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La meganave portantainer a Gioia Tauro

Infrastrutture intermodali e Zes per lo sviluppo del Porto di Gioia Tauro

di DOMENICO NAPOLI – L’istituzione della Zona Economica Speciale a Gioia Tauro potrebbe senz’altro rappresentare il primo tassello, capace di attrarre investimenti e, quindi, generare sviluppo per un territorio e per una regione cronicamente depressi. È ovvio, però, che tale zona, per essere attraente agli occhi delle imprese, non può prescindere da alcune variabili: la stabilità, la semplificazione, la qualità del servizio, l’accoglienza e la competitività delle norme. Variabili elementari che non riescono a diventare “aspetti” del normale agire sociale in Italia e, principalmente, al Sud.

La ZES oltre al sistema di agevolazioni previste per la realizzazione della stessa dovrà essere in grado di attrarre investimenti esteri. L’attrazione di investimenti esteri non solo è un fattore determinante per la crescita territoriale ma, in un contesto globalizzato, dimostra anche la vitalità stessa del territorio.  La concorrenza internazionale è sempre più forte, variegata e dinamica e di conseguenza non ci si può confrontare con essa senza una struttura sviluppata e un piano strategico. È fondamentale avere un approccio proattivo, promuovendo il territorio presso i grandi player internazionali, mettendo in evidenza i punti di forza ed i vantaggi, rispetto ai concorrenti, quali l’eccellenza dell’area portuale e la posizione geostrategica.

La pianificazione di qualsiasi sistema infrastrutturale non può prescindere dal quadro geopolitico e geo-economico globale, a maggior ragione nel contesto attuale in cui le infrastrutture continentali costituiscono un momento essenziale per la ripresa, essendo in grado di influire sia sui processi di modernizzazione tecnologica, sia sulla stabilità in politica estera. Tale momento, con tutte le sue complesse e intricate questioni geopolitiche che lo contraddistinguono, è caratterizzato dall’emersione di nuovi protagonisti sulla scena mondiale (quali, ad esempio, i BRICS) e dalle profonde mutazioni da essi provocate, fra cui si registra anche quella della geografia dello shipping mondiale. Il dato è tutt’altro che trascurabile se si considera che il mare, oltre ad essere sempre stato la principale area di circolazione dei flussi di merci, svolge un ruolo centrale per la società influenzandone – direttamente e indirettamente – la maggior parte degli aspetti della vita quotidiana. Lo spostamento dell’asse geo-economico verso l’ambiente marittimo è maggiormente comprensibile se si considera che l’80% di tutta la vita del pianeta si sviluppa nei mari e negli oceani; che oltre il 65% della popolazione mondiale vive a meno di 200 km dalla costa; che negli ultimi 10 anni il 75% dei Paesi ha incrementato la propria connettività marittima. Questi dati confermano il fatto che il mare è il principale mezzo per attività produttive, commerciali e di comunicazione. Si potrebbe pertanto affermare che, al pari della rete internet, esso rappresenti il nuovo mezzo della globalizzazione.

Il settore logistico sta vivendo negli ultimi anni un periodo molto dinamico che interessa in particolar modo il bacino del Mediterraneo essendo crocevia marittima lungo la direttrice commerciale Europa – Asia Orientale. La crescita dei Paesi asiatici, e in primo luogo della Cina, si è riflessa sull’aumento del traffico container lungo questa direttrice aprendo a nuove opportunità di sviluppo per i porti mediterranei. Il porto di Gioia Tauro, principale porto italiano, può beneficiare di questi flussi. Tuttavia, rispetto agli anni passati, bisogna tener conto di due fattori rilevanti:

  • La concorrenza dei porti nordafricani: la concorrenza tra i porti mediterranei non è non più limitata soltanto ai porti della sponda meridionale dell’Europa ma è estesa anche ai porti dell’area nordafricana. Infatti, i porti nordafricani sono cresciuti in maniera esponenziale negli ultimi anni puntando su una offerta integrata porto-retroportualità, coadiuvata, oltre da costi inferiori, da servizi sempre più efficienti e da un favorevole contesto competitivo per le aziende grazie all’istituzione di zone economiche speciali (ZES).
  • Gli investimenti esteri nella logistica mediterranea: sia gli Stati della sponda mediterranea dell’Europa sia gli Stati nordafricani stanno investendo molto sul sistema logistico perché giustamente ritenuto settore strategico. Inoltre, stanno facilitando gli investimenti esteri per gli effetti positivi che possono avere non solo sul settore logistico ma sull’intera economia in generale. Il caso del porto del Pireo in Grecia è emblematico al riguardo. Nel 2009, la cinese COSCO Pacific ha iniziato ad investire nel porto greco facendone la propria testa di ponte per il mercato europeo. Ciò ha favorito un incremento del traffico container che è passato da circa 600.000 TEU nel 2009 a oltre 3.600 milioni di TEU nel 2017 ed ulteriormente incrementando del 20,9%, nel 2018, la movimentazione di TEUS a 4.908 milioni, conquistando il sesto posto, nello stesso anno 2018, dei porti europei per movimentazione dei container nella classifica stilata da PortEconomics. Oltre all’incremento del traffico container nel porto, l’investimento cinese ha favorito la riallocazione di aziende internazionali – come HP, Huawei, Sony, ZTE, Samsung – che hanno scelto il Pireo come distribution hub.

I cambiamenti di questi ultimi anni hanno contribuito a ridisegnare la geografia portuale del Mediterraneo. Tra il 2005 e il 2018 sono aumentate le quote del porto di Valencia, del Pireo, Tanger Med e Port Said mentre il porto di Gioia Tauro ha visto ridurre la propria quota che è ritornata ad aumentare in maniera significativa dal 2019 ed in particolare nell’anno 2020.

Il porto di Gioia Tauro è un’eccellenza nel settore del transhipment e per anni è stato il primo porto del Mediterraneo. L’assenza di una politica nazionale chiara, le difficoltà economiche italiane, la diminuzione di investimenti strategici, la scarsa promozione presso investitori esteri sono tutti fattori che ne hanno rallentato lo sviluppo in un contesto in cui i nostri competitor non solo corrono, ma offrono servizi sempre più integrati con il sistema portuale in una reinterpretazione del ruolo dei porti e della logistica.

Le innovazioni nei sistemi di produzione, nel commercio mondiale e nella tecnologia del trasporto, sono i fattori che – insieme ai processi di liberalizzazione ed apertura concorrenziale – spiegano la significativa trasformazione delle funzioni portuali che si sta manifestando negli ultimi anni. Il concetto che sintetizza questa evoluzione, è quello di “porti di quarta generazione”. Il porto, infatti, non è più solo un centro di movimentazione e di attività industriali e commerciali, che aggiungono valore alle merci, ma si propone come una vera e propria piattaforma logistica i cui servizi che offre vanno ad incidere ben al di là dei suoi confini fisici. Ciò avviene per il fatto di essere integrata in una rete di elaborazione e trasmissione di informazioni su scala mondiale.

A tal proposito, l’esperienza sta dimostrando che in futuro chi avrà creato le condizioni per operare nell’ambito di quelle grandi concentrazioni spaziali di imprese focalizzate sulla logistica, potrà godere di una posizione di vantaggio competitivo. Le suddette aggregazioni territoriali dovranno però con il tempo acquisire una propria individualità ed autonomia strategica, al fine di sviluppare la capacità di generare flussi di traffico aggiuntivi per l’intero sistema, esplorando nel contempo nuove opportunità imprenditoriali a più elevato valore aggiunto e promovendo la sperimentazione di iniziative operative di partnership intra ed interdistrettuali. Soltanto in questo modo, infatti, sarà possibile perseguire un maggior presidio sulla movimentazione delle merci, stimolando i processi di riaggregazione, di investimenti e competenze intorno a parti del ciclo operativo.

I punti di forza di questi poli, concettualmente paragonabili alle realtà distrettuali manifatturiere, possono così essere riassunti: (I) polarizzazione della domanda; (II) vantaggi localizzativi; (III) specializzazione ed emulazione competitiva; (IV) stimolo alla revisione dei modelli d’impresa e sviluppo nuove opportunità di business; (V) composizione quantitativa e qualitativa del mix di servizi; (VI) Condivisione di rilevanti investimenti in infrastrutture e nella formazione professionale; (VII) Coordinamento organizzativo e integrazione dell’offerta.

I distretti logistici possono attivare le sinergie necessarie per acquisire e gestire, con maggiori probabilità di successo, una quota significativa del business logistico legato “a doppio filo” al trasporto stradale, facendo leva sulla vis attrattiva del sistema di imprese fondata sulla specializzazione, sull’ampiezza dell’“assortimento” di servizi offerti e, non ultimo, sulla possibilità di concentrare determinate attività nel medesimo territorio. Si tratta, solitamente, di un mercato generato da una domanda con esigenze particolari che, essendo molto frammentata e dispersa sul territorio, non può essere facilmente oggetto di politiche di one to one marketing.

È innegabile, comunque, che i processi agglomerativi in oggetto, non si possono innescare senza creare, la dove sussistono, le necessarie convenienze localizzative di natura geografica: aree territoriali baricentriche rispetto ai grandi flussi di merci di tipo inbound e/o outbound, per le quali sia realizzabile, senza particolari difficoltà, l’inserimento nei circuiti logistici internazionali, che hanno investito risorse, competenze e relazioni nell’applicazione della logica Hub & Spoke per lo sviluppo del business nella logistica merci.

In particolare, si fa riferimento alla disponibilità di idonei collegamenti stradali e ferroviari, spazi ed impianti indispensabili per implementare l’opzione intermodale, ad esempio: piazzali attrezzati, fasci di binari, elettrificazione di linee ferroviarie, adeguamento della morfologia del territorio, sistemi informativi e di telecomunicazioni; o per consentire l’ingresso in determinati business, ad elevato valore aggiunto, come: stoccaggio e manipolazione di prodotti refrigerati e ad atmosfera controllata, per i quali sussistono concrete opportunità di sviluppo.

Il Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica (PSNPL) ha creato molte aspettative sugli obiettivi “di migliorare la competitività del sistema portuale e logistico, di agevolare la crescita dei traffici delle merci e delle persone e la promozione dell’intermodalità nel traffico merci, anche in relazione alla razionalizzazione, al riassetto e all’accorpamento delle Autorità Portuali esistenti”. Lo stato italiano, non senza alcune perplessità da parte degli operatori dell’intero sistema, intende rilanciare e promuovere una circolazione di uomini e merci sia via mare sia via terra, con un’attenzione che rivestono i porti e la logistica per l’intera economia del paese. Come si rileva nel nuovo testo: “L’esigenza di una riforma è confermata anche dagli esiti del Global Competitiveness Index pubblicati dal World Economic Forum; l’Italia risulta al 49º posto nella classifica mondiale e al 26° per qualità ed efficienza delle infrastrutture, superata da tutti i Paesi UE dell’area Mediterranea (Francia all’8° posto, Spagna all’9°, Portogallo al 17°), ad eccezione della Grecia (36° posto). Eclatante è il dato relativo alla qualità dell’infrastruttura portuale dove l’Italia si posiziona al 55º posto, dietro la Spagna (9), il Portogallo (23), l’Irlanda (29), la Francia (32), il Marocco (43), la Grecia (49), la Croazia (51)”. Ai fini di un recupero di quote di mercato si mette l’accento anche sullo sviluppo delle Zes (Zone Economiche Speciali) e tra le aree di maggior interesse c’è proprio la ZES di Gioia Tauro. Si tratta, com’è noto agli operatori del settore, di zone franche di seconda generazione dove grazie a pratiche di sburocratizzazione economica, commerciali e fiscali si pensano di poter incrementare le quote di traffico e di scambio con nuove aziende e investitori stranieri. Secondo un’analisi costi-benefici per la realizzazione di queste aree il costo a carico dello stato sarebbe ampiamente controbilanciato dai benefici tratti in termini di ripresa e rilancio dell’economia nazionale.

Nell’analisi di un programma di rilancio non vanno trascurati i legami funzionali tra: porti, hinterland economico e sociale, sistema di trasporto marittimo-terrestre ed aereo, cantieristica e capitale umano. L’investimento in formazione del capitale umano è dunque un elemento del bilancio complessivo dei fattori della crescita. Il persistere dei divari territoriali nord/sud, uniti agli alti tassi di disoccupazione, rallentano la ripresa e, nonostante le nuove regole sulla flessibilità, complicato e farraginoso rimane l’accesso al mercato del lavoro, la transizione dalla scuola al lavoro, dal lavoro alla formazione e dalla formazione al lavoro. Gli studi hanno dimostrato che non basta puntare sul capitale fisico per spiegare le ragioni dello sviluppo di una nazione: fondamentale appare l’investimento in capitale umano.

L’Italia annovera, tra le criticità, un ritardo diffuso in tutti pilastri della competitività analizzati e cioè: Institutions, Infrastructures, Macroeconomic Environment, Health and Primary Education.

Nei prossimi anni le partite che si giocheranno per ampliare o diminuire la posizione strategica dell’Italia al centro del Mediterraneo saranno di fondamentale importanza. Tutto il sistema portuale dell’area è un grande cantiere con diversi progetti in cui si intrecciano capitali statali e di gruppi privati provenienti proprio dai Paesi di nuova emersione (Cina, Russia, India e Brasile), fattore che evidenzia in maniera ancora più nitida il valore strategico del Mediterraneo. In relazione a tali investimenti i Paesi della Sponda Sud stanno realizzando e pianificando nuove infrastrutture, in Italia occorre sviluppare un piano infrastrutturale adeguato e integrato, capace di far fronte ai trend dei nuovi traffici e, soprattutto, di fargli acquisire un maggiore potenziale in termini di efficienza, tutte condizioni imprescindibili per conferirgli una più ampia autonomia e sovranità. Tale piano (pur rimanendo all’interno del quadro delle reti TEN che gli permettono un più agevole collegamento con l’Europa), dovrebbe offrire al Paese l’opportunità di seguire, intercettare e indirizzare i nuovi trend geo-economici e geopolitici che traslano verso sud, al fine di renderlo, anche per via della sua storia, un giocatore protagonista nel Mediterraneo. É chiaro che tali scelte permetterebbero al Mezzogiorno di diventare il centro nevralgico e propulsore di nuovi processi economici, nonché all’intera Nazione di superare lo scompenso atavico con il quale convive sin dalla nascita.

Tuttavia, oltre alle costruzioni di solide infrastrutture, è altrettanto importante snellire le procedure amministrativo burocratiche che limitano la velocità dei flussi e, soprattutto, l’affidabilità del servizio dato alle merci in importazione ed esportazione. Per questo motivo necessiterebbe un riferimento istituzionale capace di coordinare e presiedere la politica logistica e portuale del Paese, nonché una concreta strategia infrastrutturale con una prospettiva di rilancio a medio e lungo termine. Tale strategia deve guardare principalmente ai territori, sviluppando una loro pianificazione fatta di grandi opere e di piccoli e medi investimenti capaci di interconnettere centri urbani con i centri periferici in modo capillare per evitare di mantenere punti isolati.

Occorre, in definitiva, sfruttare la centralità geografica del Paese per cogliere le nuove sfide. Per questi motivi va opportunamente pensata e posta in essere una adeguata strategia di rilancio del sistema portuale nazionale e, più in particolare, del Porto di Gioia Tauro che, rappresenta un’eccellenza a livello mondiale ed un’esperienza unica per il Mezzogiorno.

Il porto calabrese, grazie anche ai suoi 18 metri di profondità, è uno dei pochi approdi in grado di ospitare le gigantesche navi porta container che provengono dai Paesi asiatici ed il principale porto di transhipment nel circuito dei traffici del Mediterraneo.

Posto in una posizione baricentrica nella linea di navigazione Suez-Gibilterra è in grado di accogliere e lavorare contemporaneamente tre navi di ultima generazione. Una realtà quindi di indubbio valore simbolico che dimostra come anche nel Sud Italia sia possibile realizzare opere di successo basate su una virtuosa collaborazione fra pubblico e privato. Ogni anno, infatti, da Gioia Tauro passano circa 3 milioni di teu. Dato, teso ad un forte aumento nei prossimi anni, che rende facile capire due fattori importanti: l’enorme potenziale in termini di posti di lavoro e la concreta possibilità di diventare centro delle attività di smistamento per tutta la rete ferroviaria nazionale se solo si optasse per un’adeguata opera di miglioramento infrastrutturale della zona di attività logistica di Gioia Tauro. Per fare questo occorre rovesciare la logica con cui fino ad oggi si è affrontata la questione del porto calabrese e connettere in maniera efficiente il gateway logistico di questo attracco commerciale direttamente al Corridoio Scandinavo – Mediterraneo che partendo dal valico del Brennero collega Trento, Verona, Bologna, Firenze, Livorno e Roma con i principali centri urbani del sud come Napoli, Bari, Catanzaro, Messina e Palermo. Il Completamento della rete, prevista per il 2030, richiede all’Italia uno sforzo importante, soprattutto per quanto riguarda l’efficientamento dei collegamenti ferroviari e stradali e il completamento dei collegamenti di “ultimo miglio” a porti ed aeroporti della rete Core (fonte: MIT – Corridoi europei TEN-T).

È, pertanto, opportuno ripensare Gioia Tauro non più come un Terminal, bensì come un anello all’interno di una catena più ampia di logistica integrata dove far insediare grandi operatori stranieri, attratti da necessarie condizioni economiche agevolate che qui potrebbero, e dovrebbero, sorgere e svilupparsi.

La ripartenza dalle infrastrutture potrebbe quindi rappresentare la sfida per il rilancio verso lo sviluppo, capace di scongiurare un ritorno ad una stagnazione plurisecolare che ha caratterizzato l’Italia, tutta l’Italia, dal XVI secolo all’inizio dell’Ottocento.

In questo momento storico, in cui l’evoluzione della situazione competitiva nel mondo della portualità e degli scenari economici globali impone un nuovo salto di qualità, è più che mai necessario che si adottino decisioni politiche lungimiranti che diano continuità al progetto, supportando la già importante infrastruttura portuale esistente a Gioia Tauro che è indiscutibilmente strategica per l’intero Paese. Per tale ragione la realtà gioiese andrebbe integrata nel sistema dei porti italiani rispettando un disegno di carattere generale che veda funzioni e livelli complementari e che metta in campo anche una strategia di rilancio dei trasporti e una politica di agevolazioni economiche (sostanzialmente tradotte in parole chiave quali: costo del lavoro, tassazione sui vettori, tasse d’ancoraggio, costo delle accise sull’energia e sui carburanti, etc. etc.) in grado di attirare l’interesse dei privati su cui, al momento, si sta giocando la partita collegata alla movimentazione delle merci e, di conseguenza, alla stessa sopravvivenza dei porti. Appare necessario che la politica faccia delle scelte chiare e precise, utili a collocare Gioia Tauro a livello dei maggiori porti europei, con l’obiettivo ben preciso di mantenere la leadership mediterranea e riconquistare la posizione che ha avuto a livello globale.

La realizzazione della Zona Economica Speciale (ZES), in questo quadro, diventa necessaria per porre condizioni realmente incentivanti per investitori nazionali e stranieri. Si tratta di una realtà che, nei Paesi dell’Unione Europea, nonostante la spiccata attenzione della Commissione Europea a non creare condizioni definite di “aiuti di Stato”, si sta ampiamente autorizzando per favorire lo sviluppo di economie e territori svantaggiati. Tale fenomeno si sta sviluppando in quelle aree che, poste in posizioni periferiche nello scacchiere geografico dell’Unione Europea, hanno già ottenuto la possibilità di adottare provvedimenti speciali per favorire la propria crescita e quindi per limitare la distanza con il mercato europeo di riferimento. Stati membri dell’Unione Europea hanno chiesto ed ottenuto le necessarie autorizzazioni comunitarie per adottare un particolare regime fiscale, doganale e contributivo in specifiche aree, senza però essere catalogate come paradisi fiscali extra comunitari. È chiaro dunque che l’Unione europea, non sia più contraria a questo tipo di soluzioni per far fronte alle politiche di sviluppo delle zone periferiche considerando, al contrario, tali misure auspicabili per favorire lo sviluppo di quei territori che hanno il proprio Pil inferiore al 25% di quello medio europeo. In Italia, le regioni del Mezzogiorno, e in particolare la Calabria, si trovano in questa condizione. Ovviamente la Zes deve essere integrata all’interno di un mosaico ben più ampio che, basato su una solida sinergia tra pubblico e privato, preveda l’integrazione dell’area di Gioia Tauro all’interno di un piano strategico nazionale che faccia di tale realtà portuale l’anello di congiunzione di una filiera logistica integrata.

Sul porto di Gioia Tauro vanno dunque fatte delle scelte chiare per poterlo trasformare, effettivamente, in un porto gateway, collegato ad una più ampia piattaforma intermodale inserita in una complessiva e completa catena logistica integrata che faccia di Gioia Tauro il punto nevralgico e di ingresso delle merci internazionali che dal Mediterraneo si spostano nell’entroterra e che abbiano come destinazione finale non solo il Mezzogiorno ma anche il Nord d’Italia e l’Europa.

Ove si riuscisse ad incidere efficacemente su questi aspetti, si potrebbero pilotare le scelte del cluster marittimo e, di conseguenza, i traffici mondiali. Ciò porterebbe a creare le condizioni utili a sostenere e sviluppare la struttura portuale calabrese e il territorio circostante che si trova in condizioni economicamente svantaggiate, le stesse in cui versa attualmente tutta la Calabria e il Meridione d’Italia.

Bisogna convincersi che lo sviluppo e la coesione si ottengono stabilendo pochissimi obiettivi strategici, fare in modo che pochissimi soggetti siano preposti a realizzarli, focalizzarsi sulla progettazione delle azioni necessarie a perseguirli monitorandone la loro coerente realizzazione nel tempo tramite un sistema trasparente di indicatori di misura. Con una strategia inclusiva e non selettiva. Con concreti obiettivi di sviluppo che vadano incontro alla domanda dei cittadini e non alle esigenze della moltitudine eterogenea della burocrazia. Così facendo i divari si normalizzano e le nazioni diventano ricche.

Per l’Italia del meridione queste dovrebbero essere le priorità: infrastrutture materiali (alta velocità) e immateriali (banda larga e ultra-larga), legalità e sicurezza, sostegno alla innovazione sociale, promozione della crescita dell’imprenditorialità e delle imprese, sviluppo del turismo e del patrimonio culturale.

Servirebbe semplicemente questo per restituire al Mezzogiorno la curva della crescita. Basterebbe investire solo in questi ambiti i Fondi Europei per i prossimi anni.

Oggi, a fronte del nuovo quadro geopolitico e geo-economico che va profilandosi e in cui si assiste allo spostamento dell’asse verso il sud del globo e verso l’ambiente marittimo, questi interventi risulterebbero oltremodo proficui e produttivi.

Bisogna infatti notare come il nuovo scenario geopolitico, che ha visto emergere nuovi protagonisti sulla scena del commercio internazionale, ha di gran lunga influenzato gli equilibri di mercato, determinando anche un mutamento della geografia dello shipping mondiale.

In questo nuovo contesto internazionale si è assistito alla crescita della domanda di trasporto marittimo, supportato principalmente dall’aumento dei traffici delle economie emergenti (BRICS), che hanno determinato lo spostamento del baricentro economico verso est, favorendo con ciò l’emergere di nuove rotte. Questo nuovo scenario, che ha riportato il Mediterraneo al centro dell’economia mondiale, potrebbe senza dubbio rivelarsi cruciale per lo sviluppo economico del nostro Paese che, godendo di una posizione di centralità, si colloca nel cuore della più importante catena logistica che si estende dall’estremo oriente all’Europa. Tuttavia, anche se la centralità geografica costituisce un fattore importante, è anche vero che essa è di per sé insufficiente a cogliere queste nuove sfide, ove non opportunamente affiancata da un’adeguata strategia di rilancio del sistema portuale nazionale e, più in particolare, dei porti come quello di Gioia Tauro che rappresentano un’eccellenza a livello mondiale ed un’esperienza unica per il Mezzogiorno.

L’obiettivo primario deve essere quello di far evolvere ed “irrobustire” la debole struttura industriale esistente ed integrarla al fine di reggere le pressioni provenienti dall’esterno, nel medio e lungo periodo, e garantire livelli di reddito ed occupazionali accettabili per le popolazioni dell’area, anche nella fase di transizione.

Proprio per questi territori, dove da anni si verifica una sostanziale stazionarietà nell’occupazione industriale, si pone con maggiore rilievo la necessità di realizzare un processo intensivo di concentrazione nel settore logistico industriale.

La realtà socioeconomica meridionale deve essere reinventata in uno sforzo comune tra pubblico e privato, al fine di creare le condizioni di uno sviluppo reale e confacente alle potenzialità inespresse.

Per sviluppare la ZES a Gioia Tauro vi è la necessità di trovare le risorse finanziarie, non solo fiscali o doganali, utili ed individuare un soggetto gestore della stessa che non sia un Ente già preesistente, ma costituito ad hoc in base al tipo di attività ed agli scopi che sarà chiamato a svolgere e raggiungere. (dn)

[L’autore è Direttore del Cefris – Centro per la formazione, la ricerca, l’innovazione e lo sviluppo – di Gioia Tauro, coautore del libro Il Porto di Gioia Tauro: tra Città Metropolitana e nuovi paradigmi geopolitici]