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Striscia la notizia e San Luca

L’OPINIONE di Francesco Rao / Gli indignati, gli invischiati, i rassegnati

di FRANCESCO RAO – Nel corso dell’ultimo anno, sono state tante e diverse le vicissitudini che hanno visto la Calabria collocata in una vetrina alquanto ardente. Dalla costante gogna mediatica, generata di volta in volta dalle notizie sottese a descrivere questa terra come un fiume in piena dove, al posto dell’acqua ci sono negatività e malaffare e dove l’inchiostro, le immagini e le parole, utilizzate dagli addetti ai sistemi di comunicazione per riportare ciò che è sotto gli occhi di tutti ma che in tanti continuano a non voler vedere, hanno contribuito a rendere più salato il mare dell’informazione e della diffidenza nei nostri confronti, alimentando un crescente processo di erosione tanto per avviare un percorso di riscatto culturale quanto per animare le speranze di moltissimi Calabresi. In questa terra, oltre a quanto ci affligge, esiste anche una diffusa bellezza che alimenta un profumo destinato ad essere percepito da quanti hanno a cuore la voglia di assistere all’affermazione di una Calabria migliore.
Il lato bello di questa medaglia continua ad essere posto in secondo piano soprattutto dalla diffusa ignavia dei figli di questa terra. In buona parte non condanno quanti hanno scelto di manifestare la loro resa, con il silenzio e la mancata partecipazione. Moltissimi Calabresi, forse la maggioranza e vorrei aggiungere i migliori Cittadini nati in questa terra, in passato ma anche attualmente hanno avvertito l’esigenza di doversi smarcare dalla volontà di arricchire il dibattito offrendo anche un loro contributo. Dietro l’angolo c’è ancora il leone della delegittimazione, pronto a scagliarsi non contro i mediocri ma contro i capaci. Quest’ultima circostanza, potrebbe divenire il grande convincimento per mettere in campo nuove conoscenze, i progetti, visioni e speranze. Sono certo che se i migliori figli di questa terra, ossia quanti hanno trovato la loro affermazione ed ancora oggi rimangono con la schiena curva davanti alla bellezza del sapere onorando l’umiltà e la passione dei propri valori come elementi vitali della loro esistenza, scendessero in campo la truppa dei mediocri e con essa affaristi e faccendieri, in pochissimi giorni sarebbero dissolti nel nulla. Purtroppo, questa ipotesi sembrerebbe destinata a rimanere incastonata nella storia come l’ennesima utopia di un sognatore.
La mancata propensione nell’abbracciare le regole ed una maggiore disciplina nel rispetto delle Leggi, continua ad essere quell’onda lunga diffusasi all’indomani dell’unità d’Italia. Se in una fase preunitaria, ogni paese aveva un riferimento umano per dirimere i conflitti e gestire il “potere”, come ben sappiamo gli effetti delle leggi, riportate su atti scritti e non riconducibili all’ipotetico “capo bastone”, ha letteralmente fatto saltare molti equilibri mantenuti a lungo ed esercitati spesso con prepotenza e sopraffazione nei confronti dei deboli e degli umili.
Lo Stato unitario prima e l’avvento della Costituzione dopo, in Calabria ha trovato una piena attuazione non il 1° gennaio del 1948 con l’entrata in vigore della Costituzione ma all’indomani di una rivoluzione culturale che Aldo Moro aveva avviato, dapprima con la riforma scolastica e successivamente con l’attuazione delle regioni. Lo statista pugliese, morto per dare vita alla Repubblica, era 50 anni avanti rispetto alla classe politica di quel periodo e, tale circostanza, si racchiude nella famosa affermazione “la persona prima di tutto”. Con molta probabilità, quel concetto non era stato chiaro alla nostra gente e anziché migliorarsi attraverso lo studio è stata costretta a percorrere la strada della vita praticando l’arte dell’arrangiarsi e la precarietà. Eppure, l’ultima persona che sostenne gli esami di licenza elementare, grazie al programma condotto dal maestro Alberto Manzi “non è mai troppo tardi” era una calabrese di 63 anni.
Sappiamo benissimo che il costante riproporsi di un sistema sospeso, a volte reso tale da una classe politica inconcludente, ormai è passato nell’immaginario collettivo come normalità. Anche per questo motivo il ricorso alla raccomandazione e la gestione distratta del voto sono divenute pratiche messe in atto dal contadino al professionista divenendo una occasione per mercanteggiare i diritti con l’espressione pilotata del voto. In tale circostanza, non posso biasimare quanti scelgono di mettersi da parte senza scendere nell’arena dove non esistono gladiatori ma soltanto compromessi. Certo, con buona probabilità, quando si assiste ai quotidiani e circostanziati fatti di degrado, siano essi sociali o culturali, penso che il senso di sofferenza e di indignazione avvolga anche quelle persone che hanno messo il freno al loro impegno. Quindi, esistendo tre grandi filoni: gli indignati, i rassegnati e gli invischiati, il quarto riferimento è rappresentato da tutte quelle persone auto collocatesi in isolamento volontario. Vorrei sottolineare che il mio dire non dovrà essere letto come un’accusa. Qualora fosse percepita tale situazione, chiedo scusa. È mia volontà praticare una constatazione dei fatti destinata a raggiungere il più alto numero di Calabresi per chiedere loro di non stare più alla finestra, limitandosi a guardare ma di valutare l’idea di sposare un percorso intriso di idee, proposte, azioni e voglia di liberare la terra che ci ha visti nascere e crescere. Forse questo è il debito più grande che molti di noi sino ad oggi non hanno mai pensato di dover saldare.
In questa occasione, vorrei condividere una breve riflessione sfiorando due temi, afferenti a territori diversi, per alcuni versi posti in antitesi ma con un comune denominatore: un ritardo ormai inammissibile. Il primo riguarda l’intervista di Vittorio Brumotti, trasmessa qualche sera addietro dalle reti Fininvest, durante il programma “Striscia la notizia” nel quale sono state riportate affermazione di alcuni bambini di San Luca; il secondo è riconducibile ad un evento atteso da oltre 20 anni: l’apertura del Gateway che collega la stazione di Rosarno, transitando da San Ferdinando per raggiungere lo Scalo portuale di Gioia Tauro. Non intendo entrare nei meriti dei fatti di San Luca e nemmeno nella questione afferente al Porto di Gioia Tauro. Lascio a quanti mi leggeranno le deduzioni.
Ebbene, nessuno vuole mettere sotto il tappeto le realtà sociali e territoriali di questa terra. Per superare la difficoltà invece di abituarsi all’ennesima bastonata ricevuta, sarebbe il momento di aprire una nuova metodologia per governare i problemi della Calabria e dei Calabresi, prendendo atto che le numerosissime persone, sino ad ora impegnate a governare alcuni difficilissimi territori, in gran parte hanno fallito. Un’altra parte di essi è stata sfiancata ed indotta a mollare e un’ultima parte è rimasta incagliata in procedimenti giudiziari, in parte pendenti ed in parte conclusi con condanne ma anche con numerose assoluzioni.
Se il persistere atavico delle varie circostanze, riconducibili alle numerose realtà territoriali sopra indicate, hanno costretto i Cittadini interessati a strazianti attese, facendo loro registrare ritardi, perdite di opportunità, emigrazione, mancato sviluppo e aggravarsi di un malessere sociale diffuso nei mille rivoli della quotidianità, vuol dire che qualcosa non è andata per il verso giusto. Mi sia consentito un esempio: o il medico o la medicina non sono state idonee per curare il male. Inoltre, quale direttore sanitario vedendo migliaia di pazienti “surgelati” nell’attesa di essere curati, continuava a rimanere immobile. È legittimo chiedersi come hanno svolto i loro doveri, istituzionali e professionali, tutte quelle persone impegnate in compiti ben precisi e pagati dal contribuente? Giocavano a poker con i sottoposti? Non vedevano lo stato delle cose oppure facevano finta di non vedere? Perché i Cittadini Calabresi hanno preferito accettare l’idea di doversi curare fuori Calabria da medici conterranei ma impiegati in ospedali situati nel Nord?
Questa volta, la mia riflessione, ha un titolo molto forte perché è forte la speranza di poter assistere ad una primavera calabrese, dove finalmente non sia più necessario sperare che trascorrano 20 anni per poter vedere la realizzazione di una strada, di un ospedale o di un raccordo ferroviario che porta una località del Sud al centro del mondo.
Si spera che i tempi del cambiamento siano vicini e vorrei sperare che i tempi della burocrazia e dell’attuazione di qualsiasi processo amministrativo possa essere congruo alle necessità sociali dei rispettivi territori. L’attesa, tranne quella riconducibile al Vangelo, sino ad ora non ha restituito alla Calabria alcuna crescita ma, al contrario, ha letteralmente condizionato in peggio lo sviluppo complessivo conducendo le persone all’assuefazione dei disvalori sociali e ponendole in un punto della scala dei valori nella posizione opposta alle virtù.
Questi sentimenti negativi, oltre a paralizzare la libertà, hanno ridotto la sommatoria positiva della cooperazione che una società democraticamente avanzata dovrebbe praticare per analizzare, affrontare e risolvere i problemi. Anziché chiudersi in inutili e sterili faziosità del nulla.
Continuando a cantare il brano di Orietta Berti “fin che la barca va”, quando un reporter o un giornalista, nell’esercizio delle proprie funzioni, realizza un servizio che mette in vetrina la quotidianità del nostro tessuto sociale, finendo tra l’altro per accorparci in un solo contenitore, sentirsi offesi non servirà a nulla. Ciò che invece c’è bisogno è un costante ed esteso impegno per promuovere buone prassi, destinate allo sviluppo del territorio ed alla sua crescita socioeconomica. Quanti scelgono di continuare a voltarsi dall’altra parte, pensando che i problemi di questa terra non appartengano anche loro, farebbero bene per una volta a fermarsi e pensare non soltanto al proprio futuro ma soprattutto al futuro dei loro figli. (fr)