul territorio regionale.

Verranno, altresì, promosse politiche attive del lavoro volte a garantire pari opportunità senza discriminazioni di genere, età, disabilità e provenienza; sarà dato sostegno alle imprese che promuovono politiche interne di parità di genere e di eliminazione delle discriminazioni; verrà favorita la partecipazione delle donne alla formazione professionale e rafforzate le azioni volte a prevenire e contrastare ogni forma di violenza o discriminazione di genere sul luogo di lavoro.

Infine, la raccolta delle informazioni statistiche inerenti al mondo del lavoro nel territorio regionale, con particolare riferimento ai dati di genere e alle dimissioni delle lavoratrici madri fino al terzo anno di età del bambino, saranno di supporto all’attività di monitoraggio dell’osservatorio del mercato del lavoro femminile.

A tal proposito, la presidente De Gaio sottolinea l’importanza di istituire un Tavolo di monitoraggio per l’analisi del contesto territoriale sui temi della conciliazione, delle pari opportunità e della non discriminazione. Azienda Calabria Lavoro ed Anpal servizi, infine, supporteranno la Crpo nell’azione di informazione sulla legislazione in materia di pari opportunità e discriminazioni di genere. 

IN CALABRIA LAVORANO POCHE DONNE
SVIMEZ: INTERVENIRE SU OCCUPABILITÀ

di FRANCESCO CANGEMI – Non è una regione per donne. Anche dal punto di vista lavorativo. La Calabria, e tutto il Sud in generale, fanno registrare dati non felici per quanto riguarda l’occupazione femminile nonostante un piccolo incremento rispetto al passato.

L’occupazione femminile in Italia cresce anche al Sud, infatti, ma il Mezzogiorno resta in fondo alla classifica europea sul lavoro delle donne con le ultime quattro posizioni per Sicilia, Campania, Calabria e Puglia. È quanto emerge dalle tabelle Eurostat sull’occupazione nel 2022. Nell’anno solo il 30,5% delle donne tra i 15 e i 64 anni in Sicilia lavorava, in aumento rispetto al 29,1% del 2021 ma comunque distante di oltre 34 punti dal 64,8% medio dell’area euro.

In Campania nel 2022 lavorava solo il 30,6% delle donne contro il 29,1% del 2021 mentre in Calabria lavorava il 31,8% delle donne contro il 30,5% del 2021. La Puglia è quart’ultima per l’occupazione femminile con il 35,4% delle donne occupate (33,8% nel 2021).

Non solo l’Eurostat fotografa una situazione sfavorevole alle donne, anche la Svimez parla di dati non felici in un apposito studio.

La carenza di servizi al Sud penalizza il lavoro delle donne con figli e contribuisce all’inverno demografico: appena il 35% delle madri con figli in età prescolare lavora rispetto al 64% del Centro-Nord. La conciliazione famiglia-lavoro è ancora, soprattutto, una “questione meridionale”.

A conferma di un mercato del lavoro “poco amico dei giovani”, nelle famiglie italiane si registrano tassi di occupazione sensibilmente più elevati per i genitori che per i figli (67,8% contro il 56,1%). E sono i genitori maschi, soprattutto, a determinare quest’esito: il tasso di occupazione dei padri italiani è pari all’83,2% a fronte del 55,1% delle madri. Con l’aggravante di tassi di occupazione strutturalmente più contenuti, nel Mezzogiorno il divario genitori-figli è di 11 punti percentuali (53,7 contro 42,8%) contro i 9 del Centro-Nord. Anche lo squilibrio di genere tra genitori è più marcato ne Mezzogiorno: 74,4 e 36,7% il tasso di occupazione rispettivamente per padri e madri meridionali (88 contro il 65,4% nel Centro-Nord).

Il tasso di occupazione delle donne italiane con figli in età prescolare è particolarmente contenuto (53,9% contro il 60,5% delle madri con figli da 6 a 17 anni). Nel Mezzogiorno il dato crolla al 35,3% per le madri con i figli in età prescolare (40,8% per le mamme meridionali con figli in età scolare).

A determinare questa problematica condizione delle donne nell’approcciare il mercato del lavoro contribuiscono la carenza di posti disponibili negli asili nido, gli elevati costi di accesso al servizio, la scarsa diffusione del tempo pieno nelle scuole dell’infanzia. Prima ancora che le opportunità di lavoro, queste carenze frenano la partecipazione al mercato del lavoro delle donne. Una questione italiana in Europa che è determinata soprattutto dai divari tra Mezzogiorno e Centro-Nord: il divario sfavorevole al Sud nei tassi di attività si attesta tra i 25 e i 30 punti percentuali per tutte le tipologie familiari. In particolare, il divario italiano nel tasso di partecipazione femminile rispetto alla media UE è di circa 13 punti percentuali, media dalla quale il Centro-Nord è distante circa 5 punti, il Mezzogiorno ben 28 punti.

La scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro è un freno per le prospettive di crescita dell’economia italiana, soprattutto alla luce di tendenze demografiche particolarmente negative, che già si stanno riflettendo in un calo della popolazione in età da lavoro.

«Risulta dunque evidente – scrive lo Svimez nel suo rapporto – l’importanza di interventi rivolti a incentivare l’occupabilità delle donne, soprattutto nel Mezzogiorno, rafforzando i servizi per l’infanzia e le infrastrutture scolastiche, favorendo una distribuzione più equilibrata tra generi delle attività di cura della famiglia e facilitando la conciliazione dei tempi di vita e lavoro». (fc)

Pari Opportunità, al via microcredito per le donne

«Un altro tassello concreto per una piena parità di genere». È così che la vicepresidente della Regione, Giusi Princi, ha commentato il microcredito per le donne. Si tratta di una misura speciale per cui la Regione ha impegnato 10 milioni di euro e che è stata finanziata nell’ambito del Piano Sviluppo e Coesione.

«Uno strumento attraverso cui vogliamo dare un’opportunità concreta alle donne calabresi che vogliono avviare un’attività d’impresa nella nostra regione», ha aggiunto la vicepresidente, spiegando che «il percorso è già attivo, grazie agli sforzi che abbiamo profuso con il Direttore generale del Dipartimento Lavoro e Welfare, Roberto Cosentino, e con il coordinatore regionale dell’Ente nazionale per il Microcredito, Antonello Rispoli».

«Questa è una delle prime misure che mettiamo in campo in termini di pari opportunità concrete, risposta importante in tema di occupazione femminile. Tante altre azioni andranno ad incentivare l’indipendenza economica delle donne calabresi – ha aggiunto il Vicepresidente – come già enucleato nel Piano da poco deliberato in Giunta. Abbiamo voluto dare un segno tangibile di quanto la Regione possa e debba fare per l’empowerment delle donne calabresi».

«Era un mio impegno – ha concluso Giusi Princi – ed è solo il primo di quelli previsti nel Piano di attuazione per la parità di genere a cui seguiranno, a breve, anche gli altri».

Le parole del Vicepresidente della Calabria con delega alle Pari opportunità, Giusi Princi, fanno riferimento all’accordo istituzionale siglato in questi giorni tra Regione Calabria, Ente Nazionale per il Microcredito e FinCalabra, per dare avvio al Progetto “Microcredito per le donne”, già previsto nel Piano di attuazione della legge regionale n.7 del 2022 “Misure per il superamento della discriminazione di genere e incentivi per l’occupazione femminile”.

Lo strumento finanziario FIF (Fondo Imprese Femminili) sarà gestito da FinCalabra e prevederà un finanziamento massimo di 62.500 di cui 30.000 di contributo a fondo perduto e il resto da restituire, a tasso zero e senza garanzie, in 6 anni.

Il Fondo imprese femminili è rivolto alle donne con status di disoccupazione o inoccupazione, persone con disabilità e a rischio discriminazione, incluse le lavoratrici prossime al termine della fruizione di ammortizzatori sociali ed anche le donne che, seppur occupate, abbiano già seguito e completato positivamente il percorso Yes I Start Up Donne.

Il progetto è caratterizzato da due elementi fondanti, che tengono conto dell’esperienza maturata dalla regione sul tema dell’autoimpiego: un affiancamento gratuito alle potenziali imprenditrici per valutare la sostenibilità della loro idea d’impresa e uno strumento finanziario, senza garanzie, in grado di coprire tutte le risorse necessarie. Il percorso di accompagnamento Yes I Start Up Donne, erogato dall’Ente Nazionale per il Microcredito, ha la durata di 100 ore per strutturare al meglio il business plan, per poi proseguire anche dopo il finanziamento tramite attività di tutoraggio.

Per l’iscrizione al corso gratuito è sufficiente scrivere un’email a yisucal.amministrazione@microcredito.gov.it . Solo con la partecipazione al percorso si potrà accedere al finanziamento correlato. (rcz)

 

DONNE, IMPRESE E LA DISPARITÀ DI GENERE
CALABRIA: PAGHE PIÙ BASSE, MENO DIRITTI

di MARIA CRISTINA GULLÍ – Il lavoro in Calabria è donna, ma persistono le disparità e, nonostante facciano «meglio degli uomini sul fronte istruzione e formazione», le donne «scontano gap rilevanti a loro sfavore sul fronte lavoro, conciliazione e benessere soggettivo». È quanto è emerso dal rapporto dell’Osservatorio Mpi di Confartigianato Imprese Calabria, realizzato in occasione dell’8 marzo.

Una storia, quella rilevata dall’Osservatorio, che è tristemente conosciuta e che conferma come «la platea femminile sconta condizioni peggiori degli uomini in tutti gli ambiti del lavoro e conciliazione, con quote superiore a quelle dei colleghi maschi di 14,5 punti per il tasso di mancata partecipazione al lavoro, di 3,9 punti per dipendenti con bassa paga e di10,3 punti per part time involontario».

«Tutto ciò – si legge – comporta una disparità uomo donna anche sul fronte della soddisfazione per il proprio tempo libero: le donne che esprimono livelli elevati di soddisfazione sono il 66,2% quota inferiore di 2,1 punti rispetto a quella rilevata per gli uomini. Persiste inoltre una disparità del 31,8% tra la retribuzione media percepita dalle dipendenti donne rispetto a quella percepita dagli uomini. Si osservano tassi di occupazione femminili più elevati proprio nelle realtà in cui c’è una maggiore diffusione di bambini che frequentano gli asili nido e di donne che hanno titoli di studio elevati (laurea e post-laurea)».

Dati che, secondo Roberto Matragrano, presidente di Confartigianato, «ci permettono di illustrare  l’importanza e la centralità di alcune leve fondamentali per un contesto a ‘favore di donna’ come l’istruzione e la diffusione capillare sui territori di servizi di assistenza negli ambiti della conciliazione (come i servizi per l’infanzia, asili nido). Leve su cui poter e dover fare forza per incentivare una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro».

D’altronde, in Calabria nel 2021 sono  5.828 le imprese registrate artigiane guidate da donne che operano per lo più nei settori dei servizi alla persona, dei servizi di pulizia, della moda e delle attività di ristorazione. Il 13% delle imprese femminili che popolano la nostra regione operano nel comparto artigiano.

Un dato non indifferente, che fa comprendere quanto sia necessario realizzare delle politiche a misura e a favore di “donna”, soprattutto se di queste «oltre 5 mila imprese, nello specifico, 969 sono gestite da giovani donne (15,6% del totale imprese femminili giovanili e 16,6% del totale imprese femminili artigiane) e 454 sono gestite da imprenditrice straniera (11,6% del totale imprese femminili straniere e 7,8% del totale imprese femminili artigiane)».

Confrontando i numeri riferiti all’imprenditoria femminile artigiana del 2021 con quelli del 2019 (anno pre crisi) – tenendo conto che tra le imprese registrate viene conteggiata anche la platea nascosta di imprese cessate, che in attesa di ristori, non hanno ancora chiuso – si nota una difficoltà maggiore nel recuperare i numeri pre Covid-19 per la platea di giovani donne e per quelle che operano nel settore della manifattura.

«Difatti – si legge nel report – la quota di donne calabresi con almeno un diploma si attesta al 54,5% superando di 0,8 punti quella rilevata per gli uomini, quella di donne laureate si attesta al 27,8% superando di 14 punti quella rilevata per gli uomini, quella di donne che hanno effettuato il passaggio all’università si attesta al 57,9% superando di 15,8 punti quella rilevata per gli uomini, mentre quella di donne che partecipano alla formazione continua si attesta al 5,5% eguagliando il valore rilevato per gli uomini. C’è, però, un ambito dell’istruzione in cui le donne scontano un gap a loro sfavore rispetto agli uomini, quello del digitale: per quota di donne con competenze digitali elevate (per le donne si registra una quota del 12,3% inferiore di 8,9 punti a quella degli uomini) e per quota di laureate in discipline Stem (per le donne si rileva una quota del 13,3% inferiore 2,1 punti quella degli uomini)». (rrm)

CALABRIA, DONNE IMPEGNATE NEL LAVORO
LA PRECARIETÀ A SCAPITO DELLA FAMIGLIA

di SIMONA CARACCIOLO – È errore comune credere che quando le donne occuperanno finalmente posti di vertice il sessismo sarà sconfitto. Le esperienze di vita, soprattutto in settori prettamente maschilisti, insegnano che solo quando smetteremo di pensare che essere maschio o femmina siano parametri di giudizio, sul podio o altrove, sarà stato seriamente il tempo della rivoluzione. 

Uno spaccato indicativo sulla realtà della situazione dell’occupazione femminile in Calabria può essere rappresentato dai risultati dell’indagine su La lavoratrice ai tempi del Covid-19, ideata e realizzata dal Coordinamento Donne Cisl Calabria. Il Segretario generale in un suo intervento riporta come «tale ricerca sul campo ha scelto di compiere un importante esercizio di ascolto delle donne impegnate nel mondo del lavoro, in una fase drammatica della nostra vita personale e sociale». Ne è emerso un quadro significativo sia della situazione lavorativa e reddituale, sia dei servizi di welfare e conciliazione famiglia-lavoro». Risultano le donne essere «la categoria più colpita dalla precarietà e dalla discontinuità nel lavoro.

Una sana critica stana nodi culturali che impediscono a donne e uomini di realizzare se stessi, di autodeterminarsi. Il femminismo non deve distruggere ma costruire facendo sentire la propria voce in ufficio come in famiglia; esso deve trattare i diritti in modo inclusivo, intersezionale, aperto, senza farci dimenticare i nostri doveri, primo fra tutti la libertà di essere se stessi. 

Tra le azioni culturali che mirano a valorizzare le politiche di genere c’è la sensibilizzazione al riconoscere, reagire, affrontare e superare la lotta alla violenza basata sul genere, comprese le prassi nocive dettate da consuetudini o tradizioni, col fine del rispetto della dignità e dell’integrità delle donne. 

Per intervenire e cambiare il sistema il femminismo deve entrare nel dibattito pubblico, politico, filosofico con la dignità che gli compete, con un occhio al passato ed uno al futuro. 

L’anno appena trascorso si conclude con un dato positivo: l’occupazione femminile sale al 50,5%: la quota più alta di sempre. Il rialzo a dicembre 2021, come fa sapere l’Istat, è di 54mila occupate rispetto al mese prima e di 377mila occupate in più rispetto al 2020, ma molto ancora dobbiamo fare. 

Per rafforzare i servizi dedicati alle donne vittime di violenza bisogna favorire l’empowerment sociale ed economico delle donne attraverso il potenziamento delle competenze e l’emancipazione economica. 

Empowerment è, per definizione, la conquista della consapevolezza di sé e l’acquisizione del controllo sulle proprie scelte e azioni, sia nell’ambito delle relazioni interpersonali, sia nell’ambito della vita politica e sociale. Si tratta di un processo di crescita interiore basato sulla fiducia in se stessi, sull’auto efficacia e l’auto determinazione: sentirsi capaci di far emergere il proprio potenziale. 

Guardiamo al concetto di empowerment femminile non solo come frasi di circostanza su una generica “forza delle donne”. Questo è un principio che le stesse Nazioni Unite indicano come fondamentale per lo sviluppo della società, perché va di pari passo con l’uguaglianza di genere, che assicura un futuro migliore per tutti. L’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di donne e ragazze è, nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, il quinto punto di 17 per uno sviluppo sostenibile. Istituzioni e leader devono impegnarsi pubblicamente a promuovere l’empowerment femminile e l’uguaglianza di genere attraverso: 

  • l’implementazione dello sviluppo imprenditoriale della catena di fornitura e delle pratiche commerciali che promuovono l’autonomia delle donne; 
  • assicurare salute, sicurezza e benessere dei lavoratori, a prescindere dal genere. 

Attraverso le Istituzioni bisogna attivare la promozione dell’equità con iniziative per le comunità ed attraverso la cosiddetta advocacy. Misurare e riportare i progressi nel raggiungimento della parità di genere, si può e si deve fare, attraverso gli Osservatori sul lavoro femminile, sulla violenza di genere, sulle pari opportunità, ecc. 

Tanti sono i percorsi che ci permettono di crescere come persone: studiare e formarci, fare esperienze variegate nel lavoro, instaurare relazioni significative, fare terapia psicologica. Dobbiamo allenare l’insieme delle capacità relazionali, comunicative e cognitive della persona che ci permettono di acquisire e potenziare competenze individuali. Senza ombra di dubbio alcuno studiare per accrescere le proprie competenze è sempre la scelta giusta e la base per poter cercare lavori inerenti i propri studi e le proprie passioni, ma anche lavori in ambito creativo o in ambito sociale. 

Molti studi evidenziano che quasi una donna su quattro è stata vittima di una relazione violenta, le cui cause sono da ricercare nella povertà, dipendenza economica e disuguaglianza di genere. 

La violenza di genere viene come di consueto identificata con la violenza fisica, ma la violenza contro le donne non riguarda unicamente lo stupro consumato. Quello è un reato gravissimo, ma non è l’unica forma di violenza contro le donne: vessazioni psicologiche, ricatti economici, minacce. È “violenza contro le donne” ogni atto di violenza fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà. Così recita l’art 1 della dichiarazione Onu sull’eliminazione della violenza contro le donne. 

Molte donne, dopo la Laurea, lasciano il lavoro per occuparsi dei figli, in modo che il compagno possa fare carriera: è una scelta, un patto tra coniugi, in cui una persona è funzionale all’altra. Nulla di male, se funziona, e se rende felici. Il problema nasce quando non ci si ama più: in quel caso cosa potrà fare una donna senza alcuna esperienza lavorativa? Quando amiamo abbiamo cieca fiducia nell’altro, e di norma questa fede è anche ben riposta. Ma come donne, non abbiamo il diritto di pensare anche al futuro? D’un colpo la scelta apparentemente condivisa di dedicarsi in maniera esclusiva “solo” alla famiglia per consentire a chi “porta i pantaloni” in casa di dare sfogo, giustamente, alla propria realizzazione professionale, potrebbe apparire sotto altra luce. Si ha allora l’impressione che l’altra persona non voglia o non sia in grado di darci il rispetto che meritiamo e molto probabile che ci sia un abuso. 

L’abuso emotivo è un comportamento sgradevole che mette fortemente a disagio chi lo subisce. Solitamente l’abuso emotivo viene ripetuto in un arco di tempo, in cui una persona o un gruppo di persone si riferiscono in maniera ingiusta a qualcuno. Può essere anche un singolo evento traumatico rimasto irrisolto. Per certi versi, l’abuso emotivo è la forma più comune di abuso, più difficile da individuare e più facile da negare. Ma, proprio come l’ abuso fisico e sessuale hanno indicatori che segnano la loro presenza, anche l’abuso emotivo, essendo un attacco sistematico al proprio senso di sé, ha dei tratti comuni. Può variare in gradi di gravità, intensità e dannosità, poiché è incredibilmente distruttivo del senso di sé. Dovremmo ricordare sempre che l’amore non cura ogni ferita, non possiamo veramente salvare nessuno, ma solo amarlo, ma amare qualcuno più di se stesso, non è sano. 

Se ne può parlare, se ne deve parlare per fare prevenzioni ma soprattutto per poter intervenire, per poter costruire un’alternativa, per poter creare una rete di aiuto, per curarsi e tutelarsi. Tutto parte dalla consapevolezza di se stessi e dall’autostima che ognuno di noi coltiva nel giardino interiore del proprio vissuto. Lì dove risiedono dei traumi familiari, relazionali, vi è più facilità che il nostro se si dimostri fragile ed empatico, a discapito della realizzazione completa che una donna può nutrire come bisogno e che invece lascia sepolta sotto la capacità estrema di comprendere l’altro mettendo da parte se stessa. Non è questa però l’occasione di concentrarsi sul disturbo della dipendenza affettiva, ma l’abuso emotivo da la possibilità di menzionare un’azione comune che avviene ed è riconosciuta da tantissimi studi di psicologia quale attività di grande trauma relazionale. 

Bisogna insegnare alle ragazze e alle donne a uscire dall’isolamento, che è uno dei principali meccanismi di mantenimento e perpetuazione della violenza. Bisogna rompere il segreto e parlarne, parlarne, parlarne, con le famiglie, con le amiche, con i colleghi di lavoro, con gli specialisti del pronto soccorso e dei centri antiviolenza. È necessario investire sula dignità lavorativa ed economica delle donne anche per combatte la violenza economica, più silenziosa delle altre ma uno dei primi motivi che non consente a chi è abusata di poter anche solo ipotizzare l’interruzione della forma di violenza che finalmente riconosce. (sc)

Donne e Politica, la delusione di Lella Golfo «La politica ancora una volta penalizza le donne»

di PINO NANOLella Golfo, storica fondatrice e presidente della Fondazione Marisa Bellisario, entra nel dibattito politico nazionale a muso duro, alla sua maniera di sempre, da vecchia e imperdonabile passionaria della politica italiana, e dalle colonne della newsletter della Fondazione manifesta la sua “rabbia” contro un sistema politico che è ancora molto lontano dal pianeta femminile.

E, intanto, lancia il grande Raduno Donne e Potere il prossimo 29 e 30 ottobre all’Auditorium di Roma.

Non usa mediazione alcuna Lella Golfo, nel commentare il dato elettorale di queste ultime ore. Dice con fermezza: «Sono state due settimane intense, tanto lavoro e persino poco tempo per seguire quella politica che è la mia passione insanabile. Non credo di aver perso molto a giudicare da quelli che sono i primi risultati che si intravedono». 

Delusa, fortemente delusa la vecchia leader delle donne imprenditrici italiane

Due sole notazioni per non scendere nei giudizi politici che non mi competono. La prima è indipendente dai risultati e riguarda l’assenza quasi totale di donne dalla competizione elettorale. Poche, pochissime, in alcuni grandi città addirittura assenti nelle liste dei candidati con qualche chance per vincere. Aspettiamo la conta dei voti, i turni di ballottaggio ma ho la netta sensazione che queste amministrative sanciranno un passo indietro in tema di presenza femminile in politica. 

È la regola spietata del “maschio al comando” sempre e comunque?

Abbiamo fatto passi giganteschi alla guida delle aziende e il Pnnr promette di farcene fare altrettanti sul fronte dell’occupazione e della conciliazione, ma la politica continua a tirare i remi in barca, a dare continui schiaffi alla modernità, a rimandare il necessario cambio di passo. Noi, come sempre, abbiamo fatto la nostra parte dando spazio alle candidate iscritte alla Fondazione ma senza un impegno serio da parte dei partiti, il rischio è di continuare a parlare di democrazia dimezzata.

Qual è stata l’altra nota dolente della  campagna elettorale appena conclusasi?

La seconda notazione credo sia legata a filo doppio alla prima: queste elezioni hanno confermato in maniera drammatica il disinteresse degli italiani alla politica. L’astensionismo sarà certamente uno dei temi caldi delle prossime settimane. E io spero vivamente che se ne parli, che i partiti si interroghino su quale distanza siderale li divide orami dalla gente, anche quando in ballo c’è qualcosa di assai concreto e vicino come l’amministrazione delle proprie città. È un brutto segnale per la democrazia.

Ma la Fondazione Bellisario vedo che non si ferma mai?

Siamo una bella generazione, e io sono davvero orgogliosa di annunciare che il 29 e 30 ottobre si terrà la 21ª edizione del nostro Seminario internazionale Donna, Economia & Potere. Restiamo a Roma, dove si erano tenute le primissime edizioni e per ripartire alla grande abbiamo scelto l’Auditorium Parco della Musica “Ennio Morricone”.

“Donna, Economia e Potere”, una bella provocazione?

Il titolo l’ho “rubato” al Presidente Mario Draghi: quando durante l’Assemblea di Confindustria in un discorso applauditissimo ha usato l’espressione «il gusto del Futuro», ho capito che era un prestito lecito, perché riassumeva la nostra visione: ottimismo e pragmatismo, perché per costruire qualcosa di bello bisogna avere passione e idee, guardare al domani con la concretezza di chi non sa stare al mondo se non rimboccandosi le maniche.

Sul blog della Fondazione c’è già il programma di massima di questo nuovo happening delle donne che più contano nel Paese.

Ci sarà come sempre la presenza istituzionale e poi i temi di più pressante attualità, guardando al futuro. Economia della conoscenza: Sviluppo, Transizione, Digitalizzazione” e “Donne & Intelligenza Artificiale saranno gli argomenti al centro delle due tavole rotonde mentre il sabato metteremo in scena B-Factor: fattore Bellisario, un format per dare visibilità e opportunità a 15 startup innovative, che si “esibiranno” in cerca di sostegno economico e suggerimenti pratici da parte di imprenditori, manager ed esperti.

Come sempre, daremo vita a un confronto paritario e sfidante, da cui far emergere proposte concrete da portare all’attenzione delle istituzioni, del Governo e dell’opinione pubblica. E, poi, la novità del format “B-Factor” perché il cambiamento passa anche dalle giovani imprenditrici, ragazze di talento che hanno buttato il cuore oltre l’ostacolo e che vogliono costruire qui, nel loro Paese, la loro idea di futuro”.

Onorevole Lella Golfo, vedo che va avanti come una vera macchina da guerra…

La pandemia non ci ha fermate ma “caricate”. È stato un periodo di riflessione e oggi che il protagonismo femminile e il binomio Donne & Potere hanno dimostrato di essere una delle chiavi di volta per la ripartenza, noi siamo ancor più pronte a scendere in campo.

-In bocca al lupo!

“Crepi”. (pn)

CALABRIA: LAVORO, RECOVERY E LE DONNE
SI RIPARTE SOLO SE SI INVESTE SU DI ESSE

di ANTONIETTA MARIA STRATI – «Da 20 anni, in Calabria, manca un vero welfare e questo aspetto danneggia prima di tutto le donne». È la denuncia di Amalia Talarico, della segreteria Fp Cgil Area Vasta, fatta nel corso di un webinar dal titolo Donne, Lavoro e Sud promosso dalla Cgil Area Vasta Catanzaro, Crotone, Vibo Valentia.

Un tema, quello delle donne e del lavoro, che oggi, più che mai, è un tema che dovrebbe essere affrontato più seriamente, sopratutto se, a causa di questa pandemia mondiale, sono state le donne, a livello lavorativo, ad averci rimesso: secondo i dati Istat, infatti, su 101 mila nuovi disoccupati, 99mila sono donne, allargando, così, la disparità di genere. Un quadro davvero sconfortante, se si pensa che, in realtà, le donne hanno un ruolo chiave nella ripartenza del paese e, quindi, si rende necessario il dover «investire sul valore delle donne» perché «investire sulle donne significa far ripartire il lavoro e spingere sulla rivoluzione culturale necessaria a far fronte al cambiamento, a tutti i livelli».

«Alle donne non può bastare la parola quota, o un capitolo in fondo ad un programma elettorale» ha dichiarato Filly Pollinzi, assessore Pari Opportunità del Comune di Crotone, perché «c’è la necessità di affrontare il tema della cittadinanza delle donne e del ruolo che devono avere nella società che stiamo costruendo» ha detto Serena Sorrentino, segretaria nazionale Fp Cgil.

A illustrare un quadro desolante, sul tema lavoro e Mezzogiorno, è Simona Maggiorelli, direttrice del settimanale Left: «solo il 32,2 per cento delle donne lavora, e una donna su cinque che avuto un figlio non lavora. Questi dati sono 2018, e sono inferiori al dato peggiore che è quello del 1977. Le donne sono quelle che vengono mandate a casa quando si tagliano i posti di lavoro, sono quelle che vengono pagate meno e che subiscono violenza sul lavoro» ha rilevato aggiungendo che si tratta di una situazione che «durante il periodo della pandemia è peggiorata».

«Rispetto a tutto questo – ha aggiunto – la questione centrale è culturale. Parlare di prevenzione vuol dire anche che non bastano le leggi, che sono sicuramente importantissime, ma non ci possiamo fermare a sanzionare comportamenti quando il ‘fatto’ è già avvenuto. Per questo dobbiamo partire dalle scuole: le donne devono imparare a riconoscere la violenza, la rivoluzione è nel paradigma culturale totale. Le donne non sono soggetti fragili da tutelare, ma sono una risorsa che deve contare nei luoghi di poter per poter cambiare le cose».

«La difficoltà nel conciliare i tempi di vita e lavoro – ha dichiarato Enzo Scalese, segretario generale della Cgil Area Vasta – l’aumento del lavoro di cura, che ricade quasi esclusivamente sulle donne, la crisi economica legata alle politiche di contenimento del virus che ha aumentato notevolmente il tasso di disoccupazione femminile, ha portato le donne a pagare il prezzo più alto della crisi, soprattutto nelle nostre realtà, dove i ruoli ricoperti sono spesso più gravosi e precari».

Per Scalese, «dobbiamo afferrare le opportunità alimentate dal programma del Next Generation Eu e contenute nel piano nazionale di Resilienza e Resistenza, per ripensare e riprogettare il futuro in ottica di opportunità per l’occupazione giovanile e femminile, proprio per come proposto nel nostro piano straordinario per il lavoro. Dobbiamo puntare a politiche strutturali e integrate per risolvere il problema della diseguaglianza di genere a partire dal tema della “disparità salariale” che non è solo una questione femminile, ma che riguarda l’utilizzo efficace delle risorse con le quali si crea benessere per tutti. L’Italia ha bisogno del potenziale produttivo delle donne».

Un concetto che viene ribadito nella campagna Donne per la salvezza, nato da «un lungo confronto fra numerose associazioni, economiste, statistiche, accademiche, manager, esperte di politiche di genere, politiche e politici» «per dare forza e ulteriore sostanza alla campagna europea Half of it, per destinare almeno la metà delle risorse europee del Next generation Eu a misure che includano le donne nella vita sociale ed economica del Paese».

Nel manifesto, infatti, viene ribadito che «l’occupazione femminile genera ricchezza, economia del lavoro di cura e riduce sensibilmente il rischio povertà, specie nelle famiglie monoreddito. Puntare sulla crescita sostenuta dell’occupazione femminile significa anche creare le condizioni per un aumento del numero dei nati, dei figli desiderati, a cui tanti giovani rinunciano in un Paese afflitto da decenni dalla decrescita demografica. Siamo convinte che 3 l’obiettivo di portare l’occupazione femminile dal 48,5% al 62,4% debba costituire una priorità del Piano, e su questo chiediamo la convergenza di tutti i decisori».

Per la segretaria generale Sorrentino, «in questa fase di svolta nel Paese, davanti ad una crisi economica mondiale che si affronta per la prima volta con la scelta di investire, piuttosto che tagliare, uno dei temi da affrontare è proprio il lavoro delle donne, la ricostruzione della rete dei servizi e del welfare che guardino alla maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro. È questa, la sfida che abbiamo davanti». (ams)