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L'INTERVISTA / Michele Ranieri, il catanzarese corista e polistrumentalista di Samuele Bersani

L’INTERVISTA / Michele Ranieri, il catanzarese corista e polistrumentista di Samuele Bersani

di BRUNELLA GIACOBBELo abbiamo visto suonare le percussioni, la fisarmonica e fare i cori con singolare abilità, compostezza e dedizione durante il concerto di Samuele Bersani a Catanzaro nel periodo natalizio e avvicinandoci per complimentarci abbiamo scoperto essere un Calabrese doc, essere proprio nato a Catanzaro!

Approfondendo la sua esperienza musicale scopriamo aver accompagnato artisti di grande calibro. Dal 2014 è parte della band di Samuele Bersani come corista e polistrumentista.

Nelle vene di Michele Ranieri scorre sangue calabro, nasce a Catanzaro nel ’73 e, fino ai diciotto anni, vive ad Arena in provincia di Vibo Valentia. Nel 1992 si trasferisce a Messina per motivi di studio e nel 1994 approda nella capitale, dove trascorre anni ricchi di contaminazioni musicali. Attualmente vive a Velletri, dove ha aperto la scuola di musica “Officine Sonore”.

Fiero delle proprie radici, osservatore attento e curioso delle differenze tra le regioni italiane, capace di assorbire da queste differenze beneficio mantenendo un’apertura mentale vispa e carica di curiosità.
Michele inizia a suonare i primi strumenti all’età di 6 anni e iniziamo quest’intervista partendo proprio da lì.

Michele chi ti ha indirizzato ai primi strumenti?
«Mio padre con una fisarmonica quando avevo quasi sette anni, la porto sempre con me in ogni esibizione. Da quel momento è cominciata la mia grande passione per la musica e per tutti gli strumenti musicali, che ho portato avanti cercando di imparare più strumenti possibile. Essere polistrumentista è considerato ormai un mio tratto caratteristico».

Quando ha inizio la tua passione per il canto?
«Un po’ di tempo dopo verso i tredici anni. Erano gli anni 80 e in Calabria ad Arena avevamo un gruppo, i Senso Unico, nel quale cantavamo tutti anche durante le tipiche serate di piazza durante l’estate. Amavo moltissimo anche il canto, così ho iniziato a cantare sistematicamente e a fare i cori agli altri.
Quando mi sono trasferito a Messina per studiare all’università ho prestato la mia voce da solista nei vari club della città, cercando di conoscere altri musicisti. Ero proprio affamato di musica e continuavo a studiare».

Ecco, parlaci dei tuoi studi.
«Ho studiato canto conseguendo i diplomi di merito di I e II anno alla Saint Louis di Roma con l’insegnante Marina De Sanctis (Canto), Javier Girotto (ear training), Giampaolo Ascolese (solfeggio ritmico), Carlo Mezzanotte (pianoforte complementare) e poi, per altri due anni, da privatista con l’insegnante Micaela Grandi. Continuo tutt’oggi a coltivare la passione per il canto e al contempo proseguo l’approccio con i vari strumenti, tra cui: chitarra, pianoforte, fisarmonica, basso, mandolino, cavaquinho, bouzouki, percussioni, armonica a bocca, flauto dolce tenore, ocarina e chanter diventando cantante/corista e polistrumentista».

Dunque è per questo tuo essere poliedrico come cantante e musicista che ti definisci “one man band”? Che poi è anche il nome del tuo progetto personale.
«Sì esatto. Il progetto One Man Band nasce diversi anni fa dopo aver cominciato a suonare nel gruppo Rossoantico, peraltro fondato dall’allora direttore artistico del The Place di Roma Antonio Pascuzzo, anche lui catanzarese doc ed organizzatore di diversi eventi a Roma e anche nella città di Catanzaro. Antonio mi propose di far parte del gruppo come corista/cantante e polistrumentista, mettendo un seme in quello che sarebbe stato appunto il progetto One Man Band.

Qual è la particolarità di questo progetto?
«Otre a prevedere, ovviamente, che io mi esibisca da solo sul palco, il mio intento è quello di non fare la classica esibizione acustica con solo chitarra e voce, ma vado ricercando le sonorità e le armonie di un intero gruppo, da solo. Ovviamente senza basi o altri supporti, il tutto rigorosamente dal vivo!».

Come nasce invece la collaborazione con Samuele Bersani?
«La collaborazione nasce perché nel 2014 Samuele e la sua band cercavano un corista, fino a quel momento non lo avevano mai avuto, che fosse anche polistrumentista. Tony Pujia, il direttore artistico, e alcuni musicisti della band chiesero in giro tra colleghi e alcuni fecero il mio nome. Fui chiamato e sostenni un vero e proprio provino! A Samuele piacqui e iniziammo praticamente subito, il giorno seguente.  Fu una grande emozione poiché parliamo di un artista di grande spessore, che stimavo già da tempo, inequivocabilmente molto capace e preparato. Samuele Bersani è stato prodotto e seguito dal grande Lucio Dalla, che è una pietra miliare della musica italiana, sia come cantante, che come musicista, cantautore e arrangiatore. Ha scritto tra le pagine più belle della musica italiana e così come lo riteneva Dalla, anche io ritengo Samuele uno degli ultimi grandi cantautori, da mettere sicuramente nell’Olimpo della nostra musica. Per Dalla ha scritto il testo di “Canzone” nel ’96, per la Mannoia “Crazy Boy”, per la Vanoni “Isola”, potrei citare mille sue collaborazioni, ma insomma chi segue davvero la musica italiana sa bene di chi si stia parlando!».

Con quali altri grandi artisti hai lavorato o lavori?
«Ho collaborato con Fabio Concato, Simone Cristicchi, Alessandro Mannarino, Nino Frassica nella trasmissione “Menomale che c’è Radio 2” nel corso della quale ho suonato con Massimo Ranieri, Tiro Mancino, Noemi, Paola Turci, Renzo Arbore, Gaetano Curreri, Michele Zarrillo, Mario Venuti e tanti altri.
Ho partecipato come corista in compilation e in diversi dischi di rilievo, per citare solo alcuni album direi quelli di Claudio Baglioni, Renato Zero, Tony Esposito».

Quale esperienza ritieni ti abbia formato maggiormente?
«Tutto è esperienza,  ma quella che conservo nel cuore perché mi ha formato e rafforzato musicalmente è quella riferita agli anni trascorsi al The Place di Roma, facendo parte dei musicisti resident del locale per tanti anni, conoscendo e collaborando con un gran numero di artisti, grazie ad Antonio Pascuzzo che ci coinvolse in questa magnifica esperienza: quella è stata la vera gavetta!
Mi è sempre dispiaciuto dover lasciare “casa mia” ma non c’era alternativa, purtroppo era l’unico modo per provare ad inseguire e coronare il mio sogno».

In cosa senti di essere profondamente calabrese?
«In tutto ovviamente e ci tengo ad esserlo! Nonostante non viva in Calabria da trentadue anni, la porto sempre nel cuore e ci torno quando posso, sia per lavoro che per piacere. Del calabrese “tipico” ho il carattere di base: testardo, un po’permaloso, ospitale, passionale, fedele ai miei valori.  E poi adoro il caldo, mi piace molto la socialità, la condivisione, la convivialità, lo scambio, d’altronde siamo un popolo di viaggiatori. E poi mi piace moltissimo parlare dialetto quando incontro un altro calabrese, credo sia una di quelle preziose radici che non dovremmo mai dimenticare, come la cucina e le tradizioni, anche quando siamo per così tanto tempo lontano dalla nostra terra natìa». (bg)