di GIUSEPPE DE BARTOLO – La data del 25 Aprile, oltre a ricordare al Paese la liberazione dell’Italia dalla dittatura fascista, è sempre stata un’occasione per rievocare accadimenti e tratti che segnarono quel Ventennio. Uno di questi aspetti, poco noti al grande pubblico, che qui vogliamo ricordare, è stata la realizzazione del censimento degli ebrei avvenuto nel 1938, il quale si collocava nell’ambito della politica demografica del regime, e che è stato lo strumento che ha facilitato in modo determinante il compito ai nazisti nell’operazione di deportazione degli ebrei italiani in Germania.
È noto che Mussolini prestasse molta attenzione agli studi demografici e statistici perché riteneva che da essi avrebbe potuto trarre preziose indicazioni per la pratica di governo. Considerava la potenza demografica pregiudiziale della potenza politica, come ebbe a dire nel famoso discorso dell’Ascensione, pronunciato alla Camera dei Deputati il 26 maggio 1927.
Nel corso degli anni ’30 il Governo fascista aveva maturato l’idea della “necessità” di introdurre una legislazione anti ebraica per la cui attuazione però era indispensabile individuare con precisione la popolazione di riferimento. Da questa idea nacque il progetto di un censimento degli ebrei italiani e stranieri, che fu tenuto segreto e reso noto solo poche settimane prima della sua effettiva realizzazione, decisa per il 22 agosto 1938. La conta degli ebrei d’Italia fu dapprima giustificata da una serie di affermazioni, apparse il 16 febbraio del 1938 sul n. 14 dell’Informazione diplomatica, e a detta di molti studiosi attribuite personalmente a Mussolini, con le quali il governo fascista, nel contesto della definizione della «razza italica», assicurava di non aver alcuna intenzione di adottare misure contro gli ebrei in quanto tali; tuttavia il Governo dichiarava di essere nel pieno diritto di calibrare la partecipazione degli stessi ebrei alla vita complessiva della nazione in maniera proporzionata alla loro importanza numerica, stimata approssimativamente sulle 50-60 mila unità a fronte dei 44 milioni d’italiani, quindi pressappoco nel rapporto di 1/1000. Nei primi di agosto dello stesso anno però Mussolini aveva cambiato registro, era diventato più radicale, dopo la campagna antiebraica seguita alla pubblicazione del “Manifesto degli scienziati razzisti” pubblicato il 14 luglio 1938 sul Giornale d’Italia, manifesto in cui si affermava in modo netto che «gli Ebrei non appartengono alla razza italiana». Ciò diede la stura a Mussolini per annunciare la realizzazione del censimento degli ebrei in chiave dichiaratamente razzista.
Il regime nell’emanare le leggi razziali, com’è stato riportato in un articolo della Gazzetta del Mezzogiorno del 17 dicembre 2008, si sarebbe in realtà ispirato a un opuscolo dei Gesuiti del 1891 dal titolo «Della questione giudaica in Europa», opuscolo che fu fatto ristampare dal 1938 in poi dal regime e in cui non solo era evidente il pregiudizio cattolico nei con-fronti degli ebrei ma erano suggerite anche le azioni per contrastare il giudaismo. La realizzazione del censimento fu demandata alla neonata Direzione generale per la demografia e la razza (Demorazza), affiancata dalla DGPS, Direzione generale della pubblica sicurezza, entrambe appartenenti al Ministero dell’Interno. Nella prima fase dell’indagine censuaria furono acquisiti i dati di base per la formazione degli elenchi di ebrei da sottoporre al censimento. Questo lavoro vide la collaborazione di polizia, anagrafe comunali e delle stesse comunità ebraiche che si adoperarono in buona fede e non in forma collaborazionistica, come molti sostengono. Da parte loro gli uffici comunali recuperarono i fogli di famiglia compilati dagli ebrei nel corso del censimento del 1931, in cui era stata rilevata, tra l’altro, anche la religione professata dai censiti. Da queste informazioni furono così ricavati gli elenchi – in palese violazione della legge del 1929 che regolava l’utilizzazione delle informazioni censuarie – da integrare e aggiornare con i dati estratti dai registri in possesso delle comunità ebraiche. L’Istat da parte sua ebbe il compito di elaborare il questionario da somministrare a tutti gli ebrei presenti sul territorio nazionale, questionario che, oltre ai quesiti normalmente previsti nei censimenti demografici, presentava anche specifiche domande sulla religione, l’iscrizione al Partito fascista, il possesso o meno di benemerenze.
Com’è stato messo in evidenza da diversi studiosi, l’Istat nella realizzazione del censimento non tenne un comportamento neutro, anche perché a capo dell’Istituto vi era all’epoca Franco Savorgnan, uno dei dieci firmatari del «Manifesto della razza», insieme con l’on.le Sabato Visco e il sen. Luigi Pende. L’elaborazione dei questionari avvenne in tempi abbastanza rapidi e tutta l’operazione si concluse nel medesimo anno. A causa della fretta che il Governo aveva di conoscere i dati, l’Istat fu costretto a fare diverse elaborazioni, l’ultima delle quali, effettuata nell’ottobre del 1938, stimava il numero degli ebrei in 58.412, tra cui 48.032 italiani e 10.380 stranieri. Il 90% della popolazione ebraica risiedeva nei Comuni capoluoghi di provincia e nelle grandi città (Roma 12.799, Milano 10.219, Trieste 6.085). Il 63% risiedeva nell’Italia del Nord, il 35% nell’Italia Centrale e appena il 2% nel Sud e nelle Isole (in Calabria risultarono censiti solo 24 ebrei). Nel settembre del 1938 furono varati i provvedimenti legislativi veri e propri, con numerosi decreti che stabilirono tra l’altro l’allontanamento dall’Italia degli ebrei stranieri residenti dopo il 1919. Furono inoltre indicati i criteri per determinare l’appartenenza alla razza ebraica e quelli per la difesa della razza italiana e, in ottemperanza a queste leggi, furono adottate misure persecutorie nei confronti degli ebrei in tutti i campi. Negli anni a seguire i dati censuari furono continuamente aggiornati, cosicché al momento dell’occupazione nazista tutti gli ebrei erano stati schedati, atto questo che si rivelerà fondamentale per la deportazione nei campi di sterminio in Germania di oltre 7 mila ebrei italiani tra il 1943 e il 1945. (gdb)
[Giuseppe De Bartolo è professore di Demografia all’Università della Calabria]