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L'Anpi contro l'autonomia differenziata: È una pretesa inaccettabile

L’Anpi contro l’autonomia differenziata: È una pretesa inaccettabile

L’Anpi dice no alla bozza sull’autonomia differenziata presentata dal ministro Mariastella Gelmini.

È una bozza che prevede prospettive di differenziazioni ancor più peggiorative di quante ne avessero presentate le innumerevoli precedenti proposte, perché si fonda nella trattativa Stato e Regioni richiedenti sulla cosiddetta spesa storica, senza che nemmeno prima vengano stabiliti i Lea ( Livelli essenziali di assistenza ) e i Lep ( Livelli essenziali di prestazione). 

Da approvare dal Parlamento senza alcuna possibilità di discussione emendativa.

Nella relazione illustrativa della bozza, ci si lamenta che sono passati molti anni da quando le tre Regioni hanno richiesto più autonomie ( Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna). La ministra si scorda di dire, però, che sono trascorsi ben 17 anni senza che i Governi avvicendatisi abbiano saputo approvare le indicazioni per i Leae per  i Lep. Le indicazioni sono assolutamente propedeutiche per la deliberazione di qualsivoglia ulteriore forma di autonomia.

La bozza della Gelmini, che si rifà al concetto di spesa storica, non solo riporta all’indietro il quasi ventennale dibattito sulla natura degli articoli 116 e 117 della Costituzione, ma tradisce la pervicace natura di egoismo localistico del “Chi ha, avrà di più, e Chi non ha, avrà di meno”.

È una pretesa inaccettabile, in netto contrasto con i compiti affidati alla Repubblica dal comma due dell’art. tre della Costituzione. 

Una tale pretesa non ha quindi alcun fondamento costituzionale, storico ed etico. 

Sappiamo che la Costituzione è in gran parte aggirata e volutamente inattuata nelle sue indicazioni di principio di realizzare una effettiva cittadinanza di Tutti, con Eguaglianza di opportunità, Giustizia sociale e di aspirazione concreta a sentimenti di Libertà e Pace.

Sappiamo che per fare l’unità del Regno nella penisola italica, superando Ducati e Gran Ducati, Regni e Regnetti, ci son voluti ì primi settanta anni dell’ottocento. Roma capitale è del Settembre 1970. Tra i diversi territori della Penisola le differenze c’erano le diseguaglianze pure. Ma non tanto gravi quanto si registrano ai nostri giorni. Ci fu il nefasto periodo del brigantaggio che di sicuro non spinse i Governi ad affrontare le condizioni di miseria e di diffuso analfabetismo nel Mezzogiorno. L’attacco al Regno appena nato indusse i Ministri a politiche poliziesche, da ordine pubblico. Il fenomeno sicuramente aveva alla base una rabbia diffusa avverso al nuovo Regno con giuste rivendicazioni di giustizia sociale, per le promesse di terre-lavoro-libertà non mantenute.

Nel fenomeno divennero però politicamente prevalenti le forze reazionarie che non sopportavano la prospettiva di un Regno unico di natura laica e con propensioni ad assimilare legislativamente tutti i territori sotto uniche leggi, fiscali, di servizio di leva, di centralizzazione delle scelte.  Gli ultimi anni dell’ottocento videro un esteso incremento migratorio, a partire proprio dalle Regioni del Nord ( Veneto, Liguria, Piemonte, Lombardia) al quale si congiunsero, con  un consistente flusso, anche le Regioni del Sud ( Sicilia,  Calabria, Campania…).

L’Italia di quegli anni si giovò moltissimo delle rimesse degli emigrati, che furono capitalizzate nel Bilancio dello Stato consentendo l’avvio giolittiano della nostra prima fase di industrializzazione. Mentre Inghilterra, Francia e Germania erano già da tempo in una seconda fase. Con la Prima Guerra Mondiale, nella quale morirono sui fronti alpini oltre seicentomila soldati (con un milione di mutilati) moltissimi dei quali arrivati dalle Regioni del Sud, si considerò conclusa l’opera di completamento dei territori italiani.

Il Fascismo con Mussolini instaurò un Regime totalitario, con l’annientamento anche fisico degli avversari: allargò i confini di dominio territoriale  con la proclamazione di un Impero, fino alla tragedia della Seconda Guerra Mondiale e la disfatta totale del nazifascismo. I Partigiani con la Lotta di Resistenza ebbero un ruolo determinante soprattutto nell’azione politica di orientare la nascita di uno Stato nuovo, a forma repubblicana, con spirito e legislazione laica, con Principi e Valori di fratellanza e di cittadini eguali, alimentando profeticamente sentimenti universali di Pace. Oggigiorno inascoltati.   Una visione di affratellamento tra genti appartenenti a territori diversi, come diverse erano le provenienze dei combattenti per la Liberazione. 

I 77 anni della Repubblica son stati travagliati. Intervallati da stragi e attacchi mafiosi, tuttora in buona parte riamasti oscuri nei mandanti e negli esecutori. Eccidi rimasti segnati in tanti fascicoli, inspiegabilmente ancora coperti dal “segreto di Stato”. Perché? Cosa si aspetta a de-secretare, che muoiano tutti i responsabili, i quali nel frattempo magari allevano eredi?

È che non Tutti hanno accettato un sistema istituzionale, la Repubblica, nel quale Tutti siano cittadini eguali, come la Costituzione stabilisce.

Anche per questo l’attacco alle istituzioni repubblicane avviene tentando lo stravolgimento della Costituzione, per ottenere di fatto lo sfaldamento dello Stato unitario. Perché se, considerando le forti diseguaglianze tra territori e tra ceti sociali, con le ingiustizie che ne conseguono, con livelli di reddito, di occupazione-disoccupazione molto sperequati, così come nel sistema scolastico, nel sanitario, nei trasporti, nei livelli di convivenza civile in generale, invece dell’impegno della Repubblica a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Si vogliono “ Istituzionalizzare” le differenze, le diseguaglianze le ingiustizie. Allora vuol dire che non solo non si  è voluto e non si vuole attuare la Costituzione, ma la si vuole stravolgere, sfaldando le basi della stessa unitarietà dello Stato.

I tentativi secessionisti furono teorizzati e spinti con linguaggi minacciosi dalla Lega del Nord, bossiana. Il Centrosinistra pensò, sbagliando di grosso, di contenerli modificando la Costituzione, (artt. 116 e 117), per consentire alle Regioni che lo chiedessero di poter acquisire maggiori competenze autonomistiche. Si aprì così uno spiraglio attraverso il quale le cerchie più egoistiche dei territori più sviluppati del Nord, hanno costruito pressioni fino ad atteggiamenti antistatali: Ci tratterremo tutte le entrate delle tassazioni, senza più inviarne a Roma!

Hanno costruito l’assunto maldestramente nascosto secondo il quale “Le ricchezze dei nostri territori sono nostre e ce le gestiamo noi”. 

Oltretutto è un assunto tanto ingiusto quanto falso: lo sviluppo delle Regioni del Nord con il relativo livello di benessere e ricchezze non è frutto esclusivo delle loro “endogene bravure”. È, invece, il frutto dei sacrifici fatti da tutti gli emigrati che con le loro rimesse, da ogni parte della Penisola, consentirono il primo avvio dell’industrializzazione concentrata al Nord. E poi quei territori hanno continuato a giovarsi di ogni evento storico, comprese le due guerre, e di ogni scelta di politica economica del Governo centrale.

Si pensi al colossale flusso migratorio interno dal Sud verso il Nord. Con milioni di cittadini che dal Meridione si sono portati a lavorare nel triangolo economico, producendo ricchezza. E non sempre ben accolti!

Alcuni semplici dati riescono a dar conto di come i più folti flussi di emigrati hanno interessato dapprima le Regioni del Nord e di meno quelle del Sud. Proprio fino alla nascita della Repubblica. Poi le Regioni del Nord grazie alla forte concentrazione dello sviluppo economico industriale basato su scelte di politiche economiche nazionali unidirezionali e con trattati europei, anche bilaterali ( il carbone dal Belgio a quintali per ogni italiano emigrato… e tanti sono stati i meridionali ) sono divenuti territori di immigrazione, mentre da quelle del Sud stanno  continuando ad emigrare.

Quei territori settentrionali non conoscono la storia del loro sviluppo-arricchimento o non vogliono conoscerlo. Quelle ricchezze che ritengono proprie i Leghisti del Nord  ( o i  para Leghisti, che pullulano anche nelle Sezioni del Sud. Autolesionisti! ), in verità sono frutto dei sacrifici di tutti gli italiani. Anche degli italiani meridionali. 

Prima durante il Regno e durante la Repubblica ancor di più. 

Nelle Regioni stanno maturando concetti antistorici di poter diventare “staterelli”, innescando una corsa nefasta che minerà gravemente la base istituzionale dello Stato unitario. Alla corsa non si sottraggono le vocazioni politicamente miopi e dannose dei Presidenti delle altre Regioni, pure del Sud. Loro, sentendosi impropriamente chiamati Governatori, ci credono, e pensano di poter gestire chissà quali sorti delle popolazioni amministrate. 

Se si esaminano più direttamente nel merito in che cosa consistono le richieste di autonomia differenziata ci si accorge di come le prospettive della convivenza sociale diventeranno rischiose.

Dunque. Accanto alle già presenti Regioni a Statuto speciale, dopo le improvvide modifiche. gli arrt. 116 e 117 della Costituzione stabiliscono che vi sono materie-settori-servizi di specifica competenza dello Stato, altre di competenze delle Regioni ed altre ancora di competenza concorrente, sancendo altresì che tutte quelle concorrenti e alcune di competenza dello Stato possono essere assegnate alle Regioni richiedenti dopo una trattativa e procedura legislativa. Che non prevede dibattito parlamentare.

In una Repubblica a base parlamentare, una questione così delicata si tiene fuori dalla trattativa proprio il Parlamento che alla fine non potrà proporre modifiche.

Ora, come si potrà constatare dall’elenco sotto riportato, le competenze cosiddette concorrenti sono molte, n.20, con alcune assai delicate, come la Salute, la Scuola, i Trasporti, la Protezione civile… Che succederebbe in questi settori se ogni Regione avesse la potestà di legiferare autonomamente? Già abbiamo visto e già vediamo oggigiorno cosa succede nella Sanità!  Provate a capire cosa avverrebbe se nella Scuola ogni Regione decidesse di intaccare l’ordinamento generale pretendendo di stabilire, le modalità di reclutamento del personale, i loro stipendi, il programma, l’indirizzo generale, il valore legale dei titoli, la contrattazione… E nella Sanità? Già abbiamo condizioni diseguali di serie A, B,C. Ecco le 20 materie di competenza concorrente oggetto di trattativa tra Stato e Regioni… Ognuna può chiedere le materie che vuole!

A queste 20 materie si possono aggiungere le richieste per altre 3, di competenza ora dello Stato: Organizzazione della Giustizia di Pace, Norme generali sull’Istruzione. Tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali…

L’insistenza delle Regioni del Nord, son queste che fanno più pressioni, in particolare Luca Zaia che da Presidente del Veneto, rincorre magari le funzioni del novello Doge, presuppone la richiesta di maggiori fondi da avere da parte dello Stato…Più competenze più soldi! E ritorniamo al concetto egoistico di sempre.

Con l’aggravante che nella bozza della Ministra Gelmini si pretende impudentemente di distribuire i fondi sulla base della “spesa storica”, che vuol dire: Chi ha avuto avrà di più, chi non ha avuto avrà di meno… Si pretende cioè di istituzionalizzare le diseguaglianze rendendole costituzionali , in barba al principio dell’art. 3, che non solo è stato totalmente disatteso in questi 77 anni di Repubblica, ma di fatto viene cancellato.

Questa prospettiva dell’Autonomia differenzia dovrebbe mettere in allarme tutti coloro che hanno ancora a cuore l’unitarietà dello Stato. Tutti coloro che ritengono che pur nelle attuali diseguaglianze, da superare, ci si debba potersi sentire Italiani. E dovrebbe massimamente stare a cuore ai Sindacati confederali (se ci saranno autonomie differenziate, altro che contrattazioni nazionali , dopo). Dovrebbe stare a cuore anche a tutte quelle forze politiche che intendono ancora rivestire ruoli e impegni a carattere nazionale e non regionalistico.

Sicuramente deve e sta a cuore agli iscritti Anpi, che interpreti appassionati dell’Unità dello Stato e difensori della Costituzione e dei suoi Principi e Valori, saprà mobilitarsi per impedire la lacerazione delle Istituzioni repubblicane.  

D’altra parte l’art 3. Comma 2 viene ben prima del 116 e del 117. (Angelo Falbo)