di ERNESTO MANCINI – Il leader dei Cinque Stelle, Giuseppe Conte, non si è schierato a favore del referendum che riporterebbe da dieci a cinque anni il tempo necessario per chiedere la cittadinanza da parte degli stranieri regolarmente residenti in Italia.
Egli ha motivato tale scelta affermando pubblicamente che i 5 Stelle hanno presentato in Parlamento apposito disegno di legge organica sulla cittadinanza (ius scholae) per cui è opportuno procedere con tale legge anziché con lo strumento del referendum.
Conte ha pure affermato che lascia comunque liberi gli iscritti al Movimento di votare secondo coscienza rimanendo perciò liberi da direttive di partito. Egli voterà “sì” al referendum ma gli iscritti potranno regolarsi come meglio credono.
La posizione di Conte non può essere condivisa
In primo luogo, va notato che di proposte di legge giacenti in Parlamento sulla cittadinanza (ivi compreso lo ius scholae presentato non solo dai 5 Stelle ma anche dal PD ed altre componenti della sinistra che in più sostengono a ragione anche lo ius soli eventualmente temperato con lo ius scholae) ce ne sono almeno una decina e nessuna di queste ha possibilità concrete di arrivare in porto in questa legislatura. La maggioranza parlamentare di destra, infatti, è blindata contro ogni legge che riconosca maggiori diritti per i migranti quand’anche siano nati qui o qui siano residenti regolarmente da parecchi anni. Non si tratta perciò di clandestini od irregolari ma di persone (donne, uomini, ragazze e ragazzi, in moltissimi casi addirittura nati in Italia) che lavorano e studiano in questo nostro Paese e che alcuni hanno giustamente definito “nuovi italiani” (Treccani, Vocabolario dei neologismi; Censis progetto di ricerca sui “nuovi italiani”).
In secondo luogo, la riduzione dei tempi di cittadinanza tramite referendum non ostacola in alcun modo i disegni di legge depositati in Parlamento, anzi ne rafforzerebbe le ragioni qualora una forte partecipazione popolare riuscisse a spingere verso la stessa direzione. Al contrario, tali disegni di legge sarebbero ancor più ostacolati ove il quorum non si raggiungesse consentendo alla destra di cantare vittoria ed affermando gratuitamente che gli italiani non hanno voluto alcuna norma di favore per gli immigrati. Sembra già di sentirla questa prossima litania.
In terzo luogo, va ricordato che alle recenti elezioni europee del 6 giugno 2024 votarono 24.621.499 di italiani su 46.552.399 aventi diritto al voto. Meno della metà, insomma, e cioè il 49,6%. Va però chiarito che nei 24 milioni dell’anno scorso ci sono solo 11,6 milioni di votanti che appartengono a partiti favorevoli a ridurre il tempo per la cittadinanza mentre il quorum rimane a circa 24 milioni. Se poi da questi 11,6 mln si detraggono in tutto od in parte, dato il forfait di Conte, i 2,3 mln dei Cinque Stelle delle europee 2024, il quorum dei 24 mln, già lontano, diventa lontanissimo perché i contrari alla riduzione dei termini per la cittadinanza non hanno alcun interesse a partecipare al voto così impedendo il quorum. In questa situazione è evidente che la partita del referendum si gioca tutta sul quorum per cui il disimpegno “come partito” dei 5S è scelta imperdonabile.
Solo per completezza va detto che la tornata referendaria è stata privata del referendum per l’abrogazione totale della legge Calderoli sull’autonomia differenziata; tale referendum, come è noto, è stato inopinatamente non ammesso dalla Corte Costituzionale. C’è da credere, al riguardo, che quella consultazione sarebbe stata molto trainante per le altre. Si è dunque assai lontani dal quorum anche per circostanze sopraggiunte e Conte, come se non bastasse, ci ha messo anche del suo.
C’è dunque da sperare in un’alta affluenza alle urne: alle politiche del settembre 2022 l’affluenza fu del 63,91 % con 29,4 mln di votanti ampiamente superiore ai 24 mln ora richiesti. C’è però da tener conto, anche in questo caso, che oltre metà di questa cifra appartiene ai partiti di destra che oggi incentivano con messaggi ufficiali a non recarsi alle urne proprio per evitare il quorum. Perciò, come si disse una volta, “tutti al mare !!”. È significativo, al riguardo, che il Governo abbia scelto una domenica di giugno nonostante il referendum potesse essere fissato, a termini dell’art. 34 della legge n. 352/1970, tra il 15 aprile ed il 15 giugno). È anche significativo che la Meloni abbia dichiarato che si recherà alle urne ma senza ritirare le schede referendarie; di mezzo ci sono anche i secondi turni per le elezioni comunali di alcune città e quelle schede saranno invece utilizzate senza che vadano conteggiate per il quorum referendario.
Da quanto precede risulta evidente che l’unica concreta possibilità di successo del referendum sulla cittadinanza è quella di una massiccia partecipazione da parte dei cittadini che nelle scorse votazioni non andarono a votare. In tal modo si colma il gap di voti mancanti a causa della non partecipazione degli elettori appartenenti ai partiti governativi che si oppongono al referendum. Questo vale anche per i referendum sul lavoro e su ciò i segretari dei sindacati e dei partiti referendari hanno più volte rivolto un appello al voto nei pochi talk televisivi che fino ad oggi hanno affrontato l’argomento.
Un’ultima annotazione sulla libertà di coscienza indicata da Conte. La riduzione per legge da dieci a cinque anni per gli immigrati non è una questione di coscienza bensì di puro diritto ed ancor più di diritto umanitario. Dice l’art. 15 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948: “Ogni individuo ha diritto a una cittadinanza. Nessuno può essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza né del diritto di mutarla.” Sulla stessa linea vedi Convenzione Europea sulla Nazionalità (Strasburgo, 1997), Convenzione sui diritti del fanciullo (New York, 1989), Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (1966), Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (1965), Convenzione sulla condizione dei rifugiati (Ginevra, 1951).
Non è dunque una tema che può essere lasciato all’etica o alla morale personale perché è vincolato ai principi universali dei diritti dell’uomo che lo Stato “deve” applicare. Che uno Stato preveda discrezionalmente condizioni temporali di accesso è cosa possibile ed anche legittima ma che queste condizioni si spingano oltre il ragionevole (dieci anni più gli ulteriori due-quattro anni per la procedura burocratica di riconoscimento e altri requisiti quali, reddito personale o familiare, lavoro, ecc.) è cosa che va ridimensionata con ogni mezzo. Il referendum è un mezzo che va in questa direzione nell’attesa di una legge organica che, per ora, non accenna minimamente ad arrivare.
Se poi si insiste sulla coscienza e perciò sulla morale va ricordato quanto disse duemila anni fa un maestro di virtù umane: “…perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi.” (Vangelo secondo Matteo 25,35-36). Speriamo che anche molti elettori democratici di destra non abbiano paura e se ne ricordino.
Quel Maestro oggi andrebbe a votare segnando il “sì” sulla scheda. Non c’è dubbio. (em)